God save the queen

Provare insieme un senso di totale imbarazzo e assoluta impotenza nell’uscire da una situazione che ti si costruisce addosso in un istante.

Sabato sera.
Un caro amico, F., che gestisce un service (allestisce audio e luci nei locali), intorno a mezzanotte mi chiama e mi chiede se possa andare a dargli una mano per smontare l’impianto, in modo più tardi da andarci a prendere qualcosa da bere in altro locale, anch’esso con altri impianti da smontare. Ovviamente c’è da dare una mano ad un amico e si va.
Insieme a me altro amico comune, M.: in tre ce la caveremo rapidamente.
Arriviamo: è una bolgia assoluta. Attorno a noi centinaia di svestitissime ragazze che ballano. Nostro compito è togliere attrezzature utilizzate per chi si era esibito poco prima dal vivo, niente di che.

– Oh, ma possiamo restare qua, no?
– Eh, magari. Ma c’è da andare presso ****** per smontare altra roba.
– Ma qui è un paradiso di gnocca!
– Vedrai che anche di là…
– Ok.

Tempo venti minuti e arriviamo da ******.
Proviamo a chiamare S., l’altro responsabile del service che ci aspettava. Niente, non risponde.
Comunque, le premesse sono anche migliori delle precedenti: dal parcheggio auto, le ampie vetrate del locale al primo piano svelano stanghe chilometriche agitarsi su invisibili ed altissimi cubi.
I buttafuori ci riconoscono e ci fanno entrare.
Appena dentro riproviamo a chiamare S., ma niente.
Due ragazzi si tengono per mano.
F. si gira verso di noi con una espressione a comunicare l’articolato concetto: “froci”, comunque privo di qualunque intento discriminatorio o giudizio etico.
Ma ecco che un metro più in là altri due ragazzi, che si baciano.
F. si volta con una espressione che stavolta pare dire: “ammazza quanti froci“. Annuiamo.
Dalle scalette intanto scendono tre ragazzi, evidentemente brilli, che ridono e… si accarezzano.
A questo punto iniziano i dubbi.
Saliamo e vediamo la stanga in tubino bianco sul cubo che si intravedeva dal parcheggio.
Ecco, non è sul cubo. E’ alta due metri e dieci. Reali. Senza tacchi.
Inoltre non è bionda naturale: indossa una parrucca.
Ultima notazione: è un uomo.
E attorno altri uomini, con tacchi a spillo, latex, gonne inguinali, trucco.
Siamo capitati in una festa gay.

Chi mi conosce sa che non solo non nutro alcun tipo di pregiudizio, ma davvero sono talmente aperto di vedute da essere stato tacciato io stesso di omosessualità latente per avere diversi amici gay. Non mi sono mai sentito offeso perché l’essere gay non significa assolutamente nulla. Non è una patente che ti distingua in alcunchè. Ritengo semplicemente ridicolo discriminare qualcuno per i propri gusti sessuali. Ridicolo l’offenderli. Ridicolo usare infantili epiteti.
E’ semplicemente che avevo ben altre aspettative sulla conclusione della serata, diciamo così.
Invece mi trovo in mezzo a froci del cazzo.

