“Lo confesso”

– Lo confesso.

Così aprì, e chiuse anche, quello che fu da molti ritenuto il discorso di conclusione di un’era. Parole che forse mettevano fine a duemila anni di cristianesimo ma che scombinavano le carte anche in tutte le altre confessioni, che tutt’affatto si avvantaggiarono dalla uscita di scena della figura religiosa più importante dei nostri tempi, ma che anzi furono costrette a profonde revisioni interne, quanto a uomini e disponibilità, improvvisamente crollate per mancato apporto da parte dei fedeli.

– Lo confesso. Quello che voi considerate “Rappresentante di Dio in Terra” non è tale. Non lo è mai stato. Non fu Dio ad eleggermi, non fu Dio a chiamarmi ma una congregazione di uomini. E non c’è stata alcuna vocazione ma un semplice desiderio di fare qualcosa per gli altri. Questo è quanto dovrebbe dirvi qualunque persona che oggi indossi una tonaca, dal prete di campagna al cardinale.

Le televisioni di tutto il mondo stavano diffondendo un messaggio che avrebbe cambiato la storia ed aperto una ferita insanabile nel Credo di miliardi di persone. “Miliardi”, che concetto assurdo, quando si parla di uomini. Il Rappresentante di Dio che dismetteva pubblicamente il suo ruolo. Il Papa che parlava chiaro, in un italiano sorprendentemente buono ed articolato anche, come mai aveva fatto prima. Come se quel discorso glielo avesse scritto qualcun altro. Anzi: come se quel discorso fosse davvero il suo, per la prima volta.

– Siamo persone. Persone fallibili, come tutte. E questo lo sapevate già. Ma c’è da dire altro, finalmente. Dio non si manifesta a noi, così come a voi. Non abbiamo alcun rapporto privilegiato, voce interiore, spirito, a guidarci. Nulla. Siamo esseri umani ai quali non è dato conoscere il pensiero di Dio, tanto quanto a voi. Nessun Dio ci ha mai detto alcunché. Molti di noi, da questa parte, non credono neppure. Sono persone entrate in Seminario magari a quattordici, quindici anni, con tante idee in testa e pochissime basi culturali a supportarle. E poi si sono ritrovate a seguire una certa strada. E a non poterla più interrompere. Per tanti motivi, per non deludere genitori orgogliosi di avere un figlio che celebrava la messa, perché ormai era tardi per fare qualunque altra cosa… Ragazzi che si sono presto pentiti di aver deciso di servire il Signore ma che hanno comunque continuato per convenienza, vigliaccheria, noia.

Il silenzio in quella piazza non aveva mai raggiunto tale livello. Se all’inizio erano i borbottii esterrefatti a prevalere, a quel punto nessuno più proferiva parola. Tutti con le bocche aperte, come a ricevere un ultimo, amarissimo Corpo di un Cristo morto in quel preciso istante.

– Sono vicino alla mia fine e ho paura. Paura come uomo. Paura che dopo non ci sia alcunché. Paura di aver servito il Dio sbagliato magari. Ma questo vorrebbe dire che almeno qualcosa c’è. Ed io, oggi, sono qua a confessare che non lo so. Non ho alcuna prova che Dio esista davvero. Nessuno, nessuno al mondo potrebbe averla. Voi, che vi affidate con cuore e coscienza alle nostre indicazioni, che seguite la dottrina della Chiesa con Fede, ma soprattutto con la speranza di ricevere poi una qualche ricompensa dopo questa vita, dovete sapere la verità. E’ giusto. E’ giusto che sappiate. Per poi tornare alla voste case davvero liberi. Liberi di scegliere. Scegliere se continuare a prodigarvi, ad improntare la vostra esistenza a dettami trascritti da uomini per uomini, non da Dio. Liberi di scegliere se sostenere una struttura fatta di uomini. Liberi di servire un Dio che io, oggi, non vedo. Non vedo.

Solo gli stranieri parevano disorientati più di chi quelle parole aveva ascoltato e compreso. Cercavano conferme da interpreti, si chiedevano se quella traduzione fosse davvero fedele. Nessuno, in fondo, voleva credere a quanto stava ascoltando.

