Perché è impossibile crescere tutti (guardate i cinesi)

C’era un imprenditore alla tv che parlava di “azienda vincente”. E proponeva la sua ricetta per creare un sistema di “crescita virtuosa” per ogni tipo di azienda, basato su marketing evoluto, utilizzo oculato di risorse, ingresso di capitali freschi, etc. In questo modo tutti avrebbero potuto godere di un “vantaggio competitivo” anche in un momento di crisi.
Al che ho pensato: ma se tutti godranno di un vantaggio competitivo saremo punto e a capo. Cosa vuol dire “Vantaggio”?

Vantàggio s. m. – Posizione di superiorità, condizione favorevole che uno ha, con proprio giovamento, rispetto a un altro o ad altri con cui sussiste una gara o un confronto. [Treccani].

Dunque? Come si può avere “tutti un vantaggio competitivo”? Va da sè che la cosa sia un absurdum etimologico oltre che logico.
Perché esistono pochi paesi ricchi e molti paesi poveri? Per permettere questa differenza, altrimenti ci sarebbero solo paesi medio-poveri.
La stessa cosa vale per le aziende: non possono esserci vantaggi per tutti: qualcuno dovrà essere dietro, per far sì che ci sia uno davanti.
Perché si sa, è impossibile crescere tutti.
Guardate i cinesi: per aumentare di numero hanno dovuto scegliere di rinunciare a centimetri.
In ogni parte del corpo.

L’Africa fu dichiarata dagli europei colonizzatori “res nullius”, roba senza proprietario. E iniziò la corsa allo sfruttamento delle sue risorse. Perché il nostro territorio aveva dato tutto quel che c’era da dare. Servivano risorse fresche, nuove per poter “crescere”. Ma la crescita di Tizio va sempre a
discapito di Caio.
O il sistema di schiavizzazione. A lavorare il cotone guadagnava solo Di Caprio mentre i negri al massimo potevano ambire a diventare delatori come Samuel L. Jackson.
O i marziani. I marziani vengono sempre sulla Terra per fregarci le risorse. Ce lo insegna la storia. Perché non c’è mai un film nel quale ad un certo punto uno si mette là a proporre al marziano armato di spaccaculo spaziale una roba tipo:
– Marziano, ascolta. In un ben strutturato piano di sviluppo globale io e te potremmo crescere insiZZZZZAAAAAAPP!!
Fulminato.

E questo vale anche per gli animali: il leone, per crescere, ha bisogno della gazzella. Ce la vedete la gazzella cercare una transazione amichevole tipo:
– Leone, ascolta. In un ben strutturato piano di sviluppo globale io e te potremmo crescere insiZZZZZAAAAAAPP!!
Questo se le gazzelle sapessero fare il copia incolla della parte sopra del marziano, ma perdono un sacco di tempo a svegliarsi la mattina nella savana e a correre, solo per mantenere vivo un proverbio.
Che poi viene da chiedersi: come faceva quel leone ad avere lo stesso tipo di spaccaculo spaziale del marziano?

E lo stesso vale per gli esseri umani: sei un poppante, se vuoi crescere ti serve un omogeneizzato, che in precedenza era un pollo, che forse in un’altra vita era una gazzella.
Molto piccola, certo.

Insomma, non esiste un modello economico di “crescita globale”: chi ve lo dice o non capisce un cazzo di economia oppure ne capisce troppo e vi sta prendendo per il culo.

Oppure è un marzZZZZZAAAAAAPP!!

Non siamo immortali

Ci sarà un tempo nel quale l’essere umano dovrà prendere atto della fallacia del proprio innato meccanismo mentale che lo spinge ad escludere l’idea di mortalità dalla propria quotidianità. E questo naturale “avanzamento” deve essere visto non come ostile o potenzialmente produttivo di risvolti negativi; al contrario: andrà inquadrato nell’ambito delle conquiste personali, tra le più importanti e benefiche che si possano desiderare. La definitiva e liberatoria presa di coscienza che solo un tempo limitato potrà essere in grado di muovere l’uomo verso la realizzazione, rapida, puntuale e senza procrastinazioni, dei propri obiettivi. Quell’esistenzialista “hic et nunc” che non va confuso con una triste manifestazione della propria finitezza ma, al contrario, sarà rivendicazione di appartenenza a questo tempo e desiderio di lasciarvi una traccia indelebile, non limitandosi a lasciarsi vivere in attesa di un futuro tutto ipotetico. Se poi si riuscirà a fare un ulteriore, decisivo passo in avanti, sarà ancora più chiaro come questi “obiettivi” coincideranno in tutto con ciò che ci provoca sensazioni positive, semplici ed immediate. Progetti a lungo termine, in quest’ottica, manterranno certamente un elevato valore, ma sarà proprio il micro-obiettivo, la piccola conquista, il piacere fine a se stesso a consentire all’essere umano il reale appagamento ed una piena consapevolezza che quel tempo, proprio perché così breve e limitato, viene vissuto nell’unica maniera possibile: intensamente.