Comunque.
C’è il ricchione del Grande Fratello che viene intervistato da una troupe televisiva.
I progetti di sesso orgiastico crollano. Comunque si è là per un lavoro, si fa e si va via.
Ma ecco che arriva S. che ci informa che la cosa si prolunga più del previsto. Non si può smontare nulla per un bel po’ ancora. Le alternative sono di restare a tempo indeterminato o andar via e poi tornare. Il dilemma non è da poco: siamo in una bolgia infernale, in ogni senso. Proviamo ad accomodarci sui divanetti per qualche minuto ma riceviamo insistite occhiate, un paio di inviti e lancio di baci.
Alla prima bottiglia di prosecco offertaci da quelli che sembravano i fratelli zippati degli Scissor Sisters reagiamo cercando di diffondere inequivocabili segnali di virilità, ma il ruttare viene coperto dalla musica a palla, grattarsi il culo pare più un segnale di richiamo e tenere collo e polsi rigidi non sembra dare gli sperati risultati.
Tra l’altro io indosso anche una sciarpetta identica a quella di un mulatto in canotta rosa. Che lo nota e mi fa ciao con la manina.
Pensiamo sia arrivato il momento di andare via ma ecco, il dramma.
Davanti a me un ragazzo, che riconosco: da piccoli si giocava assieme e tutti lo prendevano per il culo per i suoi modi effemminati (da ragazzi si è così, si sa).
Il suo è uno sguardo a metà tra il sorpreso e il compiaciuto. Con un’occhiata mi ha chiaramente comunicato questa frase:
“Ma bene! Eccolo qua. Il supermacho, quello che per anni mi ha rotto il cazzo con la mia omosessualità. E insieme a due altri bei maschioni. Vergognati! Per tutte le cose che mi hai detto! Sei una merda! Ipocrita, falso, frocio!”.

E anche ricorrendo a tutta la mia capacità espressiva, pur riportando alla mente centinaia di film, di volti di attori, di momenti comunicativi tra i più vari che la mia mente potesse ricordare, non sono riuscito a trovare una faccia che comunicasse tutto insieme un: “No! Non è come pensi! Sono qui per smontare impianti audio, nonostante possa sembrare che…”.

Fino a “No! Non è come pensi!” ci sarei anche riuscito. “Impianti audio” mi veniva davvero male, ma penso pure ad Al Pacino.

Insomma, mi sono arreso all’evidenza. Abbassato il capo ed accettato si compisse il mio destino.

E pure il mesto saluto fatto alla tv, con espressione di chi percorre il Miglio Verde, a quel punto mi è sembrato doveroso.

 

 

Yes, another pippon about the satire’s limits

Pescara, bimba uccisa in un centro commerciale da pesante statua. Fu eretta in memoria dei bimbi travolti dalle statue.

Pesante, eh?
C’è una bambina che immediatamente richiama senso di protezione. Una morte tragica, accidentale, che ci è geograficamente vicina (Italia… vabbè, Pescara ma più o meno ci siamo) e con una dinamica sì inusuale ma all’interno di uno spazio di comune quotidianità (il centro commerciale). Insomma, c’è una identificazione ed una immedesimazione nella tragedia che blocca naturalmente – in molti – qualunque parvenza, accenno di sorriso.

Ana Laura Ribas è malata e teme di perdere l’utero. Ma si sa che alla fine sarà accanto alle chiavi, nella solita borsetta.

Difficile da digerire anche questa ma siamo una tacca sotto, quanto ad intollerabilità, rispetto alla battuta precedente. E non perché là ci sia una morte e qui no (non ancora). Quanto per il diverso soggetto colpito dal dramma. La soubrette, a livello empatico, vale meno della bambina pur sconosciuta. L’identificazione torna prepotente però se il lettore conosce quel male, direttamente o meno (un parente, un amico malato). Di nuovo la battuta torna ad essere intollerabile.

Sabaudia, 66enne bruciato in casa. E’ che freddo improvviso e maltempo quest’anno hanno colto tutti impreparati e ci si arrangia con quello che si ha a disposizione.

Ulteriore distacco: la persona è del tutto ignota. Si tratta sempre di una morte ma 66 anni non sono 8 e pur se la cosa è accaduta in Italia in parecchi possono trovare divertente questa battuta.

Salonicco, imprenditore si dà fuoco davanti una banca. L’UE apprezza il gesto ma la Grecia deve fare di più.

Stacco emotivo ulteriore: siamo in un’altra realtà, chi muore è un imprenditore (trasmette senso di potere, non certo di indifesa passività come la bimba). Ci sono tutti gli ingredienti per un sorriso liberatorio che esorcizzi paure diverse (della morte, della crisi…).

