L’algoritmo del caos Social

Nell’universo chimico-social ci sono due coppie di cariche:
Arroganza-Umiltà (AU) e Ignoranza-Competenza (IC).

La carica Arroganza (A) e la carica Ignoranza (I) , singolarmente, hanno valore uguale a 1.
La carica Umiltà (U) e la carica Competenza (C), singolarmente, hanno valore uguale a 0.

Ciò significa che ogni coppia (AU) e (IC) ha carica complessiva uguale a 1.

L’Essere Umano (EU) possiede entrambe le coppie di cariche. Può dunque oscillare tra valore minimo = 0 e valore massimo = 2

L’Essere Umano Virtuoso (EUv) possiede valore 0 o 1.
L’Essere Umano Dannoso (EUd) possiede solo il valore 2.

Ciò significa che è impossibile che EUv possa contemporaneamente possedere le due cariche Arroganza (A) + Ignoranza (I).

Idealmente EUv dovrebbe possedere le cariche Umiltà (U) + Competenza (C), ma anche con carica = 1 EUv continua a legarsi bene con altri EUv.

Dunque EUv con coppia Arroganza + Competenza (AC) e EUv con coppia Umiltà + Ignoranza (UI) non solo legano bene tra loro, ma lo fanno anche con gli altri EUv ideali, quelli a carica = 0, composti dalla coppia (UC).

Certamente gli EUv a carica = 0, detti EUv Ideali (EUv^id) legano meglio di quelli a carica = 1. Questo per l’alto contenuto, da parte degli EUv a carica = 1, di dannose particelle di Burioni.

Gli unici elementi pericolosi per il sistema, incapaci di legarsi con altri EU e distruttivi per l’universo circostante, sono gli EUd, quelli a carica = 2 perché composti dalla coppia Arroganza (A) + Ignoranza (I).
Questo a causa della loro capacità di legarsi solo tra loro e moltiplicarsi a dismisura in modo caotico, spingendo l’intero sistema nell’entropia.

Riassumendo:
EUv^id = UC = 0
EUv = AC e UI = 1
EUd = AI = 2

Restiamo nemici

– Dobbiamo parlare.
– Bello, mi piacciono le esperienze forti.
– Ti lascio perché ti amo troppo.
– Chiarissimo. Dunque me la davi perché ti facevo schifo?
– A me interessa farti sapere che non sei tu, sono io.
– Beh, mi pare evidente: sei tu che ti fai la mia intera squadra di calcetto.
– Però possiamo restare amici.
– Prima dovremmo diventarlo.
– Dai, è meglio per entrambi.
– E per la mia squadra di calcetto.
– Senza rancore.
– Nono, ho aumentato persino la stima nei tuoi confronti: ora è a livello Pacciani.
– Dai, chiusa una porta…
– Ti si aprono le gambe.
– Ti vorrò per sempre bene.
– Ti serve per farti pure i miei colleghi?
– Non essere ingiusto, adesso.
– Dammi un orario.
– Ciao, Pietro.
– Veramente Massimiliano, ma tutto torna.

Ti lascio perché ti lascio troppo

HeartBrokeQuote

È molto difficile dire a una persona che non la si ama.
Molto, molto più difficile è che questa comunque lo accetti.
A volte le persone tradiscono perché viene meno il timore di perdere la persona qualora si venisse scoperti. E in certi casi si tradisce addirittura sperando che la cosa venga fuori, per semplificare il tutto e chiudere una relazione che non si ha il coraggio di terminare.
Ma tradire una persona che non si ama porterà paradossalmente la stessa a credere di essere davvero importante, perché non si è avuto il coraggio di dirle nulla: si è rimasti con lei, e la si è tradita, sì, dimostrando di non poter/voler rinunciare comunque a lei, che penserà a un semplice attimo di umana debolezza, rafforzando così l’idea che tra voi ci sia ancora quell’amore che non siete ancora riusciti a rinnegare.
Senza considerare l’altrettanto paradossale “effetto immagine” che un tradimento porta: “Se questo stronzo lo vogliono altre, deve avere qualcosa. E siccome è già mio, chi cazzo sono queste per prenderselo?”.
Chi resta insieme non è detto che si ami. Anche quando sembra. Magari non ha avuto il coraggio di essere sincero, per codardìa, opportunità, rispetto anche della sensibilità altrui. E il tradimento in questi casi è quasi automatico.
Dunque? Dunque niente, ho saputo che stasera viene a casa mia suocera, avevo le palle girate e in qualche modo volevo sfogarmi facendovi pensare ulteriormente male del rapporto che state vivendo.
<3

