…e questa, figliolo, è una missione di pace

Ero sulla spiaggia a bruciacchiarmi al primo sole di un maggio tormentato. Mentre pensavo ad un poetico inizio di questo pezzo, tra un moccioso frignante ed un senegalese sorridente, inviavo battute satiriche su Facebook. Ad un certo punto uno nei commenti mi si incazza: mi dice che sarei un essere spregevole perché mi ero messo a scherzare sui militari morti in Afghanistan, che ogni giorno fanno un duro lavoro per permettere a quelli come me di stare in tranquillità su un lettino al mare.
Mi sono alzato immediatamente: ho guardato bene, di lato, sopra, sulla parte in alluminio. Finalmente ecco: era sotto il telaio. C’era chiaramente scritto “Made in Italy”.
Dunque potete tornare dalla missione: i lettini li facciamo anche qua.

I’m talking for free, I can’t stop myself, It’s a new religion

Molto è stato detto e scritto sulla morte, sulla religione, sui perché dell’esistenza e sul retropensiero gay alla base del Marlboro Country. Ma oggi, qui, sto per definire il vero senso della vita e a fornire consigli per vivere una esistenza serena, priva di ansie, riducendo perfino il tasso di Testimoni di Geova nelle ore più calde.
Parto da un assunto (le opinioni, in quanto tali, le lascio da parte: è importante essere tutti d’accordo sulle premesse e per questo mi limiterò a scivolare sul Rasoio di Occam in modo da rendere queste righe inattaccabili manco fossero state scritte da sobrio): Dio non esiste.
Essendo tutti d’accordo su questo punto proseguo, senza perdere tempo in assurde elucubrazioni circa il diritto di credere in qualcosa che mai nessuno ha visto e di cui si discute da millenni per semplice sentito dire e/o timore di terminare tra i vermi una vita comunque nata dentro umori vaginali (quando si dice dalle stelle…).
Non esistendo Dio, il compito di tutti coloro che posseggono un Q.I. superiore a quello di un credente (credenti, d’ora in poi chiamati per semplicità “Dai, ti prego, smettila“) è quello di cercare di spiegare ai Dai, ti prego, smettila come integrarsi al meglio nella società civile, insegnando loro la tolleranza, la piacevolezza del sesso a pagamento, l’inutilità della procreazione, il piacere di bere vino senza conferirgli significati superiori a quelli che realmente possiede: trattasi di un’alcolica spremuta d’uva e non plasma di un antico capellone in infradito.
Questa prima fase non sarà indolore: la resistenza dei Dai, ti prego, smettila all’inizio sarà durissima e non pochi dovranno essere soppressi, mostrando altresì loro che si sbagliavano su quella balla del paradiso.
I superstiti ancora riottosi verranno educati secondo i dettami delle altre religioni, quelle professate dai loro competitors (sei cristiano? Buddismo, brahmanesimo e shintoismo due volte al giorno prima dei pasti… Musulmano? Confucianesimo, taoismo e protestantesimo prima di ogni sgozzamento su Al Jazeera), in modo da dimostrare come in fondo sia come nelle elezioni: tutti hanno un po’ ragione, le cose che dicono sono sostanzialmente le stesse, ti si chiede di affidarti con fiducia a promesse che non saranno mantenute. Nel frattempo ti scuciono soldi.
Operata la pulizia etnica, il mondo, libero dai Dai, ti prego, smettila passerà alla fase due: la demolizione e ricostruzione.
Tutti gli edifici sacri verranno riconvertiti a strutture realmente utili alla crescita umana: lupanari e sale videopoker. I primi per offrire sollazzo, i secondi per una perequazione economica con travaso delle risorse dagli idioti videogiocatori ai normodotati.
Ci saranno rigurgiti religiosi, che potranno assumere le più diverse forme apotropaiche: dal segno della croce laddove ora sorge un bordello a grattate di palle come buon auspicio, da santini sul cruscotto attesi come maggiormente efficaci di una foto di Jessica Biel a collanine raffiguranti miniature di iconici strumenti di morte con uomini appesi in malo modo. Sarà cura della società civile di evitare che questi focolai si espandano fuori dal controllo.
Nella fase tre il mondo, culturalmente progredito, potrà assumere finalmente una forma di governo libera e civile, con una enorme immissione di beni e danaro nell’economia, provenienti da tutte le risorse sin qui utilizzate per il mantenimento delle strutture e del corpus religioso.
Questo davvero risolverà l’atavico problema della fame nel mondo e costituirà una decisiva azione di impulso civilizzatore in quei Paesi oggi maggiormente in difficoltà proprio a causa dell’ossarvanza di assurdi precetti religiosi. Non si dimentichi – un esempio tra tutti – l’atteso abbassamento della mortalità da AIDS nei Paesi in via di sviluppo grazie all’uso del profilattico, ora vietato dalla Chiesa.
Ciascuno di noi può, da ora, iniziare a fare qualcosa per avviare questo processo di rinnovamento sociale.
Io personalmente sto decimando i sacerdoti nella mia regione; li attiro con il solito vecchio sistema: un bambino per strada legato ad un invisibile filo di nylon. Quando il prete si avvicina, attirato dall’esca, tiro via il piccolo – tipo folata di vento. Fino al furgoncino nel quale rinchiudo la mia vittima, destinata a ben altri lamentosi mugolii.
Sono consapevole il mio sia un piccolo contributo, ma se tutti facessimo qualcosa raggiungeremmo presto grandi obiettivi.
Aderisci anche tu al mio movimento.
E’ l’ora.

