Prega per me e per FruttoloFruttolo

Da piccolo dicevo le preghiere, un po’ come tutti i bambini, tranne quelli particolarmente svegli. Te le facevano imparare al catechismo, giocavano subdolamente con la tua capacità naturale di memorizzare ogni cosa, nenie in particolare. Su questa cosa hanno campato per decenni centinaia di pubblicitari jinglomani senza scrupoli, tirando fuori mostri come l’Omino Bialetti, “FruttoloFruttoloFruttoloFruttolo”, “Le stelle sono tante milioni di milioni, la stella di Negroni”, il “più lo mandi giù e più ti tira su”, il “potevamo stupirvi con effetti speciali”, “Cynar, l’amaro vero ma leggero”, “Dovevamo recuperare quella cazzo di salma della vecchia, sapevamo che non ce l’avremmo fatta, dunque giù a ciuccarsi di Montenegro”, “FruttoloFruttoloFruttoloFruttolo”, il chichichichi pulisce più di Chante Clair, “Alle morbide FruitJoy tu resistere non puoi devidevidevidevi masticar”, “Tutto il giorno di corsa, a pranzo solo un panino e adesso: questa cazzo di Fiesta”, Ambrogio, la mia non è più fame ma più voglia di FruttoloFruttoloFruttoloFruttolo”.

Ricordo – chiarissima ancora – la sensazione che sentivo quando dovevo iniziare: ero scocciato. Scocciato nel senso più puro del termine. Non avevo bene chiaro il concetto di autoanalisi e comprensione delle proprie emozioni, dunque il massimo che potevo realizzare era un “uffa”, ad esprimere un concetto che trovavo comunque ben delineato e ampiamente autoconsistente.
“Uffa” era in grado di descrivere un intero universo, a quell’età.

Oggi, grazie ad una naturale crescita, anni di studio e immersione nella società, ovviamente il vocabolario si è enormemente arricchito e per descrivere quello stato emotivo uso concetti più articolati, tipicamente bestemmie.

Trovavo noioso dover recitare quella serie di parole – per lo più senza senso – in quel preciso ordine precostituito.
Quando poi si trattava di sequenze di preghiere letteralmente cadevo in depressione. Il rosario. Ecco: il rosario rappresentava una sorta di punizione. Il che ci stava anche, visto il concetto di peccato che cristianamente trasudava da ogni pensiero, parola, opera o omissione (per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa, colpa di un seienne che al massimo si macchiava di sugo quando affrontava rigatoni troppo più potenti delle sue manine).

La colpa.

Mi sentivo in colpa nel pensare “uffa” all’atto di accingermi a pregare. E allora cercavo di non pensare “uffa”. Spostavo il fuoco su qualcos’altro: a catechismo mi avevano insegnato ad apprezzare la Passione di Gesù, la sua sofferenza, il suo dolore fisico, che ci ha donato senza chiedere nulla in cambio, mica come Pato.
E allora mi concentravo sulla ferita al ginocchio, quell’abrasione profondissima da scivolata sul cemento durante corse affannose, che tuttora segna le infanzie di bambini non obesi.
Ah, il prete ovviamente doveva accontentarsi di quelli obesi, appunto: gli unici che riusciva a raggiungere, quelli senza le ferite sulle ginocchia. Perché pensate che io ne avessi tante?

E insomma, se non mi facevo abbastanza male mi davo un colpetto sulla ferita. Mi provocavo dolore, un po’ per concentrarmi su esso, un po’ per assomigliare a Gesù.
Ma a questo punto pensavo che forse era peccato voler assomigliare a Gesù.
E mi sentivo in colpa.
Poi mi autoassolvevo: come può essere peccato voler assomigliare a Gesù? E allora che sarebbe assomigliare al diavolo?
Ma di nuovo interveniva la mia voce interiore cristiana, quella alla perenne ricerca di una qualche cazzo di colpa, che mi raggirava subdolamente e riusciva ad incularmi ancora, un po’ come avrebbe fatto il prete se fosse stato più veloce di me.

