Processi storici demenziali – Socrate

[Processi storici demenziali – Atto1 – Socrate]

[Prossimi processi: Cristo – Galileo – Norimberga – Calciopoli – Berlusconi]

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Socrate

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Atene, 399 a .C .

Un nutrito gruppo di cittadini si riunisce come al solito sulle colline di Atene per giudicare un cittadino, ma stavolta non uno qualunque. E’ una delle più grandi menti dell’umanità: Socrate.

Colui che fa uso del dialogo, il padre fondatore dell’etica, della filosofia morale e della filosofia in generale.

Socrate, una delle più grandi menti di tutti i tempi, nonché mediocre calciatore brasiliano passato alla Fiorentina alla Longobarda di Lino Banfi.

Ma forse qui comincio a far confusione.

E adesso? Di fronte all’Areopago, il giudizio che deciderà delle sue sorti.

Le accuse? empietà, corruzione dei giovani, introduzione di nuove divinità e non riconoscimento di quelle tradizionali.

Giudice: Signor Meleto, pubblica accusa, leggo che abbiamo il famoso Socrate a giudizio, come mai?

Meleto: eh?

Giudice: Signor Meleto, potrebbe togliere quelle cuffiette? Il giudizio è iniziato.

Meleto: Mi scusi Signor giudice, ho le cuffiette, non la sento.

Giudice: Che cazzo di gag mediocre è questa? Sembriamo Lillo e Greg.

Meleto: Tolte signor giudice, ora la sento bene.

Giudice: A suo comodo, signor Meleto. Allora, cosa ci fa qui Socrate?

Meleto: è accusato di crimini gravi, signor giudice.

G: un anziano signore, così ben voluto? E cos’avrebbe fatto, scoreggiato a letto? Ahahahahah!

M: No signor giudice. Cose ben più gravi. Innanzitutto empietà.

M: E che reato sarebbe?

M: Beh, è lei il giudice, dovrebbe saperlo…

G: Ah già… ma… vediamo se è preparato…

M: Uff, al solito. Allora: empietà è il non seguire il culto di una religione, darsi a studi naturalistici fuori dalla norma.

G: Ma che cazzo di reato è… comunque sì, ehm… bravo, ricordava bene.

M: Sì sì…

G: Introduciamo l’imputato.

Socrate: Eccomi.

G: Allora, signor Socrate, come risponde all’accusa di entità?

M: Empietà.

G: Empietà, sì, quello.

Socrate: E’ un’accusa che non mi tange. Chiamo voi a testimoniare.

G: Voi chi?

S: Voi giudici.

G: Cioè?

S: Voi, mi avete mai visto compiere simili atti?

G: Personalmente?

S: Personalmente.

G: No, in effetti no…

S: Visto?

G: Eh ma grazie al cazzo. Così è facile. Allora non si potrebbe mai condannare nessuno se non viene beccato sul fatto dal suo giudice. Furbetto lei…

S: So’ filosofo…

G: Comunque la cosa non regge.

S: Mi sovviene un sofisma al riguardo…

G: Siamo in un giudizio pubblico, le è fatto divieto scoreggiare.

S: Ma…

G: SILENZIO! L’accusa che dice? Signor Meleto, tocca a lei.

Meleto: Guardi, sull’empietà mi pare siamo tutti d’accordo

S: Veramente no…

G: SILENZIO! E cos’è questa puzza?

S: Non saprei…

G: Madonna del Carmine! Non si resiste!

S: Signor giudice, le rammento – e rammento al pubblico così da dare un filo logico ulteriore alla narrazione – che siamo in Grecia, che per noi è moderna ma per loro è antica. Non è che l’ambiente fosse poi così profumato. Scarichi e fogne a cielo aperto, vacche e buoi, congiungimenti carnali…

G: Lei non me la racconta giusta. Secondo me sta facendo ancora sofismi. L’ho vista sa, inclinarsi sulla seggiola.

