Finché non mi cacciano (45)

 

Arriva finalmente da noi il nuovo Iphone 4S, una vera rivoluzione rispetto al precedente modello: ha una “S”.

Centinaia di persone in coda anche tutta la notte fuori dagli Apple store. E quel cafone di Jobs manco un saluto.

[Su L’Unità, qui]

δῆμος & κράτος Srl

“Ah, ho capito: non ti piace la mia critica e mi impedisci di parlare! Bella cosa! Ma noi siamo ancora in una democrazia, sai? Dunque ho tutto il diritto di…”.
Nessun diritto. Tu non hai nessun diritto. Qui non c’è democrazia, sei a casa mia. A casa mia io faccio le regole. Io ti faccio entrare e io ti do la parola. E te la tolgo.
Il concetto di democrazia non solo è universalmente sopravvalutato ma risulta altresì inapplicabile (vivaddio) nella stragrande maggioranza dei casi. Vivere in un Paese democratico non significa essere soggetti a regole democratiche in ogni dove.

– Buonasera.
– Buonasera, ma lei chi è?
– Sono UomoMordeCane.
– E cosa desidera?
– Sono venuto a star qui per la notte.
– Star qui per la notte? Ma cosa dice?
– Beh, ieri c’è stato lei qui, penso tocchi a me stasera.
– Cosa sta dicendo, questa è casa mia!
– Ma questo è un Paese libero e democratico. Mi pare di non doverne neppure discutere. Vada pure, torni domani.
– Ma che cazzo sta dicendo! Sparisca subito!
– Non ci penso nemmeno. Rivendico il mio diritto. Siamo in una democrazia, no? Lei ha dormito qui ieri, io ci dormirò stasera.
– Lei è pazzo.
– No, democratico. A proposito, quante ne ha fatte ieri con sua moglie?
– Eh?
– Va bene, mi attesterò sulla singola chiavata. Poi facciamo i conti al suo ritorno.
– [Per me va bene]
– TU STAI ZITTA! NESSUNO HA CHIESTO IL TUO PARERE! E LEI SE NE VADA!
– Lei sta sottraendo a sua moglie il democratico diritto di scelta e di…
– FUORIIII!

Quando mi fanno pippotti sulla mia pagina Facebook, sul mio blog, ed io rispondo col mio noto fare cordiale™, indicando di volta in volta quel santo o quello sfintere, vengo rimproverato di varie cose, ma spesso di non essere democratico. Quando io non ho mai detto nè desiderato esserlo.
La democrazia funziona se c’è una collettività che si accorda in tal senso, all’unanimità. Il concetto di “maggioranza” è solo successivo a questa prima fase costitutiva dell’apparato democratico. Se già solo una persona rinuncia ad accettare le regole democratiche, nessuna democrazia sarà instaurabile.
Ovvio: accettare di vivere in una determinata società che già si fondi su principi democratici rappresenta un’accettazione degli stessi. Dunque non sarà possibile non condividere i principi democratici in un ambiente democratico.

– Diamo ora la parola all’On. Tabussi
– Grazie Onorevole collega
– Ah, Tabussi è lei?
– Sì, certo…
– Allora no. Lei mi sta sul cazzo. Diamo la parola al prossimo: è chiamato a parlare l’On Delli Carri.
– Ma…
– Ancora qua lei?

Ma appunto si deve essere all’interno di una struttura democratica. E sono situazioni molto meno diffuse di quanto si pensi.

– Finora l’esame è da considerarsi buono. Un paio di domande ancora e la possiamo congedare con un ottimo voto.
– Guardi, direi che finora le sue domande sono da considerarsi buone. Ora sarà lei a darmi delle risposte.
– Cosa?
– Beh, non mi pare democratico che solo lei faccia le domande qui. Mi pare ora tocchi a me.
– Sta scherzando?
– Anche questa è una domanda, caro professore. La prego di smetterla e permettermi di esercitare il mio diritto di porre a lei le mie, di domande.