Assomigliare a Gesù sarebbe stato peccato di vanagloria. Assomigliare al diavolo peccato di assomigliare al diavolo. Non assomigliare a nessuno, peccato di mancanza di modelli di riferimento. Assomigliare a tutti, peccato di essere uno specchio.

Peccato comunque, sempre.

Dunque le preghiere.
Ed il ciclo ricominciava, in una spirale che si autoalimentava con le mie crosticine sulle ginocchia ed il mio lento ma inesorabile procedere verso il giorno della vera presa di coscienza: quella nella quale realizzi che davvero, quella serie di parole una dietro l’altra, sempre uguali, per stare bene con te stesso funzionavano meno, molto meno, troppo meno di un gin tonic.

O di un FruttoloFruttoloFruttoloFruttolo.

 

Quattromilioni

[attenzione, contiene populismo]

Gente che ha tutta la mia stima, che si impegna politicamente, ci crede, va alle primarie a scegliere il candidato del Centrosinistra e si sente partecipe di un grande movimento davvero popolare che parte dal basso. A dimostrazione di una enorme fame di democrazia, partecipazione, presenza civica.
Lasciando in me salda la convinzione che proprio la democrazia può tutto e il contrario di tutto, basta crederci.

La stessa gente che però accetta dal 2005 un sistema elettorale creato da uno con la forma di Calderoli, che gli impedirà di scegliere i suoi rappresentanti quando andrà a votare per le elezioni che contano davvero.
Lasciando in me salda la convinzione che proprio la democrazia può tutto e il contrario di tutto, basta crederci.

Sensibilizzami ‘sta minchia

Clima, allarme dell’agenzia Onu per il meteo: “Nel 2011 record di gas serra in atmosfera”.

Che cazzo vuoi? No, serio: Che cazzo vuoi?
Che posso farti io? Cosa ti risolvo? Spengo la luce in camera? Chiudo il frigorifero più rapidamente? Vado al lavoro in risciò? Sfruttando energia cinesica*?
*Questa è carina, dai.

Non venirmi a dire la solita cazzata: se tutti facciamo qualcosa, tutti insieme…
Tutti insieme cosa? Chi?
Ma davvero qualcuno pensa che spendere una fortuna per una Prius risolva il problema ambientale? Già il solo girare in una macchina che ostenta omosessualità in quel modo, non è un prezzo da pagare sufficiente? Perché deve costare trentamila euro?
Ok, mi compro la Prius. Inquino meno. Fino a che non la dovrò rottamare, e le batterie, etc. Ma non importa. Arriva poi un cazzo di Iceberg, naturalissimo eh, che mi squarcia una petroliera in Alaska e il danno ambientale sarà infinitamente superiore alla pezza che io e gli altri possessori di ibride avremo cercato di evitare in mille anni di macchine frocie.
Sono i grossi a fare le differenze. Sono le politiche ambientali, industriali. Sono quei cazzo di duemiliardemmezzo di cinesi e indiani, che vanno a carbone, petrolio e letame, a fare casini. E le loro industrie fuorilegge. E il Fiume Giallo perché contiene cinesi spremuti. Sono le acciaierie delocalizzate nei paesi privi di controlli, le centrali nucleari antiquate, i regimi consenzienti. E’ questo a fare il buco in quel cazzo di ozono, a creare effetto serra, a scippare le vecchie. Gente che se ne sbatte di questi continui allarmi e catastrofismi – non importa se fondati o meno. Perché va detto anche che ci sono cambiamenti climatici del tutto naturali e sui quali non possiamo agire.
Vai a fare una campagna sociale là. A Islamabad. Dove un pakistano si compra finalmente una Lada scassata, dopo una vita di bicicletta anche sotto la pioggia (piove in Pakistan? Hanno le bici? Me ne fotte qualcosa?). Digli che deve preferire il trasporto pubblico, con cento altri come lui ammassati su mezzi sgangherati ed obsoleti che manco una Fiat. Ti squarta. E ha ragione.

