Le parole che non ti ho detto

Ero solo, per la prima volta a Los Angeles. Il motel era a Glendale, così da permettermi di visitare Hollywood, la strada con le stelle e quelle menate là con una certa facilità. Vicino l’osservatorio Griffith, dal quale si poteva godere di una veduta spettacolare sull’intero smog della città.

Decisi di passare la serata in un locale nella vicina Pasadena, perché avevo letto su Tinder Tripadvisor che là era facile incontrare stelle del cinema oppure perfette sconosciute molto carine, e io alle perfette sconosciute molto carine non sapevo resistere.
Entrai e venni avvolto da una nuvola di vapore aroma liquirizia – c’erano degli spruzzatori all’ingresso tipo decontaminazione nucleare, solo che invece delle radiazioni ti toglievano ogni virilità.
Feci come nei film, mi avvicinai al banco e chiesi una birra. E come nei film mi si avvicinò una perfetta sconosciuta molto carina, come quelle descritte un paio di righe sopra. Però non mi parlò, non attaccò bottone come speravo, “Sarà l’aroma liquirizia”, pensai. Così mi feci coraggio e le chiesi se potevo offrirle qualcosa. Niente, fu molto più semplice del previsto perché sorrise e disse di sì (probabilmente era una liquirizia depotenziata o lei aveva il naso chiuso).
Come succede in questi casi una parola dopo l’altra e ci congratulammo con noi stessi per aver capito come si costruiscono le frasi.
E una frase dopo l’altra e ci ritrovammo da lei, che abitava là vicino.

  • Vivi sola?
  • Sì, ma c’è una cosa che non ti ho detto.
  • Sei fidanzata?
  • Sì.
  • E allora? Cosa facciamo?
  • Quello che vogliamo. Ma senza baci in bocca.

Mi pareva un buon compromesso. Del resto se al fidanzato bastava questo mi sembrava giusto accontentarlo.

Mi portò nella camera da letto e mi chiese di aspettarla: doveva andare in bagno.
In un momento così altamente erotico un uomo può pensare cose incredibilmente fuori luogo. A me venne in mente: “Io non farei mai la cacca in un momento simile”.
Da lì a farsi domande sui mille misteri delle donne è un attimo: “Perché le donne vanno in bagno sempre in due?”, “Come fa una donna a usare un cellulare se è allergica ai libretti di istruzioni?”, “E’ possibile che una donna sappia guidare ma non riesca mai a parcheggiare rispettando le linee per terra?”, “Qual è stato in questo post il più becero luogo comune sulle donne?”.
Dopo cinque minuti uscì, con addosso gli stessi abiti di prima, e ci rimasi male perché mi ero fatto tutto un trip su lei e un négligé di quelli dei tempi d’oro di Barbara Bouchet, prima che invecchiasse e diventasse Barbara Bush.

  • Come mai non ti sei spogliata?
  • Vedi, c’è un’altra cosa che non ti ho detto.
  • Dimmi pure.
  • Io non sono la donna che credi.
  • Ma cosa pensi che io creda?
  • Non lo so, ma non voglio darti una impressione sbagliata.
  • Ma stai tranquilla, se hai qualcosa da dire sono qua, ti ascolto.
  • Sì, ma…
  • Non preoccuparti, non dobbiamo fare nulla. Se vuoi parliamo tutta la notte.
  • Sei dolcissimo. E mi piaci davvero. No, niente, non devo dirti nulla, aspetta.

E tornò in bagno di nuovo. Stavolta le aspettative sul négligé alla Barbara Bouchet (originale) c’erano tutte e più che motivate.
Ero là a pensare al Kamasutra e a come avessero voglia gli indiani di stare a seguire le istruzioni riportate su un libro mentre facevano sesso, voglio dire, ti immagini?

  • Allora, tu mettiti così…
  • Così?
  • No, guarda qua a pagina 35, la gamba sinistra attorno al mio alluce…
  • Aspetta…
  • No, non così… il gomito non va là…
  • Così?
  • Mi accechi il terzo occhio…
  • Ma Budda Eva! Mi sono incastrata!

Ma anche stavolta uscì dal bagno vestita esattamente come era entrata. E ci rimasi un po’ male.
Si avvicinò a me come se dovesse dirmi qualcosa di importante, e io la incoraggiai a parlare, con un sorriso. Non ci fu bisogno di dirle nulla.
Si sedette accanto a me, le presi la mano. Fece un grosso respiro e:

  • Scusami, ma c’è un’altra cosa ancora che non ti ho detto.
  • Hai il cazzo.
  • Sì.

Quella fu l’ultima volta che la vidi.
Los Angeles, dico.

La prossima volta provo la Melissa

tisane

Volevo prepararmi una tisana rilassante alla passiflora e biancospino. Trovo su internet la ricetta scritta da Ciottolina56 e vado in erboristeria a procurarmi questi semplicissimi ingredienti che – a detta di molti – avrebbero proprietà antistress fantastiche. L’erboristeria però è chiusa: fuori c’è un cartello: “TORNO SUBITO”, peraltro in Comic, e mi fido del “SUBITO”. Dopo mezz’ora mi rompo il cazzo e vado via. Altra erboristeria, altri problemi: “Abbiamo la passiflora ma il biancospino è finito. Possiamo sostituirlo però con la melissa, va bene lo stesso“. Al che rispondo: “Se Ciottolina56 ha scritto biancospino e passiflora un motivo ci sarà“, il commesso mi guarda strano, io lo riguardo e lui non mi sostiene lo sguardo: vinco io, prendo solo la passiflora, lamentandomi per il disservizio e le sopracciglia ad ala di gabbiano, ma in un’erboristeria te l’aspetti. Per il biancospino terzo negozio, questo strapieno (pare che la gente usi molto andare per erbe ma poi io la vedo comunque stressatissima, boh). Compro il biancospino, pago un fottìo, mi lamento con il commesso per le sopracciglia di quello dell’altro negozio, non mi capisce, mi lamento anche di questo e via a casa. Dopo una giornata intensissima e realmente stressante, quel che ci vuole è davvero una tisana rilassante. Rileggo questa frase e mi infastidisco della rima ma lo stress mi impedisce di correggerla. Ho proprio bisogno di quella tisana. Metto il bollitore sul fornello ma mi accorgo che è sporco e incrostato da chissà quanto. Cerco il detersivo ma è finito. Uso il bagnoschiuma ma non viene via. Sto mezz’ora a sfregare. Alla fine riesco a pulire e finalmente lo riempio d’acqua. Apro la bustina di passiflora e ne metto un po’ sulla bilancina, ma il piatto è messo male e mi cade tutto in terra. Sbraito non poco perché devo pulire tutto il casino e mi sono già perso la metà della passiflora comprata. Verso nel bollitore. Apro ora il biancospino ma mi sale il dubbio: dovevo metterli contemporaneamente? Spengo immediatamente il fornello ma nel farlo urto il bollitore che mi cade su un piede e se ne vanno diversi cristi in sequenza ravvicinata tipo rosario ma zippato. Raccolgo ancora il tutto, asciugo, risistemo, mando affanculo il telefono che intanto squilla insistentemente da due minuti – ma cosa cazzo continui a squillare?! Se non rispondo non posso! – confido che Siri mi ascolti e soffra del mio insulto, rimetto passiflora e biancospino, getto via tutto quanto pre-bollito in precedenza, noto il bollitore ammaccato, bestemmio moltissimo, la vecchia di sotto mi sente e mi bussa con la scopa, mi raffiguro il suo soffitto pieno di anni di questi segni di scopa, l’immagine mi infastidisce di suo, le urlo con tutta la rabbia che ho in corpo di non rompere i coglioni, bussa più forte, non resisto e scendo sotto a prendere a calci la sua porta, si affacciano gli altri vicini, mi dicono di calmarmi, prendo a pugni la vicina incinta, così ne picchio due con un colpo solo, riesco intanto a sfondare la porta della vecchia, sta ancora là con la scopa in mano, gliela ficco su per il culo, mi piace scambiare quella smorfia di ultimo dolore come un nostalgico aggancio a ricordi da tempo accantonati, mi muore in un tempo inferiore alle mie aspettative, prendo dalla sua cucina un bollitore che pareva chiedermi “portami via da questo posto tetro”, lo trovo perfetto per la mia tisana rilassante, risalgo le scale, trovo l’altro vicino che sembrava non chiedesse altro che essere gettato giù per tre rampe: per un complesso gioco di sponde e ringhiere gliene faccio fare invece quattro ma purtroppo nessuno ad annotare questa sorta di record, rientro in casa, metto su il nuovo bollitore, getto dalla finestra il vecchio, per un caso fortuito riesco a colpire in pieno la volante della polizia in quel mentre sopraggiunta, ho giusto il tempo di barricarmi in casa e farmi quella cazzo di tisana rilassante, riprendo la ricetta di Ciottolina56, dice “al termine aggiungere una goccia di miele di acacia“, penso che Ciottolina56 sia solo il Male, il miele di acacia di Cristo non ce l’ho, né saprei riconoscere un’acacia se pure mi si parasse davanti, ho il millefiori, così c’è scritto, una etichetta scritta pure questa in Comic, penso che questi lavori li fanno stagisti pagati solo con visibilità e dunque lo fanno apposta per rovinare le immagini delle aziende che li sfruttano, mi chiedo che cazzo di visibilità possa darti una etichetta di miele millefiori, mi girano i coglioni come non penso uomo possa descrivere, mi calmo solo pensando che tra i millefiori ci fosse pure la puttana di quell’acacia, penso che devo tenere la calma, che di lì a poco tutto sarebbe passato grazie alla tisana, che il miele posso sostituirlo con qualcosa comunque proveniente dal mondo animale, allora sputo più volte nella tisana, confido nella carica batterica della mia saliva, sono bestie piccolissime pure quelle come le api, mi accomodo sui vetri rotti della finestra perché intendo sanguinare pure dal culo, chiudo gli occhi e finalmente posso assaporare la mia tisana rilassante.

Oh, sapete cosa? Non credeteci mai, alle ricette trovate su internet.

 

UPDATE: Interpretazione di Marco Tajani

Processi storici demenziali – Norimberga

[Processi storici demenziali – Atto4 – Norimberga]

[Processi precedenti: Socrate, Gesù, Galileo]

[Prossimi processi: Calciopoli – Berlusconi]

 

 

Norimberga

 

processo-norimberga1

20 novembre 1945, dopo una prima udienza a Berlino entra nel vivo il più importante processo della storia: Norimberga. Imputati gli alti gerarchi nazisti in un procedimento che durerà 218 giorni.