Pensate a cosa accadrebbe se il principio democratico fosse universalmente applicato:

– Sei ingrassato, George.
– Trovi, Alfred?
– Sì George, lo penso anche io.
– Anche tu, Benedict?
– Lo pensiamo un po’ tutti, George.
– Oh, bene. Farò palestra. Grazie di avermi avvisato, signori.
– Grazie una cippa, George. Chi vuole mangiare George questa sera?
– Favorevole!
– Favorevole!
– Favorevole!
– CONTRARIO! Ma state scherzando?
– Con tre voti favorevoli ed uno contrario questa assemblea ha deciso che stasera verrà servito George, con patate.
– MA QUALE ASSEMBLEA?! SIETE IMPAZZITI?
– Ti prego, George. E’ democrazia.
– MA…
– Tre voti contro uno.
– Uff, avete ragione.
– Ma certo.
– Posso almeno scegliere le salse?
– Contrario.
– Contrario.
– Contrario.
– Uff…

I morti non sono tutti uguali…

…specie se farci sopra satira pregiudica le vendite di un libro.

Non starò a fare pipponi sulla libertà di satira, sul poter o meno fare battute su Simoncelli piuttosto che su altri 24enni morti, ad esempio in Turchia per il terremoto o in Tibet per protesta contro il regime cinese. Magari leggete qua: http://www.alexfor.it/2011/10/dovete-morire/

Si sappia però che c’è satira e satira, ma anche ipocrisia ed ipocrisia. E se avete una community di 250.000 persone che vi legge e che potenzialmente può acquistare copie del vostro libro è sempre bene fare un passo indietro. Magari verso Colorado Cafè, più vendibile rispetto un prodotto con al suo interno battute su Simoncelli. E se scappano c’è sempre la smentita.

Peccato che Internet tenga traccia di tutto e che le smentite assomigliano tanto a quella d’er Pelliccia, che tira gli estintori per spegnere le fiamme.

Ehi capo, si potrebbero incazzare!
Spinoza non ha mai pubblicato battute su Simoncelli. Però si sappia che le gradiva. "EPIC WIN"

La mia banca è repellente

 

Ricevo email da BNL:

Gentile cliente,
la informiamo che il suo nominativo è stato estratto nell’ambito della promozione “preaccordato” che le consente di richiedere un finanziamento per ottenere, in modo rapido, una liquidità aggiuntiva con un set documentale ridotto rispetto a quello previsto per l’istruttoria standard e scegliere l’importo desiderato attraverso una delle combinazioni proposte.
Certi di ottenere l’apprezzamento per questa vantaggiosa offerta restiamo in attesa di un suo cortese riscontro.

Faccio presente che io ho davvero un contro BNL, dunque l’email ricevuta, con tanto di mittente reale (nome e cognome, non un generico bnl@bnl.it) sembrava indirizzata a me per comunicazioni realmente personali, vieppiù per il fatto che non ricevo mai email phishing da quella banca.

Insomma, questi mi scrivono per darmi l’opportunità di indebitarmi con loro. Ma in modo agevolato. Presentando meno documenti. In modo da rovinarmi con maggiore facilità.
La ritengo una opportunità imperdibile. Ma ci pensate: portare solo 3-4 documenti in luogo di 7-8?
Mica mi propongono un tasso diverso, di qualche punto percentuale sotto quello praticato agli altri clienti, per la mia affidabilità… no. Quest’ultima è valutata come bonus per ottenere da loro soldi, da restituire con le stesse condizioni di un pluriprotestato. Ma recandomi in agenzia con qualche foglietto in meno.

Risponderò alla email:

Gentile NomeCognome@bnl.it,
la informiamo che il suo nominativo è stato estratto nell’ambito della promozione “cornuti & contenti”, che consente a sua moglie di richiedere la solita chiavata (la stessa che le forniamo da tre anni circa, con soddisfazione reciproca) ma in modo rapido, con una semplice email di risposta alla presente, in luogo dei soliti sotterfugi che siamo soliti organizzare per vederci quando lei si trova al lavoro o in viaggio.
Certi di ottenere l’apprezzamento per questa vantaggiosa offerta restiamo in attesa di un suo cortese riscontro. Magari col solito squillino col quale sua moglie ci informa che lei è uscito di casa.