Sidney, avvocato muore travolto da un’auto. Sul posto erano presenti suoi colleghi, che si sono subito contesi la carcassa.

Totale lontananza, emotività ridotta all’osso (a meno che non si sia avvocato): Australia, soggetto-avvocato, immagine stereotipata di squalo tra gli squali.

Questo per dire cosa? In realtà nulla di nuovo per chi bazzica da queste parti. Si tratta di una autoriflessione, indotta dalle sfanculate prese per le battute pubblicate su Simoncelli all’indomani della sua morte.
A nulla è servito spiegare che si trattasse di battute SULLA MORTE e non su Simoncelli o sui CAPS LOCK usati a sproposito per enfatizzare parti di frase.
All’ennesimo: “Vergogna, non si scherza sui morti” mi è venuto da cercare battute pubblicate su altre meno illustri morti, di quelle senza vaporosi riccioli sotto un casco. Di quelle di anonime genti, magari geograficamente lontane. Di quelle insomma di cui non ce ne fotte un cazzo.
Le morti un po’ meno morti.

Ma mi sto rendendo conto che questo percorso di crescita, circa la consapevolezza che la morte fa parte della vita, che “non si scherza sui morti” non significa un emerito cazzo perché siamo già tutti morti – vivi con scadenza, almeno – e non lo vogliamo accettare, questa tendenza a schierarsi dalla parte dei buoni indignandosi per una battuta su Simoncelli ma fottendosene per il bambino angolano morto contemporaneamente a lui (mica si può passare la vita a struggersi per ogni defunto), tutto questo non cambia. E non cambierà.
Ci sarà sempre la maggioranza di persone che non riuscirà mai a buttar giù l’amaro calice, e si nasconderà dietro uno scudo di purissima ipocrisia con frasi tipo: “e se capitasse a tuo figlio?”.
Beh, capiterà.
Morirà anche lui, magari tragicamente. Ma mentre è su questa terra vorrei insegnargli il piacere dello sbeffeggiamento del Male, la forza esorcizzante del perculamento della sofferenza in sè. Trasmettergli gli strumenti necessari a saper distinguere tra ciò che è davvero importante (nulla) ed il resto delle cose (nulla).

E a rispettarsi.
Rispettare se stesso, la propria intelligenza.
Non cedere alle ipocrisie, non lavarsi la coscienza mettendo su Facebook uno status lacrimevole su Simoncelli, non cercare di sentirsi vicini ai morti alluvionati di Genova tramite la pubblica condanna di battute che quei morti ricordano decisamente meglio di te, che mi stai mandando affanculo sulla base della tua pura, semplice incapacità di affrontare le tue paure.

Sei una merda. Non cercare di apparire diverso da questa.

Sii orgoglioso di esserlo, come lo sono io.

La mia banca è repellente

 

Ricevo email da BNL:

Gentile cliente,
la informiamo che il suo nominativo è stato estratto nell’ambito della promozione “preaccordato” che le consente di richiedere un finanziamento per ottenere, in modo rapido, una liquidità aggiuntiva con un set documentale ridotto rispetto a quello previsto per l’istruttoria standard e scegliere l’importo desiderato attraverso una delle combinazioni proposte.
Certi di ottenere l’apprezzamento per questa vantaggiosa offerta restiamo in attesa di un suo cortese riscontro.

Faccio presente che io ho davvero un contro BNL, dunque l’email ricevuta, con tanto di mittente reale (nome e cognome, non un generico bnl@bnl.it) sembrava indirizzata a me per comunicazioni realmente personali, vieppiù per il fatto che non ricevo mai email phishing da quella banca.