S: Ma i sofismi non sono…

G: SILENZIO! Signor Meleto, allora, quest’entità…

Meleto: Entità, sì, vabbè. Ci sono prove inconfutabili. Ma non è neppure la cosa peggiore commessa da quest’uomo. Mi concentrerei sull’accusa di aver corrotto i giovani. Socrate li rovina con le sue assurde fantasticazioni.

Socrate: Per esempio?

Meleto: per esempio… beh… uhm…

S: Avanti, me ne dica una: cosa farei di male ai giovani?

M: Con calma, un attimo, mi faccia ricordare… una cosa c’era…

S: Mi pare che il tutto si commenti da solo. Manca qualunque base per accusarmi…

M: Nono, una cosa c’era…

S: Facciamo notte e stasera c’è Atene-Sparta, ci vogliamo muovere?

M: Vabbè, mo’ non mi ricordo. Comunque… ah sì: se li inculava!

S: Eh?

M: Vuole negare che abusasse di loro?

S: Ma che abusare. Qua lo fanno tutti.

M: Che lo facciano tutti non significa che sia cosa buona.

S: Se lo fanno tutti cosa cattiva non è.

M: Non ci mettiamo a fare sofismi ora.

Giudice: DioCristo, basta sofismi, sì! E’ un veleno qua! Aprite le finestre!

S: Scusi.

M: E comunque molti erano minorenni.

S: Siamo nell’antica Grecia, l’età media è vent’anni, poi si muore, ci credo io.

M: E’ sbagliato e basta!

S: Dica la verità, a lei piacciono le donne.

M: Ma che dice!

S: Ahahahah! Un etero! Ahahahah!

M: Non si permetta! Sono accuse infamanti e gravissime!

S: A Meleto piace la fica – A Meleto piace la fica! [Cantilena]

M: Non mi piace la fica! Sono un uomo vero io!

S: Comunque io non ho nulla contro gli etero. Solo, evitate quelle assurde baracconate tipo l’Etero Pride. Dovreste cominciare ad integrarvi.

M: La smette? Torniamo alle accuse.

S: Però è carino quando fa il virile.

M: Sì? [occhi dolci]

S: Sì. [occhi dolci]

Santippe (moglie di Socrate): e figurati.

Socrate: Santippe, moglie mia, sai che sei il mio universo.

Santippe: ne sono cosciente, marito mio. Mi hai dato conoscenza e consapevolezza. E di questo ti sarò eternamente grata. E comunque ce l’avevi piccolo.

Socrate: Parli di me come se già più non fossi. Ma questo procedimento non ha ancora scritto la parola fine sulla mia testa.

Santippe: ho letto il finale.

Socrate. Dove?

Santippe: Qua, due pagine appresso.

Socrate: Moglie mia, tutto questo non ha alcun senso.

Santippe: Guarda, lo stavo per dire pure io. Ci mancava solo che alla fine ti ammazzasse il maggiordomo.

M: Ricomponiamoci! Usciamo fuori da ‘sti cazzo di clichè da Giallo Mondadori! E cacciate fuori quella donna!

Santippe: Ecco un altro ricchione.

M: Grazie, finalmente qualcuno se ne accorge. Insomma, Socrate, lei è un pessimo educatore. Anzi: l’unico cattivo educatore di tutta Atene.

S:  Dunque mi sta dicendo che tutti gli ateniesi sono buoni educatori, mentre solo io sarei l’unico guastatore. Le faccio un’analogia: secondo me, così come sono pochi coloro che sanno allevare ed allenare cavalli da corsa, mentre la maggior parte delle persone li rovina, così la cosa dovrebbe valere anche per gli altri animali, uomini compresi. No?

M: Eh?

S: E’ un’analogia semplice, ripresa testualmente dallo sceneggiatore che voleva giustificare così il tempo speso su quei barbosi testi classici.

M: ah. Ok. E.. Ehm… [pausa di qualche secondo]… Se li inculava! Signor giudice, se li inculava!