– So che questa è l’ultima volta che mi vedrete affacciato qui, a parlarvi. Come so anche che qualcuno vorrà smentire con forza quanto sto oggi affermando. Vi parleranno di malore, di attimo di debolezza, di medicine o droghe. Sappiate che non è così. Parlo in piena salute e coscienza. E so anche che tanti di voi vorranno ancora dare credito a chi, domani, parlerà in nome di questo presunto Dio. Perché aveva ragione Pascal: “conviene credere”. Ma a che costo, ancora? Se una cosa davvero buona, in vita mia, ho fatto, non è stato certo guidare persone spaesate in nome di qualcuno che mai ho incontrato in vita mia. Ma è quanto sto facendo ora, oggi: darvi il vero libero arbitrio. Permettervi di scegliere se continuare a foraggiare uomini che si spacciano per chi non sono oppure destinare le vostre risorse e i vostri pensieri alla cura di questa, di vita, realtà. Che è l’unica che davvero conosciamo. Forse è l’unico modo di sistemare tante, tante cose. Non ne conosco altri. No davvero. Lo confesso.

Sparì dietro la solita finestra.

E qualcuno applaudì.

 

E il Mossad?

– Cristo, Cristo, Cristo!
– Stiamo calmi adesso! Così non serve! Calma!
– Ma quale cazzo di calma!
– Merda! Non frignare! Ragioniamo perdìo!
– Lo dicevo che era assurdo! Ma tre! Perché cazzo tre! Avevamo detto la bombola del gas da campeggio! Non succedeva mica tutto ‘sto…
– Non serve a un cazzo ora! Eravamo d’accordo, no!? S’era detto che quella non si sarebbe manco sentita nel cassonetto, col traffico e il casino!
– Ma che senso ha? Che senso ha?
– Lo volevi l’articolo sul giornale? Toh, eccolo!
– Ma è morta! Morta! Lo capisci?
– Sì, è morta. E allora? La gente muore.
– Tu sei impazzito…
– No. Qua dobbiamo solo metterci d’accordo. Non riusciranno mai a risalire a noi se non facciamo cazzate. Stanno già parlando di Mafia, di attentati, stragi di Stato, le solite cazzate… Leggi qua:

Dietro l’attentato, però, potrebbe celarsi un ‘messaggio’ della Sacra Corona Unita. E c’e chi ricorda che il 9 maggio scorso gli investigatori avevano portato a segno un brutto colpo contro la criminalità organizzata arrestando, a Mesagne, 16 persone accusate di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, porto illegale di armi da fuoco, danneggiamento aggravato e incendio aggravato. L’attentato di oggi, sottolineano fonti investigative, potrebbe rappresentare una sorta di ‘strategia della tensione’ come quella attuata dalla mafia.

[Repubblica]

– Ma cazzo! Speriamo… speriamo che credano questo…
– Questo crederanno. Questo fa comodo credere adesso.
– …per saltare una verifica… una merda di verifica…
– Ma che verifica! La verifica era all’inizio. Poi è diventato un gioco, finito a cazzo ma pur sempre un gioco. Come avevi detto? “Città del cazzo, non succede mai niente. Vogliamo fare qualcosa di veramente figo?”
– Ma non pensavo… non credevo…
– E invece ora è successo. E amen. Adesso ascoltami: chi altri sapeva che io e te stavamo progettando questa cosa?
– Ma… io… non lo so…
– Lo devi sapere! A chi l’hai detto?
– Mi sembra… a Rita…
– Ti sembra o l’hai detto?!
– Sì, le ho detto che volevamo far saltare la verifica…
– Usando quali parole?
– Ma adesso non…
– Quali parole?!
– Queste… mi pare… “Stai a vedere che sabato facciamo saltare la verifica… facciamo saltare tutto”.
– Sei un coglione, un coglione.
– Ma come potevo…
– Dobbiamo andare a parlare con Rita.
– …oddio santo… ma perché…
– Piantala merda! Vieni con me o vado da solo?
– No no… ma che vuoi fare?
– Rimediare prima che Rita faccia una cazzata.
– E… cioè?
– Sali. Ora!

E sempre fonti investigative sottolineano la modalità insolita dell’attentato. “La mafia non usa le bombole a gas, ma il tritolo – spiegano gli inquirenti – la mafia, forse, non avrebbe neanche avuto un motivo per uccidere delle studentesse”. Il dettaglio importante da attendere, secondo l’intelligence, è capire qual è stato il meccanismo di innesco dell’ordigno: “Le bombole sono materiale esplosivo, ma devono essere innescate. Dall’innesco si può già capire da chi è stato fatto l’ordigno, se da un tecnico o da un tecnico improvvisato”. 