Finché non mi cacciano (44)

– Roma viene colpita da una serie di incendi a catena, prontamente spenti dall’abnegazione  e dal coraggio di volontari che soffocano le fiamme con abile lancio di estintori;
– Le Forze dell’Ordine individuano il miglior lanciatore e lo portano con loro in caserma per premiarlo a lungo;

[Il resto del riassunto settimanale su L’Unità, qui]

Non è da questi particolari che si giudica un coglione

Non tengo per nessuna squadra di calcio. Ma lo stesso mi piace, seguo il pallone. Vedo le partite più importanti, mi godo il bel gesto tecnico, ma non mi fotte niente se al novantatreesimo la Lazio vincerà sulla Roma.

Questo mi tiene al riparo dagli eccessi tipici del tifoso: perderò le grosse soddisfazioni ma sarò al riparo dalle delusioni cocenti.

Penso che per spiegare il mio stato di grazia a chi invece ha qualche squadra nel cuore potrei ricorrere ad un esempio mutuato da tutt’altro settore.

Per me il calcio è come una bella e sconosciuta ragazza, con la quale passerò una notte di sesso. Non conosco niente del suo passato, nè mi interessa. Quando è nata, chi l’ha posseduta: irrilevante. Non so chi incontrerà domani e se da questi incontri ne uscirà con soddisfazione. E anche questo non mi interessa. Nè se giocherà in casa o fuori: cazzi suoi.

Del resto dubito che quelle fatte fuori casa valgano doppio.

Niente perquisizioni prima di entrare a godere dell’evento. E all’uscita niente code. Tranne le gangbang, certo.

Non mi ci vedo ancora legato tra una settimana, men che meno un mese o un anno: me la godo stasera, magari con un cognac appoggiato sul comodino da gustare nelle pause.

Apprezzerò ciò che mi saprà offrire, ci rimarrò maluccio se non ne sarà valsa la pena ma domani altro giro, altra corsa, nessun dramma. Il calendario offre sempre qualcosa.

Rappresenta insomma un ottimo ammazza-tempo per quei “45 minuti – pausa caffè Borghetti – 45 minuti – tutti sotto la doccia”, ma non è che dopo la scopata andrò poi a comprare una maglietta col suo nome stampato sulla schiena, pur se la ragazza meritava. Al massimo ci rivediamo per un’altra serata. Ma se la stessa sera c’è a disposizione altro deciderò in tutta libertà.

Insomma: magari era una bella mulatta ma non mi lego a vita a quei colori.

Quando si sta per spogliare non sto là con un “oooooooo….” a tamburellare coi piedi a terra.

Nessun gagliardetto appeso allo specchietto della macchina con la sua foto.

Insomma, lei mi piace per quello che mi dà quella sera. Poi amici come prima. Nessun legame, nessun coinvolgimento, nessun niente.

Legarsi invece ad una squadra è esattamente come sposare una donna: sai che è quella, nel bene e nel male.

Ce l’avrai sempre per casa, invaderà le tue giornate, magari l’hai sposata che era da Champions e dopo poco te la trovi a soffrire a metà classifica, per poi impietosamente lottare per non retrocedere. E tu sempre attaccato alla stessa. Preso per il culo dagli amici, a loro volta coglionati quando è la loro, di moglie, a deludere.

Tradire tradiranno entrambe: la moglie/squadra del cuore e la ragazza/squadra qualunque.

In sintesi, una squadra la si sceglie da ragazzini, quando non si ha ancora la maturità per capire l’insano gesto.

Ma poi da adulti perché non si pensa che non è poi necessario continuare quel matrimonio, e che una piena e soddisfacente libertà sportiva è tanto desiderabile quanto la piena libertà sentimentale?

Ora mi chiedo: perché proprio e solo Juve, o solo Milan, o solo Inter o la tua fottutissima squadretta quando puoi avere tutte le sere una semplice, intercambiabile, soddisfacente troia qualunque?

Finché non mi cacciano (43)

Riguardo alla non approvazione del rendiconto, parlare di sfiducia è atto improprio“.