S: Uff…

M: Passiamo oltre: la terza accusa è di aver introdotto in Atene nuove divinità e di non riconoscere quelle tradizionali. Come si giudica, imputato?

S: Assolutamente innocente. Io non ho introdotto altro che il daimon.

M: Chi è mo’ ‘sto daimon, un manga giapponese?

S: No, è la mia voce morale. Il daimon è un vero essere vivente, che mi avverte tutte le volte che sto per sbagliare.Non sono un dio, ma sono figlio di dei, come tutti noi. Non ho dunque introdotto nuove divinità, ho accettato le divinità tradizionali, perciò sono innocente.

M: [pausa di qualche secondo]… Se li inculava!

S: Aridaje.

 

 

L’Areopago quindi vota, a maggioranza, la colpevolezza di Socrate. Il voto è sofferto e per pochissimo Socrate viene condannato, grazie anche ad un’azione decisa per accaparrarsi il voto favorevole del senatore De Gregoriaki, passato repentinamente dalla Grecia dei Valori alle liste del Popolo dell’agorà. La vicenda desta grosso scandalo ma si sa come andava la politica allora.

Allora.

A questo punto vengono formulate le proposte di pena. L’accusa propone la condanna a morte. Socrate sarcasticamente chiede un vitalizio dallo stato. Gli viene accordata solo un’auto blu.

Di nuovo votazione e di nuovo c’è la pronuncia per la pena maggiore, la morte appunto.

“È giunto ormai il tempo di andare, o giudici, io per morire, voi per continuare a vivere. Chi di noi vada verso una sorte migliore, è oscuro a tutti, tranne che al Dio”. Queste le parole dell’ultimo di Battiato.

Socrate è dunque incarcerato in attesa dell’esecuzione.

Tutti i suoi discepoli, Alcibiade in testa (suo prediletto ed amante), sono distrutti e meditano un sistema per farlo evadere: non possono accettare l’idea di perdere il loro maestro.

Discepoli: Maestro, abbiamo un piano per farla fuggire.

Socrate: Piano?

D: Sì, stiamo scavando un tunnel fino alla foresta.

S: un tunnel?

D: Sì, è già tutto pronto. Deve solo mettere un poster di un’attrice famosa sulla parete per coprire il buco. Percorso il tunnel su un supporto di legno e dei tiranti di corda, all’uscita troverà una moto con la quale potrà fuggire superando le linee tedesche.

S: Cos’è un poster?

D: Pensavamo fosse una parola greca. O una canzone pallosa di Baglioni.

S: E una moto?

D: è un mezzo a due ruote, per spostarsi velocemente nel traffico.

S: Cos’è il traffico?

D: Oh, maestro, stai qua a rompere il cazzo o vuoi scappare?

S: Mi son dure le parole che pronunciate. Parlate di poster alla parete per coprire un buco… e poi di tunnel e moto… Ma state facendo confusione tra Le ali della libertà e La grande fuga.

D: Questo è possibile, non essendo praticissimi di cinematografia. L’importante è che fugga via.

S: Non funzionerà, preferisco stare qua a giocare con la mia pallina contro il muro.

D: Tim Robbins?

S: Steve McQueen.

D: Cazzo. Comunque deve scappare! Non sa che stanno per darle la cicuta?

S: Eh lo so, nelle carceri e negli ospedali si mangia di merda, ma che ci posso fare…

D: E’ un veleno, Maestro! Veleno!

S: ‘na porcheria, sì.

D: Uff… Senta, deve fuggire, non c’è più tempo.

S: Ma dove dovrei andare? Io penso che sia più giusto osservare la legge, anche se non ci piace.

D: Ma i suoi insegnamenti? Che faremo noi?

S: Il massimo del mio insegnamento sarà proprio questo, essere coerente con me stesso.

D: E’ una prova di grandissima integrità morale, Maestro. Altresì una cazzata.

