Il cambiamento

Mauro è milanese, ha 12 anni e frequenta la scuola media del suo quartiere.
Antonio è napoletano, 12 anni, e frequenta la stessa classe di Mauro.
Luigi è il cugino di Antonio, anch’egli napoletano, 12 anni e sempre la stessa classe.
Mauro è il bulletto della scuola: prende sempre in giro i più deboli e in particolare sfotte Antonio e Luigi per il loro accento. Li chiama “Terùn”, come sente dire dal padre.
Antonio ha un carattere forte, non gli interessa: e poi è bravo, studia, si impegna.
Luigi invece soffre molto questi sfottò, si sente emarginato, in difficoltà, ma trova in Antonio un supporto, una difesa.

Passano gli anni e arriva il tempo delle superiori.
Mauro non fa più il bulletto perché fisicamente non ha più la struttura per permetterselo: è un po’ sovrappeso, una struttura fisica che non incute certo timore, ma ha mantenuto quell’atteggiamento indisponente e gradasso di sempre.
Antonio è diventato un bel ragazzo, ricercatissimo dalle ragazze della sua scuola: un successo amplificato dal suo essere leader di una band che sta avendo un discreto ritorno.
Luigi è sempre rimasto un po’ ai margini, mai una scintilla, anche a scuola risultati modesti.
I tre si ritrovano casualmente a una festa.
Mauro vede Antonio e prova ad attaccar bottone, per farsi presentare qualche bella ragazza: Antonio ne è sempre circondato.
Antonio ricorda i tempi nei quali Mauro prendeva in giro lui e il cugino, e tutte quelle brutte parole, quelle offese, quelle umiliazioni portate avanti per tanto tempo, e allontana Mauro.
Mauro vede allora, in disparte, Luigi, e si avvicina a lui.
Luigi dapprima si preoccupa, ma poi vede che Mauro sembra cambiato, sorride, non insulta, non minaccia, non sfotte.
Mauro entra nelle grazie di Luigi, tanto che i due diventano amici.
In realtà Mauro sta approfittando, ancora una volta, della debolezza di Luigi: lo sta usando per un suo fine, entrare nel giro di conoscenze di Antonio e avvicinarsi a quelle belle ragazze.
Antonio si accorge di questo ennesimo gioco subdolo di Mauro e avvisa suo cugino Luigi: “Guarda che ti sta usando, ti prende in giro. In realtà Mauro odia me, te e tutti quelli come noi, gli facciamo schifo, non è affatto cambiato, anzi”.
Luigi a questo punto prende a male parole il cugino Antonio, lo accusa di invidia, gli dice che adesso finalmente ha trovato qualcuno che lo apprezza, che Mauro è cambiato.
Antonio cerca di spiegare come Mauro stia plagiando Luigi, ma Luigi, che non è mai stato un fulmine di guerra nel capire le cose, a questo punto taglia i ponti con Antonio e inizia a frequentare Mauro.
Mauro si fa presentare tutte le belle ragazze che Luigi conosce grazie all’essere cugino di Antonio.
Antonio e Luigi si perdono di vista.
Dopo qualche anno Antonio rivede Luigi e gli chiede come vada.
Luigi gli chiede scusa per quanto accaduto anni prima e gli confessa che Mauro, dopo essere stato introdotto a quel mondo che voleva conoscere, lo ha mandato a fanculo proprio come ai vecchi tempi.
Luigi si vergogna di essere stato preso in giro così facilmente. E’ stato tratto in inganno da un cambiamento di comportamento che chiunque, con un po’ di raziocinio, avrebbe subito inquadrato.
Ma Mauro si sa, è questo. Lui dice alle persone semplici quello che le persone semplici vogliono sentirsi dire.
Mauro non cambia.
Antonio lo sapeva.
Luigi no, non se n’è accorto.
Oggi siamo nella fase di Luigi che manda a fanculo Antonio.
Come vedremo nei commenti.

Addavenì barbone!

A furia di semplificare per venire incontro a tutti, tagliare per evitare di annoiare, progettare le cose in modo da minimizzare i rischi per chi fosse incauto, prevedere tutto perché qualcuno potrebbe sbagliare, avete azzerato l’efficacia della selezione naturale e oggi ci ritroviamo ovunque gente che usa uno smartphone, cioè la tecnologia e i progressi della scienza per mettere in dubbio la tecnologia e i progressi della scienza.
Se sulla varechina ci scrivete “PERICOLO”, “Non ingerire”, ci mettete un teschio, ci aggiungete additivi per creare un odore chiaramente respingente, fate il tappo antibimbo e nonostante tutto uno ci si attacca come fosse una Ichnusa, magari le cose è bene andassero così e che il tizio volasse al suo Creatore.
Ma voi niente, lo curate, perché siete brava gente e avete fatto il giuramento di Ippocrate. Poi quello si rimette, entra su Facebook e parla male delle multinazionali della varechina. E magari pure della medicina che non gli ha salvato completamente il fegato.
Se crei cose a misura di un idiota, gli idioti troveranno nuovi modi per sbagliare.

