Mi dice la mia amica che dovrei smetterla di chiamarla così. Il nostro rapporto si è evoluto e ora possiamo validamente parlare di fidanzata. Ed è quello che farò d’ora in poi. La mia fidanzata, quando era ancora solo amica, mi parlava sempre di quanto sarebbe stato bello avere un figlio tramite sesso. A me piaceva solo la parte scritta dopo “tramite” ma per lei quella era la parte più pallosa. Forse per questo si dice che l’amore funziona quando si è complementari, così si finisce per stare tutti scontenti allo stesso modo e non solo uno. Comunque alla fine la mia fidanzata ha scelto di fare sesso con me per procreare e ora lei aspetta un bambino. Io non sapevo che quel sesso sarebbe stato diverso dal solito, quello senza il bambino finale. Ho fatto le mie cose proprio come tutte le altre volte ma qualcosa quella volta era andato storto per me e dritto per lei. Insomma adesso le cresce la pancia ogni giorno, anche se non è che lo noti da un giorno all’altro. Se aspetti due settimane però lo noti. Dopo un mese ti ci puoi giocare le palle del nonno. La mia fidanzata ha la pancia sempre più gonfia e prevedo riesca a superarmi entro aprile, se non accelero io prima con la birra. Eppure non mangia niente se non gli yogurt con dentro miliardi di fermenti, fortissimi solo a chiacchiere. Io pensavo che della Marcuzzi ci si potesse fidare. Credo avvierò una raccolta di firme contro il bifido.
Rivivificare vecchi post pubblicati altrove
Scorporato
Mi dice “che fai oggi?” e io “niente, porto a spasso il cane e poi prendo per la Nomentana. Se vuoi però ti mando il percorso completo con le mappe di Google”.
Lei: “lo sai che non ci sentiamo da trent’anni?”, io: “ieri sono stato dal dentista però“.
Che non era vero ma ci devo andare la settimana prossima e le bugie piccole si possono dire.
Lei: “ma ti ricordi quanto era bello quando eravamo piccoli?“. Io le ho risposto che non me lo ricordavo perchè è passato molto, moltissimo tempo. E comunque era anche il cane che mi distraeva. Quando sono tornato a casa che il cane dormiva, però non me lo sono ricordato lo stesso. Domani la chiamo e glielo dico. Anzi, la chiamo subito, anche se sono le tre e mezza del mattino, hai visto mai che non dorme per il pensiero.
Però, pure lei, ma stai tranquilla, no? Voglio dire, aspetti trent’anni per chiedermi una cosa vecchissima e pretendi pure una risposta subito?
Comunque alla fine il cane ha fatto tutte le sue cose e l’ho visto molto rilassato ed in pace con il suo intestino. Stavo pensando di raccogliere delle firme per abolire i maltrattamenti sugli animali.
Decisionismo
Cedimento
Invadenze
Fruttato
L’altra cosa è che oggi mi ha detto che la sto tirando troppo per le lunghe, che se continuo così torna con Umberto. A parte il fatto che a me le minacce non piacciono, come il melone (il melone non mi piaceva nemmeno da piccolo, mi dava fastidio l’odore, specie quando veniva messo nel frigorifero) voglio proprio vedere se Umberto se la riprende indietro.
Io credo che a nessuno piaccia una senza tette che sta sempre là a menartela col melone.
Mi sembra di ricordare che ad Amsterdam uno vendeva polvere da fumare ricavata dal melone ma poi hanno raccolto delle firme per abolire le droghe.
Però non hanno raggiunto il quorum.
Adozioni
Avrei apprezzato un suo presentarsi spontaneamente
A chi continua con la storia della grande misericordia di Gesù e del suo immenso e disinteressato sacrificio per noi, a chi ci descrive il suo atto come forte e coraggioso ricordo che non si costituì ma fu arrestato*.
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Giovanni 18,1:
“Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cèdron, dove c’era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli”.
Luca 22,47:
“Mentre parlava ancora, ecco una folla; e colui che si chiamava Giuda, uno dei dodici, la precedeva, e si avvicinò a Gesù per baciarlo.
Marco 14,43-44:
“E subito, mentre ancora parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni mandata dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani.
Chi lo tradiva aveva dato loro questo segno: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta»”.