Cazzo vuoi sensibilizzare me? Se getto una carta a terra mi sento un coglione. Avete fatto in modo che mi senta in colpa se non raccolgo la merda che il cane lascia per strada. E non è manco mio!
Non va bene, perdio! Non va bene! Non posso tollerare di essere scambiato per uno svizzero! Tutta questa sensibilizzazione mi ha reso una mammola! Voglio sputare in terra. Con raschio anche!
E’ da quando ero piccolo che mi stanno a sensibilizzare. Sono ipersensibile ora. L’altro giorno ho cazziato un gatto che staccava la testa ad una lucertola e la lasciava là a pezzi, senza differenziata!

Ora ho a cuore la salvaguardia del leopardo nebuloso di Formosa, molto più di quanto lui abbia a cuore la mia; preferisco la roba biodegradabile, anche come partner; sostengo Emergency, il WWF, l’UNICEF, l’AMREF, la ricerca sul cancro, la ricerca sulle malattie genetiche, la ricerca sulle malformazioni, la ricerca sulla ricerca, un sms per le fibrosi, un sms contro le fibrosi, due euro da linea fissa, cinquanta centesimi lo scatto alla risposta: “Pronto? Sono la fibrosi”, guarda c’è l’azalea in piazza, e le arance della salute, e tutti insieme per il terremoto, e compra il parmigiano, e senso civico perdio! e le acque si innalzano e tra poco non si tocca, e il petrolio ci ucciderà tutti prima ancora di Israele, fatto il vaccino? l’acqua alta a Venezia, l’acqua bassa in Mozambico, scambiatevi le acque allora!, una firma per la droga, ok ho firmato: dov’è ora la droga? l’impatto zero, la carta da culo riciclata, il filtro antiparticolato, il rispetto delle stagioni, il giorno della Memoria, il giorno della Pace, il giorno della Marmotta, e leggi un libro, metti il profilattico, costruisci un ospedale in Burundi, dove cazzo sta il Burundi, studia diocane, i bambini con la pancia gonfia, controlla la vista, ottobre mese della prevenzione, acqua e olio a posto? mangia una Melinda, allaccia il casco, bevi con moderazione, gioca responsabilmente, le cinture! c’hai due spicci per Telethon? ogni sigaretta ammazzi una donna incinta, il fiocchetto contro l’AIDS, l’IRPEF, l’ANICAGIS, inquina poco, preferisci i mezzi pubblici, puzza il minimo, CRISTO!

Sono sensibilizzatissimo!

Ma adesso mi fate pensare pure un po’ a me?
No, davvero: mi avete triturato anima, palle e portafogli con questo continuo bombardamento sociale.
Mi sento sempre inadeguato. Avverto personalmente il peso di questo riscaldamento globale e per quanto mi affanni a mettere il bassotto-peluche-paraspifferi sotto la porta, coibentare, isolare, doppiovetrare, indossare maglioni invece di accendere il riscaldamento, continuo a leggere che a Venezia annegheranno tutti. Per colpa mia. Ad un certo punto mi viene da pensare pure un: “Oh, ma trasferitevi in collina, e abbandonate quel posto di merda ai giapponesi, che cazzo!”.

Il cioccolato equo e solidale salverà pure tantissimi bambini pieni di mosche in qualche posto sperduto dell’Africa, costringendoli dunque a restare in vita in posti di merda più a lungo di quanto loro stessi desidererebbero. Ma fa cacare. Oh, Lindt è più buono: quello che viene dall’Africa è amaro, pessimo.

Saranno le mosche.

