Caxxo

Quelli che scrivono “Caxxo” dovrebbero realizzare che più che mantenere una sorta di pulizia etico-verbale, tutta nella loro testa, stanno non solo stuprando la lingua, inventando parole che non esistono, ma soprattutto sviliscono la funzione stessa del linguaggio, che è quella di trasmettere concetti, emozioni e informazioni tramite una Forma. E tu, col tuo “Caxxo”, mi stai trasmettendo, pari pari, il concetto di “Cazzo”, l’emozione correlata al “Cazzo” e l’informazione relativa al “Cazzo”. Dunque, l’alternativa a “Cazzo” non è “Caxxo” ma proprio evitare di trattare l’argomento, se davvero non te la senti di usare le parole che esistono, non certo cambiarle, le parole.

La creazione di “alleggerimenti fonetici” (non saprei come altro definirli) che non mutano in alcun modo la semiotica generale in casi come questi ha un che di “campagna delle foglie di fico” di Carafa, a censurare le intollerabili oscenità dipinte da Michelangelo nella Cappella Sistina: una ricerca della tutela di un pubblico decoro, di una morale che riesce a essere salvata tramite apposizione di foglie sulle orride brutture (linguistiche). Creando di fatto un artificio inguardabile di suo.

Non puoi stravolgermi il Significante, creandone uno totalmente di fantasia, per trasmettermi poi cosa? Lo stesso Significato? Se mi cambi il Significante per poi rinviarmi allo stesso contenuto è come se mettessi gli occhiali su Superman per far sì che la gente continui a vederlo come Superman e non come Clark Kent. Ma a che Caxxo serve tutto questo?

Anche se usassi “Aneurisma” al posto di “Cazzo” non faresti nulla di politicamente corretto.

– Vieni qua, ti apro in due col mio aneurisma.
– Con cosa?
– Aneurisma.
– Inteso come…
– Sì [occhiolino]
– Adoro i tuoi metaplasmi! E allora sì, fallo!
– “Fallo”? Non avevamo detto di non usare parole volgari?
– Oddio, sì, ma era inteso nel senso di verbo fare.
– Ma in questo contesto potrebbe essere ambiguo. Già sto usando “Aneurisma” per tenere un certo contegno…
– Hai ragione. Scrivo “Faxxo”?
– Pare una cosa da Telecom anni ’80.
– Cazzo, hai ragione?
– Non dire “Cazzo”!
– Cristo!
– Nemmeno!
– Ma “Cristo” non è una parola volgare!
– Però è offensiva!
– Ma come “offensiva”! È il nostro Signore!
– Che potrebbe offendersi di essere citato in questo contesto!
– Dico “Crixxo”?
– “Crixxo” mi pare ok. Così Cristo non si dovrebbe offendere.
– Hai detto “Cristo”!
– Ma no! Stavo dicendo che non dico “Cristo” ma “Crixxo”!
– Ma così l’hai ridetto!
– Cristo!
– Ancora!
– Cristo!
– Ancora!
– Oddio!
– No! Così è peggio!
– Non mi ricordo più di cosa stavamo parlando.
– DI SCOPARE, SCOPARE COL CAZZO!
– Ah, ok.

Una fatica boia, crearsi queste piccole scappatoie mentali che ci disegnamo da soli, convinti che possano avere una qualche utilità.
Le parole ci sono. Sono là per essere usate nei contesti nelle quali le parole stesse servono. Peraltro abbiamo perifrasi, figure retoriche, circonlocuzioni. Ma pure queste, se utilizzate non per arricchire e specificare qualcosa in una conversazione, ma per sfuggire da tabù linguistici autoimposti, diventano un baraccone artificioso e grottesco.

Ma qui si apre un nuovo scenario, che è quello correlato alle ipocrisie, quelle che ti fanno pensare che dire “Caxxo” ci faccia vedere dalla comunità come persone degne di maggior stima di chi scrive invece, correttamente, “Cazzo”.

Mi stai dimostrando che sei un vorreimanonposso vivente, uno che imbelletta la realtà rendendola non più reale ma barocca, goffa, coi guanti in lattice.
Offende più la sensibilità il tuo “Caxxo” che un “Cazzo” usato quando e dove si deve.

Si tratta di parole. Parole che esistono e di cui ci si vorrebbe privare ritenendo che questo faccia di noi persone migliori.

Invece siamo solo dei Ned Flanders.

Col caxxo piccolo.