Ora ditemi voi se. “Se”, risponderete voi. Correttamente.

Uelà, ti vedo bene.

Era ora cambiassi gli occhiali…

Sono lenti.

A contatto?

No: una su un occhio, una sull’altro.

Tipo monocolo?

Tipo telescopio.

Ci vedrai benissimo.

Distinguo perfettamente tutti i pianetini di Orione ma me ne sbatto il cazzo perchè preferirei leggere un libro.

Immagino la difficoltà per le note…

Quello è l’ultimo dei problemi: sono corte, è facile. Do, re, mi…

Comprendo. E tua figlia come sta?

E’ maschio.

Ah, scusa.

Fa niente, si sbagliano tutti da quando si fa chiamare Margaret Thatcher.

Ah, è un fan della vecchia guardia politica?

No, proprio trans.

Come un grasso saturo?

Come la Trans Siberiana ma senza la Siberiana.

Ma s’è operato?

Di adenoidi.

No, intendevo, cosa ha sotto?

La maglietta della salute.

Ma in realtà come si chiama?

Giacomo.

Si diceva che tua moglie avesse serie possibilità di dare alla luce dei gemelli.

Si diceva cosi’ ma poi niente gemelli.

Del resto partorire un accessorio d’abbigliamento non sarebbe stato proprio usuale.

Infatti. Immagina portare ai polsi dei figli.

Uh, che cosa pesante.

Identici poi.

Pesci?

No: Identici, non i dentici.

Ah, identici. Del resto sono gemelli, non pesci.

Già. Giacomo Giacomo.

Tremano le gambe??

Ma no, dico, Giacomo e Giacomo, i gemelli.

Perchè secondo te ai gemelli va dato lo stesso nome?

No?

E come li distingueresti?

Beh, uno sta al polso destro e uno al sinistro…

Indosseresti i tuoi figli?

Solo se gemelli.

Ti sembra normale?

Hai ragione: forse non conviene tenerli addosso.

Non si emanciperebbero mai.

Dici che dovrei mandarli fuori di casa?

Sicuro, si devono staccare un po’ da te. Al massimo li porterai a qualche matrimonio.

Vero: Dopotutto è là che i gemelli ci stanno davvero bene.

Già, serve una grande occasione per i gemelli…

Sì. Pero’… niente contro i gemelli, ma ho sempre preferito l’acquario.

Appassionato di pesci, eh?

No, di acquari.

Ma pesci ed acquario stanno bene insieme.

Puo’ essere ma io ho sposato una vergine.

Ma ora hai consumato, dunque lei è diventata…?

Sempre vergine. Mica se si tromba cambia il segno zodiacale…

E lei di dov’è?

Di Norimberga.

Io non farei mai l’amore con una donna cosi’.

Perchè?

Entrare dentro una vergine di Norimberga… brrr…

Ti assicuro…

Non ho bisogno di polizze.

Va bene, poi pero’ non dire che non te l’avevo detto.

Non lo diro’.

Mi dicevi dei pesci…

Non mi ricordo piu’.

Dicevamo che pesci ed acquario stanno bene insieme.

Piu’ che insieme, uno sta bene dentro l’altro.

Vero. Un acquario dentro un pesce…

Già. magari solo in un pesce scatola.

Eh, forse là sì.

Pero’ tenere a casa pesci a me fa un po’ schifo.

Dove vuoi che li tenga?

Io generalmente i pesci li tengo tutti dal pescivendolo. A casa puzzano.

Dopo tre giorni pero’. Prima che fai?

Prima dei tre giorni avverto l’ospite che a breve dovrà sloggiare.

Altrimenti poi puzza.

Certo! Immaginati ‘sto omone dentro l’acquario. Dopo un po’ gli vengono le dita viola.

Come il fiore?

No, viola, non violetta.

A forma di strumento musicale?

No, il colore viola.

Il film?

No, il colore colore.

Capito capito.

Insomma, ‘st’uomo nell’acquario davvero non va. Ma non vuole andar via.

Hai provato con le cattive?

Certo, ma nemmeno mia moglie e mia suocera l’hanno convinto. Sta sempre nall’acquario.

Avrai un acquario enorme, immagino.

Grande come una volta stellata.

Una volta stellata, il più è fatto.

Già, lo credo anch’io: tutte quelle lucine da appendere…

Ma così i gemelli saranno contenti.

A proposito, ma se avrai davvero dei gemelli, un giorno, mica li chiamerai Giacomo Giacomo, altrimenti come li riconosceresti?

