Ritagli perduti

Eleonora Vallone
Eleonora Vallone prima che ascoltasse “Cosa resterà di questi anni ’80”

Mi è apparsa in sogno Wanna Marchi: mi ha dato dei numeri ma erano scritti su delle alghe secche e non si leggevano bene. “Dodrici”… “Seppanpaseppe”. E pensare che erano scritti coi numeri. Romani.

Comunque: voleva 1500 euro. Al che le faccio: “Sei stata già condannata per truffa e bambolaggio voodoo: perché credi che io possa cascarci?” E lei: “Perché sei un coglione“. Là per là non ho saputo far altro che confermare e le ho comprato un terno su Napoli. Non è uscito ma in compenso ora ho perso tre kg sul girovita. Tenevo i soldi là.

Dice: “Ma Wanna Marchi è ormai roba antica: ancora a scriverci su!“. No, avevo dimenticato questa cosa nel cassetto e volevo tirarla fuori. Era rimasta in mezzo a due pagine appiccicaticce (nulla di artificiale ma molto tenace) di Blitz, con Eleonora Vallone che parlava della funzione per il calcolo dei numeri primi (ma era arrivata solo a “1”, e comunque tentennava pure là). In realtà pensavo che le “gnocche” anni ’80, paragonate a quelle di adesso, ora mi sembrano veramente delle mezze cozze. Se pensate che pure la Mussolini finì su Playboy avete esattamente la misura di come siano cambiati i tempi. Perché la rivista fece questa scelta? Marketing? Opportunismo? Squallore? Votate. Ma ospitare la Mussolini portò soprattutto quel numero ad arrivare in perfetto orario.

Dai, ma vogliamo paragonare una sciampista qualsiasi di oggi alle “veline” di allora? Non c’è storia. Ricordo che Lory Del Santo era considerata un sex symbol. Con quei capelli di lanetta oggi potrebbe al massimo fare la standista per la Fiera dell’Elettronica di Silvi Marina, padiglione “Baracchini & Salamella”.

Tra l’altro quest’anno c’era una là: oh, uguale! Ma si chiamava Loris Del Santo.

Alle volte i dettagli spostano i baffi in alto di un metro.

Sono un ragazzo inadeguato (riferito al “ragazzo”)

Max Pezzali
Max Pezzali prima di salire sul palco

Ieri sera sono andato a puttane. Certo, cominciare un pezzo così può far storcere il naso a qualcuno, ma pensate se questo qualcuno avesse subito lesioni facciali da cocaina: sembrerebbe Peppa Pig dopo un ictus, doppiata da Fabrizio Bentivoglio alle prese con due giovani ninfomani con l’herpes iscritte a Scienze della comunicazione e [inserire descrizioni dettagliate di effetti di farmaci e “Pescara” come evocativa città di provincia. Appuntarsi: “coprolalia”].
(Qualcosa Del Genere mi ha scritto una introduzione terribile. Ricomincio).

Ieri sera sono andato a puttane. Non avendo soldi ma forte dei settemila fan su Facebook ho pensato di intavolare una trattativa in termini di visibilità. Il suo pappone mi ha minacciato con un coltello e ho dovuto pagare. Credo sia uno di quelli con l’account G+.
Dice: “Scrivi anche bene, ma non capisco quelle parolacce“. Al che rispondo sempre: “Chiami un bambino di otto anni e te le fai spiegare“.
Niente, devo sempre fare tutto io.
No, dai, è questione di comunicazione: perché limitare il mio range di parole utilizzabili, escludendone alcune solo perché a te evocano la tua fase orale, nella quale, per conoscere il mondo, ti facevi chiamare “Folletto” per la potenza di aspirazione? Lo so che il tuo disagio di fronte la parolaccia è tutto di matrice sessuale, ma avresti potuto dare altre risposte a quel test militare, invece sempre “fiori”, “fiori” e “fiorai”.
Devi capire che la “parolaccia” è una “parola”, una semplice parola, e come tale in grado di suscitare sensazioni. Magari sgradevoli, ma sensazioni. Perché farne a meno? Perché sono sgradevoli, appunto? Allora dovremmo eliminare tutto ciò che ci è sgradevole, ma poi chi mi pulisce casa?

È che non tutto è applicabile in contesti diversi: prendete la pubblicità dell’uccellino e di Del Piero. Se ci fosse Platinette al suo posto non sarebbe altrettanto efficace. Già solo perché come cazzo fa Platinette a posarsi sulla spalla di Del Piero? Ma battute sulle dimensioni di Platinette mi sembrano ormai utili quanto quel pene* attaccato a Paolo Brosio.
*Ahahahah, scusate l’iperbole.
La sapete invece quella di Giuliano Ferrara e del barile di lardo? Se avessi un centesimo per tutte le volte che l’ho raccontata scriverei ancora su Spinoza.

“I bambini malati di leucemia stanno morendo”.