Presiede il giudice britannico lord Geoffrey Lawrence.

 

Lord Geoffrey Lawrence: Allora, vediamo un po’ cosa c’è da fare. Di cosa parliamo oggi, cancelliere?

Cancelliere: Dei crimini nazisti, signor giudice.

LGW: Tutti?!

C: Tutti.

LGW: Cristo, non ne usciamo prima di stanotte

C: Penso molto più tardi, signor giudice.

LGW: Dai, facciamo presto ché c’è Norimberga-Colonia stasera.

C: Questa della partita l’ho già sentita.

LGW: Ha capito anche lei che è il filo conduttore di tutti questi atti? C’era pure in Socrate, Gesù…

C: Comunque non penso ce la facciamo, signor giudice.

LGW: Vedremo. Chi sono gli imputati?

C: Karl Dönitz, Frank Hans, Wilhelm Frick, Hans Fritzsche, Walter Funk, Hermann Göring…

LGW: Piano, piano. Quanti ne sono?

C: Parecchi.

LGW: Perché non partiamo con quello che comandava? Quello coi baffetti…

C: E’ morto, signor giudice.

LGW: Cristo! E come?

C: Si è sparato.

LGW: Ma non ne sapevo niente. Era sempre triste, certo, con quella bombetta ed il bastone, ma da qui ad ammazzarsi…

C: Ehm, credo che stia confondendo con Charl…

LGW: Basta basta, andiamo avanti. I capi d’imputazione.

C: Cospirazione, aggressione contro altri Stati, violazione di trentaquattro trattati internazionali, crimini di guerra, violazione della Convenzione dell’Aja, crimini contro l’umanità, genocidio…

LGW: Cancelliere, ha mica preso il fascicolo di Berlusconi?

C: Chi?

LGW: Vabbè. Chi manca?

C: Sono assenti in questo procedimento Adolf Hitler, Joseph Goebbels e Heinrich Himmler, vostro onore.

LGW: Sono assenti giustificati?

C: Sono morti suicidi, signor giudice.

LGW: [sussurrando] In Brasile?

C: [sussurrando] Brasile, sì.

LGW: [sussurrando] Che cazzo aspettiamo pure noi ad andarcene da ‘sto cazzo di freddo?

C: [sussurrando] Maturiamo la pensione e poi via di culi e samba.

LGW: [sussurrando] Sì cazzo. [Voce normale]: Altri assenti?

C: [Brasiiiillll. nanananananananaaaa…] .

LGW: Cancelliere!

C: Mi scusi signor giudice. Martin Bormann è contumace. Manca anche Heinrich Muller, della Gestapo.

LGW: Me lo ricordavo all’Inter.

C: Quello è un altro, signor giudice.

LGW: Capisco. Poi?

C: Manca Adolf Eichmann, responsabile della “Soluzione finale”.

LGW: Un matematico, dunque. E non tornano i conti: ahahahahahah!

C: [silenzio]

LGW: Rida, cancelliere!

C: ahahahahahah!

LGW: Bene, aspettiamo che i servizi segreti israeliani facciano il loro corso.

C: ahahahahahah!

LGW: Questa non era una battuta, cancelliere.

C: Mi scusi.

LGW: Cominciamo. Chi è il primo?

C: Karl Dönitz, grande ammiraglio, comandante della Kriegsmarine, successore di Hitler; firmò la resa.

LGW: Ammiraglio, cos’ha da dire in sua difesa?

Karl Dönitz: “Eseguivo gli ordini”.

LGW: [Con tono da bambino] E allora se uno ti dice di buttarti dal ponte lo fai? Eh? Lo fai?

Karl Dönitz: Ma… io…

LGW: [Con tono da bambino] Gnegnegne. Cancelliere, appresso.

C: Hans Frank, avvocato, dal 1939 fu…

LGW: Avvocato? Mi basta. Appresso.

C: Wilhelm Frick, ex ministro degli Interni.

LGW: Di cosa è accusato?

C: Ha introdotto una legge sulla sterilizzazione chirurgica dei malati.

LGW: Non mi interessano le poche cose buone che pure avrà fatto. Qua si parla di crimini.

C: E’ tedesco, signor giudice.

LGW: E tanto basta. Poi?

C: Walter Funk, ministro dell’economia.

LGW: Il nome però e figo.

C: Magari gli diamo uno sconto di pena?

LGW: Probabile. Che ha fatto?

C: Praticamente tutto. Ha messo in moto la macchina economica a sostegno dell’Olocausto.

LGW: Se condanniamo lui allora pure Monti…

C: Eh?

LGW: Niente, ogni tanto ho dei flash forward.

C: Eh?

LGW: Cancelliere, si è incantato? Avanti.

C: Hermann Göring, il “numero due” della Germania nazista.

LGW: Ah, terzino destro. Cosa ha fatto? Qualche entrataccia?

C: Istituì il Geheimes Staatspolizeiamt che successivamente divenne la GeStaPo.

LGW: Questi campionati minori sono sempre più un casino.

C: Fu uno dei principali artefici della potenza militare tedesca.

LGW: Un pezzo grosso insomma. Implicato nel calcio scommesse, dica la verità.

Hermann Göring: Ma cosa dice!

LGW: Cancelliere, questo lo passiamo a Guariniello. Il prossimo.

C: Alfred Jodl, generale di corpo d’armata. Preparò tutti i piani di guerra della Germania.

LGW: Questo ce lo teniamo per il Risiko. Poi?

C: Ernst Kaltenbrunner, Wilhelm Keitel, Neurath von Konstantin…

LGW: Cancelliere, io mi sarei già rotto.

C: Ce ne sono ancora tantissimi, signor giudice.

LGW: Senta, io ho sentito che è nell’aria un bell’indulto…

C: Non penso che questi crimini ci rientrino.

LGW: Uff… vogliamo sentire un po’ di testimoni?

C: Ce ne sono milioni in effetti.

LGW: Ma cazzo! Non li avevano ammazzati tutti, ‘sti ebrei?

C: Sono tosti, signor giudice.

LGW: Dai, vediamo un po’ di prove.

 

Vennero illustrati dodici anni di regime, attraverso duemila prove documentarie e centinaia di testimonianze. Lavoro coatto nelle industrie tedesche, persecuzione degli ebrei, campi di concentramento. In aula furono proiettati filmati dei lager nazisti subito dopo la liberazione dei campi. Fu poi la volta dell’accusa sovietica circa i crimini di guerra e contro l’umanità commessi dalla Germania durante l’Operazione Barbarossa, che portò quest’ultimo a vincere inopinatamente Sanremo nel 1992 con “Portami a ballare”. Le conseguenze di quell’eccidio di telespettatori sono tragicamente note.

 

LGW: Dunque, qua vedo che l’invasione dell’Unione Sovietica comportò l’eliminazione di ebrei, zingari e commissari politici russi.

C: Esattamente, signor giudice.

LGW: Mi sembra dunque che tutto questo possa legittimamente configurare delle attenuanti generiche.

C: Esattamente, signor g… che?!

LGW: Dai, ora non esageriamo: non vorremo del tutto scagionarli per queste opere, pur meritorie?

C: Ma come? Hanno ammazzato pure bambini…

LGW: Sì, ma zingari. Che poi crescono e si sa.

C: Signor giudice, mi permetto di dissentire.

LGW: Faccia un po’ come cazzo crede, cancelliere. Tanto comando io.

C: Ma, le fucilazioni… gli stermini di massa… Pensi che il generale SS Otto Ohlendorf uccise da solo ben 90.000 ebrei, comprese donne e bambini, nel giro di un anno!

LGW: Che esagerazione! E’ vero, signor Otto? Ahahahah! Signorotto! Ahahahah! E’ buffo, dai.

C: …

LGW: Cancelliere, rida!

C: Ahahahah!

LGW: Allora, signorotto buffotto, è vero che ha fatto cose brutte agli ebrei?

Otto: Sì. E lo rifarei!

LGW: Eddai, dica che è un po’ pentito.

Otto: Affatto! Quel popolo andava sterminato!

LGW: Uff… ma così sono costretto a condannarla.

Otto: Andrò incontro alla mia pena con la testa alta.

LGW: Fino a che non gliela spezziamo con una corda, signorotto. Si metta agli atti che il signor Otto confessa di aver sterminato tantissimi ebrei e che lo rifarebbe.

C: Ahahahah!

LGW: Cancelliere, che cazzo ride?

C: Mi portavo avanti col lavoro.

LGW: Cancelliere, lei è un coglione. Un altro imputato, dai.

C: Il colonnello Friederich Hossbach, ufficiale di collegamento della Wermacht presso il Fuhrer.

LGW: Bel nome cazzuto. Anche se dagli atti ufficiali non mi risulta.

C: Le ricordo che questa è una ricostruzione cazzona degli eventi, signor giudice.

LGW: Ah, grazie cancelliere. Carina questa commistione tra vero, verosimile, rappresentazione teatrale, costruzione demenziale e immane cacata.

C: Più immane cacata, signor giudice.

LGW: Senza dubbio. Veniamo a noi. Dica, lei cosa ha fatto?

Hossbach:  Mi occupai della pianificazione del “Lebensraum”.

LGW: Cos’è, un dolce austriaco?

Hossbach: Conquistare l’Austria e la Cecoslovacchia, come preludio ad un’ulteriore avanzata verso Oriente: espansione dello spazio vitale.

LGW: Bah, non mi sembra una cosa gravissima. E’ quel che fa pure mia moglie a letto. Mi ritrovo sempre per terra.

Hossbach:  Ma infatti! Qua parlano, parlano ma poi scopri che non sono sposati! Ma lo sa che fa mia moglie invece? Prende le coperte e le tira tutte dal lato suo e…

LGW: Pure la mia! Uguale! Con quei cazzo di piedi gelati!

Hossbach: Io ho sempre dubbi che li metta prima in frigo, apposta.

LGW: O che li prenda da qualche cadavere.

Hossbach: Esatto. A volte penso che li stacchi da qualche ebreo accoppato il giorno prima.

LGW: Ahahahah!

Hossbach: Ahahahah!

LGW: Sarebbe da cacciarle di casa a pedate! Ahahah!

Hossbach: Ahahah! Sarebbe da metterle nelle camere a gas!

LGW: Ahahah! E perché pensa che mangi quei fagioli prima di andare a letto? Ahahah!

Hossbach: Ahahah!

LGW: Cancelliere: metta agli atti che questo tizio mi sta simpatico!

