Facebook ha fatto anche cose buone

(fermarsi all’immagine potrebbe essere fuorviante)

Tra i miei contatti Facebook c’è realmente gente che usa il termine “Renziloni“, trovandolo divertente, canzonatorio e non avvertendo minimamente l’imbarazzo di trovarsi, in questo modo, nella nutrita schiera di quelli che vengono da tempo presi per il culo per l’uso di nomignoli infantili da affibbiare ai politici. Neppure avvertono la cosa: se qualcuno li prende in giro per questo sarà perché fa parte della “KASTAAA!“, o comunque perché è un coglione a cui stava bene “RENZIE“. Non penserebbe mai che il tuo ragionamento è del tutto apolitico.
In genere vengono bollati come “analfabeti funzionali”, ma quando si usa questa definizione, loro, a maggior ragione, proprio non ci si riconosceranno, perché magari sono laureati, confermando la loro incapacità a disgiungere la cultura accademica con la capacità di elaborazione delle informazioni attorno.

Li chiamerò “gruppo 1“.

Sono persone, come detto, non necessariamente di bassa cultura ma sicuramente con bassa capacità di elaborazione del mondo circostante, visione semplificata delle cose, nelle quali o tutto è bianco o tutto è nero, incapacità di immedesimazione e confronto nel pensiero altrui. Una volta l’avremmo definito “uomo medio”, l’appartenente al gruppo 1. Ah, per la cronaca: in questo momento non capisce cosa ci sia di così sbagliato nell’usare il termine “Renziloni”, e soprattutto pensa che il mio sia un pensiero politicamente schierato, confermando tutta la mia premessa.

Poi c’è il gruppo 2, quelli che invece osservano questo fiorire di populismo da quattro soldi e che non riescono a non notare (e far notare, come nel mio caso: mi rivedo molto nel gruppo 2, lo ammetto) come questo urlare di piazza e rivolgere gli occhi al cielo alla ricerca di scie chimiche, fare le pulci a ogni spesa, pure legale e rendicontata da parte di un politico, distolga totalmente l’attenzione dai fatti reali, quei fatti che il gruppo 1 continuamente cita, con tanto di “VERGOGNA!!!1!“, mentre il gruppo 2 neppure commenta più, preso com’è dal notare il buffo che c’è nel gruppo 1.

L’appartenente al gruppo 1 legge il titolo della notizia (solo il titolo), si pre-indigna, condivide il commento al vetriolo dei suoi punti di riferimento politici, dei propri guru, non fa assolutamente nulla per informarsi in modo ulteriore e indipendente, non mette mai in discussione l’interpretazione che di quel fatto danno le persone di cui si fida.
E soprattutto, non pensa che quella notizia potrebbe anche non essere vera.

È come se il mondo che bivacca sui social fosse spaccato in due: da una parte chi mostra il suo malessere sociale impersonando completamente un ruolo preciso, riconoscibilissimo, sempre uguale, macchiettistico ormai, in cui però non riesce a riconoscersi: quello dell’uomo-medio-fascistello-ignorantello-perennemente-incazzato. Dall’altra parte gli snob, intellettuali o che aspirano a essere riconosciuti tali, che pure di fronte un fatto reale, già solo perché portato avanti con quei modi da invasato col forcone, puntano sulla derisione, sull’ironia, sul delineare le differenze tra “loro” e “noi“. Che poi è quel che fa anche il gruppo 1: sentirsi parte di un “noi” da contrapporre a “loro”.

Entrambi i gruppi si sentono portatori di verità, ma solo nel gruppo 1 c’è il bisogno di “venderla” al gruppo 2, come farebbe un Testimone di Geova con la sua Fede: è impossibile che un appartenente al gruppo 1 coltivi nel chiuso dei suoi pensieri una idea populista, che per definizione deve essere portata all’esterno, affinché tutti la condividano. L’appartenente al gruppo 2 mai si sognerebbe di convincere uno del gruppo 1 a smetterla davvero, anche se nei fatti sembrerebbe farlo: se sparissero quelli del gruppo 1, verrebbe meno la possibilità di esercitare quel’azione canzonatoria, tendenzialmente sintomo di un senso di superiorità intellettuale che l’appartenente al gruppo 2 sente vivissima (l’autocritica fa sempre figo).

Io credo che questa dicotomia, tutta social, sia perfettamente specchio dei nostri tempi, risultato della possibilità data a chiunque di mostrare ciò che è, ciò che sa, e mostrarlo per come sa.