Luca 22,48:
“Ma Gesù gli disse: «Giuda, tradisci il Figlio dell’uomo con un bacio?»”.
Marco 14,46:
“Essi gli misero addosso le mani e lo arrestarono”.
Yes, another pippon about the satire’s limits
Pescara, bimba uccisa in un centro commerciale da pesante statua. Fu eretta in memoria dei bimbi travolti dalle statue.
Pesante, eh?
C’è una bambina che immediatamente richiama senso di protezione. Una morte tragica, accidentale, che ci è geograficamente vicina (Italia… vabbè, Pescara ma più o meno ci siamo) e con una dinamica sì inusuale ma all’interno di uno spazio di comune quotidianità (il centro commerciale). Insomma, c’è una identificazione ed una immedesimazione nella tragedia che blocca naturalmente – in molti – qualunque parvenza, accenno di sorriso.
Ana Laura Ribas è malata e teme di perdere l’utero. Ma si sa che alla fine sarà accanto alle chiavi, nella solita borsetta.
Difficile da digerire anche questa ma siamo una tacca sotto, quanto ad intollerabilità, rispetto alla battuta precedente. E non perché là ci sia una morte e qui no (non ancora). Quanto per il diverso soggetto colpito dal dramma. La soubrette, a livello empatico, vale meno della bambina pur sconosciuta. L’identificazione torna prepotente però se il lettore conosce quel male, direttamente o meno (un parente, un amico malato). Di nuovo la battuta torna ad essere intollerabile.
Sabaudia, 66enne bruciato in casa. E’ che freddo improvviso e maltempo quest’anno hanno colto tutti impreparati e ci si arrangia con quello che si ha a disposizione.
Ulteriore distacco: la persona è del tutto ignota. Si tratta sempre di una morte ma 66 anni non sono 8 e pur se la cosa è accaduta in Italia in parecchi possono trovare divertente questa battuta.
Salonicco, imprenditore si dà fuoco davanti una banca. L’UE apprezza il gesto ma la Grecia deve fare di più.
Stacco emotivo ulteriore: siamo in un’altra realtà, chi muore è un imprenditore (trasmette senso di potere, non certo di indifesa passività come la bimba). Ci sono tutti gli ingredienti per un sorriso liberatorio che esorcizzi paure diverse (della morte, della crisi…).
Sidney, avvocato muore travolto da un’auto. Sul posto erano presenti suoi colleghi, che si sono subito contesi la carcassa.
Totale lontananza, emotività ridotta all’osso (a meno che non si sia avvocato): Australia, soggetto-avvocato, immagine stereotipata di squalo tra gli squali.
Questo per dire cosa? In realtà nulla di nuovo per chi bazzica da queste parti. Si tratta di una autoriflessione, indotta dalle sfanculate prese per le battute pubblicate su Simoncelli all’indomani della sua morte.
A nulla è servito spiegare che si trattasse di battute SULLA MORTE e non su Simoncelli o sui CAPS LOCK usati a sproposito per enfatizzare parti di frase.
All’ennesimo: “Vergogna, non si scherza sui morti” mi è venuto da cercare battute pubblicate su altre meno illustri morti, di quelle senza vaporosi riccioli sotto un casco. Di quelle di anonime genti, magari geograficamente lontane. Di quelle insomma di cui non ce ne fotte un cazzo.
Le morti un po’ meno morti.
Ma mi sto rendendo conto che questo percorso di crescita, circa la consapevolezza che la morte fa parte della vita, che “non si scherza sui morti” non significa un emerito cazzo perché siamo già tutti morti – vivi con scadenza, almeno – e non lo vogliamo accettare, questa tendenza a schierarsi dalla parte dei buoni indignandosi per una battuta su Simoncelli ma fottendosene per il bambino angolano morto contemporaneamente a lui (mica si può passare la vita a struggersi per ogni defunto), tutto questo non cambia. E non cambierà.
Ci sarà sempre la maggioranza di persone che non riuscirà mai a buttar giù l’amaro calice, e si nasconderà dietro uno scudo di purissima ipocrisia con frasi tipo: “e se capitasse a tuo figlio?”.
Beh, capiterà.