C: Non penso sia rilevante ai fini giuridici, signor giudice.

LGW: Questo lo vedremo.

 

Vennero portate altre prove, tra cui il diario di Hans Frank, meno noto di quello di sua sorella, Anna. Hans, nominato da Hitler Governatore generale della Polonia, scrisse quarantadue volumi di diario personale, circa 12.000 pagine. E’ che non c’era Facebook. In queste pagine vi era scritto in modo chiaro che bisognava “annientare gli ebrei” e “prendere misure tali da portare al loro sterminio”. Vi erano anche gli ordini del Reichsfuhrer-SS Himmler per la cosiddetta “soluzione finale”, in altre parole lo sterminio della razza ebraica ed anche delle altre razze considerate “inferiori”, tipo i giocatori di rugby.

Fu poi la volta di Himmler, responsabile della deportazione e dello sterminio e della caccia agli ebrei. Insieme ad Heydrich ed Eichmann diede vita al cosiddetto “Protocollo di Wannsee”, che si proponeva lo sterminio di undici milioni di ebrei, tra cui molti registi. I bambini e tutti gli inabili al lavoro venivano direttamente uccisi nelle camere a gas. Così anche i vecchi, che prima però si fermavano a criticare la lentezza di quelle operazioni di lavoro. Gli altri invece erano costretti a lavorare nei campi: braccia rubate al genocidio.

Insieme a loro venivano soppressi anche i malati di mente ma inspiegabilmente molti tedeschi si salvarono.

 

LGW: Cancelliere: mi porti quell’ometto là dietro che si nasconde.

C: Rudolph Hoess, signor giudice.

LGW: Perché si nascondeva?

C: E’ accusato di cose spaventose, signor giudice.

LGW: Ci dica, cosa avrebbe fatto?

Hoess: Ma niente… un po’ di camere a gas…

LGW: Cioè?

Hoess: Mah, ucciso qualche ebreo, ma non ricordo il numero.

LGW: Qua dice 2.500.000

Hoess: Avrei detto meno. Il tempo vola quando ci si diverte.

LGW: Lei non mi piace, sa?

Hoess: Mi spiace. Eppure sono una persona a modo. Posso offrirle un po’ di questo vinello?

LGW: Cos’è?

Hoess: Zyklon B., lo facciamo noi.

LGW: Magari più tardi. Cancelliere: quando tocca ai russi?

C: Non sono previsti, signor giudice.

LGW: Come non sono previsti? Ma se l’invasione della Polonia era stata concertata proprio con loro!

C: Signor giudice, guardi che questo processo non è mica basato sulla verità reale. E’ un immane pretesto per condannare il nazismo. Abbiamo affossato, insabbiato, cancellato, ricostruito in modo da condannare chi già sappiamo debba esserlo.

LGW: Ah, ho capito: è sempre per la storia della ricostruzione teatrale, demenziale e cazzona…

C: Nono. E’ proprio così che sono andate le cose.

LGW: “Sono andate”? Perché parla al passato ora?

C: Perché ora siamo sì nella rappresentazione teatrale e cazzona.

LGW: Mi sta dicendo che io e lei siamo solo dei pupazzi allora?

C: Esattamente, signor giudice.

LGW: Se è così allora non ci sono nemmeno italiani in questo processo.

C: Nessuno, signor giudice.

LGW: Incredibile: i fascisti italiani erano alleati dei nazisti tedeschi e ora la fanno franca come al solito?

C: All’italiana.

LGW: Pare un film di Monicelli. Che poi si sa che succede alla fine.

C: Si butta da una finestra di ospedale, signor giudice.

LGW: Cancelliere, solo alla fine mi tira fuori quest’umorismo nero?

C: Aspettavo che finissero ‘sti crucchi, signor giudice.

LGW: Avrà detto “signor giudice” un centinaio di volte. Guardi qua: sa cosa sono queste?

C: Borse della spesa?

LGW: Palle, cancelliere… le mie palle.

 

Nei mesi di luglio ed agosto del 1946 vi furono le requisitorie finali dei procuratori generali delle quattro potenze vincitrici. Il giudice Jackson affermò che: “Se voi, signori della Corte, doveste dire di questi uomini che essi non sono colpevoli, sarebbe come dire che non vi è stata guerra, non vi sono cadaveri, non vi è stato delitto”. Una frase rimasta nella storia, che per pochissimo non fu scelta da Moccia al posto di “Io e te, tre metri sopra il cielo”.

Il 1 ottobre 1946 ci fu la sentenza: undici condanne a morte. Che poi non è nulla rispetto agli ottanta milioni di morti stimati per colpa dei tedeschi.

Gli italiani? Vero: nessun italiano fu mai processato a Norimberga, nonostante l’Italia fosse alleata della Germania. Il motivo? Maddai, noi siamo caciaroni e simpatici! [parte una musica tipo tarantella]

 

[sipario]

Processi storici demenziali – Galileo

[Processi storici demenziali – Atto3 – Galileo]

[Processi precedenti: Socrate, Gesù]

[Prossimi processi: Norimberga – Calciopoli – Berlusconi]

 

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L’antefatto, Firenze, 21 dicembre 1614

Il frate domenicano Tommaso Caccini accusa Galileo Galilei, matematico e filosofo, di contraddire le Sacre Scritture per mezzo di astruse concezioni astronomiche ispirate alle teorie eliocentriche copernicane.
La Terra non sarebbe più al centro del creato: “La terra si move et il cielo sta fermo, seguendo le posizioni di Copernico […] e vogliono esporre le Sante Scritture a loro modo e contra la comune esposizione de’ Santi Padri, e difendere opinione apparente in tutto contraria alle Sacre Lettere”.

Il 20 marzo 1615 Caccini denuncia Galileo ai cardinali, gli stessi che pochi anni prima avevano portato Giordano Bruno al rogo. “Una bella botta di culo”, commenterà più tardi Galileo.

Nel 1616 iniziano gli interrogatori. La teoria copernicana viene dichiarata del tutto contraria alle Sacre Scritture e viene imposto al Sole di tornare a girare attorno alla Terra. Ma lui se ne fotte e continua a fare il comodo proprio (si crede oggi che fosse in combutta con il Sant’Uffizio).
Le polemiche attorno alla figura di Galileo continuano per anni. Eresia, l’accusa più infamante.
Il 28 settembre 1632 il Sant’Uffizio emette la citazione di comparizione di Galileo a Roma.
L’inquisitore è Vincenzo Maculano, detto “Il pio”, ma alcuni lo conoscevano come “il morigerato”, “il savio”, “il prete che certi giorni tutto normale, per carità, poi gli prendono i cinque minuti, si fissa e madonna del carmine eh”.

Vincenzo Maculano: Ed eccolo qua, l’eretico. Allora, abbiamo finito di trottolare in giro su questo pianeta vagante? Ahahahah!
Galileo: Invero non vi vedo nulla da ridere.
V: E se non ride allora la brucio, contento?
G: Nono: ahahahah! Bene?
V: Bene. Dunque, lei afferma o nega che la Terra giri intorno al Sole?
G: Lo… affermo?
V: Cosa?!
G: Nego! Lo nego! Eh?
V: Ma certamente che lo nega!
G: Ah, ecco.
V: E’ una totale assurdità e andrebbe contro tutto quanto è scritto nella Sacra Bibbia.
G: Beh certo, se va contro la Bibbia…
V: Eppure io qua leggo che le sue teorie sono eliocentriche
G: In realtà non ho né tenuta né difesa l’opinione della mobilità della Terra e della stabilità del Sole
V: Insomma, sia chiaro. E sappia che rischia la vita.
G: Copernico diceva cazzate! Viva Dio! Viva la Terra al centro di tutto!
V: Non è che si sta rimangiando tutto?
G: Non lo so. La Bibbia che dice al riguardo?
V: Vuole dire che non conosce le nostre Scritture?
G: Nono, per carità! Dicevo solo che a volte… ma proprio qualche volta… non è che si capisca…
V: Non si capisce cosa?
G: Nulla, si capisce tutto.

Naturalmente Galileo si attiene al copione. Rigetta completamente il modello tolemaico ma non può confessarlo, pena la vita.
L’inquisitore si accorge di questo e mira a farlo confessare.
Galileo vorrebbe ribadire che è la matematica l’unica verità assoluta, a parte una ancora non nata Irina Shayk. Ma non può (allora gli scienziati non erano molto coraggiosi, a differenza dei giorni nostri, capaci come sono di sfidare ogni limite e spillarti soldi senza alcuna difficoltà in ogni Telethon e questua pubblica).
Galileo viene condannato:

Giudice: Che il Sole sia centro del mondo e immobile di moto locale, è proposizione assurda e falsa in filosofia, e formalmente eretica, per essere espressamente contraria alla Sacra Scrittura. E acciocché questo tuo grave e pernicioso errore e transgressione non resti del tutto impunito, e sii più cauto nell’avvenire e esempio all’altri che si astenghino da simili delitti. Ordiniamo che per publico editto sia proibito il libro de’ Dialoghi di Galileo Galilei. Ti condanniamo al carcere formale in questo Ufficio ad arbitrio nostro. Ad cazzum, diciamo. E per penitenze salutari t’imponiamo che per tre anni a venire reciti sette Salmi penitenziali e ti sia impedito di masturbarti per più di una volta al dì. Ci riserviamo facoltà di moderare, mutare o levar in tutto o parte, le sodette pene e penitenze”.
Galileo: Signor giudice, cosa devo fare per dimostrare la mia Fede?
Giudice: Abiurare.
Galileo: Abiche?
Giudice: Negare le sue assurde convinzioni scientifiche.
Galileo: Ah, ma allora lo faccio.
Giudice: Ma ci deve credere davvero.
Galileo: Cazzo.
Giudice: Eh, solo Dio può leggere nel cuore e capire se lei è sincero. Nessun essere umano potrebbe mai capire se le sue parole sono di vera Fede o puro opportunismo.
Galileo: Ah, solo Dio… Ehm: avrei una dichiarazione.
Giudice: Prego.
Galileo: Io Galileo, figlio di Vincenzo Galileo di Fiorenza, dell’età mia d’anni 70, constituto personalmente in giudizio, e inginocchiato avanti di voi Eminentissimi e Reverendissimi Cardinali, in tutta la Republica Cristiana contro l’eretica pravità generali Inquisitori; avendo davanti gl’occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani, giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l’aiuto di Dio crederò per l’avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la Santa Cattolica e Apostolica Chiesa, pedofilia compresa. La Terra è centro del mondo, il Sole e le stelle vi girano intorno, Ibrahimovic è simpatico e tutto quello che cazzo vi pare.
Giudice: Queste cose sono sincere?
Galileo: Quant’è vero che il Sole gira attorno alla Terra.
Giudice: Sente che Dio sta credendo a quel che dice?
Galileo: Quant’è vero che le stelle girano attorno alla Terra.
Giudice. Mi pare possiamo essere a posto.
Galileo: Quant’è vero che la Terra gira attorno alla Terra.
Giudice: E sia. Un po’ di carcere e poi libero, contento?
Galileo: Ma è proprio necessario il carcere?
Giudice: Sente che Dio le sta dicendo che non ne ha bisogno?
Galileo: Quant’è vero che la Terra la Terra la Terra.
Giudice: Una serie di riferimenti così precisi non può che provenire dalla voce del Signore. E noi chi siamo per non fare la volontà di Dio?
Galileo: Un cazzo di nessuno. Con tutto il rispetto eh.
Giudice: E’ così: sia fatta la volontà di Dio.
Galileo: Tutti giù per Terra.

