“Hanno vinto tutti” (cit.)

Vi dico come finirà il 4 marzo:

Il PD emetterà un burocratico (e internamente contestatissimo) comunicato su fondo grigio, mostrando che tutto sommato si è trattato di un “grande risultato” se lo moltiplichiamo per 3, riconoscendo le difficoltà del momento politico, annunciando il “grande lavoro da fare per un governo di larghe intese”, purché senza politiche di sinistra.
Berlusconi stapperà due diciassettenni per festeggiare il “grande risultato”, riconoscendo le difficoltà del momento politico, annunciando il “grande lavoro da fare per un governo di larghe intese”, purché senza magistratura di mezzo.
Salvini comparirà su tre piazze contemporaneamente, nei fondi di caffè e a Fatima per festeggiare il “grande risultato”, riconoscendo le difficoltà del momento politico, annunciando il “grande lavoro da fare per un governo di larghe intese ma per ora perché poi vi facciamo vedere”, valutando le proposte sulla base del Pantone di chi le avanza.
Di Maio indosserà i calzini spaiati e sbaglierà indirizzo, e rivolgerà il suo discorso alla famiglia Mincarini, festeggiando il “grande risultato”, riconoscendo le difficoltà del momento politico e quelle sulle tabelline, denunciando la grande truffa delle matite copiative e invitando gli elettori a ripetere il voto su Rousseau usando la propria penna sul monitor, annunciando il “grande lavoro da fare per evitare un governo di larghe intese”, senza congiuntivi.
Grasso si rivolgerà a entrambi i suoi elettori, festeggiando il “grande risultato”, riconoscendo le difficoltà del momento politico, annunciando il “grande lavoro da fare per un governo di larghe intese” senza che vi partecipi.
Emma Bonino non dirà nulla perché ormai comunica solo col turbante, festeggiando il “grande risultato”, riconoscendo le difficoltà del momento politico, annunciando il “grande lavoro da fare per un governo di larghe intese” senza Pannella (ma pure questo è da vedere).
Giorgia Meloni urlerà in romanesco, farà chiudere il museo senza accorgersi che era su Mussolini, insulterà i giornalisti senza accorgersi che erano del suo ufficio stampa, caccerà via gli extracomunitari senza accorgersi che giocano nell’Inter, prenderà per il culo le brutte facce della vecchia politica senza accorgersi che quelli sono i suoi cartelloni, festeggiando il “grande risultato”, non riconoscendo le difficoltà del momento politico e nemmeno i parenti, annunciando il “grande lavoro da fare per trovare la strada di casa” senza capire la differenza tra qualunque cosa.

Però per ora è bello.

Critica e autocritica di un fallimento: la satira politica è morta

brunetta
Se vi fa ridere lasciate immediatamente questa pagina

 

Dopo anni passati in “consessi satirici” più o meno noti, insieme a persone più o meno capaci di tirar fuori battute più o meno valide, a tratti condividendo vis-a-vis momenti sublimi con talenti purissimi (ma recitare allo specchio mie cose lo trovavo un tantino presupponente, benché gradevole), sono giunto ad una conclusione circa la funzione della satira politica oggi, della sua efficacia nel trasmettere qualcosa e sensibilizzare le coscienze.

Zero. Non c’è. Fine.

Che poi è esattamente il contrario di quel che sono sempre andato in giro a predicare, ma è virtù dei grandi rivedere il proprio pensiero. E adoro scimmiottare i grandi.
Preciso che mi riferisco in particolare alla satira politica: per quella sociale vedo ancora margini di utilità. Ma credo finirà presto e anche questa sarà spazzata via (mi vengono a consegnare il divano alle 17 e per quell’ora deve essere tutto sgombro).

Ammetto – mea culpa – di essere stato uno dei portabandiera dell’idea che una denuncia potesse essere veicolata al meglio tramite la satira, con quel cazzotto allo stomaco che solo una roba tagliente è in grado di provocare.
Ma per me oggi la satira è morta.

