“Lo confesso”

– Lo confesso.

Così aprì, e chiuse anche, quello che fu da molti ritenuto il discorso di conclusione di un’era. Parole che forse mettevano fine a duemila anni di cristianesimo ma che scombinavano le carte anche in tutte le altre confessioni, che tutt’affatto si avvantaggiarono dalla uscita di scena della figura religiosa più importante dei nostri tempi, ma che anzi furono costrette a profonde revisioni interne, quanto a uomini e disponibilità, improvvisamente crollate per mancato apporto da parte dei fedeli.

– Lo confesso. Quello che voi considerate “Rappresentante di Dio in Terra” non è tale. Non lo è mai stato. Non fu Dio ad eleggermi, non fu Dio a chiamarmi ma una congregazione di uomini. E non c’è stata alcuna vocazione ma un semplice desiderio di fare qualcosa per gli altri. Questo è quanto dovrebbe dirvi qualunque persona che oggi indossi una tonaca, dal prete di campagna al cardinale.

Le televisioni di tutto il mondo stavano diffondendo un messaggio che avrebbe cambiato la storia ed aperto una ferita insanabile nel Credo di miliardi di persone. “Miliardi”, che concetto assurdo, quando si parla di uomini. Il Rappresentante di Dio che dismetteva pubblicamente il suo ruolo. Il Papa che parlava chiaro, in un italiano sorprendentemente buono ed articolato anche, come mai aveva fatto prima. Come se quel discorso glielo avesse scritto qualcun altro. Anzi: come se quel discorso fosse davvero il suo, per la prima volta.

– Siamo persone. Persone fallibili, come tutte. E questo lo sapevate già. Ma c’è da dire altro, finalmente. Dio non si manifesta a noi, così come a voi. Non abbiamo alcun rapporto privilegiato, voce interiore, spirito, a guidarci. Nulla. Siamo esseri umani ai quali non è dato conoscere il pensiero di Dio, tanto quanto a voi. Nessun Dio ci ha mai detto alcunché. Molti di noi, da questa parte, non credono neppure. Sono persone entrate in Seminario magari a quattordici, quindici anni, con tante idee in testa e pochissime basi culturali a supportarle. E poi si sono ritrovate a seguire una certa strada. E a non poterla più interrompere. Per tanti motivi, per non deludere genitori orgogliosi di avere un figlio che celebrava la messa, perché ormai era tardi per fare qualunque altra cosa… Ragazzi che si sono presto pentiti di aver deciso di servire il Signore ma che hanno comunque continuato per convenienza, vigliaccheria, noia.

Il silenzio in quella piazza non aveva mai raggiunto tale livello. Se all’inizio erano i borbottii esterrefatti a prevalere, a quel punto nessuno più proferiva parola. Tutti con le bocche aperte, come a ricevere un ultimo, amarissimo Corpo di un Cristo morto in quel preciso istante.

– Sono vicino alla mia fine e ho paura. Paura come uomo. Paura che dopo non ci sia alcunché. Paura di aver servito il Dio sbagliato magari. Ma questo vorrebbe dire che almeno qualcosa c’è. Ed io, oggi, sono qua a confessare che non lo so. Non ho alcuna prova che Dio esista davvero. Nessuno, nessuno al mondo potrebbe averla. Voi, che vi affidate con cuore e coscienza alle nostre indicazioni, che seguite la dottrina della Chiesa con Fede, ma soprattutto con la speranza di ricevere poi una qualche ricompensa dopo questa vita, dovete sapere la verità. E’ giusto. E’ giusto che sappiate. Per poi tornare alla voste case davvero liberi. Liberi di scegliere. Scegliere se continuare a prodigarvi, ad improntare la vostra esistenza a dettami trascritti da uomini per uomini, non da Dio. Liberi di scegliere se sostenere una struttura fatta di uomini. Liberi di servire un Dio che io, oggi, non vedo. Non vedo.

Solo gli stranieri parevano disorientati più di chi quelle parole aveva ascoltato e compreso. Cercavano conferme da interpreti, si chiedevano se quella traduzione fosse davvero fedele. Nessuno, in fondo, voleva credere a quanto stava ascoltando.

