La prossima volta provo la Melissa

tisane

Volevo prepararmi una tisana rilassante alla passiflora e biancospino. Trovo su internet la ricetta scritta da Ciottolina56 e vado in erboristeria a procurarmi questi semplicissimi ingredienti che – a detta di molti – avrebbero proprietà antistress fantastiche. L’erboristeria però è chiusa: fuori c’è un cartello: “TORNO SUBITO”, peraltro in Comic, e mi fido del “SUBITO”. Dopo mezz’ora mi rompo il cazzo e vado via. Altra erboristeria, altri problemi: “Abbiamo la passiflora ma il biancospino è finito. Possiamo sostituirlo però con la melissa, va bene lo stesso“. Al che rispondo: “Se Ciottolina56 ha scritto biancospino e passiflora un motivo ci sarà“, il commesso mi guarda strano, io lo riguardo e lui non mi sostiene lo sguardo: vinco io, prendo solo la passiflora, lamentandomi per il disservizio e le sopracciglia ad ala di gabbiano, ma in un’erboristeria te l’aspetti. Per il biancospino terzo negozio, questo strapieno (pare che la gente usi molto andare per erbe ma poi io la vedo comunque stressatissima, boh). Compro il biancospino, pago un fottìo, mi lamento con il commesso per le sopracciglia di quello dell’altro negozio, non mi capisce, mi lamento anche di questo e via a casa. Dopo una giornata intensissima e realmente stressante, quel che ci vuole è davvero una tisana rilassante. Rileggo questa frase e mi infastidisco della rima ma lo stress mi impedisce di correggerla. Ho proprio bisogno di quella tisana. Metto il bollitore sul fornello ma mi accorgo che è sporco e incrostato da chissà quanto. Cerco il detersivo ma è finito. Uso il bagnoschiuma ma non viene via. Sto mezz’ora a sfregare. Alla fine riesco a pulire e finalmente lo riempio d’acqua. Apro la bustina di passiflora e ne metto un po’ sulla bilancina, ma il piatto è messo male e mi cade tutto in terra. Sbraito non poco perché devo pulire tutto il casino e mi sono già perso la metà della passiflora comprata. Verso nel bollitore. Apro ora il biancospino ma mi sale il dubbio: dovevo metterli contemporaneamente? Spengo immediatamente il fornello ma nel farlo urto il bollitore che mi cade su un piede e se ne vanno diversi cristi in sequenza ravvicinata tipo rosario ma zippato. Raccolgo ancora il tutto, asciugo, risistemo, mando affanculo il telefono che intanto squilla insistentemente da due minuti – ma cosa cazzo continui a squillare?! Se non rispondo non posso! – confido che Siri mi ascolti e soffra del mio insulto, rimetto passiflora e biancospino, getto via tutto quanto pre-bollito in precedenza, noto il bollitore ammaccato, bestemmio moltissimo, la vecchia di sotto mi sente e mi bussa con la scopa, mi raffiguro il suo soffitto pieno di anni di questi segni di scopa, l’immagine mi infastidisce di suo, le urlo con tutta la rabbia che ho in corpo di non rompere i coglioni, bussa più forte, non resisto e scendo sotto a prendere a calci la sua porta, si affacciano gli altri vicini, mi dicono di calmarmi, prendo a pugni la vicina incinta, così ne picchio due con un colpo solo, riesco intanto a sfondare la porta della vecchia, sta ancora là con la scopa in mano, gliela ficco su per il culo, mi piace scambiare quella smorfia di ultimo dolore come un nostalgico aggancio a ricordi da tempo accantonati, mi muore in un tempo inferiore alle mie aspettative, prendo dalla sua cucina un bollitore che pareva chiedermi “portami via da questo posto tetro”, lo trovo perfetto per la mia tisana rilassante, risalgo le scale, trovo l’altro vicino che sembrava non chiedesse altro che essere gettato giù per tre rampe: per un complesso gioco di sponde e ringhiere gliene faccio fare invece quattro ma purtroppo nessuno ad annotare questa sorta di record, rientro in casa, metto su il nuovo bollitore, getto dalla finestra il vecchio, per un caso fortuito riesco a colpire in pieno la volante della polizia in quel mentre sopraggiunta, ho giusto il tempo di barricarmi in casa e farmi quella cazzo di tisana rilassante, riprendo la ricetta di Ciottolina56, dice “al termine aggiungere una goccia di miele di acacia“, penso che Ciottolina56 sia solo il Male, il miele di acacia di Cristo non ce l’ho, né saprei riconoscere un’acacia se pure mi si parasse davanti, ho il millefiori, così c’è scritto, una etichetta scritta pure questa in Comic, penso che questi lavori li fanno stagisti pagati solo con visibilità e dunque lo fanno apposta per rovinare le immagini delle aziende che li sfruttano, mi chiedo che cazzo di visibilità possa darti una etichetta di miele millefiori, mi girano i coglioni come non penso uomo possa descrivere, mi calmo solo pensando che tra i millefiori ci fosse pure la puttana di quell’acacia, penso che devo tenere la calma, che di lì a poco tutto sarebbe passato grazie alla tisana, che il miele posso sostituirlo con qualcosa comunque proveniente dal mondo animale, allora sputo più volte nella tisana, confido nella carica batterica della mia saliva, sono bestie piccolissime pure quelle come le api, mi accomodo sui vetri rotti della finestra perché intendo sanguinare pure dal culo, chiudo gli occhi e finalmente posso assaporare la mia tisana rilassante.