Facebook ha avvicinato persone geograficamente lontane, ma anche allontanato chi si conosceva personalmente e manteneva un rapporto di amicizia (più spesso semplice conoscenza), tutto basato su abitudine, frequentazioni comuni, prassi, quieto vivere.
Vedere come Tizio la pensi davvero ci ha dato occasione di bollare definitivamente Tizio stesso come “coglione” tout court, ci ha permesso di tagliare i ponti con lui anche in quelle rare occasioni di contatto nella vita reale, ci ha spinto a rivedere la nostra cerchia di frequentazioni nel nostro quotidiano.

A chi dice che Facebook porta alienazione vien da rispondere che la vera alienazione era andare a cena con qualcuno e pensare tutto il tempo: “Ma si può essere così imbecilli? Che cazzo ci sto a fare qua? Oddio, ma come ha fatto a tirare fuori Renzi? Stavamo parlando dell’ultimo iPhone!“, e poi tornare a casa e ripromettersi di non uscirci più, per poi però ricaderci il sabato sera successivo.

Ora basta un commento per mettere in chiaro l’appartenenza tribale: chi è nel gruppo 1 non tollererà ingerenze da qualcuno del gruppo 2: monterà una violenta polemica, sarai rimosso dagli amici e poi bloccato.
E a quella cena non sarai più costretto ad andare, con una ragione ulteriore, concreta, esplicitata.

Tutto questo impoverisce il confronto? Assolutamente sì. Ma la domanda vera è: “Ma era poi confronto, quello in cui uno sbraitava, gli altri gli davano ragione e tu aspettavi solo di andar via e berti una tisana guardando un documentario sulle poiane?”.

Grazie Facebook.

Rimborsi IMU, comunicazione, zappe sui piedi.

berlusconi

 

Comunicazione, regola 1: quando si comunica un messaggio occorre essere chiari fin dall’inizio, per non ingenerare errori ed false aspettative. A meno che il fine non sia ingenerare errori o false aspettative.

Se mi arriva una lettera così, con quell’intestazione con forte carattere di ufficialità, io sono spinto a pensare che la missiva venga dallo Stato, da un Ente, da qualcosa di burocraticamente “al di sopra” di me, in grado di decidere del mio destino, financo della mia libertà. La dicitura: “Modalità e tempi per accedere nel 2013 al rimborso dell’Imu pagata nel 2012 sulla prima casa e sui terreni e fabbricati agricoli” è estremamente fuorviante. In sintesi, io leggo “RIMBORSO IMU” e mi viene da pensare che si parli di soldi che io devo dare o devo ricevere. Con caratteri dell’ufficialità, non sottoposti a condizione. Soprattutto se la condizione è l’orientare un mio diritto del tutto svincolato dall’oggetto della lettera. Non voglio arrivare a paventare ipotesi di reato (ci ha pensato Ingroia) ma è evidente che questa comunicazione generi errore, quanto a mittente e quanto a modalità. Leggo di gente che si è recata alle poste per ricevere il rimborso. Se la vecchia, nel far questo, cade, si rompe un femore, muore, io nipote violenterei ogni concetto di nesso di causalità per addossare la colpa a chi mi ha spedito questa lettera. Ma si sa, io sono così.

La tecnica usata, in sintesi, è molto vicina a quella delle false ingiunzioni, che ti arrivano (pare) dalla Finanza o simili e che invece ti richiedono la sottoscrizione di qualcosa, un abbonamento ad una rivista, cose così.

Comunicazione, regola 2: quando si comunica con qualcuno, utilizzare il suo stesso registro comunicativo.

Questa lettera è perfetta. Semplice, lineare. È un linguaggio evidentemente indirizzato al popolo del Tg4, agli incazzati che guardano i cantieri, a chi borbotta e si lamenta perché il figlio non trova posto per colpa dei raccomandati ma intanto cerca “amici” che possano aiutare il “figlio tanto bravo, laureato“. Il popolo del “non si potrebbe chiudere un occhio, dotto’?“. Il popolo che, quando arriva una lettera da una amministrazione pubblica, si mette in agitazione e qui viene rassicurato che stavolta “non avrà nulla da temere“.

Comunicazione, regola 3: quando si comunica un messaggio, ricordarsi di ricordarsi. Tutto.