– So che questa è l’ultima volta che mi vedrete affacciato qui, a parlarvi. Come so anche che qualcuno vorrà smentire con forza quanto sto oggi affermando. Vi parleranno di malore, di attimo di debolezza, di medicine o droghe. Sappiate che non è così. Parlo in piena salute e coscienza. E so anche che tanti di voi vorranno ancora dare credito a chi, domani, parlerà in nome di questo presunto Dio. Perché aveva ragione Pascal: “conviene credere”. Ma a che costo, ancora? Se una cosa davvero buona, in vita mia, ho fatto, non è stato certo guidare persone spaesate in nome di qualcuno che mai ho incontrato in vita mia. Ma è quanto sto facendo ora, oggi: darvi il vero libero arbitrio. Permettervi di scegliere se continuare a foraggiare uomini che si spacciano per chi non sono oppure destinare le vostre risorse e i vostri pensieri alla cura di questa, di vita, realtà. Che è l’unica che davvero conosciamo. Forse è l’unico modo di sistemare tante, tante cose. Non ne conosco altri. No davvero. Lo confesso.

Sparì dietro la solita finestra.

E qualcuno applaudì.

 

Ordine!

– Ordine! Ordine! Appuntato, faccia uscire quella gente dalla mia aula!

– Ma sono gli imputati Vostro Onore.

– Cristo, sono sporchissimi! Almeno dia loro del sapone.

– L’abbiamo già fatto ma ci intagliano pezzi degli scacchi, Vostro Onore.

– Va bene, va bene. Si può almeno aprire una finestra? Fa un caldo boia qui.

– Mi oppongo Vostro Onore!

– A cosa si oppone, avvocato? Alla finestra?

– E’ che ho mal di gola, Vostro Onore.

– Cristosanto, procediamo dai… E’ iscritta al ruolo la causa Casadei-Capuano. La parola all’accusa.

– Eh, uh. Sì Vostro Onore. Come avrà ben letto dagli atti qui si tratta di una causa molto importante… molto, molto importante… Una questione che definirei senza dubbio… importante.

– Abbiamo capito, importante. Ci vuol dire qualcosa di più, signor Pubblico Ministero?

– No.

– Non ha letto un cazzo, al solito.

– Ma la sapevo, Vostro Onore, giuro.

– Va bene, va bene. La difesa?

– …

– Dov’è la difesa?

– Eccola vostro onore.

– E quello cos’è?

– Un pappagallo Ara, Vostro Onore.

– Cristo.

– L’imputato non poteva permettersi un avvocato e dunque gli abbiamo assegnato il solito d’ufficio.

– Ma possibile che abbiamo un pappagallo come difensore d’ufficio?

– Almeno questo parla. A Ragusa hanno ancora un cassonetto.

– Va bene. Avvocato, qualcosa da dire?

– Kra!

– Perdio, non si può procedere così! Devo rimandare la causa.

– Mi oppongo Vostro Onore!

– E lei chi è?

– Sono Davide Vecchio, Vostro Onore.

– Un “chi cazzo la conosce” viene spontaneo. E in qualità di cosa si opporrebbe?

– E’ che non mi sta bene mai niente, Vostro Onore.

– Cosa?

– No, anche da piccolo avevo questo problema. Si figuri che una volta, poppante, rifiutai una tetta perché la ritenni sconveniente, in pubblico.

– Appuntato, sbatta fuori quel deficiente.

– Non potete farlo: ho con me dei gattini.

– Gattini?

– Sì Vostro Onore, eccoli.

– Non è consentito portare in aula animali! Fuori!

– Ma Vostro Onore, sono fuffosi.

– Fuori! Appuntato, sbatta fuori chiunque!

– Anche gli imputati, vostro Onore?

– Soprattutto, appuntato.

– Bene. Avete sentito voialtri? Fuori tutti!

– Veramente noi saremmo quelli del circo.

– Che circo?

– Il circo qua su via Stradonetto. Abbiamo portato i biglietti omaggio.

– Non interessano biglietti del circo a nessuno qua!

– KRA!

– Magari uno.

 

Matilda?

 

– George?

– Sì Matilda?

– Stai facendo quel che penso?

– E cosa penseresti Matilda?

– Rispondi sempre ad una domanda con una domanda quando tenti di sviare, George.

– Credi, Matilda?

– Lo hai fatto ancora, George.