Una prima mazzata l’ho avvertita quando qualcuno ha tentato di definirla e ingabbiarla in costrittive gabbie istituzionali:

“Satira è quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene” (Corte di Cassazione).

Già contenere un fiume in piena – come dovrebbe essere la satira – in un alveo ristretto e artificiale, delineato da chi si dovrebbe occupare di amministrazione della giustizia, mi crea un brivido. Ma anche ad ammettere quella definizione mi vien da dire: è una balla. O meglio: non funziona. La correzione verso il bene non c’è, almeno qua da noi. Lo abbiamo sperimentato. Sono costretto a ricredermi. E questo alla luce di una lunga analisi delle reazioni che nel nostro Paese stiamo avendo da anni, a migliaia di battute satiriche.

La cartina tornasole è – manco a dirlo – la vicenda Berlusconi. Scusate! SCUSATE! Lo so! Ma seguitemi.

Dal 1994 stiamo massacrando quest’uomo in ogni modo: statura fisica e politica, igieniste dentali improbabili, intrallazzi e magheggi, connivenze, puttane, gaffes internazionali, cadute di stile, promesse impossibili e cancri guariti entro tre anni (a partire da?), weekend in vacanza per i terremotati, altre puttane, stallieri eroi, falsi in bliancio, unti dal Signore, minorenni nipoti, minorati alleati, giudici e calzini, giuramenti sui figli, che oggi sono peggio degli ebrei, kapetti e kapò, ancora altre puttane, tantissime puttane, Dio quante.

E puttane (l’ho detto?).

Materiale per una produzione satirica impressionante, che ha foraggiato autori eccellenti (pochi) e dato spunti per una proliferazione di battutisti dietro ogni angolo (presenti compresi), con risultati che raramente si discostavano da uno sfottò banale e trito dopo pochi passaggi, grazie anche all’enorme risonanza sui social.

Ed è qui il punto dolente, il motivo che mi fa esprimere in modo tanto definitivo, circa l’inutilità della satira politica in Italia e la sua inefficacia nella correzione di alcunché: la ridondanza e la proliferazione sui social di una infinita serie di “versioni” della stessa battuta, dello stesso sottolineare la gaffe o il colpo di duomo sui denti, di meme parodistici, spesso di scarsissima qualità quanto a originalità e realizzazione.

Tempo poche ore, e la stronzata di Silvio veniva analizzata, vivisezionata, paraculata in ogni modo, creando appunto meme, sollazzi e tormentoni, spesso di una pochezza ancor più imbarazzante dell’originale.
Battute, vignette, scenette, macchiette, grandi tette, rappresentazioni, Vauro, Crozza, Guzzanti (quello bravo), Guzzanti (la sorella di quello bravo), ombrelli nel culo, siti in crowdsourcing e battute in ciclostile raccolte in libri comprati da chi li scrive, Giannelli sul Corriere (Dio mio!), quotidiani di regime pronti a sbeffeggiare il Nostro in ogni modo.

E puttane.

A cosa è servito? No, davvero. Tutta questa produzione, questo mostrare al mondo l’oggettiva pochezza di quest’uomo, la sua evidentissima presenza sullo scenario politico per motivi personalissimi, a cosa è servita se non ad alleggerire quelli che in molti casi erano veri e proprio reati (accertati), a sdoganarli attraverso gag, a edulcorare, a furia di sfottò, la vera indignazione?

A fare il suo gioco, in sintesi. Trasformare tutto in goliardica partecipazione collettiva a un coretto da stadio contro “il nano, ahahahah!”, lasciando che il nostro modo di vedere la realtà, lentamente, cambiasse, accettasse che “in fondo le cose vanno così: ridiamoci almeno su”.

Ridiamoci su un cazzo.