Niente, volevo farvi capire che non bisogna mai abbassare la guardia. Non è che qua uno entra per farsi due risate. Cioè, vedete saponette nella doccia? Dietro a quei corpi estranei galleggianti nel vostro occhio, dico.
Più che altro mi piace cambiare repentinamente registro. Passare dal surreale alla canzone italiana a questo secchio di bigattini al demenziale nell’arco di un cassetto.
Personalmente adoro il demenziale. Mi sono accorto che questa mia passione non è però molto condivisa e diffusa da queste parti. Quando scrivo qualcosa di demenziale, questa viene abbastanza ignorata. Certo, dipenderà dalla qualità del mio pezzo e gnegnegne. Ma io penso che da noi manchi proprio la cultura Zucker-Abrahams-Zucker, quella che prendeva le mosse dai Monty Python e creava “Top Secret!” etc*.
*”Etc.” è sempre utile per dire cose che non ti va di elencare. Ci avete pensato? Quando Paola Ferrari legge la classifica di serie A potrebbe validamente dire: “Juventus millemila punti, etc.”. Invece perde sempre l’occasione e ci tocca sapere del Livorno.

“Quando il saggio indica la Luna, lo stolto guarda il dito”.

Va detto che era un bel dito.

Che poi, scrivere in modo “scemo” non è neppure facile. Il rischio è scadere nell’umorismo sempliciotto, che è esattamente l’opposto di ciò che un buon pezzo demenziale dovrebbe ricercare.
Dopo anni passati a studiare i maestri mi sono reso conto che una buona struttura dovrebbe partire da un meccanismo di “salto” tra fase seria e sorpresa. E quanto più il salto è ampio, tanto maggiore sarà la riuscita comica. Faccio un esempio: se descrivo un pezzo demenziale, nella sua struttura, dal punto di vista storico e dei meccanismi ad esso sottesi, e improvvisamente inizio a parlare poi della nocciolaia, creo un salto logico notevole, spiazzo il lettore, che molto probabilmente neppure conosce le tipiche forme compatte della nocciolaia (Nucifraga caryocatactes), il becco nero a forma di pugnale, la tozza coda corta e quel corpo bruno scuro screziato di bianco che richiama il sottocoda anch’esso bianco, il suo occupare un’area che va dalla Scandinavia fino al Nord Europa, e giù alle foreste di conifere della taiga in Siberia e all’Asia orientale, compreso il Giappone, il cibo di cui si nutre, prevalentemente semi di pigna degli alberi dei climi freddi (estremo nord e altitudini elevate), caratterizzati da grandi dimensioni, il suo becco più spesso per schiacciare gusci duri, con un pettine speciale all’interno del bordo del becco vicino alla base.

E questo è esattamente quel che intendevo. Insieme, abbiamo costruito un pezzo demenziale. Va detto che ho fatto quasi tutto io, eh. Ma il vostro contributo, in qualità di lettori, è stato fondamentale, per via dell’albero che cade nella foresta e non c’è nessuno ad ascoltare perché magari distratto da Max Pezzali che ci spiega di essere un ragazzo inadeguato.
Non so perché avesse bisogno di una canzone.
Ecco: il fatto che Pezzali sia ancora discograficamente attivo e apprezzato mi fa storcere la bocca. A voi? Sì, anche.
Preciso: la nocciolaia.

 

Perché non possiamo prendere in giro i vegani (e altre bugie)

Augentha
Augenthaler, nella sua versione non vegana

A livello di persona non ho niente contro i vegani. Nel senso: niente. Credo che se uno non vuol mangiare la carne debba poterla rimettere al posto nel suo scaffale o comunque comprarla e spedirla ai bambini poveri in Africa in pacco refrigerato, e poter poi comprare il pane vegetale, l’insalata Bonduelle vegetale e il mais Bonduelle vegetale con pochissimo OGM (meglio zero o vicinissimo a zero. Zero proprio è meglio: solo quando è zero è certo che non sia stato fatto con sostanze nocive tipo carne o scie chimiche; questo l’ho letto su ogmesciechimicheCOSACISTANNONASCONDENDO!?!?!?.com, l’unico sito con una parte in maiuscolo e un mucchio di punteggiatura di paura).

Ho scoperto da poco che i vegani hanno problemi quando si comincia a parlare di carne, non solo quando questa è da mangiare (ma se è da mangiare proprio diventano fondamentalisti). Per esempio: la fettina. Ecco, loro non mangiano la fettina, anche se di carne ce n’è poca (mia mamma se la fa tagliare bassissima: forse sta sul cazzo al macellaio, oppure sceglie bestie particolarmente magre, forse malate, forse vegane) In ogni caso, pure se poca, la fettina è parte della carne dunque: no. Ricordate: per un vegano la fettina no.

Però conosco una signora vegana che mangia il pollo perché “è solo un uccello“. Ma qui si tratta di evidente appetito sessuale e scontato gioco di parole.

