Orgogliosi di latitudine e longitudine

The_Patriot

 

Qualche tempo fa scrissi una cosa sul campanilismo, su quanto sia umanamente naturalissimo ma comunque del tutto ridicolo, sentirsi orgogliosi d’essere nati in questo o quel luogo e su quanto dannose (dannose) siano le tradizioni che inorgogliscono borghi e quartieri italici. Dannose (l’ho detto?).

Estendo il ragionamento al concetto di “Patria”, e non perché consideri l’Italia inferiore ad altri Paesi. O superiore. Semplicemente perché è per me sempre stato fonte di curiosità e sarcasmo il concetto di orgoglio per quella che è solo una convenzione sociale atta a mantenere distanze tra le persone: la nazione.

Quando qualcuno afferma di essere “orgoglioso di essere italiano” mi viene sempre da tirar su il sopracciglio alla Ancelotti. Perché davvero l’orgoglio di appartenere ad una nazione piuttosto che a un’altra lo trovo buffo, ancor più che essere orgogliosi di avere i capelli castani o preferire il mare alla montagna.

Non solo non c’è “merito” ad essere nati in un luogo: non c’è proprio valore.

Pensateci: essere orgogliosi di essere italiani, perché? Per la storia che “questo grande Paese” si porta dietro? E cosa significa? Che tu, studente fuori corso a Roma Tre, usciere del Ministero delle Finanze, disoccupato al tavolino del caffè al Pigneto, ti senti antico romano a tua volta e dunque un tempo tu, personalmente o per interposta persona, dominavi il mondo?
Tu sai bene che quelli non sei tu. Non porti nulla dentro di te di quella gente. Il sangue? Sai quanti accoppiamenti, rimescolamenti (magari anche con gente di Roccaraso o Isernia) ci sono di mezzo tra te e un antico romano? Molti più di quanti tu ne abbia visti su Youjizz. Per darti parametri che conosci. Numeri impressionanti, eh?

Ma anche se, per qualche motivo statisticamente inesistente, tu fossi discendente diretto di un Giulio Cesare, cosa avresti tu di Giulio Cesare? Tracce di DNA? Cioè, mi stai dicendo che filamenti, infinitamente ricombinati, di adenina, guanina, citosina e timina, ti rendono orgoglioso? Credi di possedere le sue ville? Le sue truppe? Le sue corone d’alloro? E solo perché passeggi al Pincio al sabato?
Non ti pare realmente buffo?

Sto semplificando troppo? Ma perché, essere fieri di essere nati in un luogo ti pare un qualcosa da analizzare con strumenti diversi da questi, tagliati con l’accetta?

Tu non sei quello che si vanta di non avere nulla dei suoi genitori – “mio padre è un fallito e io non sarò mai come lui” – e ora mi rivendichi appartenenza con gente passata a miglior vita 2000 anni fa? E nello stadio mi esponi lo striscione “S.P.Q.R.”, come a dire: “Guarda quanto siamo fighi noi, che un tempo dominavamo il mondo! Mo’ faccio l’autoscatto e lo pubblico su Facebook insieme al primo piano di me che piscio nella familiare Dreher”.

Gli antichi romani, quelli che conquistarono il mondo conosciuto tranne il villaggio di Asterix, sono tutti morti. Mentre tu sei vivo, forse anche cerebralmente. E pure gli etruschi. Mortissimi. E quelli del Rinascimento. Stramortacci loro.
E tu non hai dipinto un solo pezzo del Giudizio Universale. Né aiutato Canova a scolpire alcunché. Tu non c’eri allora. Come puoi essere orgoglioso di qualcosa alla quale tu non hai contribuito in alcun modo?

Ma anche a vedere tempi più vicini: Seconda Guerra Mondiale. Magari hai un bisnonno che ha fatto la guerra. E sei orgoglioso di…? Di cosa? Hai combattuto? Sei il tuo bisnonno? Qual è l’aggancio? Il cognome? Cioè mi stai dicendo di essere orgoglioso di una convenzione sociale come un cognome? No: neppure. Mi stai dicendo che sei orgoglioso di una convenzione sociale come un territorio. Tu sei orgoglioso di essere italiano perché persone morte, che hanno fatto qualcosa in passato, una volta vivevano sullo stesso lembo di terreno sul quale oggi tu trascini le tue giornate, tra un aperitivo cenato a 25 euro con le patatine molli e un giro al centro commerciale ad accompagnare quell’orribile ciancicatrice di gomme che ti ostini a presentare come tua ragazza, mentre sbirci il culo delle commesse di Yamamay.

