E dovreste vedere Sempronio

CAIO – …e mi saluti sua moglie.

TIZIO – Non mancherò.

CAIO – Immortale?

TIZIO – Eh, magari. A chi non piacerebbe?

CAIO – Già. Non vorrei mai lasciare questa terra.

TIZIO – Giardiniere?

CAIO – Geologo.

TIZIO – Capisco. Ciascuno dovrebbe fare il suo mestiere.

CAIO – Tutti geologi?

TIZIO – No. Non il “suo” mestiere, il “suo” mestiere.

CAIO – Guardi che non si capisce lo stesso, mica la vedo, ci stiamo solo scrivendo.

TIZIO – Confido nel lettore.

CAIO – Lei sta fuori.

TIZIO – Se non mi fa entrare…

CAIO – Si accomodi.

TIZIO – Perchè, cosa mi sono rotto?

CAIO – Vogliamo continuare così?

TIZIO – Non è detto.

CAIO – Lo diventerà: serve tempo per creare i proverbi.

Ma che colpa abbiamo noi

La sveglia alla solita ora, colazione, lavoro.

Otto ore.

Otto ore per riportare a casa soldi necessari per comprare una nuova sveglia – magari funzionante stavolta – che mi permetta di alzarmi in tempo per andare al lavoro.

Otto ore per riportare a casa soldi necessari per mantenere un’auto che mi permetta di raggiungere il posto di lavoro.

Otto ore necessarie a riportare a casa soldi necessari per comprare cibo necessario a sostenermi per le attività fisiche necessarie di una palestra necessaria a mantenere una forma necessaria che otto ore sul posto di lavoro necessariamente massacrano.

Otto ore per acquistare un televisore al quale pongo le mie riflessioni circa le otto ore di lavoro necessarie ad acquistare quello stesso televisore che in quel momento rimane spento. Ma pare stare là a fissarti dalla lucina rossa – quella sì accesa – e dirti “eccoti qua, sei stato otto ore lontano da me e domani farai altrettanto. E appena accendi c’è la De Filippi, idiota!”.
Ed io inebetito davanti a quella lucina, immaginando che questa prenda animisticamente vita e si antropomorfizzi quel tanto da farmela cascare definitivamente sul cazzo.

Otto ore.

Che mi aspettano domani.

E la cosa che più mi spaventa?
Che sono quelle otto ore a crearmi disagio. Non l’idea che un altro giorno sia passato, anonimo.
Senza tregua, senza differenze dal precedente.
Senza macerarmi rispetto al vero problema.
Che non sono le otto ore.
Ma quando non avrò più le otto ore ad infastidirmi, dal buio di una cassa di zinco, un metro e mezzo sotto terra. Scoprire magari che sei pure allergico, allo zinco. Ed avere immani difficoltà di curare una dermatite, là sotto. In ogni caso niente ASL.

E’ questo il peggio. Fingere di essere infastiditi da otto ore di vita parziale. Quando mi attende una non-vita eterna. Di quelle da buio infinito. O come sarà.

“È una caratteristica propria del nostro spirito immaginare disordine e oscurità là dove non sappiamo nulla di certo”, sì Werther. Fottiti.

Vedere ipocritamente insofferenza in qualcosa che allora mi sembrerebbe Disneyland rispetto a quei merdosi vermi che mi scarnificheranno, infischiandosene del mio curriculum e del mio saper configurare un cellulare.

E allora ho pensato: benedette siano queste otto ore. Perchè sono vivo. Otto ore di lavoro, meravigliosamente vive e vitali perchè vivo e vitale sono io.

E tutto ha assunto una nuova luce; forte, accecante ottimismo.

Allora ho messo da parte questi pensieri colorati, sorridenti. Ho accantonato e messo in cascina un raccolto fatto di nuova gioia, speranza anche.
E ho ripensato in modo davvero diverso, per la prima volta, alle otto ore di lavoro.

E sapete cosa è accaduto?

Mi sono di nuovo girati i coglioni.

sbadanti

L’arte dell’affabulazione, l’estro suadente nelle argomentazioni, la vena ironica, l’eleganza nei modi, il fascino discreto, il magnetismo nello sguardo.
Ad avercene almeno una avrei risparmiato un mucchio di soldi in zoccole.

