Giuro, non prenderò in giro il curling

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Nella foto, un atleta giamaicano si prepara a essere fuori contesto

 

Ho provato a seguire per un po’ le olimpiadi invernali ma ho dovuto rassegnarmi all’evidenza: non sono riuscito a fregarmene minimamente. È che gli sport freddaioli non riescono ad attrarmi, non ci sono mai riusciti.

Ricordo i fasti di Alberto Tomba e di una Italia tutta incollata a guardare non la sua discesa ma il cronometro in basso, che avrebbe fatto la differenza tra esultanza e delusione nazionalpopolare. Ecco, questo intendo: uno sport nel quale non riesci ad apprezzare il gesto tecnico-stilistico ma che è tutto basato su dei numeri che scorrono, non riesce a prendermi.

E no, non è come nell’atletica: Bolt che corre sta sfidando sì il cronometro. Ma non solo. E ti regala un riferimento visivo meraviglioso, nel suo mettere luce tra sé e gli avversari.
Quanti di noi hanno le competenze tecniche per apprezzare una discesa in slalom gigante, e notare la posizione del corpo, la scorrevolezza dello sci, la ricerca delle traiettorie, e differenziarle da atleta ad atleta? Su uno schermo televisivo, peraltro?

E poi: scivolare a valle lo trovo artificioso, quasi innaturale.
Ma vuoi mettere, correre e saltare? È per quello che siamo nati: ce l’abbiamo dentro. L’esserci poi adattati ad altri climi e ambienti e averci costruito su attrezzature e pratiche, è comunque roba recente, di qualche migliaio di anni. Ma noi per milioni di anni abbiamo corso, inseguendo prede e fuggendo da predatori. È naturalmente appassionante per questi richiami ancestralmente collegati con le nostre origini. E le origini sono queste, antichissime.

Giuro, non prenderò in giro il curling.

Se ci togliete la solita fissazione patriottica, per cui il bronzo a un italiano con un nome da supposta svizzera vi fa sentire soddisfatti (cercate di fermarvi a riflettere su questa soddisfazione, sulle reali motivazioni, sul suo essere slegata da ragioni reali), cosa resta di quella cosa? Uno che scivola a valle. Riduttivo? Ma è così. Ma che noia, su…

Ma vuoi mettere i 200 metri? Quell’attesa, il prendere posto ai blocchi. Un pugno di atleti, l’uno contro l’altro. Che non incrociano gli sguardi. Si sistemano, come i gladiatori affilavano il gladio. Il silenzio. Lo sparo.
La sciolina? Ma scherziamo? Ma non è roba da usare con la tua donna?

Giuro, non prenderò in giro il curling.

Che poi, siamo ancora a livelli di tollerabilità, quando si parla di slalom. Ma lo slittino? Eddai, vi prego. Lo facevo da ragazzino! Mi mettevo sotto il culo un pezzo di plastica e affidavo alla gravità il compito di emozionarmi. Ma che gesto atletico c’è nello slittino? Che lo spingi all’inizio? Che freni qua e là? Sposti il corpo? Bene: paragoniamo lo slittino e il salto in alto. La coordinazione, la potenza, la tecnica. Il pathos di quell’asticella che viene toccata e resta/non resta là, in uno momento quantistico che ci manca solo il gatto di Schrödinger.

C’è da parlarne?

Non sono mai andato a sciare in vita mia. Una volta noleggiai uno snowboard: discesina-caduta-in piedi-discesina-caduta-ma Cristo la neve nel collo!-ma andate affanculo-baita-pizzetta calda-mai più perdio.

Il salto dal trampolino. Spettacolare, certo. Ma io, che ne capisco? Dove ci si allena? Quali sono i miei riferimenti? Dov’è proiezione personale? Non posseggo gli strumenti per valutare nulla, il gesto tecnico, la posizione… nulla. Cosa mi interessa alla fine? Solo sapere se ha fatto un metro in più o in meno del precedente. Ma che gusto c’è?

Invece: i diecimila metri. Quei keniani che tirano fin dall’inizio, a stuccare il fiato. Tu che ti rivedi, ragazzino, correre con gli amici, a chi faceva primo. E se il traguardo era lontano, niente: non riuscivi a dosare le energie. Partivi comunque a razzo e ti veniva a mancare benzina, e quel palo da raggiungere era ancora lontano.

Dai. Siamo onesti intellettualmente. Ma che ce ne frega di questi sport “artificiali”? Per il medagliere? Il medagliere è il Male.

Giuro, non prenderò in giro il curling.

Almeno quelli rassettano.

Vieni fuori con le mani bene in vista, amen

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Morire, ma non morire davvero.
Questo il racconto di una ragazza del Costa Rica, “deceduta” durante un intervento chirurgico:

Ho vissuto nell’aldilà, poi sono tornata nel mio corpo.