Tradire, tradirsi

Stare con diverse donne è una necessità, non una scelta nè un vizio.
Si viene spesso criticati, considerati comunque dei poco di buono da chi riesce ad ingannarsi e a scegliere una monogamia in sè del tutto innaturale.

– Ma perché lo fai? Perché poi tante donne?

– Perché sono fatto così: una ti sa dare quell’amore che nessun’altra, una quella passionalità sconosciuta a chiunque, un’altra ancora è l’amica che ti ascolta e alla quale dire tutto. E poi c’è quella che ti fa ridere, quella che ti insegna le cose, quella che profuma di malva, la bimba col viso d’angelo… E quella che ha studiato archeologia, quella che ti racconta cosa significhi volare con la fantasia, quella che, se cammina per strada, si girano tutti, quella che ricorda te – versione femminile, quella invece completamente diversa da tutto ciò che sei… E la ragazzina e la donna, e l’asiatica e la cassiera, quella che conosci da vent’anni e quella incontrata oggi.

– Tante.

– Tante, sì.

– Troppe.

– Troppe? Nah, perché “troppe”? Quando sono “troppe”? Quando non riesci più a stare dietro a tutte?
E’ come avere – non manco di rispetto alla soavità di una donna, si badi: il mio è solo un gretto esempio per capirsi – un parco auto sconfinato.
Tu, appassionato di automobili, disponi di un hangar pieno zeppo di tutti i modelli oggi presenti sul mercato.
Il fuoristrada e la macchina di rappresentanza, la berlina e il dune-buggy, il Testarossa e la cabrio.
E la Rolls, il maggiolino, la Bugatti e la vecchia Mini.
Ogni quattro ruote si possa desiderare.

– Ma averle tutte a disposizione non ti porta poi un’assuefazione, una sorta di nausea?

– No caro. A quella cosa del troppo che stroppia io non ho mai creduto. Beceri luoghi comuni su “stilisti” diventati tali per iperfrequentazione di fantastiche modelle… bah, è una evidente cazzata: se ti piacciono le donne ti piacciono le donne e se ne hai a disposizione centinaia ne vorrai altrettante, così come se hai centinaia di auto non desideri altro che collezionarne ancora.
Con fortissimo desiderio.

– Comincio a capire il tuo punto di vista. Probabilmente hai ragione sul fatto che se ami le donne non esisterà mai pericolo di assuefazione. Così come se sei pazzo di automobili quella passione ti resterà nel sangue a vita. Solo una cosa non mi convince…

– Cosa?

– Quello scooter che hai nascosto là in fondo, frocio di merda.

Ma “quanti” mi costi?