#iostocondarwin

Le parole che non ti ho detto

Ero solo, per la prima volta a Los Angeles. Il motel era a Glendale, così da permettermi di visitare Hollywood, la strada con le stelle e quelle menate là con una certa facilità. Vicino l’osservatorio Griffith, dal quale si poteva godere di una veduta spettacolare sull’intero smog della città.

Decisi di passare la serata in un locale nella vicina Pasadena, perché avevo letto su Tinder Tripadvisor che là era facile incontrare stelle del cinema oppure perfette sconosciute molto carine, e io alle perfette sconosciute molto carine non sapevo resistere.
Entrai e venni avvolto da una nuvola di vapore aroma liquirizia – c’erano degli spruzzatori all’ingresso tipo decontaminazione nucleare, solo che invece delle radiazioni ti toglievano ogni virilità.
Feci come nei film, mi avvicinai al banco e chiesi una birra. E come nei film mi si avvicinò una perfetta sconosciuta molto carina, come quelle descritte un paio di righe sopra. Però non mi parlò, non attaccò bottone come speravo, “Sarà l’aroma liquirizia”, pensai. Così mi feci coraggio e le chiesi se potevo offrirle qualcosa. Niente, fu molto più semplice del previsto perché sorrise e disse di sì (probabilmente era una liquirizia depotenziata o lei aveva il naso chiuso).
Come succede in questi casi una parola dopo l’altra e ci congratulammo con noi stessi per aver capito come si costruiscono le frasi.
E una frase dopo l’altra e ci ritrovammo da lei, che abitava là vicino.

  • Vivi sola?
  • Sì, ma c’è una cosa che non ti ho detto.
  • Sei fidanzata?
  • Sì.
  • E allora? Cosa facciamo?
  • Quello che vogliamo. Ma senza baci in bocca.

Mi pareva un buon compromesso. Del resto se al fidanzato bastava questo mi sembrava giusto accontentarlo.

Mi portò nella camera da letto e mi chiese di aspettarla: doveva andare in bagno.
In un momento così altamente erotico un uomo può pensare cose incredibilmente fuori luogo. A me venne in mente: “Io non farei mai la cacca in un momento simile”.
Da lì a farsi domande sui mille misteri delle donne è un attimo: “Perché le donne vanno in bagno sempre in due?”, “Come fa una donna a usare un cellulare se è allergica ai libretti di istruzioni?”, “E’ possibile che una donna sappia guidare ma non riesca mai a parcheggiare rispettando le linee per terra?”, “Qual è stato in questo post il più becero luogo comune sulle donne?”.
Dopo cinque minuti uscì, con addosso gli stessi abiti di prima, e ci rimasi male perché mi ero fatto tutto un trip su lei e un négligé di quelli dei tempi d’oro di Barbara Bouchet, prima che invecchiasse e diventasse Barbara Bush.

  • Come mai non ti sei spogliata?
  • Vedi, c’è un’altra cosa che non ti ho detto.
  • Dimmi pure.
  • Io non sono la donna che credi.
  • Ma cosa pensi che io creda?
  • Non lo so, ma non voglio darti una impressione sbagliata.
  • Ma stai tranquilla, se hai qualcosa da dire sono qua, ti ascolto.
  • Sì, ma…
  • Non preoccuparti, non dobbiamo fare nulla. Se vuoi parliamo tutta la notte.
  • Sei dolcissimo. E mi piaci davvero. No, niente, non devo dirti nulla, aspetta.

E tornò in bagno di nuovo. Stavolta le aspettative sul négligé alla Barbara Bouchet (originale) c’erano tutte e più che motivate.
Ero là a pensare al Kamasutra e a come avessero voglia gli indiani di stare a seguire le istruzioni riportate su un libro mentre facevano sesso, voglio dire, ti immagini?

  • Allora, tu mettiti così…
  • Così?
  • No, guarda qua a pagina 35, la gamba sinistra attorno al mio alluce…
  • Aspetta…
  • No, non così… il gomito non va là…
  • Così?
  • Mi accechi il terzo occhio…
  • Ma Budda Eva! Mi sono incastrata!

Ma anche stavolta uscì dal bagno vestita esattamente come era entrata. E ci rimasi un po’ male.
Si avvicinò a me come se dovesse dirmi qualcosa di importante, e io la incoraggiai a parlare, con un sorriso. Non ci fu bisogno di dirle nulla.
Si sedette accanto a me, le presi la mano. Fece un grosso respiro e:

  • Scusami, ma c’è un’altra cosa ancora che non ti ho detto.
  • Hai il cazzo.
  • Sì.

Quella fu l’ultima volta che la vidi.
Los Angeles, dico.