I nuovi Cristincroce

La possibilità di essere letti da chiunque – il web 2.0 ha fatto esplodere la condivisione di parole, opere, pensieri ed omissioni – ha fatto emergere anche una serie di aspetti sociocomportamentali che ritenevo meno diffusi. Invece.
Ci sono talentuosissimi blogger, twittomani, facebookatori, capaci di far ridere, pensare, informare più e meglio di professionisti.

Quel che a me balza più all’occhio è lo spropositato numero di persone che si autoproclamano fobiche, disadattate, sociopatiche, con problemi relazionali, familiari, esistenziali o di meteorismo.
Sembra che il must oggi sia vendersi come “difettato/problematico”, quando fino a qualche tempo fa era di moda – che so – il “figo/ribelle”.

Questo però vale solo sul web, precisiamo.

Se scrivi che sei andato a pagare una bolletta, è facile trovare riferimenti alla difficoltà di uscire di casa, incontrare gente, relazionarsi con lo sportellista… ma anche provare paura per un cane che passa, lavarsi le mani se tocchi delle monete, guardare fisso in terra per paura di incrociare sguardi, sentirsi inadeguati in ascensore.
Il tutto raccontato con leggerezza, compiacimento, autoreferenzialità (qualunque cosa voglia dire).

La fobia sociale come valore aggiunto.

Credo che ciò stia accadendo per due fattori:
1) il fabiovolismo imperante in rete, che porta chi scrive a cercare di far breccia nell’umanità, nei difetti, nel quotidiano di chi legge, tramite una subdola, facile, sguaiata opera di ricerca di immedesimazione, che porterà il lettore a parteggiare per lui tramite una ridondante serie di “ehi, ma è vero! Succede anche a me!”.
2) chi scrive è tendenzialmente davvero uno sfigato del cazzo ma non abbastanza per emergere neppure come tale. Allora ci marcia, creandosi una macchietta dal basso profilo, ammiccante ed ipocrita.

Sul primo punto si è detto anche troppo, dunque eviterei di tornare se non per ribadire che l’identificazione è davvero la virtù del 21° secolo: in un periodo di “ipercontatti digitali” e di “iposcambio reale” trovare in altre persone gesti propri e abitudini personali provoca un senso di “normalità” che rassicura e fa sentire lo sfigato meno sfigato.

Ma tale resta – e vengo al punto 2.

Raccontare delle proprie difficoltà con l’altro sesso, delle mani sudate quando si incontra qualcuno, dell’ansia da socialità, dipinge un quadro caricaturale di se stessi (che magari enfatizza ulteriormente problemi a volte solo accennati, se non del tutto inesistenti), quadro nel quale i tratteggi più decisi si soffermano non sui punti di forza ma sulle imperfezioni. E se non ci sono si evidenziano.

E’ un impressionismo astigmatico, che deforma il pittore e non la realtà, anzi: un fauvismo che rappresenta i propri mostri, oppure mostri che non esistono ma che si vogliono descrivere, e con vanto, messi in piazza come farebbe una Barbara D’Urso qualunque.

Stiamo assistendo allo sviluppo di una vera, nuova cultura del basso profilo, nella quale la rappresentazione di se stessi deve essere un po’ goffa e un po’ intellettuale. Perché è proprio il goffo a fare l’intellettuale.

Dunque altro che ribelle: ti dico che porto gli occhiali spessi, antichi; ti racconto che oggi una ragazza (pure cessa) mi ha dato un due di picche; mi metto in ridicolo descrivendo la macchia di marmellata sulla mia camicia. Camicia peraltro consunta ed economicissima, come da post del mese scorso; ti racconto poi che ieri mi sono ubriacato, da solo, a casa.
“Sapevatelo”.

Le mie deficienze, intolleranze, inadeguatezze; le mie maniglie dell’amore e la tartaruga rovesciata, i miei riti col caffè, le mie pillole di antidepressivo; il mio non sentirmi all’altezza del collega playboy, la mia macchina scassata, il mio guidarla piano, pianissimo.
“Sapevatelo”.

Tutto questo trasmette una immagine di me di cosino mediocre.
Mediocrità esplicitata, capace di crearmi una serie di contatti – anche loro tutti mediocri – che creano empatico afflato, tribù nerdose e merdose, gruppi di youpornisti che si scambiano consigli su quali pagine fetish visitare, piuttosto che come sciogliere dell’MDMA nel bicchiere della gnocca senza farsi vedere.

Che sarebbe da sfigati pure quello, ma vuoi mettere?

Vieni qua figliolo, ti racconto come si divertiva nonno…

Ho letto un articolo su Repubblica:

In sintesi la cosa è nata tra i nerd della Silicon Valley: questi ragazzi si inventano giochi tipo il reverse shoplifting, nei quali piuttosto che rubare inseriscono, senza farsi vedere, un prodotto in un negozio che il titolare dell’esercizio può rivendere, oppure costruiscono segretamente giochi per bambini, o ancora si sparano con sofficissimi proiettili di gomma piuma.
Sull’articolo si parla di “bande di giovani alla ricerca in un modo originale di creare comunità in un epoca in cui proprio i mezzi digitali rischiano di isolarli dal contatto umano diretto“.

Trovo il tutto socio-antropologicamente rilevante: in un’epoca nella quale si rischia l’autoemarginazione da social media, il ritorno ad ancestrali strutture giovanilistico-tribali potrebbe essere salutare per chi si cimenta in queste forme ludiche di contatto umano.

Ma scopare?