Lo “scandalo della tassazione della prima casa”, ammesso che sia tale, chi l’ha appoggiato ai tempi di Monti? La diminuzione del valore dell’immobile, ammesso che dipenda dall’IMU e non da una serie di fattori tra cui la crisi generale del mercato immobiliare (messaggio fuorviante), non era prevedibile quando davi il tuo appoggio all’introduzione di una cosa che ora mi vuoi rimborsare? In sintesi: tu, dov’eri? Non ti ricordi? Io sì.

Comunicazione, regola 4: evitare di mostrarsi spaventati dal nemico, quando vuoi trasmettere un messaggio di forza.

“Fini, Casini, Monti”… “E anche Grillo”. Perché Grillo a parte? È Grillo diverso dagli altri tuoi avversari? È Grillo quello che ti spaventa di più? Sì, lo è. Lo è perché è quello che sta usando il tuo registro comunicativo, semplice, che parla alla pancia, come tu stai facendo con questa lettera. È anche il tuo (ex)elettore, quello che oggi vota Grillo ma non per discorsi destra-sinistra. Grillo raccoglie il voto di protesta. Protesta che tu stesso hai contribuito fortemente a creare. Grillo oggi ti fa il culo. Tu lo sai, lo senti. E me lo dici. E io che ti faccio le pulci lo noto. E voterei Grillo già solo per il distinguo che mi hai fatto nella lettera. Mi trasmetti, non volendo, ammirazione per la sua figura.

Per inciso, me ne frega una mazza se l’80% dei grillini ha già fatto politica? Mi stai dicendo che fare politica è attività di cui vergognarsi? Bene. Dai che ci sei arrivato da solo.

Comunicazione, regola 5: non farti sgamare, Cristo!

Ci serve davvero il suo aiuto“. Il mio aiuto? E quello di parenti, amici, conoscenti? Serve a te? Ma il mio aiuto (leggasi: voto), non dovrebbe servire a me? Non dovrebbe essere una cosa per far sì che sia io a stare meglio? Me e il mio Paese, dico? Perché serve a te? Perché ti metti in mezzo? Avresti dovuto dirmi: “Al Paese serve davvero il suo aiuto“: avresti trasmesso una immagine disinteressata.

Che comunque sarebbe prepotentemente ritornata col sublime “Noi siamo l’unica difesa contro l’oppressione giudiziaria“. Ehi, oppresso giudiziariamente ci sei tu! Non pensare che noialtri qua stiamo tutti con l’incubo delle toghe rosse. Pure quando mi proponi un accordo di scambio mi parli dei cazzi tuoi? Se vai a comprare un kg di bigattini per andare a pescare, ti metti a parlare dei tuoi processi col negoziante? E che due coglioni!

Comunicazione, regola 6: ahahahahah!

Ma io trovo sublime il punto esclamativo:

berlusconi2

 

C’è tutto. C’è orgoglio, un velo di nostalgia per i fasti che furono al potere, c’è il vecchio che ricorda al nipote quando era generale e comandava le truppe, ed ora gioca a Risiko facendo bumbum con la bocca.

Il punto esclamativo.

Senza quello ti avrei votato*, peccato.

_____________________________

*No, mi sa di no.

Scoregge comunicative

Che differenza passa tra un essere umano ed un bovino di taglia media? Apparentemente nessuna, se il parametro è la persona con la quale in genere dormite.
Ma se proviamo a generalizzare un po’ ci accorgiamo che la più grossa differenza è la diversa capacità di comunicare.
Prendiamo ad esempio un dialogo-tipo tra uomo e donna:

Uomo: Cazzo è ancora ‘sta roba?
Donna: È Masterchef.
Uomo: Cristo, ancora gente che cucina in tv?!
Donna: L’alternativa sarebbe? La partita?
Uomo: Certo! C’è Sassuolo-Livorno!
Donna: Imperdibile, certo.
Uomo: Sicuramente più di broccoletti e salsa tartara.
Donna: Sei un coglione.
Uomo: Troia.

Come vedete la comunicazione è varia, articolata e raccoglie elementi di cultura personale (piacere per la cucina, interesse per il calcio), stati d’animo (nervosismo, poca attenzione all’altro), caratteristiche comportamentali (coglione, troia).

