Provincialìzzati, Serra

serra

 

Io sono spesso d’accordo con te, Serra. “Spesso”, non “sempre”. Non lo sono quando parli di cose che si vede non ti calano. Tipo la tecnologia e le cose dei giovani, quando dimostri di non aver mai digerito il pc, quando soffri nel vedere gente che gli slogan li twitta, senza scendere in piazza con l’eskimo.

Ma va bene, non è un problema, perché poi le tue analisi politiche sono spesso condivisibili e tutto sommato le tue Amache sono condite di buon senso e abbastanza banali da consentirmi proiezione ed identificazione.

Ma sei ogni giorno più trombone. Prolisso, verboso, tronfio nella continua ricercatezza di parole come “prolisso, verboso, tronfio” (ah no, ero io).

Hai rotto il cazzo, Serra, so che mi leggi sempre, me lo ha detto Fabio Volo.

Ma sai cosa in quest’articolo mi infastidisce più di “normale trasposizione colloquiale” o “ignavia” (che non sono nulla di che, certo, ma in ascensore ti sfido ad usarle col vicino di pianerottolo, quello con la macchia di sugo)? È “Imbufalita”, Serra.

“Imbufalita” non esiste nella vita di noi mortali. Al mercato, se provo a tirare sul prezzo il fruttarolo non mi s’imbufalisce. Si rompe i coglioni, Serra.  Quando mi bloccano con un Suv di tre quarti in doppia fila io non mi imbufalisco, Serra. Io bestemmio, Serra.

“Imbufalita” è tutto quel che sei, Serra. È la fotografia esatta dell’intellettuale elegante e forbito, che gioca di stiletto e trasuda classe e odore di spezie comprate all’equo e solidale.

“Imbufalita” è una parola scritta con carta elegante e Montblanc. Writers Edition peraltro, mica una qualunque.

“Imbufalita” è l’aggettivazione “un po’ fortina” che usa lo sfigato secchione quando gli fregano la merendina e che gli consente di ricevere doverose mazzate da quelli che poi lo smutandano pure.

“Imbufalita” fa “incazzare”, Serra.