Non era quella, la funzione della satira. Non era quello lo scopo del “castigare ridendo mores”. Non era sdoganare la merda, come invece è stato.
Quella risata su Berlusconi, sui Berlusconi vari intesi come potentati di turno, noi italiani la facciamo piena, grassa. Ed è profondamente sbagliato, perché vuol dire che la satira è morta. Ci fa ridere proprio, Brunetta alto 1.43, che si permette di insultarci dal suo basso (ecco!); ci fa ridere proprio, la sfacciataggine di Silvio che si inventa la storia della nipote di Mubarak; ci fa ridere proprio – e non è una risata amara come dovrebbe – Razzi che, al giornalista, candidamente confessa che quel magna magna in Parlamento c’è e c’è sempre stato e che lui stava là solo per la pensione.

E il giorno dopo? Le iene ci fanno il servizio (quello con i pernacchi e le scoregge), Spinoza ci scrive il post col giochino di parole (“Razzi amari” andrà benissimo), Crozza si mette la parrucca e fa un monologo di cinquanta minuti, sempre più zeppo di autorisatine e di politici imbarazzati. Per lui.

Com’è che da noi non abbiamo mai avuto un Gavrilo Princip, un Lee Harvey Oswald ma al massimo un Massimo Tartaglia armato di piccolo Duomo?
Perché pure negli attentati siamo Ezio Greggio e non Bill Hicks.
Ci piace la comica con la torta in faccia, non la satira sporca di merda.

Diceva Luttazzi (ve lo ricordate Luttazzi? Era quello che dava la voce ai comici americani defunti): “Ha paura della satira chi ha qualcosa da nascondere”.
Era verissimo. Ma un tempo, prima di questa esplosione di condivisione e medialità spinta, che tutto devitalizza e tutto pesta nello stesso mortaio, nel quale trovo Parlamentao Meravigliao, Crozza e Charlie Brooker a distanza di un “mi piace”.

Chiariamo: Brooker è l’unico ad avere ancora tutte le ragioni per fare un pezzo del genere, perché si sta rivolgendo a una platea che non ha a che fare con battute sul Bunga Bunga da anni. Dunque immaginate che carica dirompente ci sia in un intervento del genere e che impatto presso un pubblico abituato a chiedere le dimissioni di ministri per fatture di ottanta euro imputate a spese personali.

Ma a parte questo, una battuta come “Berlusconi e una diciassettenne? È come se un fantasma si scopasse un embrione” io da Crozza non l’ho mai sentita. Da lui sento le vocine, vedo le faccette e mi sorbisco robe come “Sei un grandissimo Orione”.

Satira politica italiana. E questa è la migliore.

Quale politico o personaggio di potere oggi ha paura della satira? Fanno la gara per essere imitati, citati, parodiati.
Se Crozza non ti ha rifatto non sei nessuno. O sei Crozza.

La satira politica è morta. Quantomeno ha cambiato funzione. Da denuncia è diventata dileggio fine a se stesso. Non mette alla berlina il potente: ci gioca insieme.
Non è più Fiorello che fa La Russa: è la Russa che imita se stesso fingendo lo faccia Fiorello.

La satira politica oggi è connivente col regime perché fatta così, con un livello così basso e con tale mancanza di coraggio (e con l’aggravante dell’immensa diffusione facebookiana e twitteristica) che ciò che ne resta è un crash dummy rintronato, una sagoma svuotata, un cartoccio avviluppato su se stesso, senza alcun messaggio sottostante, perché triturato, sminuzzato, digerito e ricacato. E ciò che ci rimane è uno stronzetto satirico. Pronto a essere ributtato giù, non prima di abbondante ricondivisione con faccine sghignazzanti.

Una desensibilizzazione totale. Che fa il gioco del potere stesso.

Giannelli-11.11.2011
Si noti che Berlusconi è più basso degli altri: coincidenze?

Maroni che ride alle battute di Crozza sui leghisti. Invece di querelarlo. Invece di insultarlo. Invece di picchiarlo.

Tutte le vignette che hanno messo in ridicolo la statura di Berlusconi, le sue orecchie, le sue rughe di cuoio, il suo trapianto, il suo cazzo affamato, hanno completamente svuotato di significato quel che è il concetto di “rabbia politica”, di “fame di correttezza”, di naturale bisogno che a governare ci sia una persona capace. È tutto diventato un: “Ahahahah! Ha dato alla Minetti un incarico istituzionale, che porcheria… adesso una bella photoshoppata di Silvio in mezzo alle tette della Minetti, sul crocifisso… ahahah!”.