Insomma, questi mi scrivono per darmi l’opportunità di indebitarmi con loro. Ma in modo agevolato. Presentando meno documenti. In modo da rovinarmi con maggiore facilità.
La ritengo una opportunità imperdibile. Ma ci pensate: portare solo 3-4 documenti in luogo di 7-8?
Mica mi propongono un tasso diverso, di qualche punto percentuale sotto quello praticato agli altri clienti, per la mia affidabilità… no. Quest’ultima è valutata come bonus per ottenere da loro soldi, da restituire con le stesse condizioni di un pluriprotestato. Ma recandomi in agenzia con qualche foglietto in meno.

Risponderò alla email:

Gentile NomeCognome@bnl.it,
la informiamo che il suo nominativo è stato estratto nell’ambito della promozione “cornuti & contenti”, che consente a sua moglie di richiedere la solita chiavata (la stessa che le forniamo da tre anni circa, con soddisfazione reciproca) ma in modo rapido, con una semplice email di risposta alla presente, in luogo dei soliti sotterfugi che siamo soliti organizzare per vederci quando lei si trova al lavoro o in viaggio.
Certi di ottenere l’apprezzamento per questa vantaggiosa offerta restiamo in attesa di un suo cortese riscontro. Magari col solito squillino col quale sua moglie ci informa che lei è uscito di casa.

Amore è stocazzo

Ero da un amico, l’altro giorno. Stava cazzeggiando su Facebook – mi ha mostrato una robetta divertente sulla sua bacheca, non ricordo manco cosa.
Mi ha fatto specie invece l’insieme, quel che gli compariva, la sua bacheca appunto, ma nel complesso.
Voglio dire: noi (chi di noi è su FB) abbiamo una certa cerchia di amici e la nostra pagina è la risultante delle cazzate che questa massa pubblica. Si tratta di un insieme vario e disomogeneo, ovviamente, ma si ha una tendenza ad immaginare che quel che appare a me per grosse linee appaia anche ai miei amici facebookiani, non foss’altro per le amicizie comuni.
Mi sono accorto che così non è. Che i punti di contatto tra il mio mondo e quello altrui sono davvero pochi e che manca del tutto l’effetto “smorzamento ambientale”: ogni mio eccesso ha una eco vastissima su una bacheca altrui. Se pubblico una cazzata si vede. Molto. Si perde ogni visione d’insieme, nonché la giustificazione creativa della stessa.
Faccio un esempio: condivido con un gruppo di satira una idea creativa: cambiarci tutti l’immagine del profilo, mettendo un culo con su uno slippino risicatissimo, col logo “Umore Maligno”. Lo facciamo un po’ tutti (una quindicina di cazzoni) e la nostra bacheca sarà un fiorire di questi culi. E la cosa ha un suo “senso creativo” (scusate l’iperbole).
Ma il mio amico, esterno al gruppo de quo, vedrà solo la mia fotina, decontestualizzata. E penserà: “che cazzone!”, (con piena ragione a prescindere). Ma gli viene a mancare del tutto il contesto nel quale è nata quella boutade, quando per me quella immaginetta non era che una delle tante in mezzo a tante: quindici persone, mediaticamente logorroiche, che rendono la mia personale bacheca un florilegio di culi griffati, creando un ambiente surreale, in cui il mio culo si perde tra i tanti.
Altrove no: c’è solo quel culo, col mio nome sotto. Un po’ come sulla mia carta d’identità, ma ancora più evidente.
Per questo ricevevo messaggi privati del tipo “ma che cazzone che sei!” o “non ci credo: hai messo un culo come foto del profilo!”. Era gente sorpresa, e a ragione, perché del tutto priva di qualsiasi conoscenza della genesi della cosa.
Questo però – e qui provo a trasmettere un preciso messaggio – vale anche all’opposto: quello che tu, cara la mia romantica depressa, quotidianamente condividi, in modo automatico e distratto, quello che sulla tua bacheca si perde tra le centinaia di messaggi simili ai tuoi, delle tue amiche – e si parla di frasi precotte, foto di tramonti o di corpi che languidamente si abbandonano alla passione di superiori sensi – quello che insomma, nel tuo contesto e stante la tua cerchia di amici, è per te “ordinarietà”, sulla mia personale bacheca è un pugno in faccia. Io vedo solo quello, perché spicca come e più di mille culi al vento, perché la mia, di cerchia, è usa pubblicare tutt’altro: cose anche eccessive, ma proprie, cercando di non cadere mai nella banalità o in toni da posta del cuore di “Cioè”.
Insomma, dopo una onlus socialmente impegnata in Uganda, dopo una segnalazione circa la ricostruzione di una scuola in una zona difficile, arriva quel cazzo di love is in the air.
Ed è solo per pura coincidenza fortunata che i toni si risollevano con un aforisma  di “Troll dell’amore” davvero al posto giusto, al momento giusto.