S: Ma resteranno imperiture le mie gesta.

D: In realtà basterebbe vincere un reality.

S: Non sono più di moda. Meglio un talent show. Ma non so cantare.

D: Guardi, basta essere un personaggio che buca lo schermo.

S: Non ho idea di cosa stiamo dicendo ma ormai non c’è più tempo. Ora, qualcuno di voi vuol suggere il nettare della conoscenza per un’ultima volta?

D: Verrà Alcibiade, Maestro.

S: Il mio prediletto?

D: il ricchione, Maestro.

S: Certo, lui.

Santippe:  E figurati.

Socrate si congeda da tutti gli amici e parenti, invita il carceriere ad entrare, spegne la Playstation e si abbandona al suo destino.

Arriva il momento della somministrazione della cicuta. Beve la pozione, tira fuori un ultimo, pestilenziale sofisma e sussurra le sue ultime parole, ormai nella leggenda: «O Critone, noi siamo debitori di un gallo ad Asclepio: dateglielo e non dimenticatevene!»

Discepolo 1: Eh?

Discepolo 2: boh, non ho capito

Discepolo 1: Ma che cazzo di ultime parole sono?

Discepolo 2: mah, perdere un’occasione storica per lasciare un qualcosa di imperituro…

Discepolo 1: Dai, dobbiamo inventarci qualcosa. Non possiamo lasciare come eredità di Socrate quella frase idiota.

Discepolo 2: E che ci inventiamo?

Discepolo 1: Non lo so…

Discepolo 2: Ha bevuto la cicuta…

Discepolo 1: Dunque…

Discepolo 2: Che ne pensi di: “più la mandi giù, più ti tira su”?

Discepolo 1: Perfetto

 

[sipario]

I delfini sono intelligentissimi ed estremamente mammiferi

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Nell’immagine, un delfino pronto all’accoppiamento

Uno studio guidato dal prof. Sebastiano Renti (il nome è solo di fantasia: in realtà si chiama Matteo Balestra), circa la questione sulla mammiferità (neologismo o semplice puttanata?) dei delfini, che non sono pesci anche se hanno la forma di pesci e vivono in acqua e praticamente sono spiccicati ai pesci ma sono mammiferi per farti il trabocchetto quando stai alle elementari e impari questa cosa e poi te la rigiochi praticamente per tutta la vita convinto che gli altri ancora ci caschino e in effetti qualcuno ancora ci casca e tu ti senti acculturato ma solo perché frequenti ignoranti e questo periodo senza virgole è diventato lunghissimo e allora lo spezzo qua.

Dicevo, uno studio guidato da Matteo Balestra (ormai le carte sono scoperte, dai), noto ricercatore del MIT di Segrate (il MIT ha tantissime sezioni distaccate, una persino a Cambridge), rivela che i delfini in origine erano pesci a tutti gli effetti, ma che a un certo punto svilupparono una intelligenza tale per cui smisero di pagare il canone RAI, smisero anche di deporre le uova e iniziarono a fare figli come le donne e come le vacche (nessun paragone), per una questione di comodità circa le baby sitter: vuoi mettere affidare un bambino a una adolescente che lo mette di fronte la Play e affidarle invece un uovo che poi magari se lo perde dentro la borsetta Carpisa?*
*Le borsette Carpisa sono piccolissime esternamente ma dentro contengono un piccolo buco nero in grado di far scrivere un nuovo libro a Hawking. Senza mani.

Sui delfini sappiano ancora poco: è comunque difficile prendere appuntamento. In ogni caso ciò che appare evidente è la loro estrema intelligenza: giocano, saltano, passano l’intera vita senza lavorare. I pochi ritardati finiscono catturati e sono schiavizzati nei delfinari, costretti a posare insieme a mocciosi scaccolanti per del pesce rancido coltivato in secchi bianchi.