Per i figli legittimi non serve riconoscimento.

Hai ragione, ma nel caso dovessi adottarne un terzo?

I restanti due terzi li darei in affidamento.

A chi?

A te.

Ma io non li potrei crescere.

Crescono da soli, guarda.

Ah, se è cosi’ sta bene.

Chi?

Franco.

Sapevo che aveva avuto problemi.

Tanti, trigonometria e geometria.

E lui li risolve tutti?

Dalla A alla Z.

Passando per la B o andando a ritroso? No perchè c’è differenza.

Sì, c’è differenza. Per questo fa anche le sottrazioni.

E gli riescono bene?

L’ultima non tanto: l’hanno preso con le mani nel sacco.

Sacco? Di che?

In genere è fatto di liuta.

Ma non è uno strumento musicale?

Quello è il liuto.

E che c’era nel sacco?

Liuti: cercava di sottrarre appunto strumenti musicali.

Da cosa?

Da uno spartito.

Una persona in trance intendi?

No, era sveglissima.

In trance, letto all’italiana, non alla francese…

Ah, del resto mica ci avevi messo una pernacchia…

Infatti. Pover’uomo, era uno tutto d’un pezzo.

Ho capito, mi hai già detto che non era a trance.

E’ che a volte sono ripetitivo.

Lo vedo.

E’ che a volte sono ripetitivo.

Lo vedo.

E’ che a volte sono ripetitivo.

Lo vedo.

Proprio un uomo d’altri tempi.

Infatti camminava al rallentatore.

Beh, ora vado, ciao allora.

Si fa presto a dire ciao.

Certo: son quattro lettere: quanto ci ho messo?

Pochissimo, te ne do’ atto.

Dicevo, ci si vede.

Ah, cambiato gli occhiali?

Lenti.

A contatto?

No: una su un occhio, una sull’altro.

A quei tempi, signora mia…

Quando ero un ominide del Pleistocene la vita trascorreva più serena.

Voglio dire, non è che si stesse tranquilli, certo: lotte continue, problemi con il freddo, mancanza di cibo… Non si sapeva se a quel giorno sarebbe seguito un altro.

Pero’ non era più l’Ediacarano, con i suoi smottamenti, i suoi terremoti, le sue eruzioni. Il metano nell’aria era pressochè scomparso e te ne accorgevi perchè se mollavi scoregge l’odore intorno cambiava..

Insomma: non ti facevi troppi problemi. Non si pensava a come arrivare a fine mese, alla macchina da cambiare, alla bambina che vuole il diario delle Winx… E niente servizi di Studio Aperto sul caldo torrido.

Certo, ogni epoca ha i suoi problemi ma credo che durante tutta la glaciazione Würm non si stesse a pensar troppo a come superare il livello Monarch in Civilization, Cristo se è tosto quello!

In ogni caso si stava meglio e l’aria era più pulita. Tranne vicino ad un mammuth.

Immagino come fosse la vita del mio antenato, lo Zullhuk, e quale un possibile dialogo con un suo simile:

Zullhuk – Uhuh! [trad: Io!]
Ominide – Uhuh? [trad: Tu cosa?]
Zullhuk – UhUh! [mi prendo!]
Ominide – Uhuh? [Che cosa?]
Zullhuk – UhUh! [La tua donna!]
Ominide – Uhuh? [Per farci cosa?]
Zullhuk – UhUh! [Me la trombo!]
Ominide – Uhuh! [Ma non è giusto!]
Zullhuk – UhUh! [Ma non c’è nessuna legge a impedirmelo!]
Ominide – Uhuh! [C’è la legge di Dio!]
Zullhuk – UhUh. [Non abbiamo ancora inventato alcun Dio.]
Ominide – Uhuh. [Hai ragione, c’è tempo per quello. Abbiamo altri cazzi a cui pensare.]
Zullhuk – UhUh! [Guarda che poi te la riporto!]
Ominide – Uhuh! [Sticazzi! Poi te la tieni!]
Zullhuk – UhUh! [Me la tengo ‘sta cippa primitiva!]
Ominide – Uhuh. [Beh, comunque io non la rivoglio. Poi mangiatela.]
Zullhuk – UhUh! [Non è mica un animale!]
Ominide – Uhuh. [Allora dopo gettala via.]
Zullhuk – UhUh? [Ma non è… come si dice… peccato?]
Ominide – Uhuh. [Non abbiamo ancora inventato nemmeno quello.]
Zullhuk – UhUh. [Già. Allora magari ci faccio uno spuntino.]