Intanto la Minetti là sta, con o senza crocifisso. Intanto ciò che passa è la solita, antichissima e mai messa in discussione, idea che si faccia carriera solo con raccomandazioni e pompini. Che l’Italia vada così ed è inutile farsi il sangue amaro: divertiamoci almeno a prendere per il culo chi di dovere. Ma senza esagerare. Giannelli andrà benissimo.

Mi fa gran specie parlare di queste cose populiste e terra terra, che dovrebbero essere parte del corredo genetico di una società, ma tutto questo teatrino – ribadisco – ha trasformato ciò che era nella natura del meccanismo sociale in qualcosa ormai di perso, di dato per irraggiungibile: parlo della trasparenza, della politica al servizio, del fatto che chi siede in Parlamento indossi una cravatta e non una canottiera unta e che non parli come parlerei io dopo tre Peroni familiari.

O tre puttane.

Ecco: è evidente che la satira politica, almeno in Italia, abbia totalmente perso forza, se non addirittura funzione.

La Santanché urla e offende un’operaia, e invece di massacrarla politicamente, fare in modo che questa gente sia esiliata altrove, magari in Barbagia (cit.), che si fa? Subito migliaia di photoshoppari dell’ultima ora a metterle in bocca di tutto. Principalmente una roba, ma qua si parla di creatività e fantasia e anche una melanzana richiede uno sforzo mentale.

santanche
Concedetemi lo sforzo di originalità. Parlo della scritta Rai2.

In questo momento mi sento Gramellini sdraiato sull’Amaca di Serra spinta da Forattini e so che rischio di passare per demagogo-qualunquista e che se scrivessi queste cose in maiuscolo non sarei lontano da quelle che sono le legittime rivendicazioni del popolo grillino (certo, io ho scritto in italiano corretto, moderando la punteggiatura e ben inquadrando le istituzioni sin qui elencate, il che mi fornisce un certo vantaggio. Aggiungo che non credo negli ufo e nei rettiliani e conosco perfettamente la differenza tra Senato e una caldaia).

La satira italiana, come è fatta, come è condivisa, come è ormai incatramata sugli stessi sfottò, non è più utile, oggi. Anzi: è deleteria. Spinge ad accettare il male nelle istituzioni, a conviverci, a renderlo parte della nostra quotidianità a furia di battute. Permette certo di rendere tutto più digeribile, ma ci svuota della “collera civica” che dovrebbe essere sempre là ad impedirti che un Razzi venga eletto. La satira invece che fa? Lo prende in giro per la sua pochezza culturale, i suoi strafalcioni linguistici.

Razzi sempre là sta. E viene invitato nelle trasmissioni. E Crozza si mette la parrucca e lo imita.

Ridete pure, di gusto. Il balletto abruzzese era comicissimo. Quasi come il pavimento.

O forse ha semplicemente ragione Michael Moore: “La satira presume che il pubblico abbia un cervello”.
Il che ci riporta alla vera ratio di questo mio sfogo contro tutto ciò in cui ho creduto, cioè l’utilità della satira, che in queste quattro righe ho cercato di demolire.
Per scoramento, presa di coscienza che tanto, per quanto ci si affanni a denunciare e deridere, non cambierà mai un cazzo.
Perché il punto è quello di Moore: il grosso del pubblico, che poi è il destinatario dei messaggi satirici, guarda, ride, e passa avanti.

Sono fondamentalmente deluso.

E disilluso.

E puttane.