Morirà anche lui, magari tragicamente. Ma mentre è su questa terra vorrei insegnargli il piacere dello sbeffeggiamento del Male, la forza esorcizzante del perculamento della sofferenza in sè. Trasmettergli gli strumenti necessari a saper distinguere tra ciò che è davvero importante (nulla) ed il resto delle cose (nulla).
E a rispettarsi.
Rispettare se stesso, la propria intelligenza.
Non cedere alle ipocrisie, non lavarsi la coscienza mettendo su Facebook uno status lacrimevole su Simoncelli, non cercare di sentirsi vicini ai morti alluvionati di Genova tramite la pubblica condanna di battute che quei morti ricordano decisamente meglio di te, che mi stai mandando affanculo sulla base della tua pura, semplice incapacità di affrontare le tue paure.
Sei una merda. Non cercare di apparire diverso da questa.
Sii orgoglioso di esserlo, come lo sono io.
Non è da questi particolari che si giudica un coglione
Non tengo per nessuna squadra di calcio. Ma lo stesso mi piace, seguo il pallone. Vedo le partite più importanti, mi godo il bel gesto tecnico, ma non mi fotte niente se al novantatreesimo la Lazio vincerà sulla Roma.
Questo mi tiene al riparo dagli eccessi tipici del tifoso: perderò le grosse soddisfazioni ma sarò al riparo dalle delusioni cocenti.
Penso che per spiegare il mio stato di grazia a chi invece ha qualche squadra nel cuore potrei ricorrere ad un esempio mutuato da tutt’altro settore.
Per me il calcio è come una bella e sconosciuta ragazza, con la quale passerò una notte di sesso. Non conosco niente del suo passato, nè mi interessa. Quando è nata, chi l’ha posseduta: irrilevante. Non so chi incontrerà domani e se da questi incontri ne uscirà con soddisfazione. E anche questo non mi interessa. Nè se giocherà in casa o fuori: cazzi suoi.
Del resto dubito che quelle fatte fuori casa valgano doppio.
Niente perquisizioni prima di entrare a godere dell’evento. E all’uscita niente code. Tranne le gangbang, certo.
Non mi ci vedo ancora legato tra una settimana, men che meno un mese o un anno: me la godo stasera, magari con un cognac appoggiato sul comodino da gustare nelle pause.
Apprezzerò ciò che mi saprà offrire, ci rimarrò maluccio se non ne sarà valsa la pena ma domani altro giro, altra corsa, nessun dramma. Il calendario offre sempre qualcosa.
Rappresenta insomma un ottimo ammazza-tempo per quei “45 minuti – pausa caffè Borghetti – 45 minuti – tutti sotto la doccia”, ma non è che dopo la scopata andrò poi a comprare una maglietta col suo nome stampato sulla schiena, pur se la ragazza meritava. Al massimo ci rivediamo per un’altra serata. Ma se la stessa sera c’è a disposizione altro deciderò in tutta libertà.
Insomma: magari era una bella mulatta ma non mi lego a vita a quei colori.
Quando si sta per spogliare non sto là con un “oooooooo….” a tamburellare coi piedi a terra.
Nessun gagliardetto appeso allo specchietto della macchina con la sua foto.
Insomma, lei mi piace per quello che mi dà quella sera. Poi amici come prima. Nessun legame, nessun coinvolgimento, nessun niente.
Legarsi invece ad una squadra è esattamente come sposare una donna: sai che è quella, nel bene e nel male.
Ce l’avrai sempre per casa, invaderà le tue giornate, magari l’hai sposata che era da Champions e dopo poco te la trovi a soffrire a metà classifica, per poi impietosamente lottare per non retrocedere. E tu sempre attaccato alla stessa. Preso per il culo dagli amici, a loro volta coglionati quando è la loro, di moglie, a deludere.
Tradire tradiranno entrambe: la moglie/squadra del cuore e la ragazza/squadra qualunque.
In sintesi, una squadra la si sceglie da ragazzini, quando non si ha ancora la maturità per capire l’insano gesto.
Ma poi da adulti perché non si pensa che non è poi necessario continuare quel matrimonio, e che una piena e soddisfacente libertà sportiva è tanto desiderabile quanto la piena libertà sentimentale?