Se c’è un inferno è quello patito da queste povere creature, abusate, costrette a prostituirsi al suono di un fischietto, senza riposo, senza poter pregare un Dio.

Che poi, con quelle pinnette, farsi il segno della croce è un casino.

Sono un ragazzo inadeguato (riferito al “ragazzo”)

Max Pezzali
Max Pezzali prima di salire sul palco

Ieri sera sono andato a puttane. Certo, cominciare un pezzo così può far storcere il naso a qualcuno, ma pensate se questo qualcuno avesse subito lesioni facciali da cocaina: sembrerebbe Peppa Pig dopo un ictus, doppiata da Fabrizio Bentivoglio alle prese con due giovani ninfomani con l’herpes iscritte a Scienze della comunicazione e [inserire descrizioni dettagliate di effetti di farmaci e “Pescara” come evocativa città di provincia. Appuntarsi: “coprolalia”].
(Qualcosa Del Genere mi ha scritto una introduzione terribile. Ricomincio).

Ieri sera sono andato a puttane. Non avendo soldi ma forte dei settemila fan su Facebook ho pensato di intavolare una trattativa in termini di visibilità. Il suo pappone mi ha minacciato con un coltello e ho dovuto pagare. Credo sia uno di quelli con l’account G+.
Dice: “Scrivi anche bene, ma non capisco quelle parolacce“. Al che rispondo sempre: “Chiami un bambino di otto anni e te le fai spiegare“.
Niente, devo sempre fare tutto io.
No, dai, è questione di comunicazione: perché limitare il mio range di parole utilizzabili, escludendone alcune solo perché a te evocano la tua fase orale, nella quale, per conoscere il mondo, ti facevi chiamare “Folletto” per la potenza di aspirazione? Lo so che il tuo disagio di fronte la parolaccia è tutto di matrice sessuale, ma avresti potuto dare altre risposte a quel test militare, invece sempre “fiori”, “fiori” e “fiorai”.
Devi capire che la “parolaccia” è una “parola”, una semplice parola, e come tale in grado di suscitare sensazioni. Magari sgradevoli, ma sensazioni. Perché farne a meno? Perché sono sgradevoli, appunto? Allora dovremmo eliminare tutto ciò che ci è sgradevole, ma poi chi mi pulisce casa?

È che non tutto è applicabile in contesti diversi: prendete la pubblicità dell’uccellino e di Del Piero. Se ci fosse Platinette al suo posto non sarebbe altrettanto efficace. Già solo perché come cazzo fa Platinette a posarsi sulla spalla di Del Piero? Ma battute sulle dimensioni di Platinette mi sembrano ormai utili quanto quel pene* attaccato a Paolo Brosio.
*Ahahahah, scusate l’iperbole.
La sapete invece quella di Giuliano Ferrara e del barile di lardo? Se avessi un centesimo per tutte le volte che l’ho raccontata scriverei ancora su Spinoza.

“I bambini malati di leucemia stanno morendo”.

Niente, volevo farvi capire che non bisogna mai abbassare la guardia. Non è che qua uno entra per farsi due risate. Cioè, vedete saponette nella doccia? Dietro a quei corpi estranei galleggianti nel vostro occhio, dico.
Più che altro mi piace cambiare repentinamente registro. Passare dal surreale alla canzone italiana a questo secchio di bigattini al demenziale nell’arco di un cassetto.
Personalmente adoro il demenziale. Mi sono accorto che questa mia passione non è però molto condivisa e diffusa da queste parti. Quando scrivo qualcosa di demenziale, questa viene abbastanza ignorata. Certo, dipenderà dalla qualità del mio pezzo e gnegnegne. Ma io penso che da noi manchi proprio la cultura Zucker-Abrahams-Zucker, quella che prendeva le mosse dai Monty Python e creava “Top Secret!” etc*.
*”Etc.” è sempre utile per dire cose che non ti va di elencare. Ci avete pensato? Quando Paola Ferrari legge la classifica di serie A potrebbe validamente dire: “Juventus millemila punti, etc.”. Invece perde sempre l’occasione e ci tocca sapere del Livorno.