Ecco, io consiglio questa costruzione, in luogo del tradizionale e poco efficace (eppure ancora così diffuso): “Me la dai?”.

Ridete in faccia a stocazzo

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Tutti a ridere della burla di quel deputato che ha votato il Conte Mascetti. O l’altro, Veronica Lario. È esattamente questo l’atteggiamento dell’italiano-medio, che ci ha portato dove siamo: c’è una situazione drammatica ma invece di prenderci le responsabilità molliamo lo scoreggione, ancor più fragoroso perché in ambito istituzionale. E ci guardiamo intorno tronfi, a vedere di raccogliere le risate della gente. La gente. E questa che fa? Mica si incazza con uno che dovrebbe rappresentarci (ed in effetti lo fa egregiamente), no. Ride. Questo fa ridere la gente. Questo “vi” fa ridere. Che non è poi diverso da un Bart Simpson che si cala i calzoncini a scuola cercando consenso popolare. Ma lui ha dieci anni, si può permettere di farlo perché in fondo non esiste (facile l’accostamento a Bersani) ma soprattutto qua manca un Homer a strozzarlo.

Ehi raga, ciavete una siga?

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Nell’immagine, Humphrey Bogart prima di usare le sigarette elettroniche

La sigaretta elettronica consente di inalare un misto di acqua, glicole propilenico, glicerolo, nicotina, aromi. Dato che provoca sensazioni simili a quelle della normale sigaretta, essendo priva di combustione riduce i rischi per la salute.
È dotata di sistema di riscaldamento di questi vapori; dunque l’idea di avere tra le mani una vera sigaretta è estremamente realistica. Se non fosse una cazzo di sigaretta elettronica.
Parecchi studiosi ravvisano anche nel mero atto di maneggiarla un ulteriore elemento familiare e dunque rassicurante, in grado di farci rinunciare alle tradizionali e dannose sigarette. Ma questo lo si faceva anche da piccoli, con le sigarette di chewingum, quando fingevamo fossero vere: ci prendevamo per il culo, consapevolmente, perché per motivi anagrafici non potevamo permetterci quelle vere.
Oggi? Lo stesso. Senza la scusante dell’età. Cinquantenni sorridenti, dopo anni di Muratti senza filtro, dita ingiallite che ci potresti scrivere senza penna, seduti ai tavolini dei caffè che aspirano aria sporca e calda da piccoli polmoni d’acciaio, non trovando in questo nulla di ridicolo. Finché non passo io a guardarli con gli occhi sbarrati e la faccia di chi ha visto un topo morto, con una sigaretta elettronica in bocca.

Usare una sigaretta elettronica certifica il vostro status di “vorrei ma non posso”.

È questo il messaggio che passa quando passeggiate con questi moderni calumet della tristezza: “Ehi, guardatemi! Non riesco a smettere ma neppure ho le palle per continuare!“.

La sigaretta elettronica è l’equivalente della bambola gonfiabile nel sesso, o del metadone per un tossico: è una soluzione di ripiego perché quella più desiderabile presenta degli inconvenienti.
Nel caso della droga il problema è l’illegalità (scherzo: il costo elevato).
Nel caso del sesso con una donna vera il problema è la donna vera.

Eppure sempre più persone si stanno convertendo alla sigaretta elettronica.

Un’altra ragione per evitarla.

 

Perché la democrazia è come la carta da culo

Quello che “L’Italia è un cesso di posto”.
Quello che “Non andrei mai in Germania”.
Quello che vota Grillo.
Quello che non vota Grillo.
Quello che non mangia carne.
Manco di Grillo.
Quello che è contro chi non mangia la carne.
Quello che poi fa: “ma in fondo ciascuno deve fare quello che crede”.
Quello che risponde: “No, ci sono dei limiti a questa libertà”.
Quello che dice: “Di che cazzo state parlando?”.

Hanno ragione tutti.

Mi sono reso conto che in realtà le prese di posizione non partono da intime convinzioni ma da una serie di fattori che alla fine ci rendono quello che siamo e ci portano a scegliere una parte piuttosto che un’altra semplicemente per caso, abitudine, opportunità, voglia di caratterizzarsi, empatia con chi ha già quella posizione, protesta, desiderio di mostrarsi diversi dagli altri, bastiancontrarismo, turbe.
Quindi, se scrivo una battuta nera, avrò ragione io, che rivendico la forza catartica dello scherzo sulla morte e sulla sofferenza. Avrà ragione chi scrive invece cose più leggere e mi accuserà di giocare con roba in grado di ferire certi animi. Avrà ragione chi mi difende, perché libero di poter scegliere cosa leggere. Avrà ragione chi attacca chi mi difende, perché si è magari sentito chiamato in causa personalmente. Avrò ragione io di nuovo, che sarò pure libero di scrivere quel che voglio. Avrà ragione che mi dirà che in fondo scrivere è una cosa, pubblicare è altra e ci sono sensibilità particolari che.

Così se mangio un hamburger avrò ragione io a scegliere di uccidermi col colesterolo. Avrà ragione l’animalista, che si limita a togliere la vita a lattughe (esseri viventi minori). Avrà ragione il medico, che punta tutto sul discorso-salute. Avrà ragione l’altro medico, che dirà che anche la carne deve rientrare in un piano alimentare equilibrato. Avrà ragione la vegana, che dirà che non è necessario usare carne perché la soia fa miracoli. Avrà ragione quello di prima incazzato ancora sulla mia battuta nera, che è rimasto ad insultarmi anche mentre passavo a quest’altro esempio.

E avrà ragione l’interista, quando si sente defraudato di quel calcio di rigore. E di aver perduto Roberto Carlos (gli interisti non hanno mai superato ‘sta cosa). E avrà ragione l’arbitro, che non l’ha proprio visto. E ha ragione il calciatore, che non si sente di aver commesso fallo. E avrà ragione l’altro calciatore, che il fallo l’ha sentito. Anche se era in tribuna.

E avrà ragione il berlusconiano, che “qual è l’alternativa?”. E avrà ragione il ciellino, che invoca Dio pure dentro le aule istituzionali. E avrà ragione il comunista, e Baffone.

Hanno ragione tutti.

Questo per dire cosa? Che trovo ridicolo accanirsi, azzuffarsi, combattere per far emergere la propria idea o posizione: non è certamente l’unica corretta.
Ogni punto di vista deve essere considerato alla pari degli altri. E non in ossequio ad una generica e buonista visione democratica della vita, affatto. Semplicemente perché quella non è “LA” verità ma una visione delle cose, come altre mille altrettanto valide.

Le opinioni sono degne di rispetto a prescindere.

Questa cosa è banale, scontata, strasentita? Certo. Ma attenzione: qui non si parla di diritto di parola. Affatto. Qui si fa un discorso tutt’opposto: la democrazia non serve. Il diritto di parola è non solo sopravvalutato ma dannoso.

E va eliminato.

Se tutte le opinioni sono ugualmente importanti e se nessuna di queste è in realtà “LA” verità assoluta, è inutile discutere. Che si dia ragione a chi riesce a prendersela.
Questo in genere avverrà con la forza, ma da sempre sono ammesse anche arti subdole come la manipolazione del pensiero altrui, l’inganno, la trappola, il plagio, l’asservimento, la coercizione, la lusinga, la frode, la corruzione, la pressione psicologica, il ricatto, l’imposizione, la repressione, la sopraffazione, la violenza, il trucco, l’espediente, la smutandata pubblica, la scoreggia in auto.

Si tratta di riduzione del rumore mediatico, di ricondurre a unicum una moltitudine di opinioni talmente frammentate da risultare del tutto deleterie per il progresso umano.
A cosa serve dare parola a tutti se tutti hanno poi ragione?

Pensate ad un enorme rotolo di carta igienica. Ogni opinione è uno strappo. Sono tutte ugualmente importanti – gli strappi sono tutti uguali. Non c’è uno strappo più lungo di un altro. Non c’è uno strappo più importante dell’altro.
Magari l’ultimo, ma solo se avete calcolato malissimo.

Ci siamo? Mi seguite?
Bene. Arriva ad un certo punto uno che prende e di queste opinioni – strappi – si pulisce il culo. Non importa quanto l’opinione fosse ben articolata e argomentata. Viene comunque ricoperta di merda. Dall’unico che detiene il potere.

Dunque?

Dunque la mia proposta è: smettiamola con la dialettica, i dibattiti, le discussioni, i comizi, le tribune, le arringe, le Amache, i giornali, i tiggì, le chiacchiere in ascensore, le soap.
So che sulle soap siamo tutti d’accordo.
Che ciascuno faccia quello che deve, per portare avanti le sue idee, i suoi principi. Si prenda il metro di terra dal confine in discussione col vicino. Se ci riesce. Dica che le auto non devono fare più di 130 all’ora e imponga questo suo volere alla Mercedes. Se ci riesce. Faccia cambiare la legge elettorale e se la costruisca a sua immagine. Se ci riesce.

Insomma: si crei il suo mondo. Anche con la forza. Sarà comunque limitato dalle idee e dai principi di uno più forte, più subdolo, più violento, più scoreggiatore, etc.. Applicando così, finalmente anche alle opinioni, il principio della selezione naturale. Principio che ha saputo portarci a questo stadio evolutivo e che mai nessuno ha osato mettere in discussione quanto a capacità di migliorare la nostra specie.
Perché con le opinioni non dovrebbe avere altrettanto successo?

Lo Stato dovrebbe semplicemente astenersi dal fare giustizia e lasciare che si imponga il migliore, in ogni ambito nel quale due o più opinioni venissero a confronto.
Aboliti i tribunali, i giudici, i conciliatori.
Via libera alla giustizia fai da te, ai forconi, agli armamenti pesanti.
Se uno se li può permettere.
Voglio vedere il mio vicino di casa, con la sua mazza da baseball, negarmi la veranda quando gli entro nel culo con un Apache.

Dunque: che da oggi ciascuno cerchi di inculare il prossimo e che vinca il migliore.

Eh? Bravissimi: vedo che molti di voi hanno già iniziato.