Ora mi chiedo: perché proprio e solo Juve, o solo Milan, o solo Inter o la tua fottutissima squadretta quando puoi avere tutte le sere una semplice, intercambiabile, soddisfacente troia qualunque?
Il Puttanariato
– Rimpasto? Commissariamento? Governo d’emergenza? Un cazzo, signori. Un emerito cazzo.
Così si presentò sul palco, sotto una pioggia battente che manco il Borneo, il nuovo segretario del primo partito di sinistra, Adolfo Bonomelli, eletto a sorpresa nel momento più delicato della storia del Paese, dopo delle primarie vinte grazie ad un tamtam su Internet senza eguali.
– Non basta dire “ne abbiamo abbastanza”. A casa ce lo mandiamo davvero, e a calci in culo! Oggi chiudiamo l’era del puttanariato!
“Puttanariato”. Fu questa la parola che riecheggiò per i mesi a seguire su tutti i media. La coniò il Bonomelli, in un pomeriggio come tanti altri, diverso da tutti gli altri.
Era un omone, il Bonomelli, e tutt’altro che rasserenante, a dispetto del suo cognome. Non si sapeva niente di lui: che lavoro facesse, di che origini fosse. Niente. Un mistero che si autoalimentava.
Si stava uscendo dal periodo più nero della Repubblica: il “puttanariato”, nato sotto l’ultimo Governo di destra, aveva talmente nauseato la parte sana del Paese che anche quella malata non poteva più ignorare la questione.
Vedere la propria figlia sovrappeso scavalcata nel concorso al Ministero degli Esteri, dalla troietta figa di turno, per soli meriti “orali”, fece ribollire il sangue ad Antonio Coviello, operaio e padre, che accoltellò il Ministro nel solito bar dove si fermava per il cappuccio – SUV sulle strisce.
Quando fu arrestato, la gente prese le sue parti, ne fece un vessillo, l’incarnazione dell’italico Braveheart, anche se di Sora.
E via appelli, sottoscrizioni, come mille altre volte. Ma stavolta si andò oltre. Qualcuno licenziò mignotte assunte grazie al loro dare il culo a chi di dovere. Anche con ragioni pretestuose come “manifesta incompetenza” o “inadeguatezza al ruolo”. Ed alcune puttane tornarono alle loro strade, case. E la loro immagine tornò ad essere quella che era prima dell’era delle veline: donne con problemi, oppure disperate disposte a tutto. Di certo non più un esempio da seguire se volevi avere successo nella vita.
Su quest’onda emotiva ci fu l’elezione a Segretario di questo sconosciuto, che parlava duro come un leghista primo stampo, ma portava avanti i sogni della sinistra: equità, riduzione dei privilegi, assistenza per chi ne avesse davvero bisogno e meritocrazia in ogni settore, pubblico e privato.
– Mi chiedono in molti chi sia io, come sia venuto fuori dal nulla. Vi rispondo qui, ora. Sono una persona qualunque, con un futuro scippato da un incantatore di imbecilli. Ho iniziato a darmi da fare quando chiesi a mia figlia, di sei anni, cosa volesse fare da grande. Mi rispose “la velina”.
Certo, direte voi, a sei anni si sogna questo, no? Ci sta. Ai miei tempi rispondevano “la ballerina”. Non è stato questo a farmi male, ma la risposta datale da mia moglie, dopo aver visto la mia faccia comunque perplessa: “brava, fai bene: è così che puoi diventare qualcuno in questo Paese”. Sapete cosa ho fatto? Cacciato a calci in culo quella donna. E insegnato a mia figlia cosa significasse lavoro, sacrificio, costruzione, abnegazione. Soddisfazione per se stessi.
Fu così che la gente imparò qualcosa in più di Adolfo Bonomelli.
– A puttane potete andarci voialtri. Voi che non siete ricattabili. Non chi ricopre un ruolo istituzionale. Non chi poi può essere preso per le palle e dover favorire questa o quella troia affinché non sputino la merda che hanno ingoiato. Chi guida un Paese non può! Non può! Non si sceglie di fare il Presidente del Consiglio. Si ha una vocazione o non la si ha. E’ come per il prete. Si nasce prete. E poi lo si comincia a fare. Se nasci guida di un Paese prima o poi ti ritroverai davvero a condurlo per mano. E saprai da te che non si può. Non si possono tante cose. E non se ne sente neppure il bisogno. Dì addio alla tua vita, sacrifica quel che sei per un bene che riconosci più grande di te e più importante della tua quotidianità. Se non senti questo, se entri in politica per fare un “mestiere” non sei degno di guidare nessuno. Si torni alla politica come arte di amministrare per il bene di tutti. Non si entra in politica per riempirsi il portafogli! Non si entra in politica per pararsi il culo dalla Giustizia! Non si entra in politica per farsi succhiare il cazzo!
