Auguri che non siete altro

Che l’uomo sia un essere progettato per prendersi per il culo si capisce già dalla sua continua smania di trovarsi impegni inutili, di sistemare cose marginali, di dedicarsi ad attività assolutamente imbecilli come il collezionismo, la minuta catalogazione delle cose e la messa in ordine maniacale, dalla casa all’auto, dai cassetti della biancheria alla propria scrivania, in un anelito di iperbolica perfezione, ma di fatto realizzando solo il prontuario compulsivo del Furio verdoniano.

Tutto per occupare la mente, illudersi di poter controllare il flusso del tempo e dell’inesorabile divenire attorno a sé, e sfuggendo così, con questa leggerezza prossima alla pura stupidità, al pensiero della propria certa – e magari vicina – morte.

E ciò che più mi fa e mi ha sempre fatto specie, è sentirmi opporre la solita obiezione: “Eh, ma se uno ragiona così si deprime e basta: non si può mica pensare sempre alla morte”, come se uno scegliesse di essere realista, potesse decidere se ragionare o mettere da parte la realtà, mantenendo comunque onestà intellettuale.

Come se un ateo potesse razionalmente, pascalianamente, scegliere di credere in Dio.

La premessa era sì, che l’uomo è progettato per prendersi per il culo.
Ma questo non vale per tutti. Non vale per me.
Se vedeste il casino che ho in casa mi dareste ragione.
Ma v’immaginate, un ictus mentre state accoppiando i calzini, o mentre state sistemando per colore le mollette della biancheria?
Questa l’ultima immagine lucida della vostra vita?
Bestie che siete.
Meno delle bestie, che di certo non perdono tempo ad allineare statuine, abbinare cravatte, lucidare cruscotti.

Avete mai visto uno gnu lucidare un cruscotto?

Magari con una pelle di daino, che è pure a portata di mano. Invece niente.

Visto che non dico cazzate?

Auguri di buone feste.

Vieni fuori con le mani bene in vista, amen

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Morire, ma non morire davvero.
Questo il racconto di una ragazza del Costa Rica, “deceduta” durante un intervento chirurgico:

Ho vissuto nell’aldilà, poi sono tornata nel mio corpo.

La storia avrebbe dell’incredibile, se… ehi, ma è incredibile!

Ho visto i medici che lavoravano velocemente su di me. … Erano agitati. Hanno guardato i miei segni vitali e mi hanno fatto una rianimazione cardiopolmonare. Ognuno di loro ha cominciato a lasciare lentamente la stanza. Non ho capito perché si comportavano così. Tutto era tranquillo. Ho deciso di alzarmi. Solo il mio medico si trovava ancora sul posto, guardava il mio corpo. Ho deciso di avvicinarmi, ero in piedi vicino a lui, sentivo che era triste e che la sua anima soffriva. Ricordo che gli ho toccato la spalla, poi se n’è andato. In quel momento il mio corpo ha cominciato ad elevarsi ed elevarsi, posso dire di essere stata trasportata da una strana forza.

Viene da chiedersi: com’è possibile che qua diffidiamo pure di uno che per strada ci chiede l’ora e siamo capaci di berci storie simili? È evidente che la risposta stia tutta nell’angosciante bisogno di credere che “dopo” ci sia qualcosa.
Vorrei vedere, se questa ragazza, per strada, ci fermasse e ci dicesse:
– Ti posso raccontare la mia esperienza di pre-morte?
– Non mi serve niente, grazie.
– Ma io voglio solo condividere con te la…
– Su Facebook ci vado pochissimo, scusa.

Il suo racconto continua:

È stato fantastico, il mio corpo stava diventando più leggero. Mentre passavo attraverso il tetto della sala operatoria, ho scoperto che riuscivo a muovermi ovunque volessi. Sono stata portata in un posto dove le nuvole erano brillanti, una stanza o uno spazio. Tutto intorno a me era chiaro, molto luminoso e il mio corpo si riempiva d’energia, gonfiando il mio petto di felicità. Ho guardato le mie braccia, avevano la stessa forma degli arti umani, ma composte da una materia differente. La materia era come un gas bianco mescolato con un bagliore bianco, un bagliore argenteo, bagliore perla intorno al mio corpo. Ero bella.

C’è una antropomorfizzazione dell’anima che ha del tenerissimo. Una riconduzione a qualcosa di familiare – braccia, nuvole. Una generale sensazione di dolce passaggio da uno stato a un altro, senza traumi.
Una idea di paradiso a noi vicina e soprattutto comprensibile. Perché sarebbe complicato, far capire a chi crede a queste cose, cosa significhi la cessazione delle attività cerebrali, la non-esistenza. Ma anche ad ammettere una vita oltre la vita, perché dovremmo continuare a essere simili a ciò che eravamo prima? E un cieco? Tutta questa cazzo di luce improvvisa – spegnete perdio!? Senza neppure gli strumenti per comprenderla? E un bambino morto dopo poche ore? Senza la conoscenza delle parole per elaborare pensieri?