Nostalgia canaglia

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“Sì, lo voglio”

L’effetto nostalgia, quello che ci porta a dire “NOOOOO!” quando veniamo a conoscenza che sta per cambiare o morire qualcosa legata al nostro passato, è il vero male dell’uomo. Vi lamentate, borbottate quando venite a sapere che mettono fuori produzione le Rossana, quando probabilmente non le avete manco mai comprate, essendo – credo – spacciate al mercato nero esclusivamente alle nonne. Aderite a campagne sui social per riavere il caro Winner Taco, non sapendo che le stesse magari le ha avviate l’Algida che non sapeva come rientrare nei costi di quelle formine abbandonate troppo presto. E quando vogliono smantellare una giostrina del vostro paese, quella sulla quale giravate voi da bambini, siete capaci pure di scendere in strada, per difendere l’aeroplanino dal crudele 2016 che avanza.

Tutto questo però avviene in relazione alle cose del passato che non possono incidere più di tanto nella nostra vita, altrimenti avreste l’effetto-nostalgia anche riguardo vostra moglie, che invece state adoperando sempre meno per motivi ludici e sempre più come oggetto domestico. Va detto che il suo essere ormai indistinguibile dalla lavastoviglie non la aiuta, ma voi siete davvero senza cuore.

Condividi se hai sposato una ragazza e oggi ti ritrovi una Indesit.

Allora le calze e i calzini?

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– Perché non mangi la tua verdura?
– Perché non è verdura. I fagioli sono legumi. E poi non sono verdi.
– Sono fagiolini, non fagioli. E sono verdi.
– Non del verde della verdura, si vede. E poi i fagiolini derivano dai fagioli. Come i cetriolini derivano dai cetrioli.
– Fagioli e fagiolini sono due cose diverse.
– Anche cetrioli e cetriolini allora. Sennò si sarebbero chiamati allo stesso modo, tipo “carpulli”.
– Secondo te uno ha dato nome ai cetrioli e nome ai cetriolini, dovrebbe chiamare questa terza “entità” in questo modo ridicolo?
– No, non sarebbe una terza entità. Sarebbe una sola entità, che comprenderebbe cetrioli e cetriolini insieme. I famosi “carpulli”, appunto.
– Addirittura “famosi” adesso.
– Lo sarebbero. Se non ci fossero persone chiuse come te.
– E perché non chiamarli direttamente solo “cetrioli”?
– Perché non si distinguerebbero dai cetriolini.
– Si distinguerebbero già solo dalle dimensioni.
– Non “già solo” ma “solo”. Esattamente come fagioli e fagiolini. Che sono la stessa cosa.
– Non è così! Fagioli e fagiolini si distinguono per tutto! Sono proprio due cose diverse!
– Secondo te uno che ha dato il nome ai fagiolini non aveva mai sentito parlare dei fagioli? Dai, su: il tuo solito sottovalutare la gente. Credi siano tutti stupidi? Arriva uno da Marte, vede la pianta dei fagioli, tira giù un baccello, non chiede nulla a nessuno e, completamente a cazzo, urla: “DF£!F4GJ6/##!!!”, che in marziano significa: “FAGIOLINO!”, e guarda caso, sta prendendo proprio la pianta dei fagioli! Un caso su quanti miliardi? Eddai, sii obiettivo.
– Ma che c’entra! Uno ha dato quel nome ai fagiolini perché è la pianta del fagiolo!
– Visto che ci sei arrivato? I fagiolini sono fagioli, alla fine.
– No! Non sono fagioli! I fagiolini sono di quella pianta, ma non sono fagioli! Sono lo stato precedente allo sviluppo del fagiolo!
– Dunque sono piccoli fagioli. Dunque fagiolini! Tanto che si chiamano… fagiolini. Altro che marziano!
– Ma sei tu che hai tirato dentro il marziano! Il fagiolino è una roba completamente diversa dal fagiolo, pure se è la pianta del fagiolo!
– Stai a vedere adesso che è una pesca.
– No, non è una pesca! Ma il fagiolino non è neppure un fagiolo!
– È un carpullo?
– Non è un carpullo! Smettila coi carpulli! Non esistono i carpulli!
– Cos’hai contro i carpulli?
– Nulla! Nulla! I carpulli non esistono.
– Grazie a gente come te. E allora se non è un carpullo è un fagiolo.
– Se fossero fagioli non li avrebbero chiamati fagiolini! Lo capisci? Evidentemente sono un’altra cosa!
– Un’altra cosa ma con lo stesso nome al diminutivo e che viene dalla stessa pianta. Ma tu guarda.
– Senti, se non li vuoi mangiare non li mangiare. Ma non ti attaccare alla storia che siano fagioli.
– Io non mi attacco a nulla. Sono i fatti che parlano.
– Ti rendi conto che stiamo parlando da dieci minuti di una assurdità?
– Hai iniziato tu a spacciarmi dei fagioli per verdura.
– Io non ho spacciato nulla! Hai davanti un piatto di fagiolini!
– Minimizzare non ti servirà.