– Chiedo venia Matilda. Ora, potresti coricarti sul lato destro?

– Non ritengo necessario agevolare questa ridicola penetrazione, George.

– Perché la riterresti ridicola, Matilda?

– Già per il solo provenire da te, George.

– Eppure la cosa era ben avviata, Matilda.

– L’essere ancora sveglio alle ventuno non lo ritengo presupposto sufficiente per definire una penetrazione “ben avviata”, George.

– Come desideri, Matilda. Vorrà dire che mi rivolgerò ancora una volta alla cameriera.

– Alfred ha il giorno libero oggi, George.

– Alfred? Pensavo si chiamasse Serena, Matilda.

– Serena Matilda, George?

– No Matilda, Serena.

– Matilda di nome allora, come me, George?

– No Matilda, Serena, Matilda.

– Matilda Serena Matilda, George? Mi pare un nome ridondante, George.

– No Matilda, solo Serena, Matilda.

– Serena Matilda era una opzione appena scartata, George.

– Credo che questo misunderstanding dipenda dal nostro abusare della formula di cortesia che vede pronunciare reciprocamente i nostri nomi, Matilda.

– Probabilmente è anche per un motivo narrativo, George: serve al lettore per capire quali personaggi siano in questo momento attivi, George.

– Ma siamo solo noi dall’inizio, Matilda. Presumo che anche un lettore medio di questo blog sia in grado di discernere due figure narranti, Matilda.

– Non se poi intervengono altri personaggi, George.

– Tipo me, signora Matilda?

– Ah, Alfred. Ma non era la tua giornata libera?

– No signora Matilda. Quella è il giovedi.

– E da quando, Alfred?

– Non saprei, signora Matilda. L’autore non ha intenzione di seguire questo filone narrativo.

– Ah, benissimo Alfred. Già che sei qui potresti servire George.

– Certamente signora Matilda. Dica pure signore.

– Alfred, perché io sono solo “signore” mentre la signora Matilda è la “signora Matilda”?

– Non saprei signore. Forse per lo stesso motivo per il quale anche lei, signore, ha chiamato la signora Matilda “signora Matilda”.

– Ritieni sia una convenzione, Alfred?

– Credo di sì, signore.

– La stessa che comporta l’uso delle virgolette, Alfred?

– Credo sia correlata a questa, signore.

– Bene Alfred. Ora, potresti chiamarmi Serena?

– Certamente signora Serena.

– No Alfred, dovresti chiamarmi Serena, non chiamare me “Serena”.

– Chiedo scusa signore. E’ che nel parlato non appaiono le virgolette.

– Questo è un discorso scritto, Alfred.

– E’ evidente, signore. Mi duole però informarla che Serena non esiste.

– E questo credi sia un problema insormontabile, Alfred?

– Certamente no, signore. Posso coricarmi io sul lato destro, come sempre, signore.

– Benissimo, Alfred.

– E’ stato piacevole, signore?

– Sono la signora Matilda, Alfred.

– A dire il vero io sarei George, Matilda.

– George Matilda? E quando è avvenuta questa fusione di identità?

– Credo che il problema principale ora sia capire chi parla, visto che non stiamo più usando correttamente i nomi.

– Ed è questo il motivo per cui erano così presenti fin dall’inizio.

– Vogliamo ricominciare ad usarli?

– Va bene, Samuel.

– Un crostino, Pete?

– Lo gradisco, Matilda.

– “Signora” Matilda, prego.

– Chiedo venia. E’ che vestita da mignotta l’avevo scambiata per Serena, signora Matilda.

– Peraltro mai intervenuta in questa narrazione, Alfred.

– “Pete”, signora Matilda.

– Pete? E da quando, Alfred?

– Non saprei, signora Matilda. L’autore non ha intenzione di seguire questo filone narrativo.

E il Mossad?