Per questo scelsero Barabba invece di Gesù.

UMC accoglie serenamente la notizia circa il passaggio del testimone ai Macchianera

In molti mi stanno chiedendo un parere sui Macchianera di quest’anno. Se consideriamo “molti” mia mamma. Dirò dunque due parole in quanto cattivo uscente della categoria “più cattivo del web”.

Bene, non sono più il cattivo. Ci sono altri più cattivi di me, ne prendo atto, sono autocosciente (cit.).
Avrei dovuto evitare di lavare i piedi a quei barboni.
Avrei dovuto lasciar annegare quei bimbi.
Avrei dovuto farmi i cazzi miei in quell’incendio.
Avrei dovuto conservare per me il biglietto vincente della lotteria, invece di donarlo a quel mendicante.
(Così non sono credibile)

Insomma, dovevo aspettarmelo.
Onore ai vincitori. Nella mia categoria Anonymous. Secondo Agcom. Onore anche a Al femminile, 69 giri, Beppe Severgnini, Beer hunters…
Mancavano altri candidati con una “A”, una “B” o un numero nel nome o comunque fisicamente in cima alle liste, al primo o secondo posto.

Dunque la strategia vincente per i Macchianera è chiara:
1) Se candidati nelle principali categorie, essere una gioiosa ed enorme macchina da guerra, spinta da una community vastissima e motivata, oppure da Repubblica;
2) Se candidati nelle categorie secondarie, mettersi una “A” nel nome e godere dell’effetto “che cazzo ne so, chi cazzo li conosce questi? Boh, metto il primo della lista”.

Per questo da oggi per voi sarò: “AUomoMordeCane”.

So cosa state pensando: “Dio come sta rosicando questo!”. In tutta sincerità e giurando sui miei figli dico di no. Ve lo assicuro. Si tratta di riflessioni che farei comunque. Anche se avessi figli. Anche se non stessi rosicando.

Preciso: non è vero neppure il contrario eh: non è che chi ha vinto lo abbia fatto solo perché era su, in cima all’elenco. Io stesso ho votato Beppe Severgnini. E Anonymous è stato davvero cattivo. Meritava.
Insomma, ci siamo capiti. Essere su nella lista è una scriminante importante. Non certamente l’unica. Con un suo peso tanto maggiore quanto più di nicchia il contesto di categoria.
Per esempio, Spinoza ha vinto perché è giusto così, poche storie. E’ il sito di satira più conosciuto ed essendo questo un voto basato sul consenso popolare nessun altro poteva (e doveva) aggiudicarsi quel premio. Ma qui si tratta di un fenomeno di massa, come Spinoza, appunto. In altre categorie non è così. Manca il catalizzatore.

Ho condotto un piccolo esperimento sociale coi miei colleghi. Chiesto loro di votare, indicando quelle 4-5 categorie, ma lasciandoli liberi poi di esprimere preferenze senza indicazioni. Li osservavo mentre impietosamente colpivano le caselline in alto, con un continuo sottofondo di “boh” e di “l’anno prossimo non chiedermi ancora di votare tutta ‘sta roba”.