Giuro, non prenderò in giro il curling

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Nella foto, un atleta giamaicano si prepara a essere fuori contesto

 

Ho provato a seguire per un po’ le olimpiadi invernali ma ho dovuto rassegnarmi all’evidenza: non sono riuscito a fregarmene minimamente. È che gli sport freddaioli non riescono ad attrarmi, non ci sono mai riusciti.

Ricordo i fasti di Alberto Tomba e di una Italia tutta incollata a guardare non la sua discesa ma il cronometro in basso, che avrebbe fatto la differenza tra esultanza e delusione nazionalpopolare. Ecco, questo intendo: uno sport nel quale non riesci ad apprezzare il gesto tecnico-stilistico ma che è tutto basato su dei numeri che scorrono, non riesce a prendermi.

E no, non è come nell’atletica: Bolt che corre sta sfidando sì il cronometro. Ma non solo. E ti regala un riferimento visivo meraviglioso, nel suo mettere luce tra sé e gli avversari.
Quanti di noi hanno le competenze tecniche per apprezzare una discesa in slalom gigante, e notare la posizione del corpo, la scorrevolezza dello sci, la ricerca delle traiettorie, e differenziarle da atleta ad atleta? Su uno schermo televisivo, peraltro?

E poi: scivolare a valle lo trovo artificioso, quasi innaturale.
Ma vuoi mettere, correre e saltare? È per quello che siamo nati: ce l’abbiamo dentro. L’esserci poi adattati ad altri climi e ambienti e averci costruito su attrezzature e pratiche, è comunque roba recente, di qualche migliaio di anni. Ma noi per milioni di anni abbiamo corso, inseguendo prede e fuggendo da predatori. È naturalmente appassionante per questi richiami ancestralmente collegati con le nostre origini. E le origini sono queste, antichissime.

Giuro, non prenderò in giro il curling.

Se ci togliete la solita fissazione patriottica, per cui il bronzo a un italiano con un nome da supposta svizzera vi fa sentire soddisfatti (cercate di fermarvi a riflettere su questa soddisfazione, sulle reali motivazioni, sul suo essere slegata da ragioni reali), cosa resta di quella cosa? Uno che scivola a valle. Riduttivo? Ma è così. Ma che noia, su…

Ma vuoi mettere i 200 metri? Quell’attesa, il prendere posto ai blocchi. Un pugno di atleti, l’uno contro l’altro. Che non incrociano gli sguardi. Si sistemano, come i gladiatori affilavano il gladio. Il silenzio. Lo sparo.
La sciolina? Ma scherziamo? Ma non è roba da usare con la tua donna?

Giuro, non prenderò in giro il curling.

Che poi, siamo ancora a livelli di tollerabilità, quando si parla di slalom. Ma lo slittino? Eddai, vi prego. Lo facevo da ragazzino! Mi mettevo sotto il culo un pezzo di plastica e affidavo alla gravità il compito di emozionarmi. Ma che gesto atletico c’è nello slittino? Che lo spingi all’inizio? Che freni qua e là? Sposti il corpo? Bene: paragoniamo lo slittino e il salto in alto. La coordinazione, la potenza, la tecnica. Il pathos di quell’asticella che viene toccata e resta/non resta là, in uno momento quantistico che ci manca solo il gatto di Schrödinger.