“Quando il saggio indica la Luna, lo stolto guarda il dito”.

Va detto che era un bel dito.

Che poi, scrivere in modo “scemo” non è neppure facile. Il rischio è scadere nell’umorismo sempliciotto, che è esattamente l’opposto di ciò che un buon pezzo demenziale dovrebbe ricercare.
Dopo anni passati a studiare i maestri mi sono reso conto che una buona struttura dovrebbe partire da un meccanismo di “salto” tra fase seria e sorpresa. E quanto più il salto è ampio, tanto maggiore sarà la riuscita comica. Faccio un esempio: se descrivo un pezzo demenziale, nella sua struttura, dal punto di vista storico e dei meccanismi ad esso sottesi, e improvvisamente inizio a parlare poi della nocciolaia, creo un salto logico notevole, spiazzo il lettore, che molto probabilmente neppure conosce le tipiche forme compatte della nocciolaia (Nucifraga caryocatactes), il becco nero a forma di pugnale, la tozza coda corta e quel corpo bruno scuro screziato di bianco che richiama il sottocoda anch’esso bianco, il suo occupare un’area che va dalla Scandinavia fino al Nord Europa, e giù alle foreste di conifere della taiga in Siberia e all’Asia orientale, compreso il Giappone, il cibo di cui si nutre, prevalentemente semi di pigna degli alberi dei climi freddi (estremo nord e altitudini elevate), caratterizzati da grandi dimensioni, il suo becco più spesso per schiacciare gusci duri, con un pettine speciale all’interno del bordo del becco vicino alla base.

E questo è esattamente quel che intendevo. Insieme, abbiamo costruito un pezzo demenziale. Va detto che ho fatto quasi tutto io, eh. Ma il vostro contributo, in qualità di lettori, è stato fondamentale, per via dell’albero che cade nella foresta e non c’è nessuno ad ascoltare perché magari distratto da Max Pezzali che ci spiega di essere un ragazzo inadeguato.
Non so perché avesse bisogno di una canzone.
Ecco: il fatto che Pezzali sia ancora discograficamente attivo e apprezzato mi fa storcere la bocca. A voi? Sì, anche.
Preciso: la nocciolaia.

 

Governi e salumi

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Nell’immagine, una causa di addebito della separazione

– Non avete fatto nulla durante il vostro governo!
– Questa è una salumeria.
– Scusi.
– …
– …
– …
– Non avete fatto nulla durante il vostro governo!
– Guardi che è ancora qua dentro.
– Pensavo che l’autore avesse reimpostato la discussione in altro ambito.
– Non ancora.
– Scusi. Mi avverte lei?
– Va bene. Ecco, credo che ora possa: provi.
– Non avete fatto nulla durante il vostro governo!
– No, niente, sempre qua.
– Scusi.
– …
– …
– …
– Provi.
– Ok: non avete fatto nulla durante il vostro governo!
– E voi invece?
– Noi? Ma noi siamo all’opposizione!
– E perché non provate a governare con noi?
– Noi non condivideremo mai la vostra politica!
– Portatevi la vostra.
– Ah, ma si può?
– Certo. Questa è la democrazia, no?
– Veramente non pensavamo…
– Su, entrate qua… accomodatevi…
– …
– Allora: come si sta?
– Beh, devo dire non male. Allora, facciamo due riforme?
– Ma c’è tempo per quelle. Intanto, perché non prendete qualcosa, che so: due etti di soppressata?
– Soppressata?
– Sì, nel mentre del discorso l’autore vi ha rimessi nella salumeria.
– Tutto questo non è serio!
– Beh, è comunque un pezzo altamente demenziale.
– Questo si era capito. Adesso però sarebbe da dare una svolta alla narrazione.
– In genere quando cala l’attenzione si mette qualcosa di sesso.
– Funziona sempre. Tenete presente però che il grosso del pubblico l’abbiamo perso all’inizio, quando pensava di leggere un pezzo politico.
– Possiamo fare qualcosa per riportarli qua?
– Credo solo passaparola. Praticamente questa cosa ora viene spammata anche su Facebook e l’autore conta su una più ampia condivisione.
– L’autore è lei?
– Sì.
– Ed è anche il titolare…
– …della salumeria, esatto.
– Bello. Messo su un bell’ambientino qua. Elegante.
– Grazie. Parla della salumeria?
– Governo, del governo.
– Certo.
– Sì.
– Ma…
– Dica?
– A che punto della narrazione interviene la topa?
– Ah, ha ragione, dimenticavo.

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Nell’immagine, un letto

– Meglio?
– A me Miley Cyrus non fa rizzare.
– Beh, ha il fascino sbarazzino della…
– “Sbarazzino”?
– Sbarazzino, sì.
– “Sbarazzino” è un termine ridicolo.
– Perché mai?
– Lei usa questo termine nella vita di tutti i giorni?
– Non quando picchio mia moglie.
– Vede?
– Ma lo sto usando adesso.
– No, lo sta usando in questa narrazione. È l’autore che glielo fa usare, anzi.
– Sono io l’autore.
– Veramente sarei io. Ma ora non mi va di stare a ricostruire il filo e vedere chi di noi sia l’autore.
– Anche perché in fondo siamo entrambi personaggi di fantasia.
– Già.
– Già.
– Crede questo dialogo possa trovare un senso almeno alla fine?
– Credo che l’autore si sia tenuto in canna il colpo finale: mi aspetto una cosa sorprendente, che spiazzi il lettore.
– Sì, in genere è alla fine che tira fuori il meglio.
– E anche stavolta non mancherà.
– Sì.

Il nonsense del weekend. Corpi cavernosi e burro.

Fuori piove. Dentro meno. Nel deserto del Gobi penso ancor meno ma non è questo il punto ora.
Sento latrare e abbaiare, là fuori, ininterrottamente. Ma no: non la farò rientrare così presto, mia moglie.
Una mosca tenta di trovare la strada di uscita, ma niente. Eppure io abito qua da sempre, bastava chiedere.
Un commesso viaggiatore bussa alla mia porta, vende libri, uno solo anzi: “Morte di un commesso viaggiatore”. È molto depresso infatti.
Niente, non lo compro. Gli dico che aspetto esca il film. Lui muore ma non mi impietosisco così.
Ho un po’ fame e apro il frigo. Niente, sempre fame.
Apro anche le ante dell’armadio e un paio di cassetti. L’appetito non aumenta, del resto vien mangiando.
La crisi mi ha colpito duramente: per risparmiare, da un po’, solo yogurt con fermenti lattici morti.
Esco a fare due passi. Durata totale: 0.8 secondi.
Al mio ritorno è tutto come prima: se non fosse per la fiducia nella scienza comincerei a mettere in discussione il principio entropico.
Il mio gatto è esattamente nella stessa posizione di quando l’ho lasciato. Ma saranno tre mesi ormai.
Per dimenticare i miei problemi comincio a bere, bere, bere finché non arriva un bagnino che mi recupera e mi riporta a riva (quando c’è da bere per dimenticare lo faccio in grande).
Sulla respirazione bocca a bocca sono molto passivo, specie se sono quello da salvare.
Oggi stringerò nelle mani un pettirosso. Che prima non lo era.