Nei suoi ultimi anni, Galileo avvia una affettuosa corrispondenza con Alessandra Bocchineri, già solo per il nome (questa non aveva alcun senso).
Alessandra è una bella donna di 33 anni molto intelligente ed acculturata. Galileo le si avvicina moltissimo a livello empatico.
Alessandra scrive:

“Son rimasta così appagata della nostra gentilissima conversazione e tanto affezionata alle sue qualità e meriti che non saprei tralasciare di quando in quando di salutarla e pregarla che si compiaccia farmi sapere nuove della sua salute, e conservare insieme memoria del desiderio ch’io tengo d’essere onorata di alcun suo comandamento”.

Galileo si innamora di queste parole. E del fatto che a pronunciarle fosse una con quel cognome, certo.

Alessandra:
“Ho l’ardire ardire di supplicare V.S. che volesse consolarci colla sua presenza ne’ prossimi giorni del principio di agosto: ma perché mi prometto di goderla in ogni modo mi riserbo ad altra occasione a implorare questa grazia. Di tutto core le bacio le mani e resto schiava alle sue virtù”.
Lette queste dolci ed accorate parole, Galileo si arrapa tantissimo: «sì rare si trovano donne che tanto sensatamente discorrino come ella fa.»
Gli uomini, si sa, non capiscono un cazzo quando una comincia a fare la gallina.
E il cognome, certo.

Negli anni seguenti Alessandra scrive a Galileo, che pressava come solo un vecchio infoiato può, che vorrebbe accettare i suoi inviti ma è costretta a respingerli per timore di dare scandalo mentre gli rinnova il suo desiderio di vederlo:
“Io delle volte tra me medesima vo stipolando in che maniera io potrei fare a trovare la strada innanzi che io morissi a boccarmi con Vostra Signoria e stare un giorno in sua conversazione, senza dare scandalo o gelosia a quelle persone che ci hanno divertito da questa volontà”
Sul “boccarmi”, Galileo pronuncia quelle che sono state le sue parole più famose: “Eppur si muove”.
Ma era solo moto apparente.

Il 2 gennaio 1638 Galileo scrive all’amico Elia Diodati a Parigi di essere diventato cieco da un mese: “Elia, ti scrivo questa lettera con tutta la difficoltà di un vecchio cieco. Quel cielo, quel mondo e quello universo che io con mie maravigliose osservazioni e chiare dimostrazioni avevo ampliato per cento e mille volte più del comunemente veduto da’ sapienti di tutti i secoli passati, ora per me s’è sì diminuito e ristretto, ch’e’ non è maggiore di quel che occupa la persona mia”.

Parole splendide e colme di tristezza, che però non giunsero mai all’amico perché Galileo imbucò la lettera in un orinatoio.

[Sipario]

 

Processi storici demenziali – Cristo

[Processi storici demenziali – Atto2 – Gesù]

[Processi precedenti: Socrate]

[Prossimi processi: Galileo – Norimberga – Calciopoli – Berlusconi]

 

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[Voce fuori campo]

Ora, quelli che avevano arrestato Gesù, lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale già si erano riuniti gli scribi e gli anziani.

Pietro intanto lo aveva seguito da lontano fino al palazzo del sommo sacerdote; ed entrato anche lui, si pose a sedere tra i servi, per vedere la conclusione.

I sommi sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù, per condannarlo a morte, ma non riuscirono a trovarne alcuna, pur essendosi fatti avanti molti falsi testimoni.

Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: «Costui ha dichiarato: Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni».

Alzatosi il sommo sacerdote disse a Gesù: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?».

Ma Gesù taceva.

Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio».

«Tu l’hai detto, gli rispose Gesù, anzi io vi dico:d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio,e venire sulle nubi del cielo».

(Matteo 26,57)

Sacerdote: Aspetta. “il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio”… cioè?

Gesù: Cosa?

S: Non ho capito. C’è un uomo seduto alla destra di Dio. Chi sarebbe?

G: Suo figlio.

S: Suo di chi?

G: Di Dio.

Ok, ma allora c’è anche un nipote.

G: Che nipote?

S: Hai detto: “il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio”. Dunque c’è un uomo alla destra di Dio, che è il figlio, abbiamo capito. Ma c’è anche un figlio di questo figlio. Dunque è il nipote di Dio. Affermi dunque tu di essere il nipote di Dio?

G: Ma che nipote! Sono il figlio!

S: Il figlio del nipote?

G: Ma cos’è, una sceneggiatura di Mel Brooks?

S: Chi è Mel Brooks?

G: Niente, cose mie. Comunque io sono.

S: Mel Brooks?

G: Il figlio, il figlio!

S: Il figlio di Mel Brooks?

G: Di Dio, porco…

S: Giovane, si moderi. Innanzitutto questo è un Sinedrio serio, mica siamo in Italia. Vede puttane?

G: No, in effetti.

S: E allora prenda atto che qui si segue solo la legge.

G: Non riconosco voi giudicanti!

S: Io sono Caifa, il sommo sacerdote di questo Sinedrio!

G: che secondo la Legge Ebraica, Sanhedrin, Cap. 4, folio 32°, dovrebbe riunirsi solo di giorno, prima del tramonto, per giudicare. Invece è notte. Questa irritualità già inficia il giudizio.

S: Ma è avvocato?

G: Ci mancherebbe: “Guai a voi dottori della legge!”

S: Ah, ho capito. E’ pratico perché è stato già in galera.

G: La sua lingua sta vaneggiando.

S: Allora mi spieghi come fa a conoscere così bene le procedure giudiziali.

G: Io so perché io sono l’uomo.

S: Eccone un altro: di che uomo parla ora?

G: Io, io sono l’uomo.

S: Scusi, ma questa non le sembra una tautologia?

G: Che?

S: Uff…

G: E abbia pazienza, ho fatto le scuole basse. Tutto il tempo in falegnameria…

S: Dicevo, sta dicendo una cosa ovvia. Qua siamo tutti uomini.

[Voce effemminata fuori campo: “Parla per te, carina”]

S: Vabbè, quasi tutti.

G: Io sono l’uomo perché vengo per mano di Dio.

S: Allora lo ammette: lei sta dicendo di essere il figlio di Dio!

G: Veramente è dall’inizio dello spettacolo che lo sto facendo.

S: Che spettacolo?

G: Questo [indica il pubblico]

S: Uh, non avevo notato la gente. Avete pagato voialtri? Vabbè, imbucati. Comunque, torniamo a noi.

G: Chi siete voi, per giudicare l’uomo?

S: Giudici.

G: Ah, scusate.

[Qui inizia un dialogo tutto fuori campo, tra il giudice e il cancelliere. Gesù intanto, mentre aspetta, prende un bicchiere vuoto ed una bottiglia di vino praticamente vuota, con una piccola scolatura. La versa nel bicchiere ma non è evidentemente soddisfatto della quantità. Allora comincia a muovere le mani, come nei giochi di prestigio, senza ottenere risultato]

S: Senta, qui le prove sono schiaccianti. Abbiamo una denuncia di tale… Cancelliere, come si chiama il denunciante?

Cancelliere: Un attimo signor giudice… non lo trovo… ma dove… ma porco… Giuda!

S: Cancelliere, si moderi, di bestemmie qui ce ne sono state già a sufficienza. Allora, questo nome?

Cancelliere: Giuda, Giuda!

S: Proprio non riesce a trovarlo?

C: Giuda, è Giuda perdìo.

S: Cancelliere, alla prossima bestemmia la metto agli arresti.

C: Sembra “Chi gioca in prima base”. Comunque il nome del denunciante è Giuda, signor giudice.

S: Bene. Cosa sappiamo di questo Giuda? Referenze?

C: È morto.

S: Morto? E come?

C: Impiccato ad un ulivo, signor giudice.

S: Oddio che brutta cosa. Ha lasciato un biglietto, qualcosa?

C: Sì ma è in aramaico.

S: Certo che è in aram… Uff… Nient’altro?

C: Aveva un sacchetto con trenta den… vent… vuoto, signor giudice. Un sacchetto completamente vuoto.

S: Insomma il denunciante non può esserci d’aiuto. A meno che il nostro “Figlio di Dio” non ce lo sappia resuscitare. Ahahahah!

C: Ahahahah!

S: e i testimoni? Cancelliere, introduca i testimoni.

C: Certo signor giudice. Ecco. Abbiamo Chmouel Antipa e Hiroshi Shiba.

S: Hiroshi Shiba l’ho già sentito.

C: Sì, anche io.

S: E dove sono?

C: Veramente non si sono presentati. Ma hanno rilasciato dichiarazione orale all’usciere nella quale affermano che Gesù è colpevole di tutto e che ha anche un’igiene personale carente.

S: Mi sembra altamente irrituale tutto questo. Ma tutto sommato ci puliamo ancora il culo con le pietre, a posto così. Signor Gesù, ha finito?

G: Sisi, oggi manco con le colombe funzionava [smette con la bottiglia].

S: Torniamo a noi.

[Gesù si scaccola e appiccica la caccola sotto un tavolo o cose simili]

S: Giovane, cosa sta facendo?

G: L’uomo fa pulizia.

S: Non scarichi responsabilità su gente che non c’è. Lei si stava scaccolando.

G: In verità, in verità vi dico…

S: Cosa?

G: …sì, chiedo scusa.

S: Insomma, questo Sinedrio si è qui riunito per accertare le sue responsabilità. E le assicuro che sta facendo fatica e alle sei c’è Nazareth-Betlemme, vediamo che dobbiamo fare.