 

ATTENZIONE!!!!!!!!!1

Ho condotto un esperimento sociale* su Facebook. Messo questo annuncio:

Mi pareva abbastanza chiaro fosse una perculazione dei messaggi che infestano la rete ad opera di untori 2.0, terroristi della sintassi.
Linguaggio cazzone, oltraggioso uso della punteggiatura, errori di battitura inseriti ad arte, simulazione anche di approccio ansioso con la tastiera. Il Padre Pio a dare un tocco di credibilità (?) ulteriore.
Quanto tempo occorre per accorgersi che si tratta di una presa in giro? Cinque secondi? Dieci? Quindici, se fai di cognome Gasparri?
Eppure tanti non hanno capito.
Il mio pensiero è stato validamente espresso dall’ottimo Cane Quantico, dunque non ci tornerò.
Voglio qui aggiungere solo una cosa: si trattava comunque di un pubblico “selezionato”: gente che ha messo un “mi piace” su una pagina chiaramente satirico/cazzona, persone che quotidianamente ricevono battute di un certo tipo**.
Come mai allora in tanti si sono sentiti in dovere di sottolineare gli errori, soffermandosi anche sul fatto che il messaggio di pubblico panico fosse da considerare ridicolo non in sé ma solo perché Facebook non sarà mai a pagamento?
Vi lascio con questo interrogativo al quale cercherò di dare risposta prossimamente.
Sempre se ci sarà un prossimamente.
Perché ho appena ricevuto questo:

ATTENZIONE VI PREGO!!!! E TUTTO VERO!!!!!1! ATTWENZIONE!!!!!1! QUA STA SUCCEDENDO KUELLO CHE ANNO DETTO I MAIA DEL CALENDARIO!!!! LA FINE DEL MONDO!!!!!! VOLETE LE PROVE!?? PIOVE TANTISSIMO CHE SONO TRE GIORNI DI SEGUITO CHE PIOVE!!!!!!! IO NN MI RICORSDO MAI TANTA PIOGGIA COSI PER TRE GIORNI SENZA SMETTERE MAI!!!!! ALLORA???? PERCHE IL METEO NON DICE LA VERITA???! SULL APP MI DICEVA CHE OGGI NON DOVEVA PIOVERE PER NIENTE!!!! CERA SOLO UNA NUVOLA NERA MA SIGNIFICAVA CHE ERA NUVOLOSO, MICA CHE PIOVEVA PURE!!! INVECE PIOVE!!!!! CIOE LO SAPEVANO PIU I MAIA CENTO ANNI FA CHE QUELLI DEL METEO DI OGGI???? E SE VIENE VERAMENTE VERAMENTE LA FINE DEL MONDO CHE FAI? IO ALLO STADIO A TIFARE!!!! FORZA JUVE!!!!1!!!1 FATE GIRARE!!!!!!!!!!!!11

E sono abbastanza preoccupato.

_______________________________
*Lo chiamo così per darmi un tono
** per “certo tipo” intendo: in italiano

La fiala di Bubba

– C’hai una mollica sulla faccia.
– Da che parte?
– La faccia.
– Adesso?
– No.

– Devo cambiare tipo la macchina e me ne compro una nuova.
– La macchina ti porta pure lontanissimo se c’è la benzina.
– Da via Trento a Corso Umberto però c’è l’isola pedonale.
– Vale pure per la macchina nuova?
– Sì.

– Le gru che volavano verso la migrazione.
– Le hai viste?
– Tutte. Era tipo pieno.
– Non ci sono le gru tutti i giorni, sarà il quartiere brutto.
– Sì.

– Martedì viene Peppe.
– Io una volta ho donato il sangue che era martedì.
– Però non c’era Peppe.
– No.

– Al bagno c’erano due mosche.
– Due diverse?
– Una diversa sicuro.
– Forse l’altra era uguale.
– Sì.

– C’è il cappotto nuovo. Due tasche davanti.
– Ieri c’era Sandro qua.
– Il cappotto nuovo.
– Ah, scusa.
– Le tasche davanti.
– Sì.

Scegli la tua ipocrisia: puoi vincere un fantastico viaggio!