La storia avrebbe dell’incredibile, se… ehi, ma è incredibile!

Ho visto i medici che lavoravano velocemente su di me. … Erano agitati. Hanno guardato i miei segni vitali e mi hanno fatto una rianimazione cardiopolmonare. Ognuno di loro ha cominciato a lasciare lentamente la stanza. Non ho capito perché si comportavano così. Tutto era tranquillo. Ho deciso di alzarmi. Solo il mio medico si trovava ancora sul posto, guardava il mio corpo. Ho deciso di avvicinarmi, ero in piedi vicino a lui, sentivo che era triste e che la sua anima soffriva. Ricordo che gli ho toccato la spalla, poi se n’è andato. In quel momento il mio corpo ha cominciato ad elevarsi ed elevarsi, posso dire di essere stata trasportata da una strana forza.

Viene da chiedersi: com’è possibile che qua diffidiamo pure di uno che per strada ci chiede l’ora e siamo capaci di berci storie simili? È evidente che la risposta stia tutta nell’angosciante bisogno di credere che “dopo” ci sia qualcosa.
Vorrei vedere, se questa ragazza, per strada, ci fermasse e ci dicesse:
– Ti posso raccontare la mia esperienza di pre-morte?
– Non mi serve niente, grazie.
– Ma io voglio solo condividere con te la…
– Su Facebook ci vado pochissimo, scusa.

Il suo racconto continua:

È stato fantastico, il mio corpo stava diventando più leggero. Mentre passavo attraverso il tetto della sala operatoria, ho scoperto che riuscivo a muovermi ovunque volessi. Sono stata portata in un posto dove le nuvole erano brillanti, una stanza o uno spazio. Tutto intorno a me era chiaro, molto luminoso e il mio corpo si riempiva d’energia, gonfiando il mio petto di felicità. Ho guardato le mie braccia, avevano la stessa forma degli arti umani, ma composte da una materia differente. La materia era come un gas bianco mescolato con un bagliore bianco, un bagliore argenteo, bagliore perla intorno al mio corpo. Ero bella.

C’è una antropomorfizzazione dell’anima che ha del tenerissimo. Una riconduzione a qualcosa di familiare – braccia, nuvole. Una generale sensazione di dolce passaggio da uno stato a un altro, senza traumi.
Una idea di paradiso a noi vicina e soprattutto comprensibile. Perché sarebbe complicato, far capire a chi crede a queste cose, cosa significhi la cessazione delle attività cerebrali, la non-esistenza. Ma anche ad ammettere una vita oltre la vita, perché dovremmo continuare a essere simili a ciò che eravamo prima? E un cieco? Tutta questa cazzo di luce improvvisa – spegnete perdio!? Senza neppure gli strumenti per comprenderla? E un bambino morto dopo poche ore? Senza la conoscenza delle parole per elaborare pensieri?

Ma anche qua, che obiezioni balorde, le mie. Basta tirar fuori un “Noi non possiamo capire” e ottieni il risultato.

Non avevo uno specchio per guardarmi in faccia, ma io potevo sentire che il mio viso era carino, ho visto le mie braccia e le mie gambe, avevo un abito bianco, semplice, lungo, fatto di luce. La mia voce era come quella di un adolescente mischiata con il tono di voce di un bambino. All’improvviso una luce più chiara del mio corpo si è avvicinata. La sua luce mi abbagliava. Egli ha detto con una voce molto bella: «Non sarai in grado di continuare». Ricordo che parlavo la sua stessa lingua con la mente, anche lui parlava con la sua mente. Ho pianto perché non volevo tornare indietro, allora mi ha presa, mi ha abbracciata. È rimasto tranquillo tutto il tempo, mi ha dato forza. Sentivo amore ed energia. Non esiste un amore e una forza in questo mondo comparabile a quella. Egli ha detto: «Sei stata mandata qui per sbaglio, lo sbaglio di qualcuno. Hai bisogno di tornare indietro. Per venire qui, è necessario realizzare molte cose. Cerca di aiutare più persone».

Lo sbaglio. La fallibilità anche nell’altro mondo. E no, cazzo. No! È qui che crolla tutta l’impalcatura. È qui che si capisce che mi stai vendendo la bambolina Voodoo, il sangue di San Gennaro, l’amuleto magico, il cristallo terapeutico, l’acqua santa, la visita a Lourdes, il terno su Napoli, il braccialetto portafortuna, la visita del Testimone di Geova, il Corpo di Cristo – amen, la scia chimica, il soprannaturale, l’ufo, l’incomprensibile, gli dei dell’olimpo, la nonna in sogno, le coincidenze incredibili che ora ti racconto non ci crederai.