Ma si pensa anche che il dialogo riguardasse un non meglio identificato tubetto di colla.

meta morfosi. metà no.

– Non saprei quando.

– Si sforzi di ricordare- L’uomo che poneva domande sembrava del tutto a suo agio. Un modo di fare completamente asettico naturale, come se quello che aveva di fronte fosse normale.

– Ma, così, direi, che so, sei mesi fa.

– Sei mesi fa. E’ sicuro? – portando la penna al taccuino ma senza incidere nulla piu’ che un punto.

– Certo che no! L’ho appena detto!

– Diciamo comunque che sei mesi possono essere un tempo ragionevolmente esatto.

– Diciamo – tenendo a stento uno sbuffo.

– E com’è iniziato?

– Con un ronzio, l’ho già ripetuto mille volte.

– Abbia pazienza, sto solo facendo il mio lavoro. Che tipo di ronzio?

– Tipo acufene, ma piu’ simile al rumore proprio del ronzio animale.

– Come una mosca? Oh, mi scusi – sollevando un palmo della mano.

– Niente, – scuotendo appena le spalle – ci sono abituato. Comunque sì, proprio come una mosca nell’orecchio, ma dapprima lontana…

– E col passare dei giorni sempre piu’ forte?

– Sì, piu’ netto, il ronzio, piu’ chiaro. Si distingueva sempre meglio dai rumori di sottofondo. Adesso pero’ quel ronzio è sparito.

– Insomma, come se una mosca le fosse entrata in un orecchio e poi si fosse fusa con lei…

– Se fosse possibile una cosa del genere direi di sì.

– La nostra casistica annovera centinaia di casi apparentemente assurdi…

– Dunque non sono il primo?

– Certo che è il primo!

– Ma…

– Come mosca, intendo. Abbiamo avuto l’uomo-palo-del-telegrafo, uno che si era fuso con un palo appunto dopo una scarica di un fulmine, l’uomo-metano, per via di certe flautulenze incredibili, ci faceva il pieno all’auto, sa? e circolava pure la domenica. E c’era l’uomo a rotelle, un caso stranissimo di uno che per muoversi usava una cosa tipo sedia ma con due grandi ruote dietro e due piccole davanti…

– E che c’è di strano?

– Be, diventare tutt’uno con un palo del telegrafo strano lo è.

– No, dico, quello che era su una sedia a rotelle…

– Ah, quello. Beh, se a lei sembra normale muoversi su ruote… io uso le gambe.

– Ma magari quello le gambe non le poteva usare!

– E perchè?

– E che ne so io… mille motivi!

– Stai a vedere che adesso abbiamo trovato uno scienziato.

– Ma lei è completamente deficiente!

– Ma almeno non sono una mosca, io.

– Mi sta prendendo in giro?

– Faccio solo domande. Mi dica allora dell’evoluzione di questa trasformazione…

– Eh, va bene, sì… poi vennero quelle desquamazioni – abbassò gli occhi ed insieme il tono della voce.

– Ho visto le foto…

– E pensi che quelle foto le ho fatte solo pochi giorni fa. Guardi adesso!

– Già, ma stia tranquillo, vedrà che ne verremo a capo.

– Non ci crede nemmeno lei, vero?

– Uh, ma no… cioè sì, certo che ci credo. I migliori medici stanno valutando il suo caso, sa?

– E cosa hanno risolto finora?

– Dia loro tempo, vedrà che…

– Certo… – voltandosi da un lato. Accavallo’ le gambe e si accese una sigaretta – Io intanto cosa dovrei fare?

– Stia calmo e cerchi di collaborare. Mi hanno detto che ha rifiutato di sottoporsi ad alcune analisi.

– Le sembra che possa tollerare di assaggiare quella merda? – sbotto’.

– Non la chiami cosi’, capisco non sia nouvelle cuisine ma…

– Forse non ha capito: era proprio merda!

– Letteralmente?

– Letteralmente.

– Pero’… Tutte le mosche adorano la merda…

Balzo’ in piedi! – Io non sono una mosca!

– Le ali la contraddicono…

– Non ho scelto io che mi spuntassero. E poi sono atrofiche, non vede? Non mi sollevano di un centimetro!

– Perchè forse lei non si applica. Ha provato ad esercitarle un po’?

– Non ho nessuna intenzione di sviluppare le ali!

– Come crede, io lo dicevo per lei.