G: Tanto vince Nazareth.

S: Ahahah, ma quando mai! Si sono venduti pure Ebreimovic…

G: In verità vi dico: prima che l’arbitro fischi tre volte, Nazareth l’insaccherà in rete.

S: A quanto lo dai?

G: tre e mezzo.

S: Andata: ecco sessanta denari.

G: Ok. [si volta verso il pubblico, ammiccante: “soldi facili”].

S: Torniamo a noi. Ha testimoni che provino che lei è il figlio di Dio?

G: Non ho bisogno di testimoni, io sono l’uomo.

S: Aridaje. Almeno qualche prova di miracoli, qualcosa?

G: Beh, da giovane camminavo sulle acque.

S: Qualche foto?

G: Nulla. Ma moltiplicavo anche pesci e vino.

S: Ricorda il risultato finale?

G: Eh?

S: Il risultato di questa moltiplicazione.

G: Ora no, ma lo sapevo professo’.

S: Uhm, mi dica almeno l’argomento a piacere.

G: Sì, questo lo so. Sono preparato sulle tecniche di rianimazione istantanea.

S: Dica.

G: Per rianimare un morto apparente occorre pronunciare esattamente una frase.

S: Quale?

G: “Lazzaro, alzati e cammina!”. Funziona sempre.

S: Sempre?

G: Garantito.

S: E se non si chiama Lazzaro?

G: Eh?

S: Se non si chiama Lazzaro ma – che so – Alex?

G: allora si dirà “Alex, alzati e cammina!”

S: Bocciato! Bocciato perdìo!

G: Ma come?

S: Provi su Zanardi e mi saprà dire.

G: Cazzo, questa è cattiva!

S: Non come la pena che l’aspetta.

G: Basta domande a trabocchetto! Io sono il figlio di Dio!

[Tuono]

[Voce fuori campo]

Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia, che ve ne pare?».

E quelli risposero: «È reo di morte!».

Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano, dicendo: «Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?».

Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». Ed egli negò davanti a tutti: «Non capisco che cosa tu voglia dire». Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». Ma egli negò di nuovo giurando: «Non conosco quell’uomo». Dopo un poco, i presenti gli si accostarono e dissero a Pietro: «Certo anche tu sei di quelli; la tua parlata ti tradisce!». Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo!». E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù: «Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte». E uscito all’aperto, pianse amaramente.

(Matteo 26,65)

[Gesù passeggia in tribunale, si tocca l’orecchio (auricolare bluetooth). Ora la voce fuori campo è di Pietro]

P: [piange]

G: gnegnegne… piangi ora?

P: Oddio, chi ha parlato?

G: Sono il signore dio tuo.

P: Ma… dove sei? Non ti vedo?

G: In verità, in verità ti dico che hai un telefonino, coglione. Mi hai risposto tu. Io sto in vivavoce.

P: Ah, già. Non riesco ancora ad abituarmi. Era tanto bella la cabina…

G: Hai visto che alla fine mi hai tradito? Che io manco mi sono sposato per evitare ‘st’inculature…

P: chiedo scusa mio signore, ma mi stavo cacando sotto.

G: Pietro, perché hai la stessa voce del sacerdote che mi ha condannato?

S: Scarsità di mezzi, Signore.

G: Ok, ok, ‘sta cazzo di crisi… Comunque: [tono militaresco, marziale] io cosa ti ho insegnato tutto questo tempo, soldato!

P: a credere, obbedire, combattere, signore!

G: e allora, soldato?

P: io ho creduto e obbedito, signore. Ma quelli erano armati, signore. E lei non ci ha mai fornito armi, signore.

G: tu hai la fede, soldato! E’ l’arma più potente di tutte.

P: quelli hanno le spade, signore. E sono cattivi, signore.

G: [da qui in poi citazione Hartman] Soldato! I tuoi genitori hanno anche figli normali?

P: Signorsì, signore!

G: Si saranno pentiti di averti fatto! Tu sei talmente brutto che sembri un capolavoro d’arte moderna! Come ti chiami sacco di lardo?

P: Signore Leonard Lawrence, Signore. Cioè no, Pietro, cazzo dico.

G: Lawrence? Lawrence come, d’Arabia?

P: Signorno, signore. Non è manco ancora nato, signore. Sono Pietro, Signore. Cristo, Signore!

G: [Fine tono marziale per Gesù] “Cristo Signore” Suona bene… mi sa che ci si può comporre qualcosa di figo…

S: Sarà uno stracciacoglioni da lavaggio del cervello in bocca agli scout di tutto il mondo, Signore. Una palla immane, Signore.

G: Già, può funzionare… Comunque, Palla di L… Pietro, Pietro. Scusa. Scusami. Pretendevo troppo da te.

P: [Fine tono marziale per Pietro] Dai, fa niente. Amici come prima.

G: Amici come prima stocazzo. Mi stanno condannando a morte, non lo sai?

P: A morte? Oddio!

G: Non ti hanno detto niente?

P: Qua il telefono non prende bene.

G: Motorola del cazzo.

[Tuono]

[Si torna con il dialogo Gesù-Sacerdote]

S: Imputato, abbiamo finito?

G: Sì scusi, era una telefonata di lavoro.

S: Riprendiamo. Abbiamo appurato che ci sono prove sul suo conto assolutamente schiaccianti.

G: Me ne dica una.

S: Il mio parere.

G: Ah, beh.

S: Tuttavia, siccome qui siamo magnanimi e non vogliamo farci dire che siamo come i tribunali sudamericani, ho pensato…

G: I tribunali che?

S: Non so, devo avere inventato una parola nuova.

G: In verità, in verità ti dico che ci hai preso, sai?

S: Silenzio! Questo tribunale, viste le prove a carico dell’imputato e visto che sono le cinque e mezza e alla SNAI c’è un casino di gente, rimanda il giudizio a domani e lo rimette nelle mani – peraltro sempre pulitissime – di Ponzio Pilato.

G: Perché non mi condannate ora, visto che avete già deciso del destino del figlio di Dio?

S: Guardi, in effetti io lo farei anche ma secondo la nuova normativa, pubblicata nella Gahazzetta di Jahvè, solo il procuratore romano può emettere queste sent… NON DEVO STARE A DARE SPIEGAZIONI A LEI!

G: Insomma, vuol dire che domani devo tornare qua?

S: Giovanotto, non deve tornare da nessuna parte. Lei stasera è ospite nostro. Si prenderanno cura di lei questi due centurioni. Vedrà che si troverà benissimo.

Madonna: Fermatevi! Dove state portando mio figlio?

S: e lei chi sarebbe?

M: Io sono la Madre di colui che è.

S: Aspetti, aspetti… la madre di chi?

M: Di colui che è.

S: Cazzo vuol dire?

M: Eh?

S: Si spieghi. Chi è “colui che è”? E perché parla così?

M: Non so, fa pomposo e arcaico.

S: Sì, ma non significa nulla. Tutti sono “qualcuno che è”.

M: Continui.

S: Bene, si accomodi. Il primo a esplicitare il concetto di essere è stato Parmenide di Elea, nel IV secolo avanti Cristo…

M: Avanti che?

S: Avanti Cristo.

Gesù. Mi avete chiamato?

M: Figlio mio!

G: Madonna, la mamma!

S: La mamma, Madonna?

G: La mamma, la mamma!

S: Ordine per Cristo!

G: Per me?

S: No per Cristo! Cioè, qua la cosa sta prendendo una piega demenziale assurda.

M: A me interessa solo che mi ridiate mio figlio. E che mi chiariate il concetto dell’essere di Parmenide e quella del divenire di Eraclito.

S: Signora…

M: Maria, prego.

S: Signora Maria…

M: Signora Maria pare una casalinga di Voghera. Mi chiami Maria, Santa Maria, madre di Dio.

G: Aspe’, questa comincia bene… me la segno… Santa Maria, madre di Dio… come la faccio continuare…?

S: SILENZIO PERDIO!

G: Per papà?

S: BASTA! Fuori tutti! Cacciate fuori la Madonna!

Coro: LA MADONNA!

S: Ma non così! Fuori dall’aula! Fuori tutti!

G: Pure io?

S: Fermo perdio!

G: Per papà?

S: Cristo!

G: Sì?

[Tuono]

[Voce fuori campo]

La mattina presto, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, tenuto consiglio, legarono Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato.

(Marco 15,1)

[Gesù viene condotto innanzi a Pilato]

G: è permesso?

Pilato: prego.

G: Buongiorno, io sarei Il figlio di D… Gesù, mi chiamo Gesù.

P: Gesù. Dica, cosa ci fa qui?

G: Ehm… niente… credo di aver sbagliato. Buongiorno.

P: Buong… UN ATTIMO! Lei è quello che dovrei giudicare oggi.

G: Chi? No. Mi sa che si sta sbagliando con un altro. Noi siamo un po’ tutti uguali.

P: Noi chi?

G: Noi, figli di Dio.

P: Aha!

G: Cazzo.

Pilato: Dunque tu saresti il figlio di Dio.

Gesù – Così dicono [guardandosi e lucidandosi le unghie, con tono altezzoso].

P: Sai che quello che vai in giro a dire è molto grave?

G: La verità è così, la verità può ferire. La verità ti fa male… lo so [accenna movimento braccia anni ’60].

P: Perché sei solo? Dove sono le guardie giudee?

G: I giudei non possono entrare nel pretorio perché zona impura, e impedirebbe loro di poter celebrare la Pasqua.

P: Allora questo dovrebbe valere anche per te, giudeo.

G: Ho fatto il vaccino.

P: Comunque. Che devo fare? Avanti e indietro da qua dentro a fuori? Che cazzo di popolo siete.

G: Siamo il popolo eletto.

P: Bah, forse col proporzionale. La verità è che avete un sacco di fisime, vi fate problemi pure per quello che mangiate. L’acqua poi…

G: Che ha l’acqua?

P: Ma non vedi? Lascia sempre calcare. Ti lavi, ti lavi le mani e ce le hai sempre sporche. Insomma, ora per capire che cazzo hai fatto devo chiedere là fuori?

G: Se vuoi ti racconto io.

P: Ci hai provato. Aspetta, vediamo che mi dicono.

[Si sente parlottare. Rientra Pilato]

P: Mi dicono che sei colpevole.

G: Bel processo del cazzo.

P: Silenzio! Affermano che “Se non fossi colpevole non ti avrebbero consegnato”.

G: Giovanni 18,30.

P: Eh?

G: Niente, niente.