Nessun leader di sinistra aveva mai parlato in quel modo. Talmente condivisibile da ripulire ogni volgarità con la forza della passione.
Il faccione divenne sempre più rigido. Pareva tagliato nel legno. Le mani accompagnavano quelle parole come un direttore d’orchestra i suoi musicisti.
Era uno spettacolo.
Raccolse le ovazioni di una folla che si raccoglieva sempre più numerosa sotto quel diluvio. Tanti misero da parte gli ombrelli per spellarsi le mani di fronte ad un uomo atteso da troppo tempo.
Uno spettacolo, sì.
– Ora vi dico io cosa fare, mi prendo la responsabilità. Fermate tutto. Qualunque sia la vostra attività fermatevi. Non andate al lavoro. Non aprite negozi. Non fate un cazzo. Per ogni svolta epocale c’è un prezzo da pagare. E siamo in una guerra civile, signori. Prendiamone atto. Scendiamo in piazza, con la bava alla bocca, con le nostre pezze al culo. Assediamoli, staniamoli. Un golpe, un golpe civile. Non passeggeranno più per via della Scrofa coi loro grassi sigari e le loro puttane al seguito. Calci in culo, destra, sinistra. A chiunque vi abbia scippato il futuro, vostro, dei vostri figli laureati con contratti di tre mesi nei call center. Non hanno solo distrutto un Paese. Lo hanno fatto sfoggiando sorrisi prefabbricati e puttane preoleate.
In strada, ora!
Oggi si chiude il puttanariato!
Un boato accolse quest’ultimo grido, prima che Adolfo Bonomelli venisse portato via in trionfo.
Quello stesso giorno – le coincidenze – il premier fu ritrovato senza vita sul suo letto. Infarto. Anche se ancora oggi si dice fosse davanti la tv, a guardare quell’invasato.
Nudo, rannicchiato sul letto in una estrema smorfia a congelare il dolore.
E – l’avreste mai detto? – neppure una puttana a piangerlo.
Mi fa…
Ieri ascoltavo musica ma anche gli Spandau Ballet.
Mi fa:
– ma com’è che senti quella roba?
– ci conosciamo?
– sono tua madre
– bastava dirmi “sì”
– non dovresti usare sarcasmo con me
– bene, non lo farò
– l’hai fatto ancora
– allora smetterò da questo istante esatto
– e di nuovo ora!
– dammi tu il via allora
– ancora!
Odio mia madre.
E’ che gli anni ’80 sono irripetibili. Quantomeno nello stesso secolo.
Mi fa:
– e che ne pensi dei Nirvana?
– dai, non hanno inventato niente, è partito tutto dai Green River
– non ti facevo così esperto, nonno
– ci conosciamo?
Il nonno è così: non riconosce le persone care. La malattia poi gli impedisce anche di riconoscere noi familiari.
E comunque, che stesse male lo si capiva anche dalla confusione con le epoche musicali: i Nirvana con gli anni ’80 non c’entrano nulla, se non che sono venuti dopo. Un po’ come Little Tony con Elvis Presley.
Mi fa:
– sai che si dice?
– cosa?
– che Elvis è ancora vivo
– se è per questo lo si dice anche di John Travolta
– ma Travolta è vivo
– visto?
Che poi io Travolta lo preferisco adesso che indossa il suo contenitore.
Mi fa:
– in questi giorni si ricorda Jim Morrison
– Morrison però ha un po’ stancato
– cosa dici?! Morrison è un mito
– ma dai, cos’ha poi fatto di grande?
– a parte la foto con le ascelle?
– esatto
– anche un paio di buone canzoni
– ma pensa a quelle canzoni senza quella foto
– mi sa che hai ragione
Mi sa che anche io ho una foto al mare con le ascelle.