L’altra obiezione: “ma la cosa non valeva anche l’anno scorso?”. Sì, ma meno. Meno per un discorso di numero di candidati (10 in luogo di 5 per categoria, il che allunga ulteriormente la lista, creando un effetto “Oddio quanti, ma davvero li devo votare tutti?”); meno per un discorso di numero di votanti (17.000 quest’anno), persone che per la maggior parte hanno conoscenza ed interesse solo in deterrminate categorie. Nonché competenza: quanti di quei 17.000 conoscono la differenza tra l’agenzia di stampa Iaki e l’agenzia Ambito 5? Quanti riescono ad apprezzare le sfumature grafiche di siti fotografici come Alessandro Gaziano o Adriano Zanni? Quanti si sono letti tutti i 10 post nella categoria miglior post dell’anno?
Io stesso dico che no, non l’ho fatto.

L’obiezione di Gianluca Neri, espressa anche sul palco è stata: “facciamo votare in tutte le categorie perché vogliamo evitare che in quelle secondarie pochi voti determinino il vincitore”. E’ un ragionamento che ci sta, ma solo in superficie. Perché vale allora anche esattamente l’opposto: quei pochi che votano in quella categoria sono proprio quelli interessati, che conoscono la stessa. Magari gente che lavora in quell’ambito e le agenzie di stampa le conosce davvero. O che fa il fotografo e sa valutare quale candidato meriti di vincere. Persone che frequentano realmente Giallo Zafferano e gli altri siti di cucina. Che io personalmente rifuggo per mio personale disinteresse. Ma ce ne sono: persone interessate e competenti, che anche nelle categorie marginali sanno di cosa stanno parlando (votando).
E non regge l’obiezione che con pochi voti basta autovotarsi per stare in cima. Questo lo fanno già tutti, si sa. E la cosa fa sì che ci sia un sostanziale equilibrio. Spezzato solo dai voti di gente che – ripeto – se vota in quella categoria lo fa con cognizione di causa, non a casaccio perché costretta.

Il voto obbligatorio in tutte le categorie, insomma, va ad edulcorare i voti “pesanti”, quelli espressi da persone “qualificate”.

E’ come se ci fossero una ventina di scienziati che devono esprimersi sulla validità dei recenti studi circa il superamento della velocità della luce, e lo fanno con competenza e conoscenza dell’ambito nel quale stanno muovendosi. Ma vengono messi in un palazzetto dello sport, con altri 5000 cittadini qualunque, che si esprimono sul quesito “vogliamo comprare Kobe Bryant? E già che ci siete, mettete pure una crocetta qua sulla questione dei neutrini”.
Quel voto qualificato e competente va a puttane, come il blog di Luttazzi.
Quando a me piacerebbe davvero conoscere il parere di chi è pratico della materia. Quando a me piacerebbe davvero sapere da un gruppo di fotografi o di persone che si dilettano con la fotografia, quale sia il miglior blog fotografico. Io ho votato per il primo della lista, per non saper nè leggere nè scrivere.

Io inserirei, in ogni categoria, la voce: “non mi intendo di questo settore, preferisco non votare”. Un “non sa/non risponde” che permetterebbe comunque di avere anche il polso del reale numero di interessati alla categoria de quo. E fungerebbe da dato statistico interessante. E questa voce proprio in cima all’elenco.

Altra obiezione: UMC, ma perché non l’hai detto prima? Parli ora solo perché hai perso?
Per chi mi avete preso? Certamente.

Vieni qua figliolo, ti racconto come si divertiva nonno…

Ho letto un articolo su Repubblica:

In sintesi la cosa è nata tra i nerd della Silicon Valley: questi ragazzi si inventano giochi tipo il reverse shoplifting, nei quali piuttosto che rubare inseriscono, senza farsi vedere, un prodotto in un negozio che il titolare dell’esercizio può rivendere, oppure costruiscono segretamente giochi per bambini, o ancora si sparano con sofficissimi proiettili di gomma piuma.
Sull’articolo si parla di “bande di giovani alla ricerca in un modo originale di creare comunità in un epoca in cui proprio i mezzi digitali rischiano di isolarli dal contatto umano diretto“.