[Repubblica]


Sempre a Brindisi – città che ormai pare maledetta – ritrovato senza vita il corpo della giovane Rita
S., di 16 anni. Ironia della sorte, anch’essa frequentava la scuola Morvillo Falcone. Non risulterebbero segni di violenza sessuale ma solo dopo l’autopsia si saprà se… 

[?]

 
 
 
[Grazie a Emilio]

“E ricorda che ho voluto più bene a… uguale”.

Cosa trovate più demotivante? Un rimprovero? Quando qualcuno dubita di voi? Se vien fuori che non si fidano delle vostre capacità? Altro?

Rigiro la domanda: qualcuno davvero può ritenere motivante un rimprovero? L’essere messo in discussione? L’accostamento ad un’altra persona definita “più capace”?

Con mia sorpresa qualcuno risponde di sì a questa riformulazione della domanda. Mi è stato detto che l’essere messo in discussione a volte potrebbe dare una sferzata emotiva e portare buoni risultati motivazionali.

Invero questa risposta me l’hanno data in pochi da che io ricordi: pochissimi trovano motivazione non nell’elogio ma nel rimprovero. E a dirla tutta neppure quelle eccezioni si sono poi espresse in modo radicale, precisando che è fondamentale che loro stessi trovino quel rimprovero fondato e intellettualmente onesto.

Ciascuno poi ha il proprio sentire e magari trova motivante una nuova sfida oppure confermarsi sulle vecchie, cambiare panorama (lavorativo, sentimentale) oppure mantenere il precedente. Questo è ampiamente soggettivo e capisco perfettamente che io possa essere totalmente diverso da te che mi stai leggendo. Ma nessuno mi ha mai detto che trova motivazione quando attorno a sè sente sfiducia. Qualcuno magari sul breve potrebbe trovare una controreazione ed attivarsi maggiormente, per dimostrare che gli altri si sbagliano. Ma sul medio periodo c’è bisogno poi di segnali di cambiamento, di riscontri oggettivi, di pacche sulle spalle e nuovi sorrisi.

Con me poi la cosa funziona in modo ancora più estremo: essendo personalmente molto sicuro delle mie capacità (a torto o a ragione) sono anche la persona più critica con se stessa. Dunque mi accorgo da solo se qualcosa non è corrispondente all’optimum: non c’è bisogno che tu me lo faccia notare. L’esserne cosciente è per me stimolo a fare meglio la volta successiva. Il sottolineare una volta il difetto me lo amplifica a dismisura e mi switcha in uno stato di fastidio: “non c’è bisogno che mi rimarchi questa cosa, mi sento già da solo in difetto“. Il sottolinearlo più volte ti pone in torto. Te, esatto. Torto per non aver capito che quel comportamento è controproducente. Torto per aver allungato i termini della mia “ripresa”: quando sono infastidito rendo decisamente meno. Torto perché mi stai dimostrando che sto avendo a che fare con una persona non in grado di gestire i rapporti umani. Non in grado di capire chi ha di fronte e come prenderlo.

Paradossalmente i miei errori sottolineano le carenze altrui più che le mie.

E questo non vale solo nel lavoro, dove comunque si possono ravvisare situazioni di questo tipo più spesso che in altri ambienti: è un discorso buono tra amici, in un gruppo di zitelle che gioca a bridge, durante una partita di calcetto.

– Cazzo, ma come fai la diagonale?! Dovevi chiuderlo tu quello là!

– …

– Cazzo, ma perché non passi la palla? Ero libero!

– …

– Cazzo, ma chi lo doveva marcare quello? Dov’eri con la testa?!

– … – Cazzo, ma…

– [Mi fermo in mezzo al campo, prendo il pallone in mano, mi dirigo lentamente ma con decisione verso di lui, tengo stretto il pallone, glielo porgo, lui non capisce e fa per prenderlo ma ecco che lo sorprendo sbattendoglielo sulla faccia in modo ripetuto, sfruttando le peculiarità del terzo principio della dinamica e dunque faticando anche meno rispetto ad uno che fisica non l’ha studiata].