C’è da parlarne?

Non sono mai andato a sciare in vita mia. Una volta noleggiai uno snowboard: discesina-caduta-in piedi-discesina-caduta-ma Cristo la neve nel collo!-ma andate affanculo-baita-pizzetta calda-mai più perdio.

Il salto dal trampolino. Spettacolare, certo. Ma io, che ne capisco? Dove ci si allena? Quali sono i miei riferimenti? Dov’è proiezione personale? Non posseggo gli strumenti per valutare nulla, il gesto tecnico, la posizione… nulla. Cosa mi interessa alla fine? Solo sapere se ha fatto un metro in più o in meno del precedente. Ma che gusto c’è?

Invece: i diecimila metri. Quei keniani che tirano fin dall’inizio, a stuccare il fiato. Tu che ti rivedi, ragazzino, correre con gli amici, a chi faceva primo. E se il traguardo era lontano, niente: non riuscivi a dosare le energie. Partivi comunque a razzo e ti veniva a mancare benzina, e quel palo da raggiungere era ancora lontano.

Dai. Siamo onesti intellettualmente. Ma che ce ne frega di questi sport “artificiali”? Per il medagliere? Il medagliere è il Male.

Giuro, non prenderò in giro il curling.

Almeno quelli rassettano.

L’intelligenza dei delfini è decisamente sopravvalutata


 

Canada, avvistato il più grande branco di delfini di sempre. Riusciremo a soffocarli con la più grande serie di buste di plastica di sempre?
I delfini, si sa, sono animali intelligentissimi. Molti, per esempio, sanno distinguere una busta di plastica da una boa. Poi però si rincoglioniscono e confondono una busta di plastica e una medusa. Diciamo che l’intelligenza dei delfini è decisamente sopravvalutata.
A tal proposito, se avete intenzione di fare un giro in mare e, mentre sorseggiate un Mojito, vi viene quel desiderio – naturalissimo – di vedere come agonizza un delfino, io consiglio sempre le buste Coop: sono trasparenti, sottilissime, si rompono già mentre imbusti le cose alla cassa: capisci che sono state progettate per altro che metterci roba dentro e io ho scoperto per cosa. Fidatevi: non userete mai più altro per soffocare queste meravigliose creature, anche se molti preferiscono le buste Lidl, ma io le trovo meno gradevoli al tatto.
Alcuni delfini, prima di mangiare le buste, emettono dei suoni a km di distanza, per richiamare altri simili sull’abbondanza di cibo. Diciamo che l’intelligenza dei delfini è decisamente sopravvalutata.
Avete mai sentito i richiami che emettono? Ci sono scienziati che hanno dedicato tutta la loro vita a cercare di decifrare il significato di questi suoni e alla fine hanno capito che non significano un cazzo, ma non ce lo dicono perché sono laureati in oceanologia: o quello o i call center.
Quando saltano fuori dall’acqua, spruzzando tutt’attorno, sembrano davvero voler dire: “Allora, in orizzontale quanto mi pare, in verticale finisce qua. Me lo devo ricordare”.
Poi però non se lo ricordano. Diciamo che l’intelligenza dei delfini è decisamente sopravvalutata.
Da piccolo ricordo volevo nuotare insieme ai delfini: era il mio sogno.
Poi ho scoperto la fregna.

Collezionare figurine. Ma più figure.

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“Nulla rende lo spirito angusto e geloso come l’abitudine di fare una collezione” [Stendhal]

Quanti di voi collezionano qualcosa?
Parlo di oggetti fisici, qualcosa che si possa materialmente toccare.
Le tette della cognata non rientrano in questa fattispecie. E poi sono solo due, che collezione ridicola!
A meno di avere molte cognate. O essere in una scena di Total Recall.

Francobolli, bottiglie di birra, monete, farfalle (queste ultime da mostrare a ragazze particolarmente vintage), navi in bottiglia, spillette, puffi, piatti, tazze, sottobicchieri, scontrini (ossessione di alcune grilline), stampe, penne, schede telefoniche, scatole di latta, soldatini di piombo, rane di cristallo, gufi del cazzo forza Juve!, carte da gioco, bustine di zucchero, biglie, pastiglie, stoviglie, maniglie. Versioni di Internet Explorer.
Tutto è collezionabile.