Lo credo anch’io, ma hanno ritenuto poco istituzionale il “suca“.

[Su L’Unità, qui]

Amore è stocazzo

Ero da un amico, l’altro giorno. Stava cazzeggiando su Facebook – mi ha mostrato una robetta divertente sulla sua bacheca, non ricordo manco cosa.
Mi ha fatto specie invece l’insieme, quel che gli compariva, la sua bacheca appunto, ma nel complesso.
Voglio dire: noi (chi di noi è su FB) abbiamo una certa cerchia di amici e la nostra pagina è la risultante delle cazzate che questa massa pubblica. Si tratta di un insieme vario e disomogeneo, ovviamente, ma si ha una tendenza ad immaginare che quel che appare a me per grosse linee appaia anche ai miei amici facebookiani, non foss’altro per le amicizie comuni.
Mi sono accorto che così non è. Che i punti di contatto tra il mio mondo e quello altrui sono davvero pochi e che manca del tutto l’effetto “smorzamento ambientale”: ogni mio eccesso ha una eco vastissima su una bacheca altrui. Se pubblico una cazzata si vede. Molto. Si perde ogni visione d’insieme, nonché la giustificazione creativa della stessa.
Faccio un esempio: condivido con un gruppo di satira una idea creativa: cambiarci tutti l’immagine del profilo, mettendo un culo con su uno slippino risicatissimo, col logo “Umore Maligno”. Lo facciamo un po’ tutti (una quindicina di cazzoni) e la nostra bacheca sarà un fiorire di questi culi. E la cosa ha un suo “senso creativo” (scusate l’iperbole).
Ma il mio amico, esterno al gruppo de quo, vedrà solo la mia fotina, decontestualizzata. E penserà: “che cazzone!”, (con piena ragione a prescindere). Ma gli viene a mancare del tutto il contesto nel quale è nata quella boutade, quando per me quella immaginetta non era che una delle tante in mezzo a tante: quindici persone, mediaticamente logorroiche, che rendono la mia personale bacheca un florilegio di culi griffati, creando un ambiente surreale, in cui il mio culo si perde tra i tanti.
Altrove no: c’è solo quel culo, col mio nome sotto. Un po’ come sulla mia carta d’identità, ma ancora più evidente.
Per questo ricevevo messaggi privati del tipo “ma che cazzone che sei!” o “non ci credo: hai messo un culo come foto del profilo!”. Era gente sorpresa, e a ragione, perché del tutto priva di qualsiasi conoscenza della genesi della cosa.
Questo però – e qui provo a trasmettere un preciso messaggio – vale anche all’opposto: quello che tu, cara la mia romantica depressa, quotidianamente condividi, in modo automatico e distratto, quello che sulla tua bacheca si perde tra le centinaia di messaggi simili ai tuoi, delle tue amiche – e si parla di frasi precotte, foto di tramonti o di corpi che languidamente si abbandonano alla passione di superiori sensi – quello che insomma, nel tuo contesto e stante la tua cerchia di amici, è per te “ordinarietà”, sulla mia personale bacheca è un pugno in faccia. Io vedo solo quello, perché spicca come e più di mille culi al vento, perché la mia, di cerchia, è usa pubblicare tutt’altro: cose anche eccessive, ma proprie, cercando di non cadere mai nella banalità o in toni da posta del cuore di “Cioè”.
Insomma, dopo una onlus socialmente impegnata in Uganda, dopo una segnalazione circa la ricostruzione di una scuola in una zona difficile, arriva quel cazzo di love is in the air.
Ed è solo per pura coincidenza fortunata che i toni si risollevano con un aforisma  di “Troll dell’amore” davvero al posto giusto, al momento giusto.

Vergassola? Un professionista.

 

Gasparri che non capisce, la Carfagna che lo ciuccia, Renzo Bossi-trota, Berlusconi e le troie, Brunetta-nano, il crocifisso tra le tette della Minetti, il lettone di Putin, Marrazzo che lo prende nel culo, il bungabunga.

No, non è il solito pippone sui tormentoni della satira (o forse sì).
E’ tutto lecito, alcune cose strappano ancora un sorriso e ci sta che battute costruite su questi canovacci incontrino facilmente il consenso del pubblico.