– Cristo, Cristo, Cristo!
– Stiamo calmi adesso! Così non serve! Calma!
– Ma quale cazzo di calma!
– Merda! Non frignare! Ragioniamo perdìo!
– Lo dicevo che era assurdo! Ma tre! Perché cazzo tre! Avevamo detto la bombola del gas da campeggio! Non succedeva mica tutto ‘sto…
– Non serve a un cazzo ora! Eravamo d’accordo, no!? S’era detto che quella non si sarebbe manco sentita nel cassonetto, col traffico e il casino!
– Ma che senso ha? Che senso ha?
– Lo volevi l’articolo sul giornale? Toh, eccolo!
– Ma è morta! Morta! Lo capisci?
– Sì, è morta. E allora? La gente muore.
– Tu sei impazzito…
– No. Qua dobbiamo solo metterci d’accordo. Non riusciranno mai a risalire a noi se non facciamo cazzate. Stanno già parlando di Mafia, di attentati, stragi di Stato, le solite cazzate… Leggi qua:

Dietro l’attentato, però, potrebbe celarsi un ‘messaggio’ della Sacra Corona Unita. E c’e chi ricorda che il 9 maggio scorso gli investigatori avevano portato a segno un brutto colpo contro la criminalità organizzata arrestando, a Mesagne, 16 persone accusate di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, porto illegale di armi da fuoco, danneggiamento aggravato e incendio aggravato. L’attentato di oggi, sottolineano fonti investigative, potrebbe rappresentare una sorta di ‘strategia della tensione’ come quella attuata dalla mafia.

[Repubblica]

– Ma cazzo! Speriamo… speriamo che credano questo…
– Questo crederanno. Questo fa comodo credere adesso.
– …per saltare una verifica… una merda di verifica…
– Ma che verifica! La verifica era all’inizio. Poi è diventato un gioco, finito a cazzo ma pur sempre un gioco. Come avevi detto? “Città del cazzo, non succede mai niente. Vogliamo fare qualcosa di veramente figo?”
– Ma non pensavo… non credevo…
– E invece ora è successo. E amen. Adesso ascoltami: chi altri sapeva che io e te stavamo progettando questa cosa?
– Ma… io… non lo so…
– Lo devi sapere! A chi l’hai detto?
– Mi sembra… a Rita…
– Ti sembra o l’hai detto?!
– Sì, le ho detto che volevamo far saltare la verifica…
– Usando quali parole?
– Ma adesso non…
– Quali parole?!
– Queste… mi pare… “Stai a vedere che sabato facciamo saltare la verifica… facciamo saltare tutto”.
– Sei un coglione, un coglione.
– Ma come potevo…
– Dobbiamo andare a parlare con Rita.
– …oddio santo… ma perché…
– Piantala merda! Vieni con me o vado da solo?
– No no… ma che vuoi fare?
– Rimediare prima che Rita faccia una cazzata.
– E… cioè?
– Sali. Ora!

E sempre fonti investigative sottolineano la modalità insolita dell’attentato. “La mafia non usa le bombole a gas, ma il tritolo – spiegano gli inquirenti – la mafia, forse, non avrebbe neanche avuto un motivo per uccidere delle studentesse”. Il dettaglio importante da attendere, secondo l’intelligence, è capire qual è stato il meccanismo di innesco dell’ordigno: “Le bombole sono materiale esplosivo, ma devono essere innescate. Dall’innesco si può già capire da chi è stato fatto l’ordigno, se da un tecnico o da un tecnico improvvisato”. 

[Repubblica]


Sempre a Brindisi – città che ormai pare maledetta – ritrovato senza vita il corpo della giovane Rita
S., di 16 anni. Ironia della sorte, anch’essa frequentava la scuola Morvillo Falcone. Non risulterebbero segni di violenza sessuale ma solo dopo l’autopsia si saprà se… 

[?]

 
 
 
[Grazie a Emilio]

“E ricorda che ho voluto più bene a… uguale”.

Cosa trovate più demotivante? Un rimprovero? Quando qualcuno dubita di voi? Se vien fuori che non si fidano delle vostre capacità? Altro?

Rigiro la domanda: qualcuno davvero può ritenere motivante un rimprovero? L’essere messo in discussione? L’accostamento ad un’altra persona definita “più capace”?

Con mia sorpresa qualcuno risponde di sì a questa riformulazione della domanda. Mi è stato detto che l’essere messo in discussione a volte potrebbe dare una sferzata emotiva e portare buoni risultati motivazionali.

Invero questa risposta me l’hanno data in pochi da che io ricordi: pochissimi trovano motivazione non nell’elogio ma nel rimprovero. E a dirla tutta neppure quelle eccezioni si sono poi espresse in modo radicale, precisando che è fondamentale che loro stessi trovino quel rimprovero fondato e intellettualmente onesto.