P: Ma non puoi dire semplicemente che ti sei sbagliato? Che era per tirartela un po’ e rimediare fica? Invoco l’infermità mentale? Eh? Dai, con quelle infradito passi pure per ricchione: derubrichiamo il reato a “Frocioneria”, non so come si dica qua… Ti prendi due anni e con gli sconti e tutto domani sei fuori.

G: In verità, in verità ti dico: non mi tentare.

P: Eddai, pensaci su… intanto mi sciacquo le mani… acqua del cazzo…

G: No! Ci ho pensato. Non posso rinnegare quello che sono.

P: Ma chi cazzo pensi di essere, Cristo!

G: Esatto.

P : Nono, non ci mettiamo ora a rifare il giochetto. Ma lo vedi che io ho le mani legate?

G: Bagnate.

P: Legate, bagnate… dai, fai il bravo ché non c’è motivo adesso per attrezzare tutta quella baracconata con la croce e tutto. Abbiamo delle spese qua che manco immagini. Lo sai che è una settimana che non posso mandare in giro le bighe perché non ci sono i soldi per la biada ai cavalli? Su, fai il bravo.

G:  Io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla parte della verità ascolta la mia voce.

P: E questo mo’ che è?

G: Giovanni 18,37

P: Cazzo basta! Cosa devo fare? Vuoi morire? Lo capisci cosa sta per accadere?

G: [tace]

P: Ottocento denari! Ottocento denari mi costa una crocifissione!

G: Pensavo meno in effetti.

P: Eh, perché non è solo la croce – due pezzi di legno messi in croce li trovi.

G: Ahahah!

P: Ahahah! Carina, sì. Dicevo: non è tanto la croce ma tutto l’ambaradan di contorno. Le guardie, i costumi…

G: I costumi?

P: Certo. Che pensi che si possa accompagnare uno da crocifiggere in borghese?

G: No, pensavo…

P: e i permessi per l’occupazione di suolo pubblico, per il corteo, per i certificati…

G: Non avevo mai pensato a tutto questo.

P: Questo mi fa capire che non hai i superpoteri che dici di possedere. Dunque mi vieni incontro. Dai, metti una firmetta qua, dì che hai sparato due cazzate e ce ne andiamo a casa.

G: No.

P: Porca puttena maledetta dell’incoroneta di Foggia

G: Lino Banfi?

P: Boh, non so perché mi sia uscita così. Insomma vuoi morire.

G: Non posso che accettare la volontà di Dio.

P: Che rottura di cazzo. Guarda, ti va di culo perché oggi c’è il pienone e hai ancora una chance di cavartela. Lascio decidere al popolo.

G: Televoto?

P: Che?

G: Niente, cose mie.

P: C’è un tale, Barbabarba…

G: Barabba…

P: Sì, Barabba, allora lo conosci!

G: No, so come va a finire la storia… Dai, niente.

P: Insomma, c’è questo Barbanera, un ladro da quattro soldi… ci resta solo una croce e ve la giocate voi due. Ora chiedo al popolo chi vuole liberare… sicuro? Vado?

G: Vai.

P: Uff… vabbè.

[Rumore di passi e folla]

P: Ascoltate! Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili.

P: Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?

[Urla della folla: BARABBA!]

P: “Non ho inteso: chi dei due volete che vi rilasci?”.

[Urla della folla: BARABBA!]

P: “Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?”

[Urla della folla: BARABBA!]

P: Cristo, prendete professionisti al mixer.

[Urla della folla: Sia crocifisso!]

P: Chi? Il tecnico? È una capra in effetti…

[Urla della folla: No, Gesù! Sia crocifisso!]

P: Ma che male ha fatto?

[Urla della folla: Hai rotto il cazzo! Crocifisso!]

P: Cazzo! Ma che mani luride! Acqua, acqua perdìo!

[Pilato rientra, si sentono i passi]

P: Ecco, visto? Hanno scelto Barroso.

G: Barabba.

P: Sì, quello. Ma dico io, tanto ti costava darti per malato di mente?

G: Sia compiuto il mio destino.

P: Cazzo, ma manco il ripescaggio.

Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora.

(Giovanni, 19,1)

G: Bene ragazzi, dove si va ora?

[Sipario]

Processi storici demenziali – Socrate

[Processi storici demenziali – Atto1 – Socrate]

[Prossimi processi: Cristo – Galileo – Norimberga – Calciopoli – Berlusconi]

__________

Socrate

la_morte_di_Socrate

Atene, 399 a .C .

Un nutrito gruppo di cittadini si riunisce come al solito sulle colline di Atene per giudicare un cittadino, ma stavolta non uno qualunque. E’ una delle più grandi menti dell’umanità: Socrate.

Colui che fa uso del dialogo, il padre fondatore dell’etica, della filosofia morale e della filosofia in generale.

Socrate, una delle più grandi menti di tutti i tempi, nonché mediocre calciatore brasiliano passato alla Fiorentina alla Longobarda di Lino Banfi.

Ma forse qui comincio a far confusione.

E adesso? Di fronte all’Areopago, il giudizio che deciderà delle sue sorti.

Le accuse? empietà, corruzione dei giovani, introduzione di nuove divinità e non riconoscimento di quelle tradizionali.

Giudice: Signor Meleto, pubblica accusa, leggo che abbiamo il famoso Socrate a giudizio, come mai?

Meleto: eh?

Giudice: Signor Meleto, potrebbe togliere quelle cuffiette? Il giudizio è iniziato.

Meleto: Mi scusi Signor giudice, ho le cuffiette, non la sento.

Giudice: Che cazzo di gag mediocre è questa? Sembriamo Lillo e Greg.

Meleto: Tolte signor giudice, ora la sento bene.

Giudice: A suo comodo, signor Meleto. Allora, cosa ci fa qui Socrate?

Meleto: è accusato di crimini gravi, signor giudice.

G: un anziano signore, così ben voluto? E cos’avrebbe fatto, scoreggiato a letto? Ahahahahah!

M: No signor giudice. Cose ben più gravi. Innanzitutto empietà.

M: E che reato sarebbe?

M: Beh, è lei il giudice, dovrebbe saperlo…

G: Ah già… ma… vediamo se è preparato…

M: Uff, al solito. Allora: empietà è il non seguire il culto di una religione, darsi a studi naturalistici fuori dalla norma.

G: Ma che cazzo di reato è… comunque sì, ehm… bravo, ricordava bene.

M: Sì sì…

G: Introduciamo l’imputato.

Socrate: Eccomi.

G: Allora, signor Socrate, come risponde all’accusa di entità?

M: Empietà.

G: Empietà, sì, quello.

Socrate: E’ un’accusa che non mi tange. Chiamo voi a testimoniare.

G: Voi chi?

S: Voi giudici.

G: Cioè?

S: Voi, mi avete mai visto compiere simili atti?

G: Personalmente?

S: Personalmente.

G: No, in effetti no…

S: Visto?

G: Eh ma grazie al cazzo. Così è facile. Allora non si potrebbe mai condannare nessuno se non viene beccato sul fatto dal suo giudice. Furbetto lei…

S: So’ filosofo…

G: Comunque la cosa non regge.

S: Mi sovviene un sofisma al riguardo…

G: Siamo in un giudizio pubblico, le è fatto divieto scoreggiare.

S: Ma…

G: SILENZIO! L’accusa che dice? Signor Meleto, tocca a lei.

Meleto: Guardi, sull’empietà mi pare siamo tutti d’accordo

S: Veramente no…

G: SILENZIO! E cos’è questa puzza?

S: Non saprei…

G: Madonna del Carmine! Non si resiste!

S: Signor giudice, le rammento – e rammento al pubblico così da dare un filo logico ulteriore alla narrazione – che siamo in Grecia, che per noi è moderna ma per loro è antica. Non è che l’ambiente fosse poi così profumato. Scarichi e fogne a cielo aperto, vacche e buoi, congiungimenti carnali…

G: Lei non me la racconta giusta. Secondo me sta facendo ancora sofismi. L’ho vista sa, inclinarsi sulla seggiola.

S: Ma i sofismi non sono…

G: SILENZIO! Signor Meleto, allora, quest’entità…

Meleto: Entità, sì, vabbè. Ci sono prove inconfutabili. Ma non è neppure la cosa peggiore commessa da quest’uomo. Mi concentrerei sull’accusa di aver corrotto i giovani. Socrate li rovina con le sue assurde fantasticazioni.

Socrate: Per esempio?

Meleto: per esempio… beh… uhm…

S: Avanti, me ne dica una: cosa farei di male ai giovani?

M: Con calma, un attimo, mi faccia ricordare… una cosa c’era…

S: Mi pare che il tutto si commenti da solo. Manca qualunque base per accusarmi…

M: Nono, una cosa c’era…

S: Facciamo notte e stasera c’è Atene-Sparta, ci vogliamo muovere?

M: Vabbè, mo’ non mi ricordo. Comunque… ah sì: se li inculava!

S: Eh?

M: Vuole negare che abusasse di loro?

S: Ma che abusare. Qua lo fanno tutti.

M: Che lo facciano tutti non significa che sia cosa buona.

S: Se lo fanno tutti cosa cattiva non è.

M: Non ci mettiamo a fare sofismi ora.

Giudice: DioCristo, basta sofismi, sì! E’ un veleno qua! Aprite le finestre!

S: Scusi.

M: E comunque molti erano minorenni.

S: Siamo nell’antica Grecia, l’età media è vent’anni, poi si muore, ci credo io.

M: E’ sbagliato e basta!

S: Dica la verità, a lei piacciono le donne.

M: Ma che dice!

S: Ahahahah! Un etero! Ahahahah!

M: Non si permetta! Sono accuse infamanti e gravissime!

S: A Meleto piace la fica – A Meleto piace la fica! [Cantilena]

M: Non mi piace la fica! Sono un uomo vero io!

S: Comunque io non ho nulla contro gli etero. Solo, evitate quelle assurde baracconate tipo l’Etero Pride. Dovreste cominciare ad integrarvi.

M: La smette? Torniamo alle accuse.

S: Però è carino quando fa il virile.

M: Sì? [occhi dolci]

S: Sì. [occhi dolci]

Santippe (moglie di Socrate): e figurati.

Socrate: Santippe, moglie mia, sai che sei il mio universo.

Santippe: ne sono cosciente, marito mio. Mi hai dato conoscenza e consapevolezza. E di questo ti sarò eternamente grata. E comunque ce l’avevi piccolo.

Socrate: Parli di me come se già più non fossi. Ma questo procedimento non ha ancora scritto la parola fine sulla mia testa.