La domanda è un’altra: esiste una responsabilità sociale di chi fa satira circa un presunto dovere anche “educativo” verso il pubblico, che lo porti un pochino più “su”, che lo spinga a capire che si possono percorrere anche altre strade rispetto a quelle solite, comprendere che si possa ridere anche di cose fino a quel momento ritenute tabù?

Vergassola si rende conto che quello che fa passare in tv non solo informa ma anche “forma” la gente che lo ascolta?

“Tarantini viaggiava sui voli di stato con visto diplomatico. Era l’ambasciatore di Gnoccaland”.
(Vergassola, settembre 2011)

Ma davvero qualcuno può trovare divertente una cosa simile?

Questa forma di gioco al ribasso non è anche altamente diseducativa?

“Rivolta a Lampedusa. Il sindaco asserragliato nel suo ufficio con una mazza da baseball. In attesa che arrivi Berlusconi con le solite palle”.
Sempre Vergassola.

Le “palle” di Berlusconi… le “palle” da baseball…
Ma non è roba da tressette al bar? Non è qualcosa che chi fa satira di mestiere dovrebbe considerare ben al di sotto della decenza mediatica?

No Dario, non ce l’ho con te. Non particolarmente almeno.

Sia chiaro: non si sta dicendo che ogni costruzione satirica debba volare alta come scorresse costruita da un redivivo Rabelais. E’ che il pubblico viene così sempre considerato bue ed incolto, semplice. Come se le sale a Natale si riempissero coi film di De Sica.

Pessimo esempio.

Tra le altre cose: anche io scrivo di Berlusconi, Brunetta e affini (in particolare su L’Unità, per ovvi motivi), anche magari utilizzando stereotipi consunti. Ma sempre con uno sforzo costruttivo (concedetemelo) e comunque cercando di dare un minimo di credito al mio lettore, non considerandolo un grasso beone con la seconda elementare che picchia la moglie mentre in tv scorrono le immagini di Colorado Cafè.

[Colorado Cafè:Saturday Night Live = Vergassola:Jon Stewart]

Mi sento – nel mio piccolissimo – anche investito da quella responsabilità sociale di cui sopra, che mi ficca nell’orecchio quella pulce che mi dice: “dai, puoi fare di meglio: davvero non hai una idea migliore? Davvero stai per scrivere anche tu “patonza”? Davvero non vuoi provare a sfruttare quella sinapsi che il tuo lettore non ha mai attivato?“.

E comunque io non sono Vergassola, mi conosce ed apprezza una dozzina di persone – molte delle quali portano il mio stesso cognome o è legata a me dagli articoli 143, 144 e 147 C.C.. Dunque il peso di questa “responsabilità” su di me è (dovrebbe essere) relativo.

Come può un pubblico “crescere” se lo mettiamo a questa forma di pane ed acqua intellettuale?

Nuovamente interrogato, Tarantini ha dichiarato: “Nessun ricatto a Berlusconi”. “Ho solo aiutato un uomo in difficoltà e bisognoso di figa”.
Indovinate di chi è.

Berlusconi e figa ci sta, fa ridere, funziona certo… ma a parte la assoluta povertà di questa costruzione (davvero non riesco a capire come un professionista consideri questa roba pubblicabile), ma perché avvitarsi ancora su questo concetto? E’ questo che vuole il pubblico o è questo che gli diamo perché pensiamo lo voglia?

O sono io a sopravvalutarvi, capre?

Una volta esaurito un filone, tu comico (anzi: tu che ti riempi la bocca con la satira) hai il dovere di andare avanti, cercare nuovi filoni. Sorprendermi anche. Coltivare il tuo pubblico e percorrere insieme strade nuove.

Crescere.

Buco dell’ozono: il pericolo non è passato. Pare che Berlusconi voglia farsi pure quello.
(Vergassola, settembre 2011)

Confalonieri: “Berlusconi è un ottimo padre”. Oddio, ma pure la mamma di Confalonieri s’è fatto?!
(UMC, ottobre 2009)

(RISATE)