– Insomma, lei è venuto qua per spingermi a diventare del tutto una mosca o per aiutarmi?

– Per aiutarla, mi sembra ovvio. Ma la scienza vuole anche delle risposte…

– E pure io, Cristo! Ma come crede che stia vivendo questa cosa?! Sto diventando una mosca! Lei come reagirebbe a quest’assurdità?

– Non saprei. Ma tutti abbiamo i nostri problemi, sa?

– Problemi?! Lei considera la mia trasformazione un “problema”?!

– Ah, vede che mi dà ragione allora? Neppure per lei è un problema…

– Certo che è un problema!

– Mi ha appena detto di no…

– Non ho affatto detto di no! La mia era una… lasci perdere.

– Mi parli un po’ di sua moglie: come ha vissuto questa sua scelta di mutazione?

– Scelta?!?

– Decisione…?

– Oddio! Ma lei crede che io, un giorno, abbia scelto di diventare quello che sono adesso? Una mezza mosca?!

– Non saprei. Me lo dica lei.

– Allora una cosa gliela dico davvero: ho perso tutto. Moglie, lavoro, vita. Tutto! – Si lascio’ cadere pesantemente sulla sedia passandosi le mani tra i capelli. O quello che erano diventati.

– Sua moglie quindi l’ha lasciata a causa della sua trasmutazione?

– Certo! Lei resterebbe sposato con una mosca?

– Ahahah, vuole scherzare? Sposato con una mosc… ehm, scusi.

– Complimenti per il tatto.

– Scusi tanto. Pero’ credo che in un matrimonio occorra anche accettare i difetti dell’altro.

– Stiamo parlando di una mosca!! Insomma, se ne rende conto?! Ero un uomo e adesso sto diventando una mosca! Con tutti i crismi: corpo tozzo e peloso, repellente…

– E poi, per il corpo tozzo, come dice lei, anche prima, dalle foto vedo, non era tanto slanciato.

– Lei mi sta decisamente prendendo per il culo… bzzz…

– Cos’ha detto?

– Che mi sta prendendo per il culo.

– No, dopo!

– Niente. Bzzz..

– Ecco, l’ha detto di nuovo!

– Cosa?

– Bzzz..

– Bzzz…?

– Esatto!

– Ma bzzz io bzzzz…

– Cosa mi vuol far capire? Cosa mi sta dicendo?

– Oddio! Adesso bzzz… nemmbzzzz. le parolbzzz…. aiutbzzzzz…!

– Fermo, venga qui! Non svolazzi per tutta la stanza!

– Bzzzz… bzzzz….

– Cosa? Scenda! Le sembra il caso di stare su un lampadario?!

– Bzzzz… bzzzz….

– Venga qui le dico!

– Bzzzz… bzzzz….

– Insomma!

[SPLATT!!!]

– Mosca del cazzo!

– Che succede qua? Dov’è quello che stava diventando una mosca?

– Mi ha fatto girare le palle, l’ho schiacciato.

– Uff… Sembrava dicesse la verità, questo.

– Mah, non so… secondo me ci marciava un po’.

– Chi c’è adesso?

– Ce ne sono due. Il primo dice che si sta trasformando in un cellulare. E che sente che qui non c’è campo.

– Un telefonino?

– Già.

– Che tipo?

– Un Motorola.

– Cristo, avrei dovuto capirlo quando mi hai detto che non sente campo. Accoppiamolo subito!

– E poi c’è un’altro… dice di essere il figlio di Dio.

– Oddio, Berlusconi?!

– No, c’ha i capelli, parla di miracoli, la gente gli ha dato anche credito…

– Che facciamo?

– Chiama quello là, il santone… ci penserà lui.

– Quello che si crede Gandhi?

– Quello che si crede Beppe Grillo.

– Ottima idea.

– Già.

Ah, verbi

Quanti ne erano?

Almeno il doppio.

“Almeno”.

“Almeno”, sì, perchè?

No, quando dici “almeno” in genere significa che ne erano di più.

Potrebbe essere, non ne sono sicuro. Per questo ho detto “almeno”.

Dunque ritieni possibile fossero di più.

Sì, è possibile.

Sicuramente non meno.

Sì.

Sì, nel senso che erano meno?

No.

No nel senso che erano di più?

No, nel senso che non erano meno. Erano di più.

Ma prima hai detto “sì” per dire “no”.

No.

Nel senso di sì allora?

No. Non ho detto sì per dire no.

Insomma erano di più?

Sì.

E quanti di più?

Avendo detto “almeno”, non troppi di più.