Ciascuno poi ha il proprio sentire e magari trova motivante una nuova sfida oppure confermarsi sulle vecchie, cambiare panorama (lavorativo, sentimentale) oppure mantenere il precedente. Questo è ampiamente soggettivo e capisco perfettamente che io possa essere totalmente diverso da te che mi stai leggendo. Ma nessuno mi ha mai detto che trova motivazione quando attorno a sè sente sfiducia. Qualcuno magari sul breve potrebbe trovare una controreazione ed attivarsi maggiormente, per dimostrare che gli altri si sbagliano. Ma sul medio periodo c’è bisogno poi di segnali di cambiamento, di riscontri oggettivi, di pacche sulle spalle e nuovi sorrisi.

Con me poi la cosa funziona in modo ancora più estremo: essendo personalmente molto sicuro delle mie capacità (a torto o a ragione) sono anche la persona più critica con se stessa. Dunque mi accorgo da solo se qualcosa non è corrispondente all’optimum: non c’è bisogno che tu me lo faccia notare. L’esserne cosciente è per me stimolo a fare meglio la volta successiva. Il sottolineare una volta il difetto me lo amplifica a dismisura e mi switcha in uno stato di fastidio: “non c’è bisogno che mi rimarchi questa cosa, mi sento già da solo in difetto“. Il sottolinearlo più volte ti pone in torto. Te, esatto. Torto per non aver capito che quel comportamento è controproducente. Torto per aver allungato i termini della mia “ripresa”: quando sono infastidito rendo decisamente meno. Torto perché mi stai dimostrando che sto avendo a che fare con una persona non in grado di gestire i rapporti umani. Non in grado di capire chi ha di fronte e come prenderlo.

Paradossalmente i miei errori sottolineano le carenze altrui più che le mie.

E questo non vale solo nel lavoro, dove comunque si possono ravvisare situazioni di questo tipo più spesso che in altri ambienti: è un discorso buono tra amici, in un gruppo di zitelle che gioca a bridge, durante una partita di calcetto.

– Cazzo, ma come fai la diagonale?! Dovevi chiuderlo tu quello là!

– …

– Cazzo, ma perché non passi la palla? Ero libero!

– …

– Cazzo, ma chi lo doveva marcare quello? Dov’eri con la testa?!

– … – Cazzo, ma…

– [Mi fermo in mezzo al campo, prendo il pallone in mano, mi dirigo lentamente ma con decisione verso di lui, tengo stretto il pallone, glielo porgo, lui non capisce e fa per prenderlo ma ecco che lo sorprendo sbattendoglielo sulla faccia in modo ripetuto, sfruttando le peculiarità del terzo principio della dinamica e dunque faticando anche meno rispetto ad uno che fisica non l’ha studiata].

Da ragazzino ero bravissimo in francese. Dal primo giorno – prima ancora che sapessi una sola frocissima parola in quella lingua. Questo perché la professoressa fece il suo giro di conoscenza e chiese a tutti noi di ripetere una frase da lei pronunciata: questo facemmo, con tutti i limiti del caso. E quando fu il mio turno ricordo di aver provato, essermi impegnato, nel riprodurre quella pronuncia, con la massima attenzione, dedizione possibile. Il risultato non penso potesse essere entusiasmante ma quella donna ebbe l’intelligenza di dirmi: “Bravissimo, si vede che sei portato. Sono certa che imparerai il francese prestissimo“. Non ci credeva. Ma fu altamente motivante. Era la pacca sulla spalla, il complimento aprioristico, il sorriso: non importa se di ipocrita incoraggiamento o di apprezzamento. Mai fece l’errore di demotivarmi, di mettermi a paragone con altri in classe. E questo anche con gli altri: eravamo tutti diversi. E anche i ciucci non venivano mai mortificati. Ripresi per gli errori sempre, ma col fine puramente educativo. Glielo riconoscevamo. In primis quelli che gli errori commettevano. E c’era un sorriso per tutti.

Quante professoresse di francese avete incontrato nella vostra vita? Quante ne vorreste incontrare? A me manca gente così.