Santippe: ho letto il finale.

Socrate. Dove?

Santippe: Qua, due pagine appresso.

Socrate: Moglie mia, tutto questo non ha alcun senso.

Santippe: Guarda, lo stavo per dire pure io. Ci mancava solo che alla fine ti ammazzasse il maggiordomo.

M: Ricomponiamoci! Usciamo fuori da ‘sti cazzo di clichè da Giallo Mondadori! E cacciate fuori quella donna!

Santippe: Ecco un altro ricchione.

M: Grazie, finalmente qualcuno se ne accorge. Insomma, Socrate, lei è un pessimo educatore. Anzi: l’unico cattivo educatore di tutta Atene.

S:  Dunque mi sta dicendo che tutti gli ateniesi sono buoni educatori, mentre solo io sarei l’unico guastatore. Le faccio un’analogia: secondo me, così come sono pochi coloro che sanno allevare ed allenare cavalli da corsa, mentre la maggior parte delle persone li rovina, così la cosa dovrebbe valere anche per gli altri animali, uomini compresi. No?

M: Eh?

S: E’ un’analogia semplice, ripresa testualmente dallo sceneggiatore che voleva giustificare così il tempo speso su quei barbosi testi classici.

M: ah. Ok. E.. Ehm… [pausa di qualche secondo]… Se li inculava! Signor giudice, se li inculava!

S: Uff…

M: Passiamo oltre: la terza accusa è di aver introdotto in Atene nuove divinità e di non riconoscere quelle tradizionali. Come si giudica, imputato?

S: Assolutamente innocente. Io non ho introdotto altro che il daimon.

M: Chi è mo’ ‘sto daimon, un manga giapponese?

S: No, è la mia voce morale. Il daimon è un vero essere vivente, che mi avverte tutte le volte che sto per sbagliare.Non sono un dio, ma sono figlio di dei, come tutti noi. Non ho dunque introdotto nuove divinità, ho accettato le divinità tradizionali, perciò sono innocente.

M: [pausa di qualche secondo]… Se li inculava!

S: Aridaje.

 

 

L’Areopago quindi vota, a maggioranza, la colpevolezza di Socrate. Il voto è sofferto e per pochissimo Socrate viene condannato, grazie anche ad un’azione decisa per accaparrarsi il voto favorevole del senatore De Gregoriaki, passato repentinamente dalla Grecia dei Valori alle liste del Popolo dell’agorà. La vicenda desta grosso scandalo ma si sa come andava la politica allora.

Allora.

A questo punto vengono formulate le proposte di pena. L’accusa propone la condanna a morte. Socrate sarcasticamente chiede un vitalizio dallo stato. Gli viene accordata solo un’auto blu.

Di nuovo votazione e di nuovo c’è la pronuncia per la pena maggiore, la morte appunto.

“È giunto ormai il tempo di andare, o giudici, io per morire, voi per continuare a vivere. Chi di noi vada verso una sorte migliore, è oscuro a tutti, tranne che al Dio”. Queste le parole dell’ultimo di Battiato.

Socrate è dunque incarcerato in attesa dell’esecuzione.

Tutti i suoi discepoli, Alcibiade in testa (suo prediletto ed amante), sono distrutti e meditano un sistema per farlo evadere: non possono accettare l’idea di perdere il loro maestro.

Discepoli: Maestro, abbiamo un piano per farla fuggire.

Socrate: Piano?

D: Sì, stiamo scavando un tunnel fino alla foresta.

S: un tunnel?

D: Sì, è già tutto pronto. Deve solo mettere un poster di un’attrice famosa sulla parete per coprire il buco. Percorso il tunnel su un supporto di legno e dei tiranti di corda, all’uscita troverà una moto con la quale potrà fuggire superando le linee tedesche.

S: Cos’è un poster?

D: Pensavamo fosse una parola greca. O una canzone pallosa di Baglioni.

S: E una moto?

D: è un mezzo a due ruote, per spostarsi velocemente nel traffico.

S: Cos’è il traffico?

D: Oh, maestro, stai qua a rompere il cazzo o vuoi scappare?

S: Mi son dure le parole che pronunciate. Parlate di poster alla parete per coprire un buco… e poi di tunnel e moto… Ma state facendo confusione tra Le ali della libertà e La grande fuga.

D: Questo è possibile, non essendo praticissimi di cinematografia. L’importante è che fugga via.

S: Non funzionerà, preferisco stare qua a giocare con la mia pallina contro il muro.

D: Tim Robbins?

S: Steve McQueen.

D: Cazzo. Comunque deve scappare! Non sa che stanno per darle la cicuta?

S: Eh lo so, nelle carceri e negli ospedali si mangia di merda, ma che ci posso fare…

D: E’ un veleno, Maestro! Veleno!

S: ‘na porcheria, sì.

D: Uff… Senta, deve fuggire, non c’è più tempo.

S: Ma dove dovrei andare? Io penso che sia più giusto osservare la legge, anche se non ci piace.

D: Ma i suoi insegnamenti? Che faremo noi?

S: Il massimo del mio insegnamento sarà proprio questo, essere coerente con me stesso.

D: E’ una prova di grandissima integrità morale, Maestro. Altresì una cazzata.

S: Ma resteranno imperiture le mie gesta.

D: In realtà basterebbe vincere un reality.

S: Non sono più di moda. Meglio un talent show. Ma non so cantare.

D: Guardi, basta essere un personaggio che buca lo schermo.

S: Non ho idea di cosa stiamo dicendo ma ormai non c’è più tempo. Ora, qualcuno di voi vuol suggere il nettare della conoscenza per un’ultima volta?

D: Verrà Alcibiade, Maestro.

S: Il mio prediletto?

D: il ricchione, Maestro.

S: Certo, lui.

Santippe:  E figurati.

Socrate si congeda da tutti gli amici e parenti, invita il carceriere ad entrare, spegne la Playstation e si abbandona al suo destino.

Arriva il momento della somministrazione della cicuta. Beve la pozione, tira fuori un ultimo, pestilenziale sofisma e sussurra le sue ultime parole, ormai nella leggenda: «O Critone, noi siamo debitori di un gallo ad Asclepio: dateglielo e non dimenticatevene!»

Discepolo 1: Eh?

Discepolo 2: boh, non ho capito

Discepolo 1: Ma che cazzo di ultime parole sono?

Discepolo 2: mah, perdere un’occasione storica per lasciare un qualcosa di imperituro…

Discepolo 1: Dai, dobbiamo inventarci qualcosa. Non possiamo lasciare come eredità di Socrate quella frase idiota.

Discepolo 2: E che ci inventiamo?

Discepolo 1: Non lo so…

Discepolo 2: Ha bevuto la cicuta…

Discepolo 1: Dunque…

Discepolo 2: Che ne pensi di: “più la mandi giù, più ti tira su”?

Discepolo 1: Perfetto

 

[sipario]

Prendere l’amore (quando si fa sera)

sandra-milo-ciro
Nessun essere inanimato è stato torturato, abusato, offeso per questo post

E tu la vedi passare, e te ne innamori all’istante. E allora fai di tutto per un contatto: chiedi agli amici il suo nome, la cerchi su Facebook, inizi a correre nel parco insieme a lei, scambi due chiacchiere e finalmente ottieni qualcosa che magari è nulla, ma è un segno che ti indica chiaramente il suo essersi accorta della tua presenza; quelle frasi che ti aspetti da una ragazza bellissima, tipo: “Se non te ne vai chiamo la polizia“. Ma a modo suo, che tu manco la riesci a odiare. E allora le stai vicino, aspettando che le passi questa piccola e femminilissima crisi di nervi. Conti su un suo cedere, magari dopo il quinto km di inseguimento. E finalmente, quando riesci ad incaprettarla per bene e metterla nel portabagagli, legata in modo carino, con una pashmina fiorata come va oggi (lei, sempre così alla moda, gradisce: si vede da come urla), la porti in casa tua, passando per il garage. E lei, dopo sole due bombe di Valium, pare cedere. E si concede a te, lasciva come neppure immaginavi. A te, che hai sempre confuso il termine “lasciva” con “passiva”. A te, che l’hai amata dal primo istante. Che hai amato ogni particolare di lei. E che adesso continui a proiettare il tuo amore anche su quel delicatissimo rivolo di sangue che le nasce dal cranio e pare disegnare sublimi forme di Mandelbrot, tanto ipnotiche quanto suggestive, sul tuo pavimento. Che purtroppo dovrai lavare, come sempre, per evitare noie e domande da parte di gente che non sa amare. Aridi!

Sì, amare, am



Scusate. Si era mossa.
Ah, quanta vita, aveva.

Ed è in certi sguardi che s’intravede l’infinito (cit.)

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… e guardava me! Proprio me!
Ne ero certo ormai: il dubbio era nato nel momento stesso in cui una creatura così eterea, fuori da ogni canone di ordinaria bellezza, aveva volto lo sguardo verso di me – perché mai avrebbe dovuto farlo?
Eppure era così: mi stava interrogando con gli occhi. Il guardare era lo stesso di una Lady Conyngham immortalata da Lawrence, con quel sorriso accennato e gentile ma anche carico di sensuale dolcezza.
Gli stessi colori erano quelli: porcellana e riflessi di avorio, incarnato rosa vivo in quelle gote, labbra disegnate col curvilineo.
Mi sembrava il tempo si fosse fermato: non potevo credere che in mezzo a tutta quella confusione – odio i ritrovi mondani, ma in quel momento avrei ricoperto d’oro chi mi aveva invitato – potessi essere investito da tale carico di sensazioni.
E lei era realmente fuori contesto, non certo per inadeguatezza – ci mancherebbe – ma perché realmente la sua presenza strideva con tutto ciò che di umano le scorresse attorno.
Perché? Ma semplicemente perché era bellissima. Bellissima. Sono quelle aggettivazioni (“bellissima”) talmente abusate da aver perso anche la potenza descrittiva originale. Ma credetemi: “bellissima” qui va inteso nel più puro significato, con quel valore, quel carico di immenso stupore che colpisce e affonda chiunque si trovi a gestire una “cosa” così fuori dal comune.
Credo mi innamorai all’istante.
Mi violentai per scuotermi da quella paralisi che mi colpì (sentivo caldo, freddo, caldo ancora). E feci per avvicinarmi.
In quei venti passi cercai una frase, un concetto, delle parole che mi consentissero di mantenere ancora un contatto visivo con lei, di non perdere quel sogno.
Non mi venne in mente nulla. Ma ormai lei aveva visto che mi facevo d’appresso e il mio personale Rubicone era scavallato.
Continuava a sorridere e guardarmi. Il cuore era schizzato via.
Mi avvicinai. Cinque metri, due metri, un metro.
Niente, strabismo.