“Troppi”

Sì, “troppi”, perchè?

No, quando dici che non ne potevano essere “troppi” di più significa che erano “pochi” di più.

Non necessariamente. Ma in questo caso sì.

Sì nel senso di sì dunque?

Sì.

Ma quanto “pochi”?

Beh, “pochi” significa pochi.

Questa è una tautologia.

Diciamo che “pochi” significa che non ne erano “tanti”.

Seconda tautologia.

Nel senso, se erano un tot, pochi di più significa che potevano essere qualcuno più di quel tot.

Ma tra “un tot” e “qualcuno più di quel tot” può esserci una grossa differenza. Se il tot è 1, qualcuno più del tot può essere 3. Ciò significa che erano il triplo, grande differenza. Se il tot è 1000, qualcuno più del tot può essere 1003, poca differenza.

Comunque non erano “troppi” di più.

Dipende rispetto a che.

Ma questo discorso ha una qualche utilità?

Non troppa.

“Non troppa”?

Sì.

Dunque “poca”…

Non necessariamente. “Non troppa” potrebbe essere comunque tanto rispetto a quanto “poca” potrebbe esprimere.

Dunque “non troppa” è più vicina a “tanto” che a “poco”.

Neppure questo è necessariamente vero.

Qui volevo arrivare. Dicendomi “non troppa” non mi dai informazioni utili.

Non sono d’accordo. Ti sgombro comunque il campo da diverse quantità possibili.

E quanto me lo sgombri?

Abbastanza.

Ma “abbastanza” rispetto a che?

Rispetto al poco che sapevi prima del mio “non troppa”.

Il tuo è un giudizio quantitativo dunque: affermi che io sapessi poco.

E non è così?

Dipende dai tuoi parametri. Che intendi per “poco”?

Intendo non abbastanza.

“Non abbastanza” sulla base di un tot di sapere?

“Non abbastanza” sulla base della conoscenza di questo caso.

Che si misura come?

Cosa?

Il sapere di questo caso.

Non saprei.

Quando posso considerarmi erudito su questo caso, in modo da poterne sapere “abbastanza”?

Mah, su due piedi…

Prova a definire.

“Abbastanza”… quando forse ne conosci non solo le linee generali ma anche qualche dettaglio.

“Qualche”?

Esatto.

Specificami quando posso considerare di conoscere “qualche” dettaglio.

Quando sei al corrente di alcuni di essi.

E che intendi per “alcuni”?

Più di uno.

Dunque anche solo due.

Dipende dal tipo di dettaglio.

Dunque ne dovrei conoscere “abbastanza” da potermi ritenere “abbastanza” erudito sul caso.

Esatto.

Detto ciò continuo a non avere abbastanza parametri di conoscenza per considerarmi abbastanza erudito sulla cosa, perchè non sono a conoscenza del quantitativo minimo di particolari per far sì che il mio “abbastanza” sia abbastanza.

E dovrei aiutarti io a quantificare?

Credo che tu sia in grado.

Quanto lo credi?

Abbastanza.

Quantificami “abbastanza”.

Per “abbastanza” ritengo che tu sia sufficientemente all’altezza di spiegarmi cosa si intende per avere “abbastanza” parametri per far sì che ci siano “abbastanza” dettagli sì da considerarmi “abbastanza” a conoscenza del fatto.

“Sufficientemente” quanto?

Abbastanza.

Rispetto a cosa?

Al conoscerne solo “qualche”

Ma a volte già il conoscere qualche dettaglio fa sì che tu ne sappia abbastanza”.

Puo’ accadere.

E quante volte può accadere?

A volte.

“A volte” rispetto a che?

Rispetto ad una assoluta carenza di conoscenza.

Dunque “a volte” è abbastanza vicino allo zero.

Potrebbe, ma non necessariamente.

Una forma asintotica?

Mi sta bene.

Quanto bene?

Relativamente bene.

“Relativamente” rispetto ad una conoscenza totale, parziale o appena accennata?

“Relativamente”, relativamente ad una conoscenza totale ma anche parziale alle volte.

Quali volte?

Dipende da ciò che tu intendi per parziale.

Per parziale posso intendere una conoscenza che sia diversa dalla assoluta e da quella pari a zero.

Dunque statisticamente può ritenersi una metà della conoscenza.

A volte lo è.

Specificami che intendi per “a volte”.

Crepa.

Ripetitività?