Da ragazzino ero bravissimo in francese. Dal primo giorno – prima ancora che sapessi una sola frocissima parola in quella lingua. Questo perché la professoressa fece il suo giro di conoscenza e chiese a tutti noi di ripetere una frase da lei pronunciata: questo facemmo, con tutti i limiti del caso. E quando fu il mio turno ricordo di aver provato, essermi impegnato, nel riprodurre quella pronuncia, con la massima attenzione, dedizione possibile. Il risultato non penso potesse essere entusiasmante ma quella donna ebbe l’intelligenza di dirmi: “Bravissimo, si vede che sei portato. Sono certa che imparerai il francese prestissimo“. Non ci credeva. Ma fu altamente motivante. Era la pacca sulla spalla, il complimento aprioristico, il sorriso: non importa se di ipocrita incoraggiamento o di apprezzamento. Mai fece l’errore di demotivarmi, di mettermi a paragone con altri in classe. E questo anche con gli altri: eravamo tutti diversi. E anche i ciucci non venivano mai mortificati. Ripresi per gli errori sempre, ma col fine puramente educativo. Glielo riconoscevamo. In primis quelli che gli errori commettevano. E c’era un sorriso per tutti.

Quante professoresse di francese avete incontrato nella vostra vita? Quante ne vorreste incontrare? A me manca gente così.

Mi manca quel modo di intendere i rapporti con le persone e quella capacità di saper tirare fuori il meglio da chiunque. Manca il suo farmi sentire “speciale”, la sua forza nel prevenire i miei errori (sono diventato davvero bravo poi) grazie al solo fatto di trasmettermi fiducia e creare aspettative che non potevo deludere. Non volevo deludere. Manca il suo sapersi mettere da parte come ruolo istituzionale e supportarmi totalmente come ruolo motivazionale.

Le poche persone che hanno saputo “essere la mia prof di francese” hanno ottenuto grandi risultati. Loro. Da me.

E compatisco chi ancora pensa che la frusta faccia più tirare il carro a Varenne.

Quella funziona con gli asini, che parlano un pessimo francese e manco fanno una diagonale.

E comunque anche loro tirano di più solo per poco.

Poi scalciano.

In medium stat virus

La vittoria della Juventus in questo campionato mi ha mostrato inconfutabilmente come io sia esattamente nel mezzo. Metà tra chi ne ha gioito, chi ha sofferto e chi se n’è fottuto totalmente.

Voglio dire, spesso mi trovo in questa salomonica situazione di limbico baricentro: vedo gente presa da un argomento, su cui già in partenza provo un medio grado di interesse (non zero, non totale) e la osservo mentre si schiera in modo estremistico da una parte o dall’altra. Nel caso di specie, io seguo il calcio, e questo campionato – questa lotta tra Milan e Juve – l’ho trovata divertente e calcisticamente interessante. Ma non parteggiavo in particolare per nessuno. Poi ha vinto la Juventus e i suoi tifosi si sono scatenati. Mentre i milanisti tiravano in ballo il gol di Muntari, gli infortuni e quant’altro. Io nel mezzo, a trovare le ragioni di entrambi, fare spallucce e passare a Youjizz.

Gli animalisti, che ogni giorno pubblicano foto di cani seviziati, abbandonati, cassintegrati. Dall’altra parte quelli che portano avanti la tesi dell’indispensabilità della sperimentazione animale o che sfoggiano scarpe di coccodrillo albino vivo. Io nel mezzo, a trovare le ragioni di entrambi, fare spallucce e passare a Redtube.

Gli impegnati politicamente, che si coalizzano contro “gli altri” e non fanno altro che sostenere la propria fede, inneggiare, sloganare. Di contro, gli sfiduciati, quelli che “Tanto rubano tutti”, che a votare non vanno e che continuano a ricordare Beppe Grillo quando faceva ridere e del Movimento 5 stelle pensano sia una posizione del Kamasutra praticabile solo con mignotte di lusso. Io nel mezzo, a trovare le ragioni di entrambi, fare spallucce e passare a Xhamster.

Sono giorni che su Facebook vedo scudetti, delpieri, intermerde e milanmilansoloconteeee… Sciarpe, gagliardetti, “Solo la Juve nel cuore”, “Solo il Milan nel cuore”, “Solo una extrasistole nel cuore” (per i tifosi più sfortunati). Ma anche tantissimi che si lamentano di tutto questo: “Basta con questo calcio, non se ne può più! Il Rugby sì invece, il basket sì invece, un polmone d’acciaio sì invece, tutto invece.”