Leggevo in libreria la quarta di copertina di un saggio di astrofisica che si chiudeva con una riflessione filosofica: “Dunque non è vero che la velocità della luce sia insuperabile: il pensiero dell’uomo potrebbe viaggiare da un capo all’altro dell’universo in un istante“.
Bella, eh? La potenza del pensiero, che tutto annichilisce, anche l’enormità dell’universo.
Ho preso il libro e sono uscito senza passare per la cassa, vedendomi col pensiero già su una panchina del parco a leggerlo.
L’allarme che si è messo a suonare deve essere un cieco fondamentalista della logica relativistica.

Splat (ter).

Un grosso, veramente grosso, ma davvero grosso insetto ha deciso di porre fine alla sua effimera esistenza contro la visiera del mio casco. Così.
Era depresso? Ne aveva provato a ronzare con la famiglia o con uno bravo? E’ stato solo un incidente? Non lo sapremo mai. Nessuno studio Aperto ne parlerà, non essendoci familiari a cui porre allegre domande.

Comunque: non ha trovato scampo, non disponendo di aggeggi tecnologici come cinture pretensionate o airbag. Forse i laterali.
Neppure poteva fare affidamento su un santino di Padre Pio, data l’assenza di un cruscottino sul quale collocarlo. In ogni caso sarebbe stato difficile trovare una cazzo di calamita così piccola.
In ogni caso ha lasciato una verde, fosforescente, spugnosa (come pensate che facciano a rendere così cremoso il sapone?) sostanza sul mio casco.

Mentre viaggiavo con visibilità ridotta (ma molto stile LSD) pensavo a quell’insetto, alla sua vita balorda. E alla sua fine ancor più idiota. Terminare il suo ciclo vitale, magari di poche settimane, giorni – chissà – contro un oggetto a lui del tutto sconosciuto ed incomprensibile: me.
Peggio: contro un manufatto dell’uomo: una visiera.
L’insetto spugnoso, che in sè non manterrà idea alcuna della vita e della morte, men che meno sarà a conoscenza delle normative stradali (gli insetti hanno serissime difficoltà con le regole scritte) ha terminato istantaneamente di pulsare la sua verde linfa nel suo minuscolo e rudimentale apparato. Contro un pezzo di plastica probabilmente realizzato da un operaio di Pattaya (sul casco c’è scritto made in Thailandia).

E allora il mio pensiero è volato (sic!) non più all’insetto ma a quell’operaio. Che, ignaro di tutto quel che sarebbe accaduto di lì a qualche tempo, s’è trovato ad essere remoto punto di contatto tra me ed un esserino volante.

Me lo vedo, il buon Chandal Panyarachun, alla 21.174esima visiera montata nel suo turno, sottopagato, vessato da uno caporaletto uguale a lui ma solo meno sudato, con 42 gradi all’ombra ed una umidità del 100% – come indossare la maschera del Gabibbo dopo averla immersa in salsa di soia – imprecare tra sè e sè, chiedersi il senso della vita, desiderare di farla finita per poi essere improvvisamente riportato col pensiero alla realtà da un coloratissimo insetto che si poggia sul suo banco di lavoro.

E partire di pura rabbia, schiacciarlo senza pietà, senza ragione. E proprio con quella merdosissima visiera che si ritrova tra le mani.

La mia.

Come truffare il Mc Donalds

 Ho sentito di quella mini-truffa che si fa nei Mc Drive. Praticamente tu stai là in macchina e parli a quella sorta di citofono con l’addetta a prendere le tue ordinazioni di roba in similcarne. Quando ti chiede “Benvenuto da Mc Donalds, cosa desidera?” tu bellamente rispondi “niente, ci ho ripensato”. Ma a quel punto sei costretto comunque a seguire la trafila: la tua macchina scorrerà appresso alle altre. In realtà ti fermerai a ricevere quanto ordinato dalla persona subito dietro di te perché chi si occupa di consegnarti la similpatatina non sa che tu non hai ordinato nulla: lei legge semplicemente le similordinazioni.

Insomma, ci ho provato anche io. Ma ho sbagliato qualcosa.