Lo trovo buffo. Molto buffo.

Fermati a rifletterci, te la metto facile facile: tu sei orgoglioso di condividere, con persone che non esistono più da anni, decenni, secoli, millenni, l’essere locato per latitudine e longitudine in luoghi abbastanza coincidenti.

Ancora più facile? Tu sei orgoglioso della tua latitudine e longitudine.

E allora, quando parli con qualcuno del tuo essere italiano (o francese, tedesco, americano) digli: “Io sono orgoglioso della mia latitudine e longitudine”. Lui ti dirà: “Perché?”. E tu risponderai, sicuro: “Me l’ha detto UMC”.

Farai una figura bellissima.

Da patriota.

Siamo tutti uguali. Ma tu sei meno uguale di me.

moccia2
Potresti trovartelo a votare al seggio, con te

Ho un amico con la terza elementare. Non ha mai potuto partecipare a un concorso pubblico proprio per questo, pur se possiede una cultura “sul campo” smisurata, oltre a essere dotato di intelligenza superiore.
Ma nessuno, neppure lui, trova strano che una persona con la terza elementare appunto, non possa concorrere per un ufficio pubblico. C’è gente che ha studiato, e molto, ed è senz’altro più qualificata di lui.
Certo, quando poi si parla di concorsi per bidello, o inserviente, o magazziniere al Ministero le cose cambiano: credo che in quei casi tutto ciò che si deve dimostrare è capacità e competenza. Dubito sia utile conoscere gli affluenti del Danubio. Oppure il Testo unico sull’ Ambiente, D.Leg.vo 03.04.2006 n.152.
Ma in Italia siamo ormai talmente abituati a fare un concorso su tutto che neppure ci fa troppa specie se per pulire il culo ad una babbiona in ospizio, si debba rispondere a domande di geografia, storia, diritto costituzionale, quantistica.
Gli scandali sono altri, no? E poi meglio una persona preparata che una ignorante, no? Questo a prescindere.

Bene.

Domanda: perché, per il posto di lavoro più importante di tutti, non ci si sottopone ad alcun test? Non si deve dimostrare assolutamente nulla? Si può essere completamente ignoranti, purché capaci di intendere e di volere?
Con anche il rischio che questa totale ignoranza comporti seri problemi all’intero sistema-Paese.
Anzi, la certezza che ciò accada.
Vi pare una cosa plausibile?
Eppure è ciò che accade oggi.
Il lavoro più importante e insieme diffuso è anche quello che puoi svolgere pure se pensi che il Presidente della Repubblica sia scelto da Dio, che l’Italia confini con l’Etiopia, che sia in vigore la pena di morte in Molise (magari già solo per il solo fatto di viverci).

È accettabile tutto questo?

Quale lavoro?
Beh, quello di cittadino. Quello che porta a scegliere le persone che decideranno del destino di un intero Paese. Quello che fa sì che le strade non siano invase dai rifiuti. Quello che ti permette di circolare in auto con una relativa tranquillità perché si conta sul fatto che, in caso di incidente, l’altro cittadino sia assicurato. Quello che in sintesi, crea le regole comportamentali e di vita relazionale.

Ebbene, tu puoi essere cittadino ed esprimere diritto di voto sia che tu sia consapevole delle regole del vivere civile, sia che tu sia un mentecatto che come massima lettura ha l’inserto-Mondiali della Gazzetta.

Puoi mandare in Parlamento gente in grado di fare danni serissimi a intere generazioni, presenti e future: basta che tu sia nato. Un concetto di Ius naturale sviluppatosi quando la cultura era realmente privilegio di pochi.

In sintesi non devi dimostrare un emerito cazzo. Puoi anche non sapere come funzioni il sistema rappresentativo, puoi anche pensare che la magistratura sia un organismo (composto da donne malvestite) che come unico scopo istituzionale ha l’annientamento di Berlusconi, puoi non conoscere i compiti della Corte Costituzionale e pensare invece che la Corte dei Conti sia un apparato nobiliare.