Penso che già i vegani abbiano tanti problemi, tipo evitare i pedoni per strada in quanto fatti di carne, oppure controllare se non sia rimasto un pezzetto di carne in frigo (nel caso: toglierlo prima che cresca e mangi le verdure), verificare se il filo interdentale non sia stato prima usato da un carnivoro (evitare di invitare tirannosauri maleducati a casa, ma questo lo faccio da sempre anche io nonostante la bassa veganità) e se il tofu sia stato fatto in uno stabilimento che fuori nel cortile tiene uno o più cani, pure se chippati (il chip non cambia la sostanza: sempre carne di cane è, pur se tracciabile. Non so se il chip contenga carne: nel caso sarebbe un problema in sé).

Penso poi all’immane problema del vegano cristiano, che oltre alla rima baciata vive il dramma di chi può prendere ostie in chiesa ma solo non consacrate, pena il buttare giù carne e per di più umana. O forse un essere divino non rientra nel genere “animale”, non so. Devo chiedere a Don Ciotti o a uno che bestemmia fortissimo che mi pare saperne di più.

Per questo penso i vegani che debbano essere lasciati liberi di mescolarsi a noi normali e mangiare la frutta che riescono a procacciarsi durante le sedute di spesa ad Auchan, e pure la verdura, che prima va lavata bene perché potrebbe essere sporca di carne. Infatti, non tutti i vegani sanno che le persone comuni tastano la frutta, con mani quasi sempre fatte di carne (i portatori di protesi sono pochissimi e comunque li riconosci perché hanno parcheggiato sulle strisce gialle, probabilmente dipinte con vernice animale). La cosa del toccare la verdura con le mani fatte di carne comporta un rilascio di microcarne sulla buccia delle – che so – patate, e se ve le mangiate al coppo con tutta la buccia sappiate che state mangiando pure un po’ di carne e unghie di Zia Maria (Zia Maria tocca sempre le patate, poi non le prende. Fa lo stesso col marito, eh).

Tenete presenti pure i problemi circa la pericolosità delle scarpe con suola di animale: potrebbero calpestare carne. Per questo scegliete sempre suole in lattice vegetale o gomma dell’albero della gomma (riconosci l’albero della gomma perché si piega ma non si spezza, ma questo è un argomento che tratterò quando mi documenterò a fondo e scriverò di alberi della gomma, dunque non prima di stasera).

Dovremmo dunque tutti rispettare i vegani, già solo per le difficoltà nel loro quotidiano. Pensate a quanto sia difficile qualunque attività, tipo andare dal dentista. Uno schizzetto di sangue proprio e ZAC! Fregati! Diventano carnivori al sangue! E i batteri che hai in bocca? Ogni volta che deglutisci ne butti giù milioni. E pochissimi sono di origine vegetale, magari quelli nel raschio verde. In quel caso i vegani che fanno? Ho un amico che sta studiando da vegano e mi dice che forse vanno a vomitare (ma lui è al primo anno). Vomitano verdure, prevalentemente, che il cesso poi pare un piatto di gastronomia cinese, non fosse per le bacchette (assenza di). Verdure, sì. E tofu. Che forse è una verdura sarda, boh. Il tofu mi ha sempre affascintato. Ma non abbastanza da farmi documentare circa alcunché. Diciamo che il tofu non mi ha mai interessato, mentivo, forse perché noi carnivori mentiamo e diremmo di tutto pur di mangiare carne. Invece ai vegani il tofu piace molto perché sono sinceri. Per questo, quando voglio fare scherzi, apro le confezioni di tofu e ci metto dentro un pezzo di pancetta, con dentro arrotolato un bigliettino scritto col rossetto: “Benvenuto nel mondo della carne“.

Quelli che accusano i vegani di essere troppo intransigenti dimenticano che non conoscono davvero la parola “intransigente”, forse perché chi mangia carne è più ignorante, preso com’è da quegli ossicini. E poi, leggere un libro con le mani unte… E quando si dice che un vegano morirà giovane per anemia, magari si dimentica che sarà anche vero, ma si tratterà comunque di anemia vegetale.

La cosa che mi fa dire che non sarò mai un vegano è il sesso: i rapporti orali sono impossibili, perché qualche cellula di carne resta attaccata alla lingua e allora se si cominciano a fare concessioni ai piccoli quantitativi di carne si finisce presto per ritrovarsi da Giggi ‘o panzone a farsi cinquanta arrosticini a testa. Pochissimi arrosticini sono privi di carne, giusto quando resta solo lo stecco.

A livello di persona non ho niente contro i vegani. Nel senso: niente. Però mi chiedo a cosa servano i miei canini (che si chiamano come piccoli animali: COINCIDENZE?!?!?!?!?1!), perché il mio apparato digerente non sia basato sullo stomaco concamerato tipico dei ruminanti (su mia suocera non garantisco però), perché la specie più vicina a noi e ancor più a Walter Chiari – lo scimpanzè – abbia una dieta basata su frutta, bacche, larve, insetti, carogne, fino ad arrivare alla saprofagia e soprattutto perché quell’odore di maiale alla brace sia così irresistibile.

Saranno le verdurine Bonduelle di contorno.