Mi manca quel modo di intendere i rapporti con le persone e quella capacità di saper tirare fuori il meglio da chiunque. Manca il suo farmi sentire “speciale”, la sua forza nel prevenire i miei errori (sono diventato davvero bravo poi) grazie al solo fatto di trasmettermi fiducia e creare aspettative che non potevo deludere. Non volevo deludere. Manca il suo sapersi mettere da parte come ruolo istituzionale e supportarmi totalmente come ruolo motivazionale.

Le poche persone che hanno saputo “essere la mia prof di francese” hanno ottenuto grandi risultati. Loro. Da me.

E compatisco chi ancora pensa che la frusta faccia più tirare il carro a Varenne.

Quella funziona con gli asini, che parlano un pessimo francese e manco fanno una diagonale.

E comunque anche loro tirano di più solo per poco.

Poi scalciano.

In medium stat virus

La vittoria della Juventus in questo campionato mi ha mostrato inconfutabilmente come io sia esattamente nel mezzo. Metà tra chi ne ha gioito, chi ha sofferto e chi se n’è fottuto totalmente.

Voglio dire, spesso mi trovo in questa salomonica situazione di limbico baricentro: vedo gente presa da un argomento, su cui già in partenza provo un medio grado di interesse (non zero, non totale) e la osservo mentre si schiera in modo estremistico da una parte o dall’altra. Nel caso di specie, io seguo il calcio, e questo campionato – questa lotta tra Milan e Juve – l’ho trovata divertente e calcisticamente interessante. Ma non parteggiavo in particolare per nessuno. Poi ha vinto la Juventus e i suoi tifosi si sono scatenati. Mentre i milanisti tiravano in ballo il gol di Muntari, gli infortuni e quant’altro. Io nel mezzo, a trovare le ragioni di entrambi, fare spallucce e passare a Youjizz.

Gli animalisti, che ogni giorno pubblicano foto di cani seviziati, abbandonati, cassintegrati. Dall’altra parte quelli che portano avanti la tesi dell’indispensabilità della sperimentazione animale o che sfoggiano scarpe di coccodrillo albino vivo. Io nel mezzo, a trovare le ragioni di entrambi, fare spallucce e passare a Redtube.

Gli impegnati politicamente, che si coalizzano contro “gli altri” e non fanno altro che sostenere la propria fede, inneggiare, sloganare. Di contro, gli sfiduciati, quelli che “Tanto rubano tutti”, che a votare non vanno e che continuano a ricordare Beppe Grillo quando faceva ridere e del Movimento 5 stelle pensano sia una posizione del Kamasutra praticabile solo con mignotte di lusso. Io nel mezzo, a trovare le ragioni di entrambi, fare spallucce e passare a Xhamster.

Sono giorni che su Facebook vedo scudetti, delpieri, intermerde e milanmilansoloconteeee… Sciarpe, gagliardetti, “Solo la Juve nel cuore”, “Solo il Milan nel cuore”, “Solo una extrasistole nel cuore” (per i tifosi più sfortunati). Ma anche tantissimi che si lamentano di tutto questo: “Basta con questo calcio, non se ne può più! Il Rugby sì invece, il basket sì invece, un polmone d’acciaio sì invece, tutto invece.”

Davvero io non riesco a schierarmi: capisco tutti. Ma non per diplomazia: è che in fondo hanno tutti ragione. Io invece non riesco mai ad appassionarmi a qualcosa in modo viscerale. Arrivo ad un grado di interesse medio, a volte medio-alto, raramente alto. Poi mi rompo e passo appresso.

Da piccolo, alle medie, scelsi di tifare Juve. L’anno prima però ero dell’Inter. Quello precedente ancora della Roma. Ero una zoccola, d’accordo (allora solo calcisticamente) ma in fondo non avevo dentro alcun fuoco sacro calcistico. E questo vale un po’ per tutto: ho le mie idee politiche ma non scendo in piazza ad urlarle. Non farei gratuitamente del male ad un animale ma se calpesto una lumaca è più il fastidio per lo schifo che il dolore per la perdita.

O forse il dolore per la perdita.

Ecco, questo voglio dire.

Non c’è un argomento che mi stia a cuore particolarmente. E dire che mi interesso a tutto. O è proprio per questo? Forse. O forse no. Ma la questione non mi appassiona tantissimo. A conferma dell’assunto.