Ma anche qua, che obiezioni balorde, le mie. Basta tirar fuori un “Noi non possiamo capire” e ottieni il risultato.

Non avevo uno specchio per guardarmi in faccia, ma io potevo sentire che il mio viso era carino, ho visto le mie braccia e le mie gambe, avevo un abito bianco, semplice, lungo, fatto di luce. La mia voce era come quella di un adolescente mischiata con il tono di voce di un bambino. All’improvviso una luce più chiara del mio corpo si è avvicinata. La sua luce mi abbagliava. Egli ha detto con una voce molto bella: «Non sarai in grado di continuare». Ricordo che parlavo la sua stessa lingua con la mente, anche lui parlava con la sua mente. Ho pianto perché non volevo tornare indietro, allora mi ha presa, mi ha abbracciata. È rimasto tranquillo tutto il tempo, mi ha dato forza. Sentivo amore ed energia. Non esiste un amore e una forza in questo mondo comparabile a quella. Egli ha detto: «Sei stata mandata qui per sbaglio, lo sbaglio di qualcuno. Hai bisogno di tornare indietro. Per venire qui, è necessario realizzare molte cose. Cerca di aiutare più persone».

Lo sbaglio. La fallibilità anche nell’altro mondo. E no, cazzo. No! È qui che crolla tutta l’impalcatura. È qui che si capisce che mi stai vendendo la bambolina Voodoo, il sangue di San Gennaro, l’amuleto magico, il cristallo terapeutico, l’acqua santa, la visita a Lourdes, il terno su Napoli, il braccialetto portafortuna, la visita del Testimone di Geova, il Corpo di Cristo – amen, la scia chimica, il soprannaturale, l’ufo, l’incomprensibile, gli dei dell’olimpo, la nonna in sogno, le coincidenze incredibili che ora ti racconto non ci crederai.

È tutta una gran buffonata. Se c’è un Dio deve essere all’altezza! Non deve commettere “errori”. Ma scherziamo? Allora potrebbe fare casini immani, anche gravi ingiustizie. E io non posso pensare che una volta morto potrei soffrire ancora per apparati burocratici non funzionanti, omissioni, fascicoli spostati, compravendita di arcangeli, lentezze nella risoluzione delle questioni, conflitti.
C’è un Forum al quale appellarmi? Santi Licheri in realtà aveva già nel nome una chiara traccia di tutto questo? Dante, Milton, questa parte sugli inciuci, dove l’avete messa?

Ho aperto gli occhi, tutto intorno c’erano porte metalliche, persone su tavoli di metallo, un corpo aveva un altro corpo sulla parte superiore. Riconobbi il posto: ero nella camera mortuaria. Sentivo il ghiaccio sulle ciglia, il mio corpo era freddo. Non riuscivo a sentire nulla. Non ero nemmeno in grado di muovere il collo o parlare. Mi sentivo assonnata. Due o tre ore dopo, ho sentito delle voci e ho riaperto gli occhi.
Ho visto due infermieri. Sapevo cosa avrei dovuto fare, un contatto visivo con uno di loro. Avevo appena la forza di sbattere un paio di volte le palpebre e l’ho fatto. Mi è costata tanta fatica. Una delle infermiere mi ha guardata spaventata dicendo al suo collega: «Guarda, guarda, sta muovendo gli occhi». Non ho chiuso gli occhi fino a quando non sono venute delle infermiere e dei medici. Tutto quello che ho sentito è qualcuno dire: «Chi ha fatto questo? Chi ha mandato questo paziente all’obitorio? I medici sono pazzi». Mi sono svegliata solo tre o quattro giorni dopo. Mi hanno aiutata a camminare di nuovo, con la terapia. Una delle cose che ho imparato è che non c’è tempo da perdere a fare cose sbagliate,dobbiamo fare tutto il bene per il nostro bene… dall’altra parte, è come una banca, più si mette, più si otterrà alla fine”.

Ed ecco la morale: “sii buono, stai tranquillo, comportati in modo morigerato, non fare domande… e nessuno ti farà del male“.
Più che un Dio, un rapinatore.

Ho una vita bellissima per te, tanto amore e luce, luce immensa. Dovrai solo darmi tutto quello che ti chiedo, senza fare domande. Ora vieni fuori da quel corpo e nessuno si farà male“.

Preferisco tenere i miei ostaggi.

Non mi avrai.

È una priorità questa o è puzza di cane bagnato?