Davvero io non riesco a schierarmi: capisco tutti. Ma non per diplomazia: è che in fondo hanno tutti ragione. Io invece non riesco mai ad appassionarmi a qualcosa in modo viscerale. Arrivo ad un grado di interesse medio, a volte medio-alto, raramente alto. Poi mi rompo e passo appresso.

Da piccolo, alle medie, scelsi di tifare Juve. L’anno prima però ero dell’Inter. Quello precedente ancora della Roma. Ero una zoccola, d’accordo (allora solo calcisticamente) ma in fondo non avevo dentro alcun fuoco sacro calcistico. E questo vale un po’ per tutto: ho le mie idee politiche ma non scendo in piazza ad urlarle. Non farei gratuitamente del male ad un animale ma se calpesto una lumaca è più il fastidio per lo schifo che il dolore per la perdita.

O forse il dolore per la perdita.

Ecco, questo voglio dire.

Non c’è un argomento che mi stia a cuore particolarmente. E dire che mi interesso a tutto. O è proprio per questo? Forse. O forse no. Ma la questione non mi appassiona tantissimo. A conferma dell’assunto.

Mi piace andare in palestra ma se c’è una bella partita di Champions la preferisco ma se è una bella giornata di sole scelgo di fare un giro in moto ma se mi gira il cazzo torno in palestra.

Mi vanno delle patatine fritte, posso scegliere se metterci maionese, ketchup o entrambe le cose. O niente. Parto con la maionese, un paio di patate, poi il ketchup, poi li mescolo, creo salsa rosa, mangio ancora un po’, poi mi vanno patatine senza nulla, poi ancora solo ketchup, poi… A tutt’oggi non so come mi piaccia mangiare le patatine. O forse mi piace proprio così: cambiare, variare. Ma se non ho nulla a disposizione va benissimo lo stesso. Per questo non riesco a schierarmi con nessuno, nè contro nessuno. Se ci fossero degli estremisti del ketchup li capirei, ma non starei con loro. Se ci fossero gli oltranzisti della maionese li capirei, ma non riuscirei a sposare la loro causa.

Questo post potrà interessare qualcuno? Se verrà ignorato mi dispiacerà, se condiviso mi farà piacere. Ma niente di che, eh.

E poi so che avrete apprezzato comunque gli indirizzi dei siti porno.

Io al tempo li apprezzai.

Mediamente.

 

Dell’età e dell’esperienza

Non è vero che l’età porta saggezza. Porta esperienza, quello sì. Ti fa capire in anticipo che la cazzata che stai per fare porterà quelle esatte conseguenze.

E’ solo il grado di precisione previsionale dell’evento, ciò che aumenta con l’età.

Quel che gli anni portano è solo l’irrigidimento delle idee, convinzioni e posizioni. Tendi a mettere sempre meno in discussione quelle che sono le tue incrostazioni mentali, frutto di anni di sovrapposizioni, cementificazioni e stratificazioni (alcuni tuoi preconcetti ormai hanno assunto forma fossile, probabilmente con un discreto valore archeologico) dovuti alle diverse esperienze di vita, che hanno fatto di te quello che ormai sarai fino alla tua fine.

Ricordo che a vent’anni mettevo in discussione le poche certezze che pensavo di aver raggiunto, con una discreta facilità. Ero in grado di dare il voto ai Radicali così come di prendere un gelato al melone, non sentivo alcuna vergogna alla guida di uno scooter e consideravo le infradito un tipo di calzatura eterosessuale.

I ciclisti mi erano indifferenti, incredibile.

Oggi tutto questo non è più.

Mi rendo conto che quell’UMC di allora non esiste più; mai oggi sarei in grado di chiudere un occhio di fronte a un anziano che mi passasse davanti alle poste, nè accetterei di condividere un divano con un qualunque essere a quattro zampe, peloso e perennemente in calore. Ma non è solo per questo che che da anni non invitiamo mia suocera.

La tolleranza – parola comunque orrenda e oltremodo offensiva, quanto “Negro” o “Negro in casa” – mi rendo conto che non mi appartiene più.

Se incontrassi Alfano sono certo gliene direi quattro, non per posizione politica ma per pura fisiognomica.

Non vado in teatro perché sono certo che se vedessi recitare da cani salirei sul palco e prenderei a calci in culo l’attore. Come previsto peraltro nel quarto atto: “Lo spettatore infuriato”.