Gattare, cani, taxi invisibili e stronzi artistici

Gattara

Storia vera.
Dunque, c’è questa macchina, una vecchia Polo degli anni ’90, color grigio-Bersani, completamente arrugginita in tutte le parti metalliche e anche in alcune plastiche. Ci sono millemila parcheggi – siamo fuori da un centro commerciale – ma vedo che accosta sullo spazio giallo, con la scritta “TAXI” in carattere Arial Narrow, corpo ottocentomila. Una di quelle pochissime opere dell’uomo visibili anche dalla Luna, come la Muraglia Cinese e non so cos’altro. Forse un’altra Muraglia Cinese (la Cina è molto grande).
Ma la donna che guida la Polo ignora la scritta e ci si piazza sopra.

La mia mente scarrella rapidamente a tutta una serie di supposizioni:
– Quella Polo, nonostante il colore, è un Taxi
– La donna non sa leggere
– La Polo non sa leggere
– La donna se ne fotte della scritta
– La donna è straniera e nella sua lingua “Taxi” significa “Qui puoi parcheggiare”
– Ma tu pensa che cazzo di coincidenza deve essere
– E che strano paese il suo

Propendo decisamente per l’ipotesi “se ne fotte”, soprattutto quando vedo che ci parcheggia sopra di 3/4, occupando anche parte della carreggiata e quasi investendo me, fermo da un minuto ma probabilmente ancora pieno di energia cinetica ai suoi occhi ed estremamente reattivo ai tentativi di investimenti, sempre per i suoi parametri.
Così è in effetti ed evito una botta per puro spirito di autoconservazione.

La donna spegne il motore, esce dalla macchina e mi accorgo che si tratta della “gattara” dei Simpson. È decisamente orribile, nell’aspetto e nell’odore.
Ma questo è nulla rispetto ad una vecchia che lei aiuta a scendere – probabilmente la mamma della gattara. Si tratta di una “cosa” di circa 200-220 anni, portati così così, completamente avvolta da una nuvola viola, che all’inizio mi ricorda la pubblicità contro l’AIDS, poi giungo alla conclusione si tratti di concrezione visiva della sua anima che sta cercando di abbandonarla ed è già fuori per una buona metà in modo podalico.
Ora so che le anime sono viola. Forse per abbinarsi con i colori da lutto.
Comunque. Nel posto di dietro c’è un cane, in piedi, sopra la sua gabbia da trasporto.
Non chiedetemi che razza sia perché è già tanto che io li sappia distinguere da alcune specie di commercialista.
Cosa fa questo cane, appena la macchina si spegne?
Dai, secondo voi?
Dai, vi aiuto: voi, cosa fareste, se foste sul sedile posteriore di una macchina scassata, con una donna orribile che guida e sua madre, in fase di pre-morte?
Esatto. E lo fa anche il cane: si mette a cacare. Sul sedile. Così, come nulla fosse.
Io, che ho assistito a tutta la scena – ripeto: assolutamente vera – sento salire un conato di vomito ed istintivamente mi viene da rimettere nella stessa auto, ma mi trattengo quando penso che, a sentire quell’odore là dentro, mi sarebbe venuto da rimettere.
Confuso da questa sequenza causa-effetto, assisto per intero alla cacata del cane. Che non si limita a cacare ma poi, con le zampette, spalma quella merda in modo molto artistico sul sedile, rendendo quell’ambiente un misto tra un Kandinsky e un cesso dell’Autogrill. Più cesso dell’autogrill.
L’auto coi pezzi di cervello in Pulp Fiction, a confronto, sarebbe stata una camera sterile.

Cosa mi ha insegnato questa storia?
Assolutamente nulla: mi ha disgustato e siccome è ora di pranzo volevo condividere il mio malessere pure con voi.

“Lo confesso” (Nostradamus mi fa le pippe)

Allora, due parole: un “Papa rivoluzionario”, un “grande gesto”, per “cercare di dare alla Chiesa un successore che assicuri la continuità della riforma in atto”.
Certo.
Ma stiamo parlando di istituzioni o di religione?
La cosa non è secondaria.
Se si parla di Chiesa-istituzione ok, dimettiti pure, fai come senti. Il tuo è un lavoro e come ogni rapporto di lavoro può esserci il momento delle dimissioni, della pensione, della panchina al parco e dei piccioni.
Se si parla invece di religione, rapporto con Dio, tu non puoi dimetterti da alcunché. Perché non sei stato tu a scegliere quella missione. Sei stato nominato. E non da un gruppo di persone senza arte né parte, che non si sono mai trovate un lavoro serio, in una casa a Cinecittà. Ma da un gruppo di persone senza arte né parte, che non si sono mai trovate un lavoro serio, in una casa poco distante, vestite decisamente peggio.
Sei stato investito da una luce divina, tramite quella fumata bianca. Sei il rappresentante di Dio in Terra. E lo sei vita natural durante, a testimoniare che solo Dio può riprendersi il “mandato”. Altrimenti il tuo sarebbe stato un incarico a scadenza, a progetto, Co.Co.Pro., stagionale, in nero.
Dopo questa premessa, ecco quello che scrivevo un anno fa.

[Post pubblicato il 31 maggio 2012]

 

– Lo confesso.

Così aprì, e chiuse anche, quello che fu da molti ritenuto il discorso di conclusione di un’era. Parole che forse mettevano fine a duemila anni di cristianesimo ma che scombinavano le carte anche in tutte le altre confessioni, che tutt’affatto si avvantaggiarono dalla uscita di scena della figura religiosa più importante dei nostri tempi, ma che anzi furono costrette a profonde revisioni interne, quanto a uomini e disponibilità, improvvisamente crollate per mancato apporto da parte dei fedeli.

– Lo confesso. Quello che voi considerate “Rappresentante di Dio in Terra” non è tale. Non lo è mai stato. Non fu Dio ad eleggermi, non fu Dio a chiamarmi ma una congregazione di uomini. E non c’è stata alcuna vocazione ma un semplice desiderio di fare qualcosa per gli altri. Questo è quanto dovrebbe dirvi qualunque persona che oggi indossi una tonaca, dal prete di campagna al cardinale.

Le televisioni di tutto il mondo stavano diffondendo un messaggio che avrebbe cambiato la storia ed aperto una ferita insanabile nel Credo di miliardi di persone. “Miliardi”, che concetto assurdo, quando si parla di uomini. Il Rappresentante di Dio che dismetteva pubblicamente il suo ruolo. Il Papa che parlava chiaro, in un italiano sorprendentemente buono ed articolato anche, come mai aveva fatto prima. Come se quel discorso glielo avesse scritto qualcun altro. Anzi: come se quel discorso fosse davvero il suo, per la prima volta.

– Siamo persone. Persone fallibili, come tutte. E questo lo sapevate già. Ma c’è da dire altro, finalmente. Dio non si manifesta a noi, così come a voi. Non abbiamo alcun rapporto privilegiato, voce interiore, spirito, a guidarci. Nulla. Siamo esseri umani ai quali non è dato conoscere il pensiero di Dio, tanto quanto a voi. Nessun Dio ci ha mai detto alcunché. Molti di noi, da questa parte, non credono neppure. Sono persone entrate in Seminario magari a quattordici, quindici anni, con tante idee in testa e pochissime basi culturali a supportarle. E poi si sono ritrovate a seguire una certa strada. E a non poterla più interrompere. Per tanti motivi, per non deludere genitori orgogliosi di avere un figlio che celebrava la messa, perché ormai era tardi per fare qualunque altra cosa… Ragazzi che si sono presto pentiti di aver deciso di servire il Signore ma che hanno comunque continuato per convenienza, vigliaccheria, noia.

Il silenzio in quella piazza non aveva mai raggiunto tale livello. Se all’inizio erano i borbottii esterrefatti a prevalere, a quel punto nessuno più proferiva parola. Tutti con le bocche aperte, come a ricevere un ultimo, amarissimo Corpo di un Cristo morto in quel preciso istante.

– Sono vicino alla mia fine e ho paura. Paura come uomo. Paura che dopo non ci sia alcunché. Paura di aver servito il Dio sbagliato magari. Ma questo vorrebbe dire che almeno qualcosa c’è. Ed io, oggi, sono qua a confessare che non lo so. Non ho alcuna prova che Dio esista davvero. Nessuno, nessuno al mondo potrebbe averla. Voi, che vi affidate con cuore e coscienza alle nostre indicazioni, che seguite la dottrina della Chiesa con Fede, ma soprattutto con la speranza di ricevere poi una qualche ricompensa dopo questa vita, dovete sapere la verità. E’ giusto. E’ giusto che sappiate. Per poi tornare alla voste case davvero liberi. Liberi di scegliere. Scegliere se continuare a prodigarvi, ad improntare la vostra esistenza a dettami trascritti da uomini per uomini, non da Dio. Liberi di scegliere se sostenere una struttura fatta di uomini. Liberi di servire un Dio che io, oggi, non vedo. Non vedo.

Solo gli stranieri parevano disorientati più di chi quelle parole aveva ascoltato e compreso. Cercavano conferme da interpreti, si chiedevano se quella traduzione fosse davvero fedele. Nessuno, in fondo, voleva credere a quanto stava ascoltando.

– So che questa è l’ultima volta che mi vedrete affacciato qui, a parlarvi. Come so anche che qualcuno vorrà smentire con forza quanto sto oggi affermando. Vi parleranno di malore, di attimo di debolezza, di medicine o droghe. Sappiate che non è così. Parlo in piena salute e coscienza. E so anche che tanti di voi vorranno ancora dare credito a chi, domani, parlerà in nome di questo presunto Dio. Perché aveva ragione Pascal: “conviene credere”. Ma a che costo, ancora? Se una cosa davvero buona, in vita mia, ho fatto, non è stato certo guidare persone spaesate in nome di qualcuno che mai ho incontrato in vita mia. Ma è quanto sto facendo ora, oggi: darvi il vero libero arbitrio. Permettervi di scegliere se continuare a foraggiare uomini che si spacciano per chi non sono oppure destinare le vostre risorse e i vostri pensieri alla cura di questa, di vita, realtà. Che è l’unica che davvero conosciamo. Forse è l’unico modo di sistemare tante, tante cose. Non ne conosco altri. No davvero. Lo confesso.

Sparì dietro la solita finestra.

E qualcuno applaudì.