6cca12

 

 

Ho letto fiumi (sic!) di banalità circa l’ostinazione e la caparbietà del popolo sardo e la sua certa capacità di uscire da questa tragedia. Né più né meno di quanto si scrisse qualche tempo fa degli abruzzesi e del terremoto. O di Longarone e del Vajont. O di qualsiasi popolazione e di qualsiasi tragedia. E le solite cazzate indignate sul “Perché non si ripetano più certe tragedie occorre fare in modo che…“. E le solite contro-indignazioni, su chi poi cinicamente osserva che alla fine non si farà nulla.
In mezzo, chi cerca di alleggerire con battute che tirano dentro le veline sarde, chi cerca di mantenere distacco, chi ostenta solidarietà e impegno fattivo senza se e senza ma, pure se stasera c’ha calcetto.

Priorità.

Ma peggio ancora è chi propone fiaccolate, sospensioni di eventi, preghiere collettive, attimi di raccoglimento. Una ipocritissima pulizia di coscienza prêt-à-porter, tanto più inutile quanto più intramuscolare: il minuto di silenzio è l’apoteosi del nulla, lo sciacquafaccia a effetto rapido, la Coloreria per dare un tono nuovo a capi scoloriti e dismessi.

Fate una prova: cronometrate il minuto di silenzio, meglio se allo stadio. Se dura venti secondi è anche troppo. Perché la gente si rompe il cazzo, perché l’Atalanta deve fare il culo al Cagliari, e chi se ne fotte dell’alluvione. Anzi, magari hanno la testa altrove: meglio.

Priorità.

La gente muore, è sempre morta e sempre morirà. Di vecchiaia, di malattia, di catastrofi, naturali o procurate.
La gente muore, e ci frega davvero di questa gente solo se è vicina a noi. E se proviamo umana empatia per morti lontani è solo per proiezione, per un naturalissimo trasportarci con la mente a quelle condizioni, un pensare cosa proveremmo se fossimo noi al posto di chi ha perso tutto, che è annegato sotto un cavalcavia, che ha visto il figlio trascinato via da un torrente.
La gente muore, e inscenare rappresentazioni cariche di misericordia e partecipazione emotiva a lutti altrui non serve ai morti, non serve a chi ha perso i propri cari, ma serve – egoisticamente – a noi attori di queste pièce teatrali barocche e appiccicose, noi portatori un sentimento che – intimamente – viviamo anche come vero e tutt’affatto ipocrita, ma che non riusciamo a inquadrare per quel che è: proiezione.

Ce lo insegnava Aristotele: la catarsi, la purificazione avvengono nel momento in cui nasce il timore che le stesse disgrazie si verifichino anche su di noi. E questo, insieme alla compassione nella tragedia, porta innalzamento, liberazione. Ma ciò avviene attraverso proprio il timore, la consapevolezza che potrebbe toccare a noi la prossima volta.
Gli dei dell’Olimpo erano distaccati e raramente interferivano con le disgrazie umane (e quando lo facevano c’erano motivi – amore, vendetta. E conseguenze). Perché non provavano timore che quelle accadessero anche a loro.

La molla della compassione è la proiezione. Mettersi al posto di quello là – Dio non voglia!

La sofferenza altrui è un’ombra, che si proietta tanto più potente quanto più vicina è a noi l’anima colpita.

Per questo un lutto immane come quello delle Filippine ha lasciato negli italiani una traccia, certo, che però si è affievolita istantaneamente quando è accaduto quel che è accaduto in terra sarda.
Ed è per questo che quando c’è una disgrazia da qualche parte, la prima cosa che facciamo è contattare chi conosciamo in quei luoghi.
È normale che sia così? Certo, lo è. Perché tanto più vicina è la persona colpita dal male, tanto più forte è la nostra proiezione, identificazione. Fino al male sommo, che si ha quando quella persona è realmente parte di noi, della nostra famiglia. Là la proiezione si incarna: diventa apparizione di Seth, dell’Uomo Nero che esce dall’armadio, della macchia sulla radiografia.

Il Male bussa, si presenta. Chiede di te.

Ed è qui l’esercizio che vi invito a compiere, se avete voglia di guardarvi dentro: ciascuno di noi dimenticherebbe all’istante le decine di vittime sarde se avesse un figlio colpito oggi da una leucemia. E non esiterebbe a scambiare la sua guarigione con qualsiasi altro male al mondo, ivi compresi terremoti devastanti, genocidi, uragani che annientano intere città. Meglio se lontane, certo.

Se aveste la possibilità di evitare un male tra due, uno solo, uno, tra certezza di un terrificante terremoto in Zambia con migliaia di vittime, no: decine di migliaia, e una leucemia a vostro figlio, voi, cosa scegliereste?
Si tratta di un rapporto di 1 a 10.000. O 50.000. Assolutamente perdente da un punto di vista eminentemente utilitaristico.
Eppure.

Priorità.