Puoi letteralmente non sapere nulla. E io posso trovarti là, accanto a me, il giorno delle elezioni, ad esprimere un voto. Che avrà lo stesso peso del mio. Che conosco La Corte Costituzionale. Che mi sono documentato sui candidati. Che so chi appoggia l’acquisto degli F35 e chi no. Che ho speso tempo. Tempo. Per capire. Capire chi sia persona degna di rappresentarmi e chi no. Mentre tu giocavi al bar al videopoker. Peraltro perdendo. Tu. Che ti informi solo sul numero delle campane che devono apparire sul gratta e vinci.

Il mio voto vale uno. Come il tuo.

E no, non fatemi pipponi sulla democrazia, sul fatto che pur essendo un pessimo sistema è sempre il migliore e blablabla.
Ci si riempie la bocca solo di una forma di buonismo sociale che alla fine mortifica noi stessi. Perché ci ritroveremo cialtroni al potere. Cialtroni che sì poi saranno rappresentativi del Paese. Ma perché siamo stati noi a permettere che questo accadesse.

Nell’Italia in cui l’Educazione Civica (maiuscolo) è un optional a scuola, possibile che nessuno prenda seriamente in considerazione questa che pare una boutade, quando rappresenterebbe una reale presa di responsabilità, personale e collettiva, e permetterebbe di creare i presupposti per un vero crescere civile?

Parlo del diritto di voto pesato.

Si vota? Sei un cittadino italiano, hai diritto di voto. Anche se sei una capra. Anche se a 45 anni il massimo dell’espressione culturale che ti ho visto comprendere è stato un pallonetto di Neymar. Anche se coi tuoi amici fai la gara di caccole nasali. Anche se l’ultimo Tg che hai visto aveva come conduttore Emilio Fede. Anche se sei Emilio Fede. E queste cose le trovi normali. Essere Emilio Fede, in particolare.
Fai un test. Sei obbligato a fare un cazzo di test. Di cultura. Cultura civica.

Si vota per la regione? Devi sapere che cazzo è una regione! Devi sapere quali regioni ci siano in Italia. Devi sapere che regione non è provincia. Devi almeno subodorare il fatto che chi governa una regione non è la stessa persona che sta a capo della tua città. O del tuo condominio. Non sempre, almeno. Puoi tentennare solo sul Molise, questo è normale.

Si vota per il rinnovo del Parlamento? Tu devi sapere che esistono due Camere. Quanti anni starà là quello che stai scegliendo. Devi sapere che non è che se poi non ti piace gli mandi la disdetta. Devi sapere cosa sia una sfiducia! Devi conoscere le procedure che portano un Primo Ministro a diventare tale. Non nel dettaglio ma quantomeno come linee generali. Sapere che non esiste un diritto di successione familiare, almeno fino al prossimo Lodo Alfano. Devi sapere come è fatto Alfano, ecco! Avere presente i suoi caratteri somatici. Riuscire a distinguerlo da Ghedini.

Devi sapere chi è attualmente a capo del PD.

Sì, questa è difficile, lo ammetto.

Ma devi sapere, perdio!

Se non sai nulla di tutto questo, perché il tuo voto dovrebbe pesare come il mio? Perché solo in questo caso l’ignoranza paga?

Possibile che il voto di un astrofisico impegnato nella ricerca, che si informa quotidianamente sulle problematiche sociali, che sa dove sia il Darfur e ha adottato tre bambini colombiani a distanza, e il voto di Pasquale Sciosciammocca, eroinomane di Scampia, pluripregiudicato, con rari  momenti di lucidità e tre accoltellamenti, manco ricorda se fatti o subiti, pesino allo stesso modo?

Tu, prima di votare, ti metti là e fai un quizzettino. E rispondi a domande di Educazione Civica (maiuscolo).
Sulla base del risultato, il voto avrà un peso.
Al massimo varrà 1. Vorrà dire che hai piena consapevolezza e sei veramente un cittadino responsabile.
Se sbagli, se dimostri che “non hai studiato”, anche qua devi avere delle conseguenze, come in qualunque altro settore della vita.
E allora, magari, se pensi che una “riunione di gabinetto” sia una cacata collettiva al mattino, il tuo voto varrà 0.5.
E allora, magari, se di “Transatlantico” conosci solo il Titanic, il tuo voto varrà 0.8.
E allora, magari, se quando si parla di “membro del Parlamento” ti viene solo qualche battuta scontata tipo Giannelli, sei Giannelli. Dunque il tuo voto varrà 0.3.

È utopia? È qualcosa di scandaloso? Giannelli sì, certo. Ma non certo questa idea di diffondere cultura civica.

Si lede l’intoccabile concetto di suffragio universale? No. Si rendono i cittadini consapevoli dell’importanza che ha l’Educazione Civica (maiuscolo). E del potere che ciascuno possiede.
Potere che molti esercitano in modo disastroso, superficiale, inconsapevole. Ignorante.

Il cialtrone al potere ci va solo se ce lo mette un altro cialtrone.

E ora chiedetemi se sono preparato per la docenza che devo tenere. Perché è giusto così, sono investito da una responsabilità precisa, che sento, vivo.
Per insegnare devo sapere, conoscere e saper trasmettere. Devo superare test, continuamente. Ed ogni docenza è un test a sua volta.
Ed è giusto che sia così.

A votare invece posso essere spogliato da qualunque responsabilità e fare danni inenarrabili.

Il voto della Hack valeva come il voto di quella che controlla l’oroscopo e basa la sua giornata su qualcosa firmata “Branco”, “Paolo Fox”.

Ed è questo, il più grande oltraggio alla democrazia.

L’italiano e la purezza della mazza

“Ho potuto sentire i primi versi da scimmia dopo cinque minuti. All’inizio non ho pensato nulla, ma poi si sono ripetuti e sono andato dall’arbitro avvertendolo che se fossero proseguiti avrei lasciato il campo. Ha provato a calmarmi, ma quando sono ricominciati i cori, allora ho pensato ‘adesso basta, non continuerò a giocare’. […] Ero arrabbiato, triste, scioccato, il fatto che cose come queste accadano ancora nel 2013 è una disgrazia, non solo per l’Italia, ma per il calcio nel mondo. […] Quando è troppo, è troppo, il razzismo non ha posto nel calcio”.

Kevin Prince Boateng, 5 gennaio 2013.

Gesto forte, condivisibile, di grande dignità.

Peccato che a Boateng sfugga un particolare: gli italiani sono razzisti. Fascisti e razzisti. Lo sono ab origine. Lo sono ancestralmente, storicamente ma di più: ontologicamente. Non è questione di scelta, di educazione o di obiettivi da porsi. È uno stato di cose, un fatto, ma anche uno Sachverhalt che arriva ad una semplicissima conclusione: “siamo razzisti perché veniamo da una cultura fascista e razzista”.

La nostra origine è in una frammentazione popolare, culturale e un “borgatismo” quale l’epoca dei comuni, che ci impedisce di “accogliere il diverso”. Siamo malfidati, non abbassiamo il ponte levatoio allo straniero, specie se questo presenta tratti palesemente diversi da quelli conosciuti all’interno delle nostre mura. Il negro è negro: troppo riconoscibile, troppo diverso, troppo grosso. Parlo del cazzo, certo. Qua non entra. Sempre il cazzo.

Non è questione più di educazione familiare o scolastica: noi nasciamo immersi in un contesto fortemente fascista, nel quale l’intera società ti insegna fin da piccolo quelli che sono i sistemi per sopravvivere, gli italici valori.
È in società che impari che se sei infermiere volontario in ospedale da quattro anni senza manco una borsa di studio hai più possibilità di vincere un concorso apparentemente aperto a tutti. È in società che ti insegnano che “comunque quello è il figlio del primario, dunque sai già…”. È in società che “comunque chiedi del dott. Vincenti e digli che ti mando io”.
Ma è sempre in società che poi se sei tu quello ad avere lo zio primario fai finta di nulla e passi avanti. Ed è per questo che io sto qua a demagoghizzare e populismizzare e neologismizzare con tanta facilità: semplice essere duri e puri se non hai il privilegio di essere sporco di merda.