Ieri invece ho conosciuto due ragazze ucraine che mi hanno molto colpito.
Venti giorni di prognosi.

Una di loro all’inizio pareva starci, ma era solo una impressione.
Eppure in negozio la gabbia pareva più grande.

Allora ho ripiegato sull’altra.
Ne è uscito un origami fantastico.

Dite che se una non ci sta dovrei lasciare perdere? Che tira, tira alla fine la corda si spezza? Beh, forse è vero. Ho imparato qualcosa almeno.
Un collo ed una corda fanno lo stesso rumore.

Eppure alla fine, quelle ucraine me le sono portate a casa.
Un po’ alla volta, certo.

Ora la polizia sta cercando l’infame che ha succhiato via la vita da innocenti in modo così barbaro.
Non lo troveranno mai così lontani da Arcore.

Ora? Beh, ora conservo di loro un bellissimo ricordo.
E che bel freezer nuovo, questo.

Dite che sono un mostro? Chi mi ha incontrato non pensa lo stesso.
Non attualmente.

Genesi

Oggi leggevo la Genesi (nei bagni degli autogrill si trova di tutto) e mi sono soffermato sul passo nel quale Dio – che aveva appena creato… il creato (no, dico: prima non c’era nulla, eh) se la prende col serpente tentatore e lo maledice.
Ok. Ma il serpente, chi l’aveva fatto?

Ed ecco dove votare

Come detto, io ho votato Spinoza come miglior blog e migliore community, “Verranno a chiederci del nostro amore” come miglior post dell’anno (sempre su Spinoza), Umore Maligno come blog rivelazione e me stesso come tutto il resto. Scherzo, non fatelo.

La mia ex

Era talmente bella che i suoi assorbenti usati venivano scambiati per Kandinsky.

Ho visto un quadro (Ah beh, sì beh…)

Non conosco l’arte?

E’ necessario che io conosca la vita di Giotto per dire che ‘sta cosa mi pare una cagata?

Tra l’altro io di Giotto so solo la storia della “O” e che poi si è messo in proprio a fare i pennarelli a spirito.

E’ senso estetico.

O vuoi che io stesso mi tramuti kafkianamente nel quadro stesso, che so, una mezza giornata, per respirare cio’ che lui respira, vedere con i suoi occhi, sentire con i suoi sensi?

C’ha i sensi il quadro?

Seppure li avesse li esprime proprio male.

Le orecchie comunque sono piccolissime.

Voglio dire: non vedi che è una merda?

Questo quadro è una merda.

Dunque almeno l’olfatto non l’ha di certo. Per dire dei sensi.

E’ un punto di partenza questo.

No perchè se tanto mi dà tanto nemmeno vado a scommettere sulla corsa tris: non essendo un cavallo non capisco di cavalli.

Già, magari studio da crocifisso, mi applico pure, ed un giorno diventerò, che so, un crocifissone da chiesa, magari sopra un organo che vibra per te e per me.

Ma ciò che è certo è che ad oggi non sono un cavallo.

Non al momento in cui scrivo.

Non ne sei convinto?

Te lo dimostro: sto scrivendo “Te lo dimostro: sto scrivendo”.

Se fossi cavallo, con gli zoccoli, mi uscirebbe roba tipo “bfs255fg56bqw78fwbvgtwjksf45we” solo per provare a scrivere “Te lo dimostro: sto scrivendo”, confermando d’essere altresì falso. Magari bolso, sicuramente falso. Oppure tutto cio’ che riesco a dimostrare è solo di non possedere gli zoccoli. Fino a prova contraria.

trgg ghgswd2tumjfv cv4grv vrg.

Dunque? Questo per dire cosa?

Sono quei discorsi che lasciano il tempo che trovano: ma, sinceramente, ad oggi, quanti discorsi possono cambiare il tempo che trovano?

Io posso ricordarne al massimo un paio, tipo la danza della pioggia, ma là si va più sul musical.

“Allah è grande. Con ghiaccio è meglio”.

A sarajevo i locali (pizzerie, ristoranti, caffè) non possono servire alcolici (osservanza musulmana). Ne parlavo con i miei compagni di viaggio, seduti nel corso principale di questa rinata città, piena di contraddizioni, sorseggiando io un Cuba libre e loro dei Mojito.