Ho parlato con uno psicologo (al di fuori dalla terapia) e gli ho posto i miei dubbi al riguardo. Cercavo conferme a questa teoria: chi colleziona qualcosa è un uomo spaventato.
So che attirerò su di me gli strali di molti di voi. Specie chi colleziona strali. Ma le cose vanno dette. E poi colleziono nemici.
Lo psicologo mi ha confermato la mia teoria, puntellandola con casi di studio specifici.

Tutti noi abbiamo collezionato figurine, no? Perché lo facevamo? Ho provato ad analizzare bene la cosa e sono giunto ad una risposta scientifica assolutamente inconfutabile: eravamo bambini, Cristo!
È ovvio che dei bambini siano attratti da oggetti, vieppiù se raffiguranti i loro idoli. Ammesso e non concesso che Darko Pancev potesse essere un idolo di qualcuno. Almeno fino a quando non ha deciso di cambiare il cognome in Donnie.
Ma quando si cresce, perché si colleziona?
La mia risposta è questa: si ha paura.
Paura del tempo che scorre, paura del futuro.
Collezionare significa accumulare, certo. Dunque pesca nell’atavica ricerca di ricchezza (e correlata tranquillità) insita in noi.
Ma significa anche mantenere le cose sotto controllo, avere il pieno dominio di un universo. Fermare il tempo, che è sempre uguale a se stesso, in quell’universo specifico.
“E come la fai lunga! Io colleziono le sorprese degli ovetti Kinder perché sono simpatiche, che cazzo di esagerazione, il tempo!”.
Bene. Credo che la tua collezione ti inquadri perfettamente. E con te manco ci parlo. Non so neppure come tu abbia avuto le chiavi di accesso al mio blog, per scrivere in autonomia.
“Ah, pensavo fosse una trasposizione, io che parlo per bocca dell’autore e…”
No, non ho autorizzato il tuo intervento.
“Chiedo scusa”.

Insomma, il controllo di un flusso è ciò che muove il collezionista di oggetti. Specie se gli stessi non hanno un riscontro economico. Altro è collezionare Picasso e Renoir. Ma non è cosa per tutti. Pagare un Mark Rothko 34 milioni, ad esempio. O i tagli di Fontana 13 milioni. Qui si parla spesso di amore per l’arte o semplice speculazione. Ma anche per elevarsi, apparire culturalmente migliori di quanto non si sia.

“Sottoposta a psicanalisi la figura del collezionista ne esce male, e dal punto di vista etico c’è certamente in lui qualcosa di profondamente egoistico e limitato, di gretto addirittura” [Mario Praz]

Insomma, il mio psicologo mi ha detto: “Non dovresti essere qua: non è martedì”. Poi gli ho spiegato che volevo parlare di collezionismo.
– Certo, hai ragione, le cose hanno questa proprietà simbolica di riempire.
– Potrei farci un mare di battute su questo, sai?
– Ma saresti banale.
– Già.
– Il collezionista tenta di superare delle mancanze che ha.
– Io pensavo anche al fatto che è un modo di fermare il tempo.
– Certo che lo è: la collezione fa proprio questo. Mantiene le cose sotto controllo, ti dà il pieno dominio di un universo. Ferma il tempo, che è sempre uguale a se stesso, in quell’universo specifico.
– Ma hai fatto il copia incolla di quello che ho scritto io sopra?
– Certo, l’avevi scritto bene.

Pensate al lavoro dietro una collezione: catalogare, cercare nuovi pezzi, sistemare, chiedere agli amici in vacanza di riportarti quel pezzo che qua non si trova. E se si tratta di una statua in pesante ebano, di un Watusso, scala 1:1, magari l’amico te la riporta pure, ma poi non lamentarti se ti scopa la donna.

Perché lo fate? Perché volete essere presi per il culo dagli amici che quando non ci siete dicono:
– Oh, hai visto Fausto? Ha speso 170 euro per un altra Barbie rarissima – dice. Collezionare bambole, a 43 anni.
– Veramente lo faccio anche io.
– Le tue si muovono.
– Non sempre, ti assicuro.

Insomma, a parte queste costruzioni dialettiche ardite, e le risalite, io sono molto spaventato quando incontro un collezionista, specie di oggetti inutili.

No, le donne non si collezionano. Né rientrano negli oggetti inutili.

Oddio, qualcuna pare un Picasso, ma è più un problema suo.