E cosa sceglierebbe una madre di Kaoma, Zambia, di fronte a questa opzione? Mi pare scontato, potete salutare il vostro bambino.
Andiamo oltre? Neghereste che voi odiereste a morte quella donna, che ha scelto la propria terra, i propri affetti, condannando chi per lei è solo uno sconosciuto lontano?

Ha tutto senso, certo.

Ma se lo ha, perché ancora partecipate a questi riti collettivi tribali e privi di reale valore, privi di vero, intimo afflato? Una partecipazione che trovo invece superficiale e distratta. Scarica.

Il minuto di silenzio? Interrompere un concerto “in segno di rispetto per le vittime?”. Ma che cazzate sono?
La gente muore. Smettiamo di far qualunque cosa allora, teniamo le saracinesche perennemente abbassate, indossiamo una fascia al braccio.
Piangiamo. Ogni istante. Se vogliamo davvero essere coerenti.

No, non dovete più pensare di avere questi alibi facili, questi “Smacchiatutto” per le vostre piccole coscienze.
E no, col cazzo che i due euro via sms “sono comunque qualcosa”. I Telethon hanno prosciugato le risorse mentali di noi tutti. Mentali, sì: non economiche. Stare a bussare a quattrini, col testimonial di prestigio (se Alessia Marcuzzi o Flavia Vento possono essere considerate di prestigio) che ti chiede soldi ogni tre per due, perché lui comunque ha bisogno di scaricare quelle donazioni e comunque fa immagine, ha realmente rotto il cazzo. Perché un Telethon nato per un’emergenza una tantum può anche avere senso. Quando diventa istituzionalizzato e suppletivo rispetto ad una Protezione Civile o ad una Ricerca che dovrebbe trovare finanziamenti dallo Stato per sua stessa funzione e utilità, beh: significa che hai svuotato una liberalità e creato un’accisa.

Come suggerisce una cara amica, volete fare qualcosa per il popolo sardo? Andate in vacanza là, comprate prodotti loro.
E pensate sempre che comunque si muore. Date meno valore alla vita: vi hanno preso per il culo da piccoli, con questa sopravvalutazione di questi 70-80 anni a pascolare qua sopra.
Vi hanno insegnato ad iper-impegnarvi, anche al di sopra delle vostre capacità. Che già sono quelle che sono. Ad affannarvi. Rilassatevi, magari c’è un cavalcavia gonfio di melma che vi aspetta.

La nostra solidarietà è fatta di strati. È una cipolla fetente, è spesso opportunismo, calcolo. Smettetela di condannarvi se proprio non ce la fate a provare reale e sentito dispiacere per dei morti in Nigeria. Siamo programmati così, per andare avanti. Non per ostentare bontà, dolore, partecipazione.

Siete esseri umani. Siate esseri umani.

Priorità.

Morto un Papa, muore pure l’altro

Ho sentito che Villaggio si è sentito male. Mi sono subito preoccupato ma poi ho pensato che non me ne frega niente di Villaggio. Questo è bastato a sentirmi meglio*.
Allora ho fatto un passo avanti e ho cercato altre persone malate di cui non mi fregava un cazzo, per provare finta preoccupazione e susseguente immediato sollievo. Funziona benissimo e lo consiglio a tutti.
Insomma, se mi dovessi preoccupare di tutti quelli che si ammalano e muoiono mi sparerei un colpo in testa immediatamente, perché qua c’è gente che si ostina ad ammalarsi e a morire.
Credo lo facciano apposta per crearmi quell’imbarazzo da finto dispiacere, quello sociale e ipocrita, perché “Ci lascia un grande”.
È da quando ero piccolo che quelli famosi muoiono. Ho capito da un pezzo che non hanno superpoteri, nonostante i soldi. Forse è per questo che dicono che i soldi non fanno la felicità. Io non so se facciano la felicità ma di certo non fanno l’immortalità.
Forse l’invisibilità, ma solo se sei grande evasore.
Pure Jobs, con tutto il suo genio, non ha saputo inventare una app contro il tumore. Ed è da allora che sono passato ad Android.
Alla fine muoiono tutti. E a me non cambia nulla.
La Montalcini? Morta.
Jannacci? Morto.
Califano? Morto.
Giulio Cesare? Morto.
Antonio Romanelli? Non lo conosco ma muore sicuro.
Ricordo che quando morì Paolo VI – ero piccolo – vidi mia mamma piangere. Io provai a piangere con lei ma non mi venne. Mi sentii in colpa. Da allora odio tutti quelli che muoiono, di cui non mi fotte nulla, perché secondo me lo fanno apposta.

* Che poi. Villaggio per me è morto dopo “Il secondo tragico Fantozzi”*.
** Ma pure se avesse fatto altro di interessante non mi sarebbe fregato lo stesso***.
***In ogni caso ha preso ed è tornato a casa: manco è morto, dunque tutta ‘sta manfrina per nulla.