Mi ha sempre affascinato quella che considero l’unica, vera, caratterizzante peculiarità dell’essere umano. Che non è l’intelligenza (milioni di anni di evoluzione e il risultato è Luca Giurato), il prevalere su altre specie (un virussetto ci fa il culo) e men che meno l’essere capace di robe romantiche come creare arte (Giovanni Allevi è considerato un compositore) o amare (anche se qui la superiorità di Sasha Grey è difficilmente discutibile).
No.
Quello che ci distingue da qualunque altra specie è l’estrema adattività. All’ambiente, certo (nessun’altra specie la trovi diffusa in ogni angolo del globo). Ma soprattutto a se stessi.

A mio parere l’essere umano non ha alcun tipo di preferenza di base. Non nasce fatto per vivere in Ruanda, Italia, Cina o Texas. Non nasce per fare il metalmeccanico, il musicista, l’astronauta o il mafioso. Leopardi aveva Monaldo e la sua enorme biblioteca, senza la quale probabilmente non avrebbe mai composto nulla per Silvia ma si sarebbe limitato a masturbarsi per lei dietro la siepe, schizzando verso l’Infinito. Ayrton Senna veniva portato in pista fin da piccolo da suo padre, tutti i giorni (erano ricchi di famiglia e la playstation non c’era).
Il discorso-talento è fuorviante: il talento innato solo in parte fa la differenza (e in rarissimi casi è davvero palese, tipo un Mozart). E’ il coltivarlo, il lavorarci su ogni giorno a creare le basi per emergere.

In ogni caso, l’adattività porta l’uomo a quella che trovo la vera, misconosciuta, più grande ipocrisia che l’accompagna in tutta la sua esistenza: farsi piacere le cose per pura opportunità.
Chi va all’estero a lavorare: quanto entusiasti sono del loro nuovo paese? Quanta soddisfazione nel constatare che “I servizi, tutta un’altra cosa… la qualità della vita? Altissima, altro che l’Italia…“? Quanto amano scrivere poi peste e corna dei luoghi lasciati, del loro paesino di provincia o del  loro ex-lavoro mal retribuito? Invitando tutti a fare come loro, a lasciare questa terra dura ed ingrata.

Io sono convintissimo che in Svezia davvero gli ospedali non abbiano le corsie allagate di urina o che alle poste la sportellista sia efficientissima, biondissima e ti faccia un pompino incluso nel prezzo della raccomandata. Così come giurerei sulla testa dei miei figli che in Svizzera manco una carta da chewingum per terra, che le fontane spruzzino cioccolato liquido e che le banche ti accolgano con un sorriso e non ti minaccino dicendo che sono costruite attorno a te. Sono altrettanto certo che a Dublino la vita sia una festa continua, fiumi di birra e ragazze disponibili, che a Monaco la vita sia una festa continua, fiumi di birra e ragazze disponibili, che a Bruxelles la vita sia una festa continua, fiumi di birra e bambini disponibili.

E chi rimane in Italia? Che dice? Certo, se vive un disagio sociale, se manca di un lavoro si lamenta tanto quanto l’emigrato, del proprio paese. E minaccia di andarsene.
E la Fornero, e le raccomandazioni, e il “E’ una vergogna“. Manifestazioni, discese in piazza, status su Facebook (è la nuova frontiera dello sfogo: una volta si usciva ad ubriacarsi) e continuo malessere espresso in ogni modo verso tutto quanto sia tricolore. Proprio come chi ne è fuggito.