Quando sono alla cassa del supermercato mento sempre sul numero di buste, sperando che la cassiera mi chieda un accertamento, così da poter imbastire una lunghissima discussione che sfocerà – si spera – in altri e più virulenti litigi con chi era in fila.

Do la precedenza in auto ma facendo frenate brusche e all’ultimo istante, avanzando col muso fino a sporgermi in modo fastidioso, così da ricercare la protesta dell’automobilista di turno e rispondergli con un “Cazzo vuoi!? Mi sono fermato, no?”. Inappuntabile.

Creo ansia, sono ingombrante, cerco pretesti, non patteggio, guardo storto, saluto poco, sputo.

E col tempo posso solo peggiorare.

Voglio.

Deja ecoute

Alla radio davano sempre la stessa canzone, in loop, da un’ora. All’inizio ho pensato fosse un errore del DJ, poi ad uno scherzo.

Infine lo speaker ha detto che stavano mandando il meglio di Katy Perry.

Mistress

Qualche anno fa cominciò a circolare con più insistenza la parola “stress”. Andava a sostituire/integrare nel comune italico vocabolario il più tendente al patologico “esaurimento/esaurimento nervoso”.

Stress connotava una situazione di pressione, esterna o interna, tale da portare un certo grado di disagio psichico alla persona.

Pian piano – come spesso accade – l’uso divenne abuso e “stress” iniziò a definire anche situazioni di generico disagio emotivo, non importa quale fosse il grado.

Questa apparentemente innocua parola è poi entrata di fatto all’interno dell’uso comune e dell’intercalare stradarolo, ma anche in ambito burocratico, per quell’insopprimibile esigenza tricolore di inquadrare ogni fenomenologia in commi o circolari. “Se c’è timbro c’è speranza“, dovrebbero mettere in ogni ufficio pubblico.

Ciascuno di noi conosce situazioni di stress: sono parte della nostra vita e le solite menate. Per questo valenti professionisti che fino a ieri ti infilavano il piede nella porta per mollarti il Folletto si sono oggi riciclati docenti di corsi di gestione dello stress. In questi dovrebbero trasmettere agli stressati allievi le tecniche di controllo di questa emotività negativa e trasformarla altresì in flusso di propositiva e benefica energia. Insomma, prendi una cosa brutta e la fai diventare utile, un po’ come si fa col letame che diventa biogas in grado di muovere auto decisamente di merda.

Il punto è che la gestione dello stress è caratteristica richiesta non a tutti, nè allo stesso livello. Ci sono persone che, per ruolo sociale, per professione, per opportunità devono gestire totalmente lo stress. Ad altre non è richiesto un tale livello di attenzione. Altre ancora possono tranquillamente fottersene della gestione dello stress.
Pensate ad un chiururgo in una zona di guerra. Dovrà necessariamente saper gestire situazioni di enorme pressione, squassi emotivi, tempi ristretti. Ma senza arrivare ai casi-limite, pensate ad un dirigente d’azienda che gestisca risorse umane. Avrà il delicato compito di valorizzarle e metterle nelle condizioni per far sì che possano rendere al meglio, al netto di proprie contingenti tensioni personali, notizie negative, divergenze relazionali: alzarsi coi coglioni girati non è una patente per crocifiggere i sottoposti in sala mensa. Magari se ti chiami “Ugo”, ma sono eccezioni.

O un giudice, al quale è richiesto il “silenzio dell’anima” nel momento in cui valuta un caso. Se entra in aula incazzato come un cervo a primavera perché il giorno prima la sua domestica filippina gli ha bruciato la toga sarà per lui vitale gestire il suo personale stress e non tramutarlo in mesi di detenzione per l’imputato di turno. Magari anch’egli filippino (ma devi essere sfigato, Cristo!).

Un dipendente non ha la stessa pressante esigenza di gestire lo stress che ha invece il suo datore di lavoro: gli sarà utile, certo, per il suo benessere mentale, per la facilitazione dei rapporti e per non rendere la propria giornata lavorativa un inferno 9.00-13.00, 15.00-19.00, ma pare evidente come siano differenti le “responsabilità sociali da ruolo” e le conseguenze, nell’un caso e nell’altro, di una cattiva gestione delle tensioni interne.

