Finché non mi cacciano (16)

“Silvio Berlusconi è un coniglio perché non ha il coraggio di presentarsi in Parlamento per riferire sulla crisi libica”: così esordisce Antonio Di Pietro. Stesso appellativo per il ministro degli Esteri, Franco Frattini.
Di Pietro è così: quando gli spiegano una parola nuova in italiano poi se ne innamora.
[Continua su l’Unità, qui]

L’Italia (unita?) vista dai blogger

AGGIORNAMENTO: il punto di partenza della discussione di domenica, per quanto mi riguarda, è su l’Unità, qui.

Udite udite: domenica 13 marzo, dalle 11 alle 13, sul sito www.unita.it, diretta streaming di una tavola rotonda in vero truciolato sul tema “Unità d’Italia”. Ci sarò anche io ma questo non significa che l’incontro non possa essere comunque interessante. Perchè saranno presenti fior fiore di personcine a modo. Moderatrice: Concita De Gregorio. E ho detto tutto. Penso che abbonderò con l’Aqua Velva: me la devo giocare al meglio ‘sta carta. Potrete inviare in tempo reale domande, insulti e catene di Sant’Antonio su unisciti@unita.it o sugli account Facebook e Twitter de l’Unità.

Le reincarnazioni pericolose

L’ultima volta che sono morto mi sono reincarnato in me.
Potrebbe apparire una banalità, se solo dessimo per scontata la reincarnazione, e so che nessuno di voi lo fa. Tranne forse quel tavolo in mogano.

L’essermi reincarnato in me potrebbe apparirvi una grossa fortuna, se voi aveste avuto la sventura di reincarnarvi in un verme, o una disgrazia non da poco, se vi foste invece reincarnati in uno slip di Karolina Kurkova.
Ma non voglio deviare nell’animismo, nel quale non credo. E come me anche il mio spazzolino.

Mediamente posso considerarmi soddisfatto, dato anche il non ricordare chi fossi prima.
E allora vado giù di ipotesi e su con la fantasia, restando praticamente dove sono per un gioco di forze vettoriali. E mi immagino nella precedente vita, che so: piccione. Un’esistenza tutto sommato accettabile: poco impegnativa, un po’ monotona. Capacità di volare ma solo su spinta emotiva da rincorsa bambino. Altrimenti ottimo podista (i piccioni, nella loro precedente vita, erano tutti Haile Gebrselassie). La caratteristica più evidente del piccione è la sua enorme socievolezza: è capace di stare ore e ore ad ascoltare vecchi noiosi sulle panchine. Che tra l’altro li riempiono di fastidiosissime molliche.

Oppure ero un batterio. Una forma di vita fantastica, resistentissima. Fino a quel cazzo di Fleming. Che probabilmente in una precedente vita era un batterio anch’egli, ma nerd e con gli occhiali, e non aspettava altro che di reincarnarsi in qualcosa che la facesse pagare a quei bulletti del cazzo e scoparsi la battèria cheerleader.

O ancora, un’ameba: quei minuscoli animali privi di mebe.

Le ipotesi su chi si fosse nella precedente vita sono affascinanti.
Poi però penso che il numero delle specie viventi, per far sì che la reincarnazione possa essere considerata realistica, dovrebbe essere costante nei secoli, nei millenni.
Altrimenti resterebbero “anime” vacanti in attesa di entrare in questo o quell’essere. In coda, magari. Ciascuna con un numerello.

– Serviamo l’anima numero 47.535.478.225.900.637.
– Eccomi
– Allora, cosa le do?
– Uh, vedo che è finito tutto…
– Eh già: è rimasto qualche acaro, un paio di puzzole, degli istrici e un dodo.
– Ma il dodo è estinto.
– “Diversamente diffuso”.
– Vabbè, comunque no, dai. Prendo un istrice.
– Faccia attenzione agli acul…
– Ahia!
– Ecco.
– Uff… che animale di merda.
– Il peggio è che si sa già come morirà.
– Cristo, le auto!

Ma può verificarsi anche l’ipotesi opposta: un eccesso di corpi e poche anime per occuparli tutti.
Il secondo caso è tutto da studiare: ci sarebbero dunque corpi in giro privi di anime.
Magari belle ragazze.

E’ questo, ciò che voleva inconsciamente denunciare Cocciante?

Careless memories

Iowa, Montana, Massachussetts, Maine, California, Arizona, Nevada, Utah, Minnesota…
Li so, li ricordo. Pure se sono cinquanta. Pure se non sono americano.
Cultura generale, sì, ma preferisco imparare il nome del mio cazzo di vicino che sono vent’anni e ogni volta lo saluto con un impersonale “salve”.
Ora che ci penso, io non ho mai detto niente di più che “salve” al mio vicino.
Ma a tutti i vicini. A tutti in genere. Ma questa è semplice misantropia.
E’ che io non ricordo i nomi delle persone.
Quando c’è il momento cruciale, la presentazione, io switcho e parto in un’altra dimensione: credo il tempo intorno a me acceleri in quel preciso istante, salvo poi tornare a velocità normale una volta terminata la pronuncia del nome del mio interlocutore.
Ecco: in quell’istante io non ci sono.

Lui/lei mi dice: “piacere, ***”
Asterischi. Per me siete asterischi.

– Piacere, mi chiamo ***.
– Piacere mio, caro asterischi… e la signora asterischi come sta? E i piccoli asterischini? Cresciuti, accidenti! Sono quasi dei bei fiocchi di neve ora.
Poi torno immediatamente sulla terra, ma solo quando tocca a me parlare.

La cosa gravissima è che poi lui/lei si ricorda di me.
Mentre io.
Lei: “ciao Max”.
Ed io “ciao… come stai?” (tu, sconosciuta).

Con gli anni ho imparato tecniche di camuffamento della mia amnesia-nomi.
Riesco a condurre una conversazione senza mostrare in alcun modo il mio problema.

– Ciao Max! Da quanto non ci vediamo!
– Carissimo! Hai ragione, è una vita! A casa tutto bene?
– Benissimo! Silvia ora lavora con me e…
– Silvia! Salutamela tanto! Quindi lavorate insieme!
– Già: abbiamo aperto uno studio legale.
– Ah che bello: così sulla targa ci mettete un cognome solo e risparmiate… ahahah!
– Ahahah, vero! Abbiamo la nostra bella targa “Studio legale Maroncelli”.
– Già! Maroncelli
[è fatta].

Poi capita di parlare con una terza persona, che mi blatera qualcosa circa “Sandra Bencivenga” oppure “Fausto Del Casale”… “te li ricordi, vero?”… [manco per cazzo] “certo” io, con la faccia da culo.
Insomma, ho una falla nella mia elica DNA che mi impedisce l’apprendimento in tempo reale dei nomi propri: forse s’accoppia l’adenina con la guanina, ma analmente, oppure escono e vanno direttamente a puttane, o si drogano, non saprei.
Perchè se uno poi mi dice “quello là si chiama Renato Rossi” io da quel momento me lo ricordo! E’ proprio questione di vis a vis: sono le presentazioni dirette che mi fregano.
E’ per questo che adesso giro sempre con un accompagnatore: quando mi si presenta qualcuna, metto lui in mezzo, faccio sì che le presentazioni avvengano per interposta persona, insomma. E poi lui mi ripete i nomi.
Così funziona.
E’ che poi è lui a trombarsele, quel… quel… ma come cazzo si chiama?!

Scherzare su tutto?

Ricevo costantemente messaggi di insulti, a volte minacce.
Il tema è sempre lo stesso: ma come cazzo ti vesti?
Altre volte invece si parla di battute che avrebbero offeso questo o quello, scherzato sull’intoccabile, preso per il culo ciò che non deve.
Sul tema circa i limiti della satira hanno scritto menti brillanti.
Io qui vorrei aggiungere che se una battuta nera vi tocca personalmente, difficilmente potrà muovervi al riso.
Se avete un figlio nato senza gambe, non gli nasconderete le protesi col giochino “acqua-fuocherello-fuoco”.
Se siete un prete già condannato per reati sessuali non apprezzerete battute sulla pedofilia. O sul sesso. O sulla coprofagia. Vi limiterete a praticarli.
Se state ora storcendo il naso di fronte a queste battute, potreste annegare qualora piovesse.
L’importante è che siate consapevoli che si tratta di vostri limiti. Di paletti personalissimi. E che questi sono certamente diversi da quelli di chiunque altro.
Dire: “questa battuta è di cattivo gusto” è non solo un errore di approccio ma denota anche una mancata presa di conoscenza dei propri fantasmi, paure. Della propria soggettività. Il gusto, nella satira e nell’umorismo nero, non hanno spazio. Un po’ come per voi quando indossate quei pantaloni.
Esiste la costruzione satirica. Che può essere più o meno corretta. Nella forma, intendo.
Una volta detto questo vien da sé che ogni tema può essere oggetto di satira. Ma tutto, eh.
Il politico e il santo.
Il prete e chi invece in dio crede davvero.
Su tutto si può scherzare.
Anche sul bambino malato di leucemia perché non si scherza su lui ma sulla malattia, per esorcizzarla.
E se avete da prendervela con qualcuno, mandate affanculo Dio, non chi lo denuncia.