Oh, sapete cosa? Non credeteci mai, alle ricette trovate su internet.

 

UPDATE: Interpretazione di Marco Tajani

Mistress

Qualche anno fa cominciò a circolare con più insistenza la parola “stress”. Andava a sostituire/integrare nel comune italico vocabolario il più tendente al patologico “esaurimento/esaurimento nervoso”.

Stress connotava una situazione di pressione, esterna o interna, tale da portare un certo grado di disagio psichico alla persona.

Pian piano – come spesso accade – l’uso divenne abuso e “stress” iniziò a definire anche situazioni di generico disagio emotivo, non importa quale fosse il grado.

Questa apparentemente innocua parola è poi entrata di fatto all’interno dell’uso comune e dell’intercalare stradarolo, ma anche in ambito burocratico, per quell’insopprimibile esigenza tricolore di inquadrare ogni fenomenologia in commi o circolari. “Se c’è timbro c’è speranza“, dovrebbero mettere in ogni ufficio pubblico.

Ciascuno di noi conosce situazioni di stress: sono parte della nostra vita e le solite menate. Per questo valenti professionisti che fino a ieri ti infilavano il piede nella porta per mollarti il Folletto si sono oggi riciclati docenti di corsi di gestione dello stress. In questi dovrebbero trasmettere agli stressati allievi le tecniche di controllo di questa emotività negativa e trasformarla altresì in flusso di propositiva e benefica energia. Insomma, prendi una cosa brutta e la fai diventare utile, un po’ come si fa col letame che diventa biogas in grado di muovere auto decisamente di merda.

Il punto è che la gestione dello stress è caratteristica richiesta non a tutti, nè allo stesso livello. Ci sono persone che, per ruolo sociale, per professione, per opportunità devono gestire totalmente lo stress. Ad altre non è richiesto un tale livello di attenzione. Altre ancora possono tranquillamente fottersene della gestione dello stress.
Pensate ad un chiururgo in una zona di guerra. Dovrà necessariamente saper gestire situazioni di enorme pressione, squassi emotivi, tempi ristretti. Ma senza arrivare ai casi-limite, pensate ad un dirigente d’azienda che gestisca risorse umane. Avrà il delicato compito di valorizzarle e metterle nelle condizioni per far sì che possano rendere al meglio, al netto di proprie contingenti tensioni personali, notizie negative, divergenze relazionali: alzarsi coi coglioni girati non è una patente per crocifiggere i sottoposti in sala mensa. Magari se ti chiami “Ugo”, ma sono eccezioni.

O un giudice, al quale è richiesto il “silenzio dell’anima” nel momento in cui valuta un caso. Se entra in aula incazzato come un cervo a primavera perché il giorno prima la sua domestica filippina gli ha bruciato la toga sarà per lui vitale gestire il suo personale stress e non tramutarlo in mesi di detenzione per l’imputato di turno. Magari anch’egli filippino (ma devi essere sfigato, Cristo!).

Un dipendente non ha la stessa pressante esigenza di gestire lo stress che ha invece il suo datore di lavoro: gli sarà utile, certo, per il suo benessere mentale, per la facilitazione dei rapporti e per non rendere la propria giornata lavorativa un inferno 9.00-13.00, 15.00-19.00, ma pare evidente come siano differenti le “responsabilità sociali da ruolo” e le conseguenze, nell’un caso e nell’altro, di una cattiva gestione delle tensioni interne.

Ora però pensate a mio nonno. Ha 91 anni, è lucidissimo, legge Libero, si incontra con suoi coetanei che parlano solo di pensione e patologie prostatiche, tutti i giorni segue Forum e il Tg4 e non dispone più di patente di guida nè la mancanza di mutande su Belen gli ricorda alcunché. L’esposizione costante a questi impulsi negativi lo rende aggressivo come un pitbull di fronte ad uno specchio a forma di pitbull. Ma – è qui il “ma” – a lui non è richiesta alcuna gestione dello stress. Tutt’altro. Il suo ruolo sociale lo prevede come portatore di mugugni e sbraghi continui. La sua cifra stilistica si colora di invettive contro santi ai più sconosciuti. La sua stessa esistenza in vita è dimostrabile prevalentemente attraverso le gratuite offese alla nuora e i ceffoni ai nipotini.

La gestione dello stress non è dunque un must, un punto di arrivo per chiunque.

Dunque piantala di inviarmi inviti al tuo incontro “Gestire lo stress oggi, un imperativo categorico per tutti“: mi metti pressione, mi crea ansia.
Mi stressa. Ed io non ho bisogno di gestire troppo lo stress.

E so dove abiti.