Io, lei, le olive. E il cavallo, certo

Nell’immagine, una pozzanghera

Saliva le scale con la stessa sicurezza, lo stesso portamento, la stessa grazia con cui saliva le scale.
(Se bisogna fare paragoni è bene essere precisi).
Era qualcosa di incredibile, so che mi crederete. Oppure risolvete questo paradosso.
Quando poi apriva bocca attivava una serie di muscoli, tra cui il massetere, il temporale e lo pterigoideo che le consentivano questo, come fosse la cosa più naturale del mondo.
Le stavano addosso, sempre. Ma è questo che fanno, gli abiti.
(Tra poco inserirò una “G”).
Io avevo perso la testa per tutto quello che rappresentava (spettacoli teatrali: faceva l’attrice).
Ma sapevo che non avrei mai potuto raggiungerla, non col mio allenamento.
Cosa avrei dovuto fare? Arrendermi? Sì, molti averebbero fatto così. E pure io: non è che poi mi piacesse così tanto.
Mi dedicai così alla spremitura a freddo delle olive. Certo non era la stessa cosa. Ma neppure adottare un cavallo lo sarebbe stato.
La spremitura delle olive ha un fascino tutto suo, sapete?
Lo sapete?!
G
In poco tempo diventai espertissimo: Tondello, Arnasca, Gentile, Leccino. Non avevano più segreti per me.
Ma anche li avessero avuti, erano solo olive, Cristo!
Smettetela di enfatizzare le olive! Io ne sono uscito. E mi ha aiutato tantissimo il cavallo. Sì, ve ne ho parlato sopra. Ero indeciso se chiamarlo Furia o Alfredo Scannamela.
Alla fine pensai che non avrebbe comunque risposto e non lo chiamai.
Ma Alfredo Scannamela è un bel nome, per un cavallo. Pensateci quando ne adotterete uno.
Lo presi a grandezza naturale.
(?)
Era di razza Gypsy Vanner: praticamente si spostava sempre mentre nitriva “Volare”.
Era un gran cavallo ed io lo adoravo.
Solo… non riuscivo a smetterla di fare confronti col mio vecchio amore: le olive.
Il mio cavallo non era extravergine.
Ma io non gliel’ho mai fatto pesare.

 

L’immagine potrebbe non essere rappresentativa

Primo fotogramma di un porno scaricato da Emule. Lei fingerà.

– Ciao Franco, da quanto non ci vediamo?
– Da parecchio, visto che non ti conosco.
– Non essere sempre così disfattista, Franco.
– Non lo sarei, se magari non mi chiamassi Franco.
– Scusa, scusa… pensavo fosse il tuo nome.
– Ma in base a cosa?
– Bah, non so, fisionomia?
– Vuoi dire che assegni un nome alla gente sulla base della faccia che ha?
– Beh no, non proprio. Deve esserci comunque un inquadramento nel calendario. Altrimenti per me tu saresti Trompezio Bulgaro Decimonono. Ma sul calendario quello che più si avvicina a questo nome è Franco.
– Senti, fatti curare, devo andare.
– Era voluta?
– Cosa?
– La rima.
– Che rima? Sei completamente pazzo.
– Ti piace la mia nuova ragazza?
– Quello è un comodino.
– Non saltiamo subito a conclusioni adesso.
– Stai andando in giro con un comodino sulle spalle, e questo già la dice lunga.
– Ci sono affezionato. E poi non mi pareva il caso di lasciarlo solo in casa.
– Cosa vuoi che accada ad un comodino?
– Boh, io so di strane cose che accadono ai comò: civette, dottori, rapporti sessuali… cosa ne vuoi sapere se queste cose non si trasmettano pure ai comodini.
– Oddiosanto! Mi vuoi lasciare in pace?
– Chiedo scusa. E’ che mi sento solo.
– Non è una buona ragione per andare in giro ad importunare la gente.
– E qual è una buona ragione per farlo?
– Nessuna!
– Allora era un trabochetto!
– Ma quale trabocchetto!
– Possiamo rivederci domani?
– Ma neanche per sogno!
– Va bene. Ciao Daniele.
– Uh… cosa ne sai che mi chiamo Daniele?
– E’ che dalla fisionomia…
– Ma non era “Franco” dalla fisionomia?
– Allora lo vedi che lo sai anche tu!