Noi siamo meglio di voi

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Gli ultrà del Feyenoord. L’Isis. L’associazione genitori cattolici. In ordine di pericolosità crescente.

Cosa vi spinge ad appartenere a un gruppo di persone identificabile, inquadrabile, riconducibile a una sigla, un nome, una identità chiara?

Certo, pure io sono “Automobilista” quando guido, ma più che un gruppo, questo rappresenta una semplice identificazione semiologica. Tanto che mi trasformo in “pedone” istantaneamente, senza soffrire di perdita di identità o riconoscibilità sociale.
E sono “Adulto” in quanto rientrante in un certo range di età. Sono così “Sportivo” mentre sto in palestra, ma “Pantofolaio” quando mi stravacco sul divano.

Queste sono definizioni, non appartenenze.

Quelle che intendo come inutili, se non dannose, sono le vere appartenenze, quelle a gruppi identificati e che creano persino una sorta di “orgoglio” collettivo. Esempio classico è il tifoso.
“Orgoglioso di essere juventino”, vedendo poi gli appartenenti alle altre tribù come nemici. Ma anche il “grillino” rientra in questa patologia: mostra spesso una animosità da posseduto, come portasse in sé il sacro fuoco della Verità, mentre gli altri: “CIECHI! SVEGLIAAA!”. Un ultrà sociopolitico che sfuma nel sociopatico.

La domanda che mi pongo in questi casi è: ma sono io a non riuscire a trovare da nessuna parte una Forza in grado di coinvolgermi anima e corpo? Sono io a non aver raggiunto ancora l’illuminazione, inquadrato la mia personale Setta, abbracciato il mio Credo, scovato la passione in grado di farmi rigettare ogni dubbio? Oppure siete voi, che nel gruppo, nell’assimilazione a un tutto – che sia grillismo, tifo da stadio, fissazione vegana, sistematicità della ripetizione di un comportamento (“orgoglioso di essere un ciclista”, “orgoglioso di essere un rugbista”, “orgoglioso di essere un italiano”, “orgoglioso di essere militare”, “orgoglioso di essere Civati”) avete trovato non tanto qualcosa in cui credete completamente perché intimamente convinti ma solo un modo per sentirvi parte di qualcosa di diffuso (a parte Civati), conferendo così alla vostra esistenza un valore che altrimenti non avrebbe?

Perché siete così sicuri che l’Inter faccia schifo? Su che parametri? Vampeta? Beh, sì, ma non andiamo su casi così palesi, dai.

Perché i politici sono tutti ladri e Grillo è l’unico onesto e in grado di ripulire il Paese? Non dico che non lo sia, eh. Ma non riesco davvero a Credere, ad avere questa passione e Fede cieca in nulla, a non coltivare sempre un dubbio su ogni cosa e persona. Questo mi impedisce di appassionarmi totalmente a qualcosa. Mi evita i fondamentalismi.

Ma come vi tiene cuore di condividere sulla vostra pagina di Facebook ogni puttanata di Di Battista?

Cosa spinge a pubblicare ogni giorno roba monotematica, sullo stesso argomento? Ma non è noioso? Non vi sentite ingabbiati da voi stessi? Io, se faccio due volte la stessa strada lo stesso giorno sento un senso di fastidio. Ma è proprio il ripetere sempre lo stesso pensiero, con gli stessi meccanismi che ruotano attorno agli stessi temi, che credo sia cosa malata.

È per questo che cambio partner a ripetizione. Questo non implica non trovare comunque costante interesse nella stessa persona.

Faccio notare che non ho minimamente accennato al fenomeno più evidente di follia collettiva, di cieco credere a qualcosa di appartenente al mondo del trascendente, in nome del quale si scatenano guerre ogni giorno, dalla notte dei tempi, e gli uomini si mettono contro altri uomini.

Parlo della figa.

Scherzo, dai.

La figa esiste.

Eduardo, l’italianità e altre cose che avrebbero tritato la minchia

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Tiriamo le somme di questa storiaccia meravigliosamente italica.

Hanno sparato a un tifoso napoletano, tale Ciro Esposito, di Scampia, che si faceva i cazzi suoi e si è trovato in mezzo a ‘sto casino. Ma non mi interessa del perché la pistolettata. Fermatevi su “Ciro Esposito”. È obbligatorio che un padre di famiglia, che di cognome fa “Esposito”, debba NECESSARIAMENTE” chiamare suo figlio “Antonio” o “Ciro” o poche altre varianti? No, non è una cosa marginale. Hanno analizzato la storia di questa partita in tutti i modi, concedetemi questo. Trovate già gradevole questo luogocomunismo tutto anema e core? A me fa tristezza. Tenete presente che non faccio testo: a me fa tristezza tutta l’allegrissima musica latino-americana e trovo deprimenti la maggior parte delle cose che passano in tv sotto la voce “comicità”.
Torno al fatto.
Sembra che a sparare a tale “Ciro” sia stato un tale, detto “Gastone”. Sì, “detto Gastone”.
Già questo giro di nomi-cliché e pseudonimi basterebbe per capire che non siamo in Danimarca.
“Detto Gastone”. Ma da chi? E perché? Perché i nomignoli?
Ma non è già questa una roba da bande di quartiere? Una cosa da favelas sudamericane?
Fermi.
A un certo punto, gente che urla allo stadio si ritrova con la possibilità che la partita venga sospesa, perché uno potrebbe morire. La logica è: se muore non si gioca.
Perché? Dov’è il nesso causale tra la partita e la morte? Quale il limite? E se resta paralizzato? Si gioca solo un tempo? Una ferita al polpaccio e si usa un pallone un po’ sgonfio?
La domanda base, di tutta questa storia è sempre quella: “perché?”.
Insomma, allo stadio, questa massa di persone comincia a bestemmiare perché non può forse vedere la partita e ormai aveva comprato la bomba carta e insomma pareva brutto sprecarla.
Perché la partita non si gioca? Perché qualcuno la sta bloccando. Chi? Le autorità (trovo buffissimo il termine “autorità” applicato a un gioco di pallone), per il motivo sopra detto, vale a dire nessun motivo: non vogliono che il giorno dopo i giornali scrivano: “Vergogna! Si è giocata la partita anche col morto caldo!”. Perché i giornali avrebbero scritto queste cazzate ipocrite, si sa. E infatti Saviano se l’è presa con Pietro Grasso: “Il presidente del Senato Pietro Grasso che consegnava le medaglie ha suggellato il senso della serata. Una sparatoria, feriti, bombe carta su calciatori e forze dell’ordine. E le istituzioni consegnano medaglie“. Quando a me fa senso il concetto stesso della “medaglia” consegnata per aver tirato calci a un pallone, ma ancor più, che politici siano là a presenziare a una roba ludica, conferendole un senso superiore che è esso stesso fonte poi di tutto questo carrozzone che muove danaro, gente e camorre.

Ma attenzione: non sono solo le autorità a sospendere la partita. C’è anche da ascoltare le tifoserie.
Le tifoserie.
Le tifoserie come organizzazione riconosciuta.
Le tifoserie come organizzazione riconosciuta e avente voce in capitolo.

– Che lavoro fai?
– Sono capo dei tifosi della Solbiatese.
– E che fai?
– Organizzo le trasferte, gestisco gli striscioni, avvio i canti allo stadio, metto il passamontagna in caso di lacrimogeni, gioco alla SNAI delle combinate che se mi riescono mi metto in tasca 124 euro, gonfio le banane salvagente, urlo tantissimo.

Piccolo inciso: ma perché urlate? E perché a nessuno fa specie che la gente urli allo stadio? Se accadesse in qualunque altro luogo saremmo terrorizzati. Immaginate in un negozio, un energumeno che alla cassiera dicesse:
“OLLELLE, OLLALLA’, FAMMELA VEDE’, FAMMELA TOCCA’!”. Sì, so che qualcuno di voi lo fa già, ma ci avete mai tirato su qualcosa? Qualcosa vicino a un essere umano guardabile, dico.

Immaginate di chiamare un idraulico. Arriva uno. Voi dovete uscire e resta vostra moglie in casa. Questo è di poche parole, esci, lo saluti. Poi vi ricordate, mentre siete già al lavoro, di averlo visto da qualche parte… ALLO STADIO! Era quello che urlava al portiere avversario di ciucciare la banana, era quello che smadonnava contro l’arbitro, minacciandolo di morti orribili, era quello già pregiudicato e noto alle autorità per vari reati e sospetto di affiliazioni camorristiche. Era quello arrampicato sulle transenne con la maglietta: “Speziale libero”. Era quello che si fa conoscere come “Genny ‘a carogna”.
Ora è in casa vostra.
Fermi.
A chiosa di tutta questa italianità, Saviano che sguazza in questo lordume camorristico – e giustamente stavolta – snocciolando date e dati, precedenti e nomi, preparandoci all’ennesimo best seller nel quale ci dirà che c’è la Camorra e che lui ha la scorta.
Il problema non è la Camorra, Saviano. Il problema è l’italianità, l’italianità e l’italianità. E trovare “normale”, se non fonte di provincialissimo orgoglio, questa fottuta italianità. Il trovare “normale” che un napoletano si debba chiamare “Ciro” se di cognome fa “Esposito”. Un marchio di fabbrica. Il trovare “normale” che uno debba avere un nomignolo nella vita comune come “Gastone”, o “‘a carogna” o “UomoMordeCane”. No vabbè, quella è altra cosa.
Il trovare “normale” che si possa mandare affanculo gli altri, se non sono nati nella tua città, questo Cristo di campanilismo che è tanto più forte e sentito quanto più sei un fottuto ignorante attaccato alle tue radici balorde, che pensi abbiano un valore maggiore di altre perché sono “tue”.
Il trovare “normale” che la gente, allo stadio, possa comportarsi diversamente da come si comporta alle Poste o al bar.
Il pensare che minacciare, insultare, aggredire qualcuno, negli stadi, sia qualcosa di più tollerabile che altrove. E che se la cosa accade fuori, come in questo caso, ci sia comunque una logica generale che “ricomprende” nella partita di calcio tutto ciò che è avvenuto anche fuori dallo stadio. Dunque, se ti sparo prima della partita e tu sei un “tifoso”, la cosa rientra nelle azioni violente da stadio. E ha un regime speciale, già solo mentale.
Il solo ritenere “normale” la logica tribale del tifo organizzato, che gente dedichi energie appresso a fuffa, al pallone, e le dedichi spesso in modi fuorilegge: padri di famiglia che augurano cancri ad altri padri di famiglia.
Oh, scusate: a me fa faceva impressione da bambino, fa impressione adesso, che vi devo dire.

Che poi, io andrei ancora oltre – e lo dico da amante del gioco del calcio, del gesto tecnico, dello schema riuscito: ma guardatevela alla tv, ‘sta cazzo di partita.

Eh? Non è la stessa cosa? Certo, finché non farai uscire di casa Genny ‘a carogna.

GALILEO LIBERO