Spiegare cosa sia un facepalm ai più piccoli

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Berlusconi mentre mima il contenuto di questo post

Mi rimproverano di non scrivere troppo di politica. A questa fandonia rispondo: è vero (la fandonia era che qualcuno mi rimproverasse qualcosa).
La scelta di non scrivere troppo di politica è dettata dalla certezza di cadere nel qualunquismo, nella becera demagogia, nella tracotanza, nell’utilizzo di termini assolutamente casuali.
La politica comporta necessariamente cadute populiste, a partire dall’origine del suo termine: “Polis”, che in greco significava “Colui che racconta cose al fine di sedere su un scranno e impartire ordini ad una serie di persone convinte che scegliere lui cambierà qualcosa ma in fondo sanno già che è tutto un magna magna VERGOGNA!!!!1!” (Visto come è facile cadere nella demagogia?).
È vero, non ho studiato molto il greco, ma anche voi, pensate di sapere bene l’aramaico? O l’italiano stesso. Dunque per piacere.
Ritengo che l’attuale sistema politico sia ormai qualcosa di…


– No, te l’avevo detto: non ci riesco!
– Eddai che andavi benissimo!
– Ma che benissimo?! Non ho scritto che cazzate! Io non ce la faccio. Non mi frega niente di dare analisi politiche, tirare fuori battute sul PD che non decide niente, su Grillo e Casaleggio, su Coso.
– Coso?
– Ti prego.
– Dillo.
– No.
– Dillo! È liberatorio!
– Cazzo, no!
– Dai!
– B…
– DAI!
– BERLUSCONI! VA BENE? BERLUSCONI! BEERLUUSCOONII!
– Bravo. Stai meglio, vero?
– No.
– Eppure si vede già che hai un altro colorito.
– Ti prego, scriviamo qualcosa sul Papa.
– Hai rotto il cazzo col Papa.
– Me ne rendo conto, ma mi viene meglio.
– No. Devi cominciare a scrivere qualcosa di più tradizionale, più mainstream.
– L’uso della parola “Mainstream” in questo post non rende lo stesso abbastanza manistream?
– No.
– Ok.
– Ma non vedi cosa fa Crozza? Lui è il punto più alto della satira in Italia. Prende uno e gli rifà il verso. E lo fa benissimo! Si mette pure le parrucche! Fa le vocine! Meglio di Alighiero Noschese.
– Tu sai che Alighiero Noschese non se lo ricorda nessuno qua?
– Appunto! Cavalchiamo il nuovo!
– Crozza è il nuovo?
– Sì!
– Benissimo…
– Sì, benissimo, senza che fai quelle faccette. Crozza è LA satira.
– Mi stai dicendo che devo essere Crozza?
– Sai farlo?
– No.
– Peccato. Allora Vauro.
– Non so disegnare.
– Vedi che sei sulla strada buona?
– Non è una buona idea.
– Uff… Sei complicato. Chi ci resta?
– Non so ma non mi importa! Io voglio scrivere le cose che mi piacciono!
– E allora resti uno sfigato che si legge da solo.
– Ma chi se ne frega! Cos’è ora questa smania di diventare famoso! Tanto si sa che certe cose non prendono!
– Ma sei tu che scegli di scrivere cose che non prendono! Cosa ci metti a fare una battuta su Berlusconi! Cosa?
– NIENTE! PER QUESTO NON VOGLIO! Ho smesso anni fa di fare quelle battute, quando ancora tiravano. Adesso le trovo ridicole!
– Esatto! Ridicole! Dal latino “ridiculus”, cioè “che ancheggia allegramente invitando foche monache a riprodursi sotto un cavalcavia“.
– Nemmeno tu hai studiato le lingue morte, vero?
– No, essendo te in questo metapost, ma non importa.
– Senti, io non ce la faccio.
– Prova, una sola volta, fallo per me. Cioè per te.
– Ma non so nemmeno se sia ancora in grado…
– Dai che lo sai. Guarda: questa è la notizia: “Decadenza Berlusconi, giunta dice sì a voto palese“.
– Ti prego…
– Dai, prova.
– Cristo.
– Su!
– Decadenza Berlusconi, la giunta vota per il voto palese. Si alza forte la voce di Silvio: “Datemi due puttane!”.
– Ahahahah! Lo vedi? Lo vedi?
– Ma è una merda!
– Ma che merda! È perfetta! Questa su L’Unità prende seimila “mi piace”. Dai, un’altra.
– Cazzo. Ok, provo. “Anche Brunetta protesta insieme al Cavaliere. Ora aspettiamo gli altri cinque e andiamo a fare il culo a Biancaneve”.
– Ahahahahah! GENIO!!! CHAPEAU!!!!!
– Mi vergogno come un cane.
– Hai già in tasca mezzo posto nella redazione satirica di Repubblica. Per non parlare dei “mi piace” su Facebook.
– Ma cosa me ne fotte dei “mi piace”? Non voglio “mi piace” da gente che trova divertenti queste merdate!
– Devi pensare in grande, coglione! Ultima, dai!
– Ancora?
– Ultimissima, su. Più tranchant.
– Tranchant?
– Tranchant.
– Mah. Vediamo…
– Dai che so che facciamo il botto con questa.
– Dunque…
– Dai!
– “Berlusconi chiede si apra un tavolino di trattative”.
– AHAHAHAHAAHAHAH! EPIC WIN!!!!!11! AHAHAHA!!! GENIO!!!!111!!!
– Eh?
– GRANDE! Con questa ci campiamo almeno tre anni. E ce la rivendiamo alla Innocenzi, che ci passa il prossimo esame da giornalista senza manco bisogno di dimostrare di capirla.
– Ho i miei dubbi.
– Sulla Innocenzi? Pure io. Ma la battuta è fortissima!
– Contento tu.
– Ultima cosa. Me la puoi rielaborare pure per Brunetta?
– Cioè?
– Secondo me con un piccolo adattamento spacca pure con Brunetta.
– Stiamo esagerando.
– Tu prova.
– “Berlusconi e Brunetta siederanno al seggiolone delle trattative”.
– BWAHAHAHAHAHAHA!!!!! TI PREGOOO!!!!! AHAHAHAHAHAAHAHAAH1111!!!!111!!!UNOOOO!!!
– Non ho parole.
– SEI GRANDEEEEEE!!!!!111!!1111111111234.
– …
– Ma te la voglio asciugare per renderla ancora più efficace.
– Eh?
– Senti questa: “Berlusconi è basso, ma Brunetta di più”.
– Cosa?
– Ahahahah! Con questa spacchiamo! Ci facciamo pure un’agenda!
– Mi tiro indietro.
– Ci vinciamo il Macchianera almeno per cinque edizioni!
– Vado.
– Il Festival! Sanremo!
– …
– Il Cantagiro…