Ma se trova poi un lavoro? Che succede? Cambia tutto. Di nuovo.
Eh, però come si sta in Italia…“, “Ma vuoi mettere la cucina bolognese con quella inglese?!“, “Eh, io vivere a meno venti tutto l’anno? Ma abito a cinquanta metri dal mare, non cambierei la Versilia con nulla al mondo“, “Roma è sempre Roma“, “Sì, abbiamo un sacco di problemi ma siamo un  grande paese“.
E questo vale ovunque, che tu viva a Pizzo Calabro o a Lambrate. Non ti fotte più della ‘Ndrangheta, che fino a ieri era la causa prima del tuo inveire contro il Sistema, che soffocava l’economia locale, impedendoti di trovare lavoro, che ti portava a cercare offerte come cameriere a Londra o pizzaiolo a Berlino e a leggere le esperienze di chi era già partito ed ora magnificava la grandezza della monarchia inglese o della terra delle opportunità tedesca.
Oggi tutto passato, hai trovato lavoro: “Pizzo Calabro ha un sole che altrove se lo sognano, non abbandonerei mai la mia terra“.
E Lambrate: “Ne puoi parlare male come ti pare ma qui si vive bene e se vuoi, dieci minuti e sei al centro del mondo. Milan l’è semper un gran Milan“.

Questo dipende dall’adattività ipocrita dell’uomo, che sostanzialmente parte da un’esigenza insopprimibile di accettazione della situazione che gli si  crea attorno. E non vuole apparire – a se stesso in primis – come quello che non ha saputo crearsi le condizioni ideali di vita. Sarebbe un ammettere
proprie incapacità, propri limiti.
E allora è molto più semplice indicare in fattori esterni le cause che gli stanno impedendo di realizzarsi a livello personale o lavorativo.

Se non superi un concorso è perché “già si sapeva chi doveva entrare” e sicuramente “In Francia non succederebbe“. Se invece lo superi, e non avevi alcuna raccomandazione, ecco che “Si fa sempre un gran parlare male dell’Italia, ma in fondo qua si sta bene e se hai le capacità riesci
comunque“.
Ancora: se non lo superi: “Tanto, vincere un concorso da impiegato al comune di Settimo Torinese… sarei durato meno di un anno, meglio così, meglio restare a fare il disoccupato, ma a Milazzo: se permetti non c’è storia.“. Se lo superi: “E fanculo alla Mafia, ai problemi del Sud, a quella raffineria del cazzo sul mare, altro che paesaggio incontaminato… ma fanculo! E la domenica mi vado a vedere la Juve, mica il Catania!“.

Avete presente quando fate un viaggio? Che gli amici poi vi chiedono: “Beh, com’erano le Mauritius?“. Magari vi potete anche lamentare per mille cose, ma se la scelta della meta è stata vostra tenderete a sottolineare più gli aspetti positivi che negativi.
Al contrario, se la scelta è stata altrui e voi vi siete aggregati, magari esprimendo anche in anticipo le vostre perplessità, vedrete che saranno più gli aspetti critici, quelli ad emergere nella vostra descrizione, che quelli di elogio.

E se state insieme ad una donna bellissima? Non ne siete orgogliosi? Ma certamente. “Chi sceglierebbe mai di stare con una meno bella, se potesse avere una donna fantastica come questa?“.
E se state insieme ad una così così? “Guarda, la mia ragazza la trovo comunque bellissima. E in ogni caso non riuscirei a stare con una troppo bella perché sarei troppo geloso, mi conosco“.
E se state con un cesso assoluto? “A me importa come mi fa sentire. Una bella ragazza non mi interessa, anzi: sono sicuro che se fosse bella non sarebbe così dolce“.

– La tua ragazza sarà anche bravissima ma è una che davvero non si nota.
– Beh sì, non è appariscente.
– No, nel senso che non la distinguo da questa cacata di cane.
– A me importa cosa ha dentro.
– Altra merda, presumo.
– Sei superficiale, sai?
– Sarà… comunque Helena mi ha chiesto di te.
– Chi è Helena?
– La mia amica, quella che ti ho presentato la settimana scorsa.
– La topa?!
– La topa.
– E che vuole?
– Mah, dice che sei carino, non so.
– Ce l’hai il suo numero?
– Certo, ma…
– Dammelo, dai.
– Ma la tua ragazza?
– Ma chi se ne fotte di quella cacata di cane.