– Benvenuto da Mc Donalds, cosa desidera?
– Eh, uh… niente… [mi gelo]
– Niente signore?
– No, veramente sì, ma ora non lo so…
– C’è il menu nella figura di fronte se è indeciso.
– Sì, il menu… Però io… il Big Mac…
– Un Big Mac menu signore?
– Sì! Cioè, no! Per quello dietro… cioè…
– Non capisco, signore. Un Big Mac solo panino?
– Sono in confusione. No, niente. Vado via!

Parto tutto sudato (il crimine non fa per me) ma sono imbottigliato tra una Multipla e una Duna. Penso dunque di aver tremendamente offeso Dio e tiro su il finestrino temendo la pioggia di rane. In realtà riesco solo ad intrappolare la puzza di fritto nell’abitacolo. La tensione non si stempera. Arrivo al dunque e mi trovo di fronte la scelta: tentare la truffa o desistere. Sono un lago di sudore ma per fortuna ho con me una confezione magnum di borotalco. La butto giù d’un fiato: niente, sudo ancora. In più ora tossisco: sto per strozzarmi. Se ne accorge Ronald Mcdonald che viene in mio soccorso. In realtà è il mio commercialista che si veste sempre a cazzo: era nella macchina immediatamente dietro la mia, quella che avrei dovuto truffare. Perdo i sensi più volte. Mi fanno annusare un Mc Chicken. Riacquisto i sensi. Vomito tutto, anche una saponetta: non so come sia finita là ma ci tengo all’igiene dentale. Mi chiedono se voglia andare in ospedale. Temo le domande della polizia al pronto soccorso, tipo “voleva truffare, eh?”. Il sangue freddo non è tra le principali mie qualità. Dopo mezz’ora sto meglio e risalgo in macchina. “O la va o la spacca” mi dico e decido di farlo: compro un Big Mac. Rivomito di nuovo ma stavolta non è per il borotalco nè per la tensione: è davvero una porcheria. Butto un occhio alle patatine con timore reverenziale ma loro mi snobbano completamente. La sorpresa dell’Happy Meal mi guarda come fa la mucca col treno.

Insomma, la mia truffa al Mc Donalds non è andata come avrei sperato.

Però ho visto un film che mi ha dato diversi spunti: la prossima volta metto la maschera di uno dei Presidenti degli Stati Uniti.

Il blocco dello ripariamo gomme: ascensore!

Capita a volte il blocco dello scrittore. Che poi sarebbe più corretto parlare di “blocchi”, visto che si ripetono spesso.
Si tratta di minuscoli organi urticanti racchiusi in alcune cellule ectodermiche dei Celenterati, dette cnidocisti (o cnidociti o cnidoblasti), che servono all’animale per difesa e per paralizzare le prede.
Queste si accompagnano bene a primi piatti, carni bianche, formaggi e, volendo, anche ad arrosti, cacciagione e formaggi stagionati.
A contorno di ciò, l’inevitabile questione se continuare ad accettare come sistema la schiavitù nella società americana.
La soluzione fu trovata estendendo l’idea iniziale di rappresentare ogni funzione periodica come sovrapposizione di armoniche.
Le eccezioni “pubbliche” furono solamente due: un telero per la Sala delle udienze in Palazzo Ducale, perduto, e la decorazione a fresco della facciata del nuovo Fondaco dei Tedeschi, di cui rimane solo un’Ignuda molto rovinata, ora alla Galleria Franchetti di Venezia.
Che è bella ma non ci vivrei. Anzi, io me ne andrei (riproviamo un’altra volta non è detto e poi non si sa mai).
Il leader della classifica generale indossa ogni giorno la maglia rosa, lo stesso colore del quotidiano che organizza la corsa, La Gazzetta dello Sport.
In lingua siciliana e in lingua araba la parola indica un vero e proprio “albergo”, anche se in siciliano può anche significare “stalla” o “magazzino”.
E comunque, “blocco”. A me sembra una cazzata. Se non hai da scrivere niente non scrivi.
Che poi è un po’ quello che accadde sotto il dominio dei Normanni (1059 – 1190) e poi degli Svevi (1190 – 1266).