È tutta una gran buffonata. Se c’è un Dio deve essere all’altezza! Non deve commettere “errori”. Ma scherziamo? Allora potrebbe fare casini immani, anche gravi ingiustizie. E io non posso pensare che una volta morto potrei soffrire ancora per apparati burocratici non funzionanti, omissioni, fascicoli spostati, compravendita di arcangeli, lentezze nella risoluzione delle questioni, conflitti.
C’è un Forum al quale appellarmi? Santi Licheri in realtà aveva già nel nome una chiara traccia di tutto questo? Dante, Milton, questa parte sugli inciuci, dove l’avete messa?

Ho aperto gli occhi, tutto intorno c’erano porte metalliche, persone su tavoli di metallo, un corpo aveva un altro corpo sulla parte superiore. Riconobbi il posto: ero nella camera mortuaria. Sentivo il ghiaccio sulle ciglia, il mio corpo era freddo. Non riuscivo a sentire nulla. Non ero nemmeno in grado di muovere il collo o parlare. Mi sentivo assonnata. Due o tre ore dopo, ho sentito delle voci e ho riaperto gli occhi.
Ho visto due infermieri. Sapevo cosa avrei dovuto fare, un contatto visivo con uno di loro. Avevo appena la forza di sbattere un paio di volte le palpebre e l’ho fatto. Mi è costata tanta fatica. Una delle infermiere mi ha guardata spaventata dicendo al suo collega: «Guarda, guarda, sta muovendo gli occhi». Non ho chiuso gli occhi fino a quando non sono venute delle infermiere e dei medici. Tutto quello che ho sentito è qualcuno dire: «Chi ha fatto questo? Chi ha mandato questo paziente all’obitorio? I medici sono pazzi». Mi sono svegliata solo tre o quattro giorni dopo. Mi hanno aiutata a camminare di nuovo, con la terapia. Una delle cose che ho imparato è che non c’è tempo da perdere a fare cose sbagliate,dobbiamo fare tutto il bene per il nostro bene… dall’altra parte, è come una banca, più si mette, più si otterrà alla fine”.

Ed ecco la morale: “sii buono, stai tranquillo, comportati in modo morigerato, non fare domande… e nessuno ti farà del male“.
Più che un Dio, un rapinatore.

Ho una vita bellissima per te, tanto amore e luce, luce immensa. Dovrai solo darmi tutto quello che ti chiedo, senza fare domande. Ora vieni fuori da quel corpo e nessuno si farà male“.

Preferisco tenere i miei ostaggi.

Non mi avrai.

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Alfredo Carponi /2

Esperimento di scrittura collettiva. Riprendo il post di Alexfor e riparto da dove lui termina. Chi prosegue? Il/la primo/prima che si prenota nei commenti avrà la puntata 3.

(1a puntata)

Continuo a cercare nella memoria, ma niente: sono solo col mio nuovo Io. Se poi è nuovo.  Se poi cerco davvero. Perché è questa la cosa più curiosa: so di essere tale “Alfredo” ma non ho pensato neppure per un attimo – quando mi si è posta davanti questa donna – di chiederle altro. Come quei giocatori di carte che spizzano l’angolino per attenuare l’impatto di un fante inutile.

E se non avessi avuto piacere di saperne di più, su di me?

Magari non ero cieco dalla nascita: mi sarebbe parso di aver improvvisamente perso qualcosa.

Sì, questo “Alfredo” era cieco dalla nascita: così mi garbava la storia. “Garbava”. Ero toscano? Sono toscano? Mi piace pensare così? Preferirei altro? Neppure provai a parlare, per non dissipare a me stesso i dubbi con una inflessione dialettale che magari mi avrebbe collocato a Matera. Ma se così fosse stato? Perché questo pensiero ora? Ero un coglione leghista? No, visto che immediatamente avevo associato “coglione” a coglione. E questo umorismo ora? Mi piaceva. Mi piace.

La mia vecchia identità la vedevo così, adesso: un potenziale impiccio. Come se avessi potuto essere chiunque e tra me e questa nuova vita ci fosse di mezzo semplicemente la mia precedente.

“Semplicemente”, poi.

Ma ero certo che non avrei potuto tirare a lungo in quello stato di non conoscenza: c’era questa donna che sapeva di me e di lì a poco avrei saputo anch’io.

E poi volevo realmente capire dove mi trovassi e che fosse accaduto ai miei occhi. Ma soprattutto: perché quello stato di assoluta, incomprensibile serenità interiore.

–          Chi sei?

–          Alfredo, ma cosa ti è successo agli occhi?

Ecco, era finita. Questa stronza aveva azzerato già il grosso della mia nuova vita. Prima vedevo, sì.

–          Non so niente. Chi sei?

–          Oddio, neppure mi riconosci. Ti sto portando al Centro Ripristino, non ti preoccupare.

–          Al che?

–          Stai giù, non parlare. Sei pieno di fluido. Rilassati.

–          Fluido?

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