Trovo il tutto socio-antropologicamente rilevante: in un’epoca nella quale si rischia l’autoemarginazione da social media, il ritorno ad ancestrali strutture giovanilistico-tribali potrebbe essere salutare per chi si cimenta in queste forme ludiche di contatto umano.

Ma scopare?

Mi ricordo ci provaste anche con il curling

Ma non ha un po’ triturato la minchia anche a voi ‘sta modaiola passione per il rugby?

Italia battuta dai grandissimi australiani per 32 a 6. Ma il primo tempo si era chiuso sul pari” .
Ma“?
Cos’è quell’avversativa?
Trentadue a sei. Dico: TRENTADUE A SEI.
Facciamo cacare o no?

L’orgoglio italiano, la grinta dei nostri ragazzi che nonostante tutto...”.
Nonostante tutto ‘sta ceppa.
TRENTADUE A SEI.

Ma cosa, eravate una dozzina in meno in campo? Avete fatto la pausa caffè? Ci siete andati o no a giocare?

Dico io, ci sta pure la sconfitta, ma non menate il cazzo con la storia dell’orgoglio e dell’aver tenuto testa a dei mostri.
Se sono di un’altra categoria non partecipate. Lottate al vostro livello. Scegliete San Marino, Cipro, Malta. Lo dico per voi, figuriamoci a me cosa interessa sapere che un gruppo di sconosciuti energumeni con denti rotti e cicatrici si menano a migliaia di km da casa mia. Se fossi interessato a queste robe metterei una webcam in qualche ospizio.

Ma poi: ma chi se ne fotte del rugby? Su. Siamo seri. Al massimo i rugbisty. Gente sottratta ad un più onesto spaccio. Gente che non vorresti mai incontrare in un vicolo buio. Gente che non è sicuramente il tuo capufficio. A meno che il tuo ufficio non sia uno spogliatoio.

E questi ora fanno pubblicità. Mi vendono Sky, abbonamenti internet, scarpe.
Quali scarpe puoi mai indossare, di mio gusto e fattura, tu che sembri un identikit?

Non capisci. Il rugby è uno sport nobile“.
Ma certo. Ce lo vedo, Sir Richardson, sorseggiare un Twinings alle 17 mentre si rivolge a Lord Chesterfield:
– Mio cavo amico, vitieni che in caso di mischia dovvemmo appvofittave della nostva supeviovità dialettica e demovalizzave gli avvevsavi?
– Oh buon Dio, Chavles, non mi pave una soluzione elegante.
– Hai vagione. Pasticcini?

Mi avete scassato il cazzo per anni con Luna Rossa, Mascalzone Latino e altri nomignoli degni di una canzone di Dean Martin. Cercando di farmi innamorare di termini incompresibili come bolina, spinnaker e Cino Ricci.
Non ce l’avete fatta.
Non riuscirete manco stavolta.

Trentadue a sei, Cristo!

 

 

Piccole donne. Ma pure gli uomini non scherzano.

Domani convola a nozze la mia ex ragazza.

E’ sempre una sensazione particolare quando accade: nonostante sia già la sesta volta che si sposa.
Sì, ha questa compulsione: si sposa sempre. E sempre mantenendo i precedenti mariti.
Immagino la vostra obiezione: “guarda che non si può, non è consentito usare soldi pubblici per pagare stipendi a puttane che ti sei scopato e hai messo in qualche sottosegretariato“. Condivido completamente il vostro appunto ma avete sbagliato post.

Insomma, le ho fatto i miei auguri, ma ora, dopo sei matrimoni, è difficile essere originali. Così me ne sono uscito con un: “in culo alla balena” del tutto fuori luogo, non fosse stato per la presenza della madre.