Immaginate la stessa conversazione tra un essere umano ed il bovino di taglia media di cui sopra:

Uomo: Cazzo è ancora ‘sta roba?
Bovino: È Masterchef.
Uomo: Cristo, ancora gente che cucina in tv?!
Bovino: L’alternativa sarebbe? La partita?
Uomo: Certo! C’è Sassuolo-Livorno!
Bovino: Imperdibile, certo.
Uomo: Sicuramente più di broccoletti e salsa tartara.
Bovino: Sei un coglione.
Uomo: Troia.

Ecco, in questo caso ho pescato un bovino particolarmente loquace. Ma in genere questa specie animale si sarebbe limitata a rispondere: “Muuuuh” ad ogni passaggio. Impoverendo anche la dialettica dall’altra parte:

Uomo: Cazzo è ancora ‘sta roba?
Bovino: Muuuuh.
Uomo: Eh?!
Bovino: Muuuuh.
Uomo: Non sai dire altro?
Bovino: Muuuuh.
Uomo: Non si può andare avanti così.
Bovino: Muuuuh.
Uomo: Troia.

Questo come premessa necessaria per capire quanto successo l’altra sera. Su Facebook avevo notato uno che mi metteva “mi piace” in modo seriale su tutta una serie di risposte particolarmente sarcastiche. Dato che la roba che scrivo sulla mia pagina FB riconosco non sia per tutti, ho particolarmente apprezzato la cosa e un po’ per gratitudine dato che mi segue, un po’ perché mi piace conoscere gente nuova, gli ho chiesto amicizia. Prontamente accettata. Al che è iniziato un dialogo brevissimo, che ha preso una piega del tutto inaspettata e con un finale che ritengo grottesco ma molto utile ai fini della comprensione dei meccanismi alla base degli scambi comunicativi tra persone diverse dai bovini.

Ecco, questa è la dimostrazione più evidente di come non sia mai possibile dare per scontato il possesso di identici registri comunicativi.
A nulla vale la contestualizzazione ambientale, anzi: è fuorviante. Il mio ritenere le persone che mi seguono come… persone che davvero mi seguono e capiscono sempre ciò che dico, ma soprattutto comprendono i toni a prescindere, ha generato in me l’idea che queste fossero già “tarate” su un certo tipo di linguaggio, che è quello che adotto quando scrivo qua sopra o su Facebook. In sintesi, ho ritenuto il tizio della conversazione alla stregua di quei miei amici coi quali ci si saluta augurandoci una morte dolorosa o almeno la perdita di un avambraccio. E con un linguaggio consono.
Perché è proprio questo l’errore che si commette quando si ritiene (erroneamente) di comunicare con una persona, della quale si conosce in realtà poco: diamo per presunte tutta una serie di caratteristiche che magari sono completamente assenti. In questo caso la sua capacità di astrazione ed immersione in un dialogo surreale, l’apprezzare una comunicazione “diversa” dalle solite: ecco, questa parte proiettivo-comunicativa, capire che il suo interlocutore in quel momento non era persona ma personaggio è stata idea in lui del tutto assente. Questo si relazionava con me esattamente come avrebbe fatto con una persona qualunque che gli stesse chiedendo amicizia su Facebook. A nulla è servito il mio presentarmi come “UMC”: quella che ritenevo una “patente” comunicativa in grado di farci bypassare convenevoli ed inutili riguardi, puntando invece direttamente su toni volutamente paradossali e (per me) palesemente ironici si è rivelata una (mia) comunicazione perdente.

L’epilogo è stato fortemente illuminante:


Notate? Parla di educazione e rispetto. Ma anche di presunzione. Non è riuscito a centrare minimamente non solo la mia volontà di traslare l’intera comunicazione su un piano diverso e fortemente ironico ma gli è mancata anche la capacità di cogliere quella parte di forte autoironia nella quale denigravo lui per denigrare il personaggio UMC (“Se avessi dignità non seguiresti UMC”). In sintesi mi davo del coglione da solo, ma per tutta risposta ho ottenuto l’equivalente del “Muuuuh” del bovino di taglia media. Certo, con più avverbi e qualche CAPS LOCK (i bovini hanno seri problemi con la tastiera: sarà per la conformazione delle zampe).

Sarebbe facile ora parlare di sopravvalutazione dell’interlocutore: la verità è che la carenza e l’incapacità di adottare il giusto registro comunicativo è stata solo mia. Ho dato per scontate troppe cose, approcciato in modo errato, non compreso segnali dell’interlocutore.
E questo mi ha fatto perdere un lettore, potenziale acquirente delle mie cose.

Certo, non le avrebbe capite.