Ora però pensate a mio nonno. Ha 91 anni, è lucidissimo, legge Libero, si incontra con suoi coetanei che parlano solo di pensione e patologie prostatiche, tutti i giorni segue Forum e il Tg4 e non dispone più di patente di guida nè la mancanza di mutande su Belen gli ricorda alcunché. L’esposizione costante a questi impulsi negativi lo rende aggressivo come un pitbull di fronte ad uno specchio a forma di pitbull. Ma – è qui il “ma” – a lui non è richiesta alcuna gestione dello stress. Tutt’altro. Il suo ruolo sociale lo prevede come portatore di mugugni e sbraghi continui. La sua cifra stilistica si colora di invettive contro santi ai più sconosciuti. La sua stessa esistenza in vita è dimostrabile prevalentemente attraverso le gratuite offese alla nuora e i ceffoni ai nipotini.

La gestione dello stress non è dunque un must, un punto di arrivo per chiunque.

Dunque piantala di inviarmi inviti al tuo incontro “Gestire lo stress oggi, un imperativo categorico per tutti“: mi metti pressione, mi crea ansia.
Mi stressa. Ed io non ho bisogno di gestire troppo lo stress.

E so dove abiti.

Applausi per Stewart

Una turista italiana col suo bagaglio a mano

L’esperienza Ryanair. Perché di ciò si tratta. A partire dal sito. Un fiorire di hostess – sovente seminude – ammiccanti, pronte a farti accettare qualunque clausola vessatoria in grado di traslare il costo del tuo biglietto da “economico” a “cinquanta euro per imbarcare una racchetta!?“.

La prenotazione online: è tutto molto semplice, certo, ma occorre ragionare in modo inverso. Non si scelgono i servizi extra che interessano, si deselezionano quelli che non si vogliono. Come se al ristorante dicessi al cameriere:
– Guardi, non prendo l’antipasto del cacciatore nè quello rustico, non prendo le penne, i tagliolini, i bucatini, l’arrosto misto, la tagliata, il petto di pollo, le scaloppine, la frutta di stagione, gli amari. Nulla di tutto questo, grazie.

Assicurazione, bagaglio supplementare, macchina a noleggio, sms di avvertimento, albergo, puttane: va tutto depennato. E il pass prioritario. Questo poi: è quello che ti fa saltare la coda e ti fa uscire prima di tutti dal gate riscaldato per attendere gli altri fuori, su una navetta aperta e gelida che non parte fino a che l’ultimo della fila non si sia sbrigato. Il tutto per un piccolo sovrapprezzo.

E il misura-bagaglio? Ti fanno inserire la valigia in quella sorta di grata, a mo’ di bustina da the, misura Golem. Se passa ok, altrimenti vieni punito selvaggiamente. Imbarcare il tuo bagaglio costerà quanto e più del prezzo del tuo volo, di quello dei tuoi figli e dei figli dei tuoi figli, peggio della maledizione di Canaan. Questo si legge infatti sull’opuscolo Ryanair in caso di bagaglio eccedente le misure previste:

– Maledetto sarai nella città, e maledetto sarai nel campo.
– Maledetto sarà il tuo cesto e la tua madia.
– Maledetto sarà il frutto del tuo ventre e il frutto del tuo suolo, i piccoli delle tue vacche e la prole del tuo gregge.
– Maledetto sarai nell’entrare, e maledetto sarai nell’uscire.

Una oscenità tariffaria, un taglieggiamento al quale non puoi opporti.

Certo, anche i viaggiatori italiani ci mettono del loro: sul sito è chiarissima la politica nazista Ryanair che mira ad umiliare le razze inferiori, quale la nostra. Mai visto un viaggiatore tedesco avere problemi con la valigia, né tantomeno protestare se la sua Vergine di Norimberga di due metri e mezzo per uno non entra nel misuratore.
Ho personalmente assistito a pietose scene di gente che svuota la valigia davanti a tutti, per indossare una mezza dozzina di maglioni, pantaloni da sci, mute da sub e cappellini fiorati e poi pressare la valigia così alleggerita nel misuratore, deformarla irrimediabilmente, al fine di dimostrare alla signorina Ryanair che “Ora è ok, ma ci stava anche prima“.

Gli italiani protestano, non ci sono cazzi. Trovano ingiusto che siano loro a dover pagare per la propria negligenza. La colpa è sempre di chi è troppo rigido, di chi non chiude un occhio, di chi non adegua le proprie regole a chi ha di fronte.
Siamo solo noi a cercare di trattare importi inferiori coi vigili che ci multano, figuriamoci se non proviamo ad imbarcare come bagaglio a mano un clavicembalo ben temperato, un sarcofago egizio (trafugato come souvenir del viaggio a Sharm), una suocera obesa.
Poi il passo velocissimo verso l’aereo fermo in pista, per accaparrarsi i posti migliori, cioè nessuno. Corridoio strettissimo, sedili consunti, hostess trovate nel cassone della roba usata della Caritas e impossibilità di appisolarsi per le mille stronzate che queste provano a venderti: dalla lotteria Ryanair ai profumi, da orologi cinesi a porcherie immangiabili (e, di nuovo, costosissime).

Io personalmente nei sedili non ci sto: le mie gambe spuntano fuori dal corridoio e se riesco per puro caso a perdere i sensi un minuto sarà il loro carrello tranciarotule a ricordarmi che “YOU MUST BUY SOMETHING PERDIO!“.

Però è sempre così dolce tornare a casa con un volo Ryanair. Magari sei stato due settimane ad Oslo, con i costumi civilissimi dei norvegesi. E atterri a Pescara. E senza neppure il bisogno di aprire gli occhi capisci che è Italia. Dall’applauso al pilota.
Come se atterrare fosse proprio uno di quei plus previsti da Ryanair, che per una volta abbiamo spuntato senza dover pagare.

Credo l’applauso tutto e solo italico dipenda da questo: “ehi, siamo atterrati, siamo vivi. E non ho tirato fuori un euro per questo extra!“.

In effetti sul sito l’atterraggio non è contemplato.

 

Auguri, Stephen!

Festa di compleanno a Cambridge per Stephen Hawking, ma lui non c’era; stavolta non si è fatto fregare dal solito: “dai, soffia sulle candeline!“.

Hawking ha raggiunto i 70 anni nonostante la sua terribile malattia, che lo costringe ad una mobilità ridotta quasi a zero e a restare bloccato su una sedia a rotelle da mezzo secolo: maledetta ruggine.

Il Papa mentre fallisce nel suo maldestro tentativo di guarire Hawking

Emette voce solo tramite sintetizzatore vocale ed ogni movimento risulta terribilmente difficoltoso. Ma questo non impedisce a Lady Gaga di esibirsi.

“L’immagine del nostro universo è cambiata molto negli ultimi 50 anni, e sono contento di dare anche adesso il mio contributo”, ha detto Dio nell’andare finalmente in pensione.

Guardate le stelle invece dei vostri piedi“, chiede Hawking ad un gruppo di feticisti.

Hawking sconfitto in una tradizionale gara di testate tra scienziati

 

Da giovane ha dimostrato che i buchi neri non sono fantascienza ma oggetti reali, pur se irraggiungibili da adolescente.

E’ persino arrivato ad ipotizzare colonizzazioni di altri pianeti e trasferimenti di risorse ed uomini in altre galassie, prima ancora di Marchionne.

Hawking si cimenta in un passo di moonwalking con scarso successo

Stephen non sta bene e il suo recupero non è stato sufficientemente rapido per essere presente alla sua festa“, ha spiegato il morbo di Gehrig.

La malattia gradualmente paralizza tutti i muscoli del corpo, fino alla completa trasformazione del fisico in Nicolas Vaporidis che interpreta una qualunque scena.

Ho incontrato per la prima volta Stephen nel 1965 – ha raccontato domenica a Cambridge il suo collega e collaboratore storico Kip Thorne – e posso dire che è la persona più ostinata che abbia mai conosciuto“. In effetti non si schioda mai dalle sue posizioni.

Hawking in un raro momento di riposo

La sua frase più famosa? “Esiste sempre un raggio di luce capace di sfuggire ai buchi neri“.

E non sarà certo il nostro buon Stephen a corrergli dietro.

Auguri.

Piccolo screzio pubblicità

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non è compito primario delle campagne Pubblicità Progresso quello della massima divulgazione possibile?

E allora qualcuno mi sa spiegare perché per cercare nell’archivio uno debba registrarsi e fare il login?

Penso sia necessaria una Pubblicità Progresso che sensibilizzi quelli di Pubblicità Progresso.

Volevo informarmi, mi sa che per stavolta cazzeggerò su Internet.