Morire, dormire, sognare orse

…perché il circo è magia. Anche in un’era in cui tutto pare tecnologico, è qui che il bambino che c’è in noi spalanca la bocca. Sarà per gli animali o l’acrobata, sarà per il giocoliere o i clown, al circo si respirano favole e si accarezzano realtà immaginifiche straordinarie.

Eppure, quelle che vediamo esibirsi sono persone come noi, anche se ci piace immaginarle proprio come ci appaiono: il trapezista è tale sempre – deve esserlo: nessuna coda alle poste, nessun problema con l’assicurazione, nessun ticket da pagare. Lui vive sospeso. E quando i riflettori si spengono, lui resta là, come congelato. In attesa che il biglietto acquistato da un altro bambino lo riporti in vita.

Il domatore, quando il circo si addormenta, riposa nella gabbia dei leoni – so che è così, deve essere così – vestito con gli stessi abiti di scena. Mangia con loro, parla con loro.

Così ci piace immaginarli, sognarli parte di quel mondo magico e senza tempo. Ma sappiamo che sono persone vere, come noi. Che, smessa la loro veste artistica, hanno un nome, una famiglia, una vita normale.

La verità è questa: siamo della stessa materia di cui sono fatti i Togni.

Il mio viaggio su una nave Grimal[ATTENZIONE]

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Ho viaggiato su una bestia di queste.

Splendido viaggio, meraviglioso. Non posso che consigliarlo caldamente.

Nave enorme, fantastica. Venti ore di traghettata che volano via leggere, specie se si prende una cabin[Attenzione, si informano i signori passeggeri che al livello 10 il self service è aperto. Troverete gli sfizi dello chef e ogni specialità].

Scusate. Dicevo: una volta imbarcati si trova la propria cabina e ci si accomoda. Gli spazi sono quelli che sono ma basta arrangiarsi un po’ e subito s[Attenzione, si informano i signori passeggeri che al livello 10 il ristorante è aperto. Troverete piatti squisiti e delizie per il vostro palato].

Scusate. Ancora. Stavo parlando delle cabine. Venti ore non sono poche ma la cabina, appunto, consente di riposare davvero comodamente. E nonostante le mille possibilità a disposizione degli ospiti, tutto ciò che in genere si desidera è proprio rilassar[Attenzione, si informano i signori passeggeri che al livello 10 è aperta la sala benessere].

Che cazzo. E c’è una piscina. Purtroppo in manutenzione ma è solo sfortuna. E una discoteca. Certo, frequentata solo da ragazzini con problemi di sudorazione, ma anche là non è il caso di stare a f[Attenzione, si informano i signori passeggeri che al livello 10 il bar è aperto 24 ore al giorno].

Diocristo! Ecco. C’è un leggero problema con gli annunci. Ogni dieci minuti ce n’è uno. E si intensificano intorno all’ora di pranzo e di cena, arrivando ad uno ogni tre minuti. E sono pressoché tutti così: inviti a spendere questi cazzo di quattro soldi che ti sono rimasti. Io ci ho provato a riposare, ma l’altoparlante è pure in cabina. In cabina! Quello lo usano solo per annunci di servizio, è vero, tipo che il signor SergeJ Pavlonov è desiderato alla reception, o su quel cazzo di livello dieci (per qualche oscura ragione è tutto al livello dieci, pure il livello nove). Tra l’altro all’ora di pranzo gli annunci si ripetono uguali, per cui ogni tre minuti ti informano dell’esistenza di un bar, confermando l’idea che quella nave traghetti solo lobotomizz[Attenzione, si informano i signori passeggeri che al livello 10 il bar è aperto 24 ore al giorno].

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Se non fosse stato per gli annunci sarei riuscito pure a chiudere occhio per un cristo di minuto, inv[Attenzione, si informano i signori passeggeri che al livello 10 il bar è fornito della novità dell’anno: il ciocolat, una squisita bevanda a base di latte e cioccolato].

Grimaldi del cazzo! Mai più! Mai più! Mai! Una vergogn[Attenzione, si informano i signori passeggeri che al livello 10 sono a disposizione i nostri cestini da asporto].

E questa la mia esperienza su una nave Grimaldi, dalla quale sono tornato con la febbre. Esperienza che consiglio caldamente a tutti voi.

Perché vi odio.