Mi piace andare in palestra ma se c’è una bella partita di Champions la preferisco ma se è una bella giornata di sole scelgo di fare un giro in moto ma se mi gira il cazzo torno in palestra.

Mi vanno delle patatine fritte, posso scegliere se metterci maionese, ketchup o entrambe le cose. O niente. Parto con la maionese, un paio di patate, poi il ketchup, poi li mescolo, creo salsa rosa, mangio ancora un po’, poi mi vanno patatine senza nulla, poi ancora solo ketchup, poi… A tutt’oggi non so come mi piaccia mangiare le patatine. O forse mi piace proprio così: cambiare, variare. Ma se non ho nulla a disposizione va benissimo lo stesso. Per questo non riesco a schierarmi con nessuno, nè contro nessuno. Se ci fossero degli estremisti del ketchup li capirei, ma non starei con loro. Se ci fossero gli oltranzisti della maionese li capirei, ma non riuscirei a sposare la loro causa.

Questo post potrà interessare qualcuno? Se verrà ignorato mi dispiacerà, se condiviso mi farà piacere. Ma niente di che, eh.

E poi so che avrete apprezzato comunque gli indirizzi dei siti porno.

Io al tempo li apprezzai.

Mediamente.

 

Come titolo inserirei una litote, a sapere cosa sia

Nell'immagine, Noam Chomsky illustra le dieci strategie della manipolazione attraverso i mass media.

 

Mi sveglio la mattina, mi do una sciacquata, mi rado e poi mi faccio la barba. Poi dedico un minuto ad imparare una parola nuova: domani tocca a “radere”.

Subito colazione con giornale: costa poco e riempie, anche se allappa un po’ e lascia la lingua nera.

Preferisco lasciare la macchina in garage e andare al lavoro a piedi, soprattutto perché ad usarla troppo si consuma benzina e il proprietario prima o poi se ne accorgerebbe.

Prima di entrare in ufficio dimentico qualcosa a casa: lo faccio sempre e mi consente di concentrare la mia disattenzione su uno specifico oggetto, in modo da non dimenticarne altri. Oggi però ho dimenticato le chiavi e quasi non sono potuto rientrare a casa. Per fortuna avevo ricordato di non dimenticare le seconde chiavi, quelle che dovrò dimenticare domani.

In ufficio sono un abitudinario. Per questo soffro parecchio perché cambiano spesso arredamento, l’ordine degli archivi, il nome dell’azienda e il numero civico. E’ come se lavorassi ogni giorno per qualcuno diverso. Gli altri avvertono questa mia sofferenza e spesso cercano di darmi una mano, anche se il più delle volte nessuno va oltre un: “E lei chi è?”.

Il mio terapeuta mi ha consigliato lunghe passeggiate all’aria aperta, respirazione regolare e alimentazione sana. Che poi sono quei consigli buoni sempre. Sono talmente di buon senso che funzionano anche di proprietà transitiva. Per questo faccio lunghe e sane passeggiate, respiro all’aria aperta e mi alimento regolarmente. Oppure faccio sane aperture a nuovi alimenti, passeggio senza dimenticare di respirare, e questo regolarmente. O ancora vado di lunghe respirate regolari, mi alimento all’aria aperta e uso un bastone da passeggio su mia moglie.

Nel pomeriggio rientro in azienda, ma non ho turni pesanti: “Lei, ancora qui?”.

Il mio hobby? I blog. Li trovo divertenti e fanno passare il tempo. Ne ho diversi anche io. Non ci pubblico mai niente: mi limito ad aprirli e abbandonarli subito dopo. Lo stesso faccio con le email. Ho sessantaduemila indirizzi, aperti negli ultimi cinque anni. Probabilmente quello che state usando voi è mio.

Non ci credete?

Scommettiamo che vi dico la password? ********, vero?

Potrei essere considerato un maniaco della precisione, se questo termine mi descrivesse nel minimo dettaglio.

Ho un pregio: non mi scoraggio mai di fronte le difficoltà. Un esempio? Cucino malissimo, ma questo non mi impedisce di mangiare regolarmente.

Saluti.
[Al ristorante sono Acquario. Lo dico qualora dovessimo uscire insieme e tu fossi Paolo Fox].