Ci autoassolviamo, creiamo nelle nostre teste un ambiente idealizzato, siamo capaci di prenderci per il culo talmente bene da finire per credere a tutto e al contrario di tutto.
Londra sarà “Bellissima, ideale per viverci… il clima stesso ha quel fascino che la rende unica” oppure: “Che cazzo di tempo di merda“, a seconda del fatto di aver trovato o no là una ragione di vita e di spostamento.
L’Italia: “Un paese morto, non vedo l’ora di scappare” oppure: “Non c’è niente di meglio al mondo“.

Ho un amico che ha sposato una brasiliana. Ha vissuto per due anni a Rio. Non faceva che raccontare di come fosse tutto fantastico, e il clima, e la gente…
Poi ha divorziato perché la moglie si faceva sbattere da chiunque, come conferma il Cristo sul Corcovado (perché pensate che tenga le braccia così sconsolate?).
Insomma, è tornato in Italia e da allora ha fortemente rivalutato la sua Spoltore, ridente cittadina collinare in provincia di Pescara. Che prima era solo “un paesetto, dai: vuoi mettere Rio?!” ed ora è tornata “Comunque a misura d’uomo“.
Uomo cornuto, certo.

E’ per questo che non inveisco (ancora) contro il mio paese, non mitizzo l’Australia, non denigro chi è emigrato in Belgio ma neppure chi è rimasto a fare il disoccupato in casa dei genitori.

Sto ancora aspettando di capire quale sarà la mia ipocrisia di salvataggio.

Finché mi sono cacciato (L’Unità, io e il pene)

Alla fine sono andato via, chiuso. E (poco) prima che mi cacciassero.

Un po’ perché non mi è piaciuta la gestione di alcune dinamiche interne per me importanti, un po’ perché mi sono rimaste fortemente impresse certe richieste – sempre educatissime e cordialissime, nulla da eccepire al riguardo – circa la censura di alcune parole. Brutte parole. Tipo “cazzo” [pene]. Ecco, su un blog de l’Unità non si può scrivere “cazzo” [pene]. Non su L’Osservatore Romano eh: su L’Unità. E non è possibile neppure dare della troia [meretrice] alla propria sorella, ancorché troia [Dio quante ne fa]. Ancorché inesistente. Mi sono ritrovato a dover mettere delle pecette nere sulle parolacce: avrei trovato la cosa anche divertente, fossimo stati in un gruppo di inibiti lupetti scout.

Si tratta di scelte in linea con una filosofia editoriale del giornale che impone un certo contegno a tutti, a partire dai commentatori dei vari blog, per finire a chi scrive per puro piacere di farlo, del tutto gratuitamente da quasi due anni.

Ecco, forse è proprio questo il punto più dolente: “del tutto gratuitamente”. Sarà un po’ perché il mio tempo medio di permanenza in un luogo virtuale è di due anni appunto, sarà anche per il mio ostinarmi a pensare che chi fa qualcosa, alla lunga, per questa “cosa” debba essere retribuito, gratificato, ricompensato, leccato o non so cosa. Fatto sta che mi sono rotto il cazzo [pene]. Un servizio (perché tale lo considero) a titolo di puro volontariato deve trovare da qualche parte la sua ragion d’essere, le motivazioni perché possa proseguire. E non si parla del vil danaro.

Oddio, ma perché no poi? Pure quello. Anche simbolicamente: una cinquanta euro a titolo di rimborso usura tastiera, di gratificazione tipo paghetta al ragazzino, una busta con dentro un buono per il gelato, un redattore che ti stringe la mano e dentro ci tiene la banconota arrotolata come faceva la nonna.

Ma a questo punto comincio a guardarmi intorno e mi rendo conto di non essere solo. Cioè, non sono più solo io a rompermi il cazzo [pene] nello svolgere un “lavoro”, di qualunque genere esso sia, senza alcun tipo di ritorno.

Credo che non sia vero che la colpa di questa situazione economica stia solo nei padri, che hanno lasciato il deserto ai figli ma sia anche un po’ dei giovani stessi, che hanno abituato aziende e padroncini ad ogni tipo di bonario accomodamento, servizio extra, stage non retribuito, contratto mai rispettato, straordinario implicito, auto propria a disposizione, rimborsi eventuali, culo alla bisogna.

Parlavo con una ragazza tedesca. Mi diceva di essere andata via di casa a 19 anni, di aver trovato un lavoretto e che da là ne ha visti tanti. Pure di lavori. Quando le ho rappresentato la situazione italiana stentava a credermi, ma la cosa che più le faceva specie era il concetto di “lavoro non retribuito”. Ho visto l’orrore nei suoi occhi e non solo perché le fissavo insistentemente le tette [grandi, erano veramente grandi!].

Con la scusa del: “Intanto cominciamo, poi si vedrà” si dimentica che il “Poi si vedrà” semplicemente sarà a breve: “Soldi? Mai parlato di soldi: se non ti va bene la porta è quella”. E ti indicano una porta che sarai tu, uscendo, a dover anche riparare (il lavoratore non retribuito sa far tutto).

E sarai costretto a spostarti altrove, dove ti ripeteranno “Intanto cominciamo, poi si vedrà”, mentre nel tuo vecchio posto metteranno un altro sciagurato, abbindolato dall'”Intanto cominciamo, poi si vedrà”. Il miraggio del contatto/contratto lavorativo, del rendersi finalmente indipendenti da mamma’ ha portato la cultura del lavoro non retribuito a tempo pieno, dello svalutare qualunque opera, specie dell’ingegno, creando invece la sottocultura del ritenere non necessario ricompensare un contributo al fatturato, una presenza in azienda o anche una semplice collaborazione.

A volte si fa leva sulla “visibilità”, altro concetto tutto italiano. Per un creativo, disporre di una platea ampia è da ritenere già di per sè fonte di guadagno, per la visibilità. Dunque abbozza e coccolati i tuoi lettori. Alla lunga qualcosa tornerà.

Solo che io della visibilità non me ne faccio un cazzo [pene]. Non ne ho bisogno, non faccio l’attore per cui la visibilità mi porta a riempire i teatri, non vivo di qualcosa che nasce dai riflettori, se vogliamo escludere l’hobby di filmare i miei rapporti sessuali.

Ma anche là uso luci soffuse.

Altre volte, come in ambienti politicizzati, si gioca sullo spirito di corpo, sull’idea che si voglia naturalmente contribuire ad un progetto comune. Il compenso non solo non è contemplato ma addirittura pare essere fantascienza. E’ già un onore essere dentro. “E poi mancano le risorse”. Sempre.

Il punto è che io non sono così “brandizzato”: non ho quello spirito di corpo perché non sono schierato, tesserato, lottizzato, omogeneizzato, disidratato, pur avendo idee magari di quella sponda là. Dunque combatto volentieri le vostre battaglie, ma come farebbe una puttana [mia sorella] qualunque. Magari ti faccio fare qualche giro gratis, ma poi mi paghi, cazzo [pene]!

Per quanto mi riguarda, il mio rapporto con L’Unità non si è mai evoluto in modo tale da ritenerlo per me un peso creativo con scadenze, dunque amici e ciascuno per la propria strada. Penso però che questo sia anche un esempio di come spesso non si sappiano utilizzare risorse probabilmente utili per la propria causa, azienda, obiettivo. Col tempo ho scritto là sopra sempre meno, non ho mai visto valorizzate le mie cose e francamente la cosa mi ha dato un discreto fastidio, fottuto megalomane del cazzo [pene] come sono. Ma questo parte da un mio personalissimo punto di vista che vede il sottoscritto al centro creativo dell’universo intero e dunque potrei sbagliare.

Insomma, saluto L’Unità e mi rimetto sul mercato: so che per un po’ Sallusti [qualcun altro] non sarà disponibile. Beh, io ci sono e non penso di essere meno di Sallusti [qualcun altro].

Ma questo vale anche per il mio cazzo [cazzo].