Ricevo ogni tanto email di complimenti per le cose che scrivo.
A volte però leggo critiche, e la cosa ci sta. Critiche costruttive sono utili e fanno piacere.
Qualcuno mi rimprovera troppa blasfemia, ma su questo non transigo: è il mio modo di essere, se sta bene bene, altrimenti pace.
Ancora meno però concepisco critiche del tutto campate in aria.
Mi dice un tale Renato che sarei diventato troppo ripetitivo nei miei post. E la cosa è assurda.
Cambio stile ogni volta, cerco di inventare sempre roba nuova. Insomma, questa è davvero una cosa pretestuosa e del tutto priva di fondamento.
Voglio dire: la ripetitività? Ma dove la vedi?
Cambio stile ogni volta, e cerco anche di inventare cose nuove. Mi pare evidente. Dove vedi ripetitività?
A me sembra una cosa pretestuosa. Non c’è alcun fondamento in una critica del genere.
Su altre cose magari sì, quando si parla di critiche costruttive. Che sono utili e fanno piacere. Ma la ripetitività? Ma dove la vedi la ripetitività?
La cosa è assurda dato che cerco di cambiare stile ogni volta e mi metto là ore per inventare cose nuove. E’ una accusa pretestuosa, quella della ripetitività, per uno che non usa sempre lo stesso stile per scrivere e si mette là ad inventare ogni volta cose nuove.
Sulla blasfemia non transigo. Ma ancor meno sulla ripetitività.
Mi pare una critica pretestuosa.

Programmi

Venerdi scorso il solito “amico” mi ha posto la solita domanda circa i miei programmi per il weekend.
Come sempre. Come ogni venerdi.
A lui frega una cippa di quel che farò: è un suo rito, un intercalare, non so cosa.
Avrei potuto limitarmi al solito: “non so… niente di particolare…”.
Invece.

– Programmi per il weekend?
– Ero indeciso tra restare seduto sulla panchina lasciandomi colare la bava sulle scarpe o entrare in un negozio con un limone in mano e restare là dentro per ore senza dire o fare un cazzo.

Vediamo venerdi cosa mi chiederà.

Nel caso, sostituisco “limone” con “commercialista”.

Domizia

[racconto dei tempi che furono]

della serie: l’amore è eterno. Finchè dura.

________

DOMIZIA

C’era un fottìo di gente in palestra.

I soliti, quelli di sempre, quelli del cenno col capo per salutarsi, quelli che “sempre qua stai?!”, quelli che se muoiono sotto un autotreno non ti cambia un cazzo.

E c’era lei, una donna disegnata manu propria da Dio.

Domizia si chiamava, me lo disse l’istruttore.

Domizia.

Ed io non riuscivo a sollevare un grammo, a fare un piegamento, a irrigidire alcunchè. No, niente. Troppo bella Domizia.

Domizia era disegnata per lasciare lobotomizzati gli uomini, ma di piu’, per uccidere ogni altra idea di donna.

Un napalm per qualsiasi altra ragazza presente: azzerata, bruciata, annientata.

E per me questo valeva in modo ancor più esasperato: Domizia incarnava la mia personale idea di celestialità, di bellezza per la bellezza.

Avrebbe potuto essere del tutto priva di capacità cognitive e l’avrei amata comunque. Se non di piu’.

Domizia era l’assoluto.

Nulla piu’ sarebbe stato come prima dopo Domizia.

Io sapevo che mai, mai, mai piu’ avrei potuto amare qualcun’altra.

[…]

L’odore del sudore obeso cominciava a stagnare: le finestre avrebbero dovuto essere aperte ma in un pur caldissimo febbraio s’era comunque in febbraio, pure se fuori germogliavano fiori di cactus, cosi’ l’ambiente veniva tenuto sigillato.

Certi odori sono tipici di un luogo: la mia palestra sa di mia palestra. Nessun altra palestra potrà mai riprodurre quel medesimo odore. E’ un misto di corpi umani, pareti, colle viniliche, attrezzature, menta, caffè, tappetini in silicone, bandane che solo in quel luogo è possibile apprezzare con quei toni, quella precisa miscela.

La palestra dove andavo prima, ad esempio, dava piu’ sul dolce-esotico: ci trovavo anche un vago sentore di incenso e muffa di presepe.

Fin da piccolo ho avuto questa mania per gli odori: dicevo a mia mamma che la casa della sua amica aveva un odore strano, che non mi piaceva. Lei non capiva.

Sto divagando.

Domizia invece sapeva di buono.