Sposa uno bassino stavolta. Lo conosco anche, ci siamo subito presi in antipatia.
E’ che io ho un problema con le persone basse. O meglio, loro hanno un problema con me. Credo la cosa dipenda da tutta una serie di complessi fattori che possono essere sussunti all’interno della famosa storiella di Esopo, il fratello di quello che si voleva scopare la madre.

Insomma, l’ho conosciuto per caso al supermercato, e – non capisco perché – gli sono stato subito sulle palle.
Si rivolse a me così:

– Mi scusi, mi può prendere quel cartone di succo da quel ripiano in alto? Io non ci arrivo.
– Certo.
– Grazie… Ah no, non è questo che volevo, è succo d’uva questo, grazie lo stesso.
– Non faccia così, su.
– Cosa?
– L’uva… non è buona… e le solite storielle. Dai che è buona. E’ che non ci arrivava.
– Ma che dice?
– Guardi che non importa l’altezza. Non serve dire che l’uva non è buona perché troppo in alto.
– Ma lei è pazzo o cosa?
– Va bene, è acerba, come vuole. Arrivederci.

Vedete a volte come l’uomo sia mal disposto ad accettarsi?

Me lo ritrovai durante una passeggiata in centro, mano nella mano con la mia ex. Che me lo presentò:

– Ciao Max, questo è il mio ragazzo.
– Piacere. Stai pure seduto.
– Non sono seduto.
– Ah, ma noi ci conosciamo. Approfitto, volevo scusarmi per quella cosa dell’uva, penso ci sia stato un fraintendimento…
– Va bene, acqua passata.
– Bene, sono contento. Posso sedermi anch’io?
– Non siamo seduti!
– Max, sai che io e il mio ragazzo ci sposiamo?
– Ah, bene, mi fa piacere. E tu, porti gli anelli?
– Io sono lo sposo.
– Ah.
– Eh.
– Vabbè, ma almeno un anello allora lo porterai.
– ?
– E ti ci affezionerai.
– …
– Sempre se infilandolo non scomparirai per poi impazzire nella terra di Mordor.
– …
– Niente, cose mie. Ora vado, non ti disturbare, resta pure a sedere.
– Non sono seduto!
– Bene.

Insomma, che colpa ne ho se questi si risentono senza motivo?
Io non faccio nulla per rendermi antipatico a persone che ho nel cuore perché tanto sfortunate.

Ché poi questi fanno comunella tra loro (ma questa è storia conosciuta: vi ricordate quei sette là in miniera?). Ti escludono, parlano male di te alle tue caviglie.
Ma non si può che essere indulgenti e comprendere il dramma che vivono da sempre, che a noi normali pare cosa piccola ma per loro dev’essere enorme.

Auguri!

 

Magari in roaming

La miglior prova dell’impossibilità di mettere in comunicazione il mondo dei vivi e quello dei morti?
Mettetevi d’accordo con un vostro anziano nonno, uno di quelli che vi ama davvero, mentre è ancora in vita e possibilmente prima del suo (o del vostro) Alzheimer. E chiedetegli di apparirvi in sogno, dopo il suo trapasso, per darvi i numeri del Superenalotto.
Se esiste qualcosa “dopo” e se c’è la possibilità di comunicare è ovvio che lui per voi lo farà.
Bene.
Sappiate che io l’ho fatto davvero: fu una cosa che chiesi a mia nonna.
A tutt’oggi, a distanza di tanti anni dalla sua morte, manco un numero, un’apparizione, un cazzo.
Dunque le ipotesi sono tre:
– Non è possibile comunicare con l’aldilà, dunque piantatela con quelle stupide preghiere. E non venitemi a dire che magari la comunicazione può avvenire in una sola direzione, non siamo nel direttivo del PDL. In ogni caso ci sono più possibilità che sia Ringo Starr a comunicarti qualcosa che George Harrison o John Lennon. Su Mc Cartney non mi pronuncio;
– Non esiste alcun aldilà;
– In realtà a mia nonna stavo sulle palle.