Il rapporto tra le tette di Tinì Cansino e l’attuale situazione sociopolitica

 

Mi ha sempre fatto incazzare quella storia del “Ce lo meritiamo”, “La colpa è nostra”.
Un cazzo. Non mi sento responsabile per quegli anni che hanno creato il terreno fertile per la sua ascesa. La colpa è vostra, tua, che adesso esulti per una sentenza di primo grado mentre negli anni ’80 lo ingrassavi guardando “Ok, il prezzo è giusto” e “Il pranzo è servito”. Io ero un ragazzino, non avevo gli strumenti culturali per capire che quella era merda. Ma tu eri già cresciuto, eri un genitore, cosa cazzo stavi a fare vicino a me a vedere quella roba?
E poi era solo per stare in famiglia.

E non ero io ad ascoltare Mike e comprare la Grappa Bocchino, perché andavo a scuola e con la paghetta mi ci compravo le figurine, che poi usciva Odoacre Chierico o Di Bartolomei (le figurine erano sempre invase da romanisti).
Sì, pure mangiavo il Granbiscotto Rovagnati, ma che ne sapevo?
E poi era solo pubblicità.

E il Drive In. Avevo 16 anni, che potevo pensare che ogni mia risatella scema portasse potere a quello là? Al massimo mi facevo le seghe con Tinì Cansino.
E poi erano solo ragazze nude in tv.

Sì, guardavo Pressing, ma perché erano i miei a metterlo perché “Vianello è troppo simpatico”. Faceva ridere pure a me, e allora? Non ero ancora abbastanza grande per capire. Anche se avevo vent’anni non significa un cazzo, c’era gente senz’altro con più potere decisionale di me.
E poi erano solo programmi televisivi.