Domizia era afrore di costa del Pacifico, un vento dell’Oregon selvaggio ma addomesticato quel tanto per non spaventare.

Le passai accanto innumerevoli volte, ne sentivo non solo la voglia ma una sorta di necessità, come fosse la mia camera iperbarica.

Se ne accorse.

E mi sorrise.

Ma a me usci’ solo una sorta di ghigno strozzato. Sorpreso.

E piantai tutto.

Feci una rapida doccia e mi misi là fuori, ad aspettarla.

– Domizia! – pensavo, mentre l’acqua scioglieva le leggere striature bianche di sale dalla mia pelle.

– Domizia! – nulla più, mentre chiudevo gli occhi e reclinavo il capo all’indietro per lasciarmi riempire la bocca da quel soffione caldo.

– Domizia!

Mi misi seduto al tavolino del bar per aspettarla.

Cosa le avrei detto?

Come avrei iniziato una conversazione con una donna sicuramente abituata a mosconi ronzanti intorno ad ogni passo?

– Ma no, che vai a pensare – mi dissi. – Se non tu, chi?

Cercavo coraggio.

Ed eccola, uscire dallo spogliatoio ancora piu’ bella di come l’avevo vista: indossava qualcosa di un colore indefinibile, o forse era lei a rendere tutto cosi’ etereo.

Un morbido scialle rosso pareva formare coreografie di danza scenica ad ogni suo movimento.

Era uno spettacolo vederla camminare.

Era uno spettacolo vederla respirare.

Era uno spettacolo.

Domizia.

– Ciao, io sono…

– Massimiliano, giusto?

– Eh? Uh! Sì, ma come…

– Me l’ha detto l’istruttore…

– Ah, sì…

– Io sono…

– Domizia. Me l’ha detto l’istruttore.

– Ahahah… [Dio come rideva, era Atena mentre tesseva, era Diana con il suo arco. Lei era.]

– Ahahah [ero ubriaco di lei. Completamente.]

Si parlo’ per alcuni minuti di palestra, di esercizi, di non so nemmeno io cosa: non riuscivo ad essere lucido.

Mi riempivo gli occhi ad ogni suo muover le labbra.

Quei capelli avrebbero insegnato ad un pittore l’arte del colore.

Quel viso non era di questa terra.

Quegli occhi – Dio mio – quegli occhi saettavano vita!

Ci si salutò, non prima di aver preso accordi sul prossimo appuntamento in palestra: “per vedere insieme come correggere la scheda” le dissi.

E quei giorni di attesa furono per me motivo di ansia e speranza.

Contavo le ore, cercai di immaginare ogni sua frase e la miglior risposta possibile.

Quando la rividi, sempre in palestra, avevo il cuore in gola: la ricordavo come l’essere piu’ perfetto dell’universo ma quando mi si paro’ davanti capii di essermi sbagliato: non era di questo universo. Era Dio!

Si accorse del mio restare pietrificato e mi diede un buffetto scherzoso sulla guancia:

– Tutto bene?

– Eh? Certo! Benissimo – risposi stordito.

Insomma da quel giorno divenni una sorta di personal trainer: le stavo sempre appiccicato, non permettevo a nessuno di avvicinarla e lei pareva gradire questo mio interessamento. E la cosa mi mandava in estasi.

Trascorsero cinque settimane in questo modo.

Credo ci innamorammo. No, io lo ero sin dal primo istante.

La prima volta che la baciai ebbi una sorta di orgasmo, non so spiegare, non voglio spiegare.

Poi?

Poi…

Accadde che com’era entrata nella mia vita cosi’ spari’.

Domizia non era piu’ quella Domizia: da un giorno all’altro il colore della sua pelle muto’ radicalmente, lo splendore che emanava si affievoli’. I suoi movimenti persero quella grazia divina.

No, nessuna malattia, nessun problema a quella che era stata l’incarnazione di Dio in terra.

Semplicemente, quel giorno, in palestra, entro’ Rachele.

Rachele era disegnata per lasciare lobotomizzati gli uomini, ma di piu’, per uccidere ogni altra idea di donna.

Un napalm per qualsiasi altra ragazza presente: azzerata, bruciata, annientata.

E per me questo valeva in modo ancor più esasperato: Rachele incarnava la mia personale idea di celestialità, di bellezza per la bellezza.

Avrebbe potuto essere del tutto priva di capacità cognitive e l’avrei amata comunque. Se non di piu’.

Rachele era l’assoluto.

Nulla piu’ sarebbe stato come prima dopo Rachele.

Io sapevo che mai, mai, mai piu’ avrei potuto amare qualcun’altra.

[…]

Il bersaglio

Penso di avere un problema. Ho fatto il giochino della Settimana Enigmistica, quello che alla fine s’arriva ad una data parola, partendo da tutt’altra, passando per decine di altre parole.
Io sempre là però vado a parare.

Bellezza – Donne.

Concorso – Miss Italia – Donne.

Televisione – Attori – Presentatori – Mike Bongiorno – Morto – Aldilà – Dio – Barba – Noia – Tutto il resto è noia – Califano – Puttaniere – Donne.

Effetto serra – Innalzamento delle acque – Oceano – Liquido – Bevanda – Drink – Serata fuori – Night Club – Entreineuse – Donne.

Estintore – Pompiere – Fuoco – Sant’Antonio – Miracoli – Chiesa – Confessione – Peccato – Atti impuri – Donne.
Guerra del Golfo – Carro armato – Kalashnikov – Arma – Carabiniere – Giustizia – Reato – Retata – Prostituzione – Donne.

Trasformata di Fourier – Rappresentazione di frequenze – Frequenze radio – Propagazione del segnale – Elettroacustica – Audio – Suono – Velocità – Primo calcolo della velocità del suono da parte di Mersenne – Francia – Le Mans – 24 ore – Competizione – Vincitore – Ricompensa – Soddisfazione – Piacere – Desiderio – Donne.

Big Bang – Formazione della materia – Pianeti – Terra – Evoluzione – Ere geologiche – Fossili – Datazione al Carbonio 14 – Organismi organici – Concrezioni inorganiche – Peridotiti – Rocce – Crosta terrestre – Strato sottostante – Magma – Calore – Stelle – Costellazioni – Acquario – Gemelli – Vergine – Ahahah, tu, vergine… non farmi ridere – Vorresti farmi credere che – Ma se lo sanno tutti che sei stata con – Ah, non era niente per te e nemmeno ci hai fatto sesso? – Ed io dovrei credere a questa cazzata? – Ma anche ammesso, e Giorgio? Lanfranco? Davide? La squadra di pallavolo dell’Istituto? Ho perso il conto – Sai cosa? Neppure il coraggio di ammetterlo! – Si sei una gran zoccola! – Ah, ora fai l’offesa?! Siete tutte uguali voi – Donne.

Lavoro di Concetto

Concetto Rossi, l’altra sera, avvicinandomi mi ha chiesto delle cose… indossava una mucca e dei mocassini neri.
Passi per la mucca ma allora i mocassini mettili marroni, Cristo santo!
Mi ha chiesto se conoscessi uno Starbucks nelle vicinanze: gli ho detto che in Italia no, non ce ne sono.
Un po’ sorpreso me ne ha chiesto le ragioni ed io gli ho detto la mia.

– Beh, secondo me Starbucks si è fatto i suoi calcoli ed ha capito che in Italia la tradizione del caffè è un rito fondamentalista: se lo vede uno che si alza la mattina per bersi un caffè da un tubo di cartone?
– Vabbè, che significa, allora qua possono usare le tazzine!
– Di cartone?
– “Nel” cartone.
– E’ una idea, ma poi lo zucchero?
– Amaro lo pnrendo, graize.
– Almeno corretto.
– Lo prendo amaro, grazie.
– Meglio. Una spruzzatina di latte?
– Faccio da me.
– Ah, la mucca.


Insomma, parlando è venuto fuori che in passato Concetto falsificava cubi di Rubik ma che poi passata la moda, Gabbana lo santo e si è ritrovato col culo per terra.
Una volta le ha dato una dietorella e ha fatto latte senza lattosio. E’ andato a ruba: c’è un sacco di gente che al lattosio è intollerante: siamo nel 2010 e c’è chi ha ancora di questi problemi razziali.
Concetto Rossi, tranne che per la bandana, assomiglia uguale spiccicato ad un profilato in alluminio.
Se anche Concetto portasse la bandana non riuscirei a distinguerli.
Adesso per campare pettina capre: lui lo chiama “lavoro di Concetto” e non si puo’ dargli torto un capello.
E’ una brava persona se non fosse per quella fastidiosa antropofagia. O aerofagia – mi confondo sempre – insomma, mentre sgranocchia tibie umane fa molta aria.
Insomma, che Starbucks qui non venga è una cosa che a lui proprio non va giù ma chi piu’ ne soffre è Pietro.
E’ un amico mio, dai.