E tutto questo non è affatto altro mondo rispetto ai cori razzisti a Boateng, che comunque ha a suo sfavore anche l’essere un milionario, sul quale homini poco più che abilis (si veda l’incedere, i suoni gutturali e l’utilizzo di strumenti rudimentali quali mazze e tamburi) possono sfogare liberamente le loro disoccupazioni.

È un sistema. Mentale. È un non-popolo, il nostro che ha inventato le corporazioni, già dai tempi di Roma e fino a Diocleziano, non per tutelare chi vi fosse dentro ma per chiudere fuori gli altri.

Gli altri. Perché tutti per noi sono “gli altri”.

Sono “altri” quelli altrove.
Sono “Altri quelli che vivono in diverso quartiere rispetto al mio. Hanno idee e usanze diverse dalle mie. Vuoi mettere quelli del Vomero e quelli di Scampìa?
Sono “Altri” quelli che non votano come te.
Sono “Altri” quelli che si fanno un tatuaggio se tu non ne hai. O che non se lo fanno se ce l’hai.
E non sono “Altri” visti come diversità che ti arricchisce, stocazzo: sono “Altri” ergo “pericolosi”, per definizione.

Abbiamo palii e contrade, viviamo il nostro condominio come diverso da quello accanto – migliore anzi, guarda che grondaie in rame, altro che quelle in plastica di quegli “altri”.

Ci terrorizza tutto ciò che è nuovo. Per questo abbiamo un Papa in casa: rappresenta la continuità medievale, talare, di pensiero. Un uomo in gonna che si affaccia ad un balcone – genta a bocca aperta all’insù, con un’evidente corrispondenza tra postura e pensiero – e parole misurate, rassicuranti: “State calmi, non cambierà mai nulla. Pace, amor… ehi, è un frocio quello?”.

Queste chiusure iperconservatrici servono agli italiani per la coesione e la stabilità sociale, che altrimenti mancherebbe del tutto, parlando persino dialetti diversi a distanza di venti km.
Il punto ancor più dolente è che questa convivenza tra origini tanto diverse ha accentuato altri beceri caratteri dell’umanità italica: la sfiducia nell’altro e nel sistema centralizzato, nello Stato e nelle strutture di governo.
Il dentista mi lavora in nero per non dare soldi “a quelli là”, che sono lontani, dunque ostili.
La Lega trae nutrimento da questo modo tribale di pensare, dal “Roma ladrona”: fa leva su pulsioni assolutamente reali ed esistenti: l’identificazione in micro-comunità, in coniurationes fra piccoli gruppi di cittadini. Perché Bergamo alta è già diversissima dalla bassa.

L’Italia non esiste, caro Boateng.
Non sto dicendo che non esistano persone aperte e progressiste, certo. Sto dicendo che è proprio il concetto di Italia a mancare. Perché lei, in Italia, si troverà di fronte non italiani ma tribù ed individui. E lei, caro Boateng, frequenta le tribù italiche peggiori, quelle degli stadi, quelle nelle quali è più facile trovare lo stato dell’arte del pensiero ristretto, borgataro e fascista. Dunque razzista.
Provi a passare un pomeriggio da Feltrinelli invece di presenziare a qualche festa per l’apertura di un nuovo club di tifosi: forse sarà più facile trovare gente aperta. Certo, anche in libreria troverà il medico che mentre sfoglia Ezra Pound la guarderà male. Ma probabilmente non si metterà a farle “Buuu!”.
Oddio, magari se è logopedista.

Lei è negro, caro Boateng. Un negro in un paese non-paese. E questo per gli italioti è colpa sufficiente.
È Solo da tirare le somme e prendere atto che il nostro è un popolo disgraziato. Disgraziato come pochi altri al mondo.

È tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti.
[…] La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. […]
Questo vuol dire elevare l’italiano a un ideale di superiore coscienza di sé stesso e di maggiore responsabilità.

Manifesto della razza, 5 agosto 1938.

Ah, c’è un modo in grado di far diventare l’italiano davvero aperto al diverso. Ce lo insegna la storia.
Margherita Sarfatti era ebrea ma Mussolini se la sbatteva con piacere.
Dunque la ricetta per aprirci al diverso è chiara: la figa.
Ma quello è sempre stato linguaggio universale.