E nel 1994, quando è “sceso in campo”? Avevo 24 anni e non l’ho certo votato. Ma neppure mi ha scandalizzato troppo la cosa. Ma non mi sento responsabile di nulla. Certo la colpa è vostra, che l’avete messo là.
E poi era solo uno che entrava in politica.

E la colpa è vostra pure per aver tifato Gullit e Van Basten, che aprivano il culo allo Steaua. Io manco tenevo per nessuno. Sì, quelle partite erano fantastiche e il gioco di Sacchi esaltante, ma che c’entra. Che? Sì, avevo 29 anni e magari avrei pure potuto muovermi in qualche modo, ma cosa stiamo a paragonare? È evidente che sia colpa vostra.
E poi era solo calcio.

E ora, ridicoli, ad esultare per una sentenza di primo grado. Quando avreste potuto alzare il culo allora, invece di scaricare su altri vostre responsabilità.
Perché si sa, la colpa è vostra.
E poi ero solo italiano.

Rimborsi IMU, comunicazione, zappe sui piedi.

berlusconi

 

Comunicazione, regola 1: quando si comunica un messaggio occorre essere chiari fin dall’inizio, per non ingenerare errori ed false aspettative. A meno che il fine non sia ingenerare errori o false aspettative.

Se mi arriva una lettera così, con quell’intestazione con forte carattere di ufficialità, io sono spinto a pensare che la missiva venga dallo Stato, da un Ente, da qualcosa di burocraticamente “al di sopra” di me, in grado di decidere del mio destino, financo della mia libertà. La dicitura: “Modalità e tempi per accedere nel 2013 al rimborso dell’Imu pagata nel 2012 sulla prima casa e sui terreni e fabbricati agricoli” è estremamente fuorviante. In sintesi, io leggo “RIMBORSO IMU” e mi viene da pensare che si parli di soldi che io devo dare o devo ricevere. Con caratteri dell’ufficialità, non sottoposti a condizione. Soprattutto se la condizione è l’orientare un mio diritto del tutto svincolato dall’oggetto della lettera. Non voglio arrivare a paventare ipotesi di reato (ci ha pensato Ingroia) ma è evidente che questa comunicazione generi errore, quanto a mittente e quanto a modalità. Leggo di gente che si è recata alle poste per ricevere il rimborso. Se la vecchia, nel far questo, cade, si rompe un femore, muore, io nipote violenterei ogni concetto di nesso di causalità per addossare la colpa a chi mi ha spedito questa lettera. Ma si sa, io sono così.

La tecnica usata, in sintesi, è molto vicina a quella delle false ingiunzioni, che ti arrivano (pare) dalla Finanza o simili e che invece ti richiedono la sottoscrizione di qualcosa, un abbonamento ad una rivista, cose così.

Comunicazione, regola 2: quando si comunica con qualcuno, utilizzare il suo stesso registro comunicativo.

Questa lettera è perfetta. Semplice, lineare. È un linguaggio evidentemente indirizzato al popolo del Tg4, agli incazzati che guardano i cantieri, a chi borbotta e si lamenta perché il figlio non trova posto per colpa dei raccomandati ma intanto cerca “amici” che possano aiutare il “figlio tanto bravo, laureato“. Il popolo del “non si potrebbe chiudere un occhio, dotto’?“. Il popolo che, quando arriva una lettera da una amministrazione pubblica, si mette in agitazione e qui viene rassicurato che stavolta “non avrà nulla da temere“.

Comunicazione, regola 3: quando si comunica un messaggio, ricordarsi di ricordarsi. Tutto.

Lo “scandalo della tassazione della prima casa”, ammesso che sia tale, chi l’ha appoggiato ai tempi di Monti? La diminuzione del valore dell’immobile, ammesso che dipenda dall’IMU e non da una serie di fattori tra cui la crisi generale del mercato immobiliare (messaggio fuorviante), non era prevedibile quando davi il tuo appoggio all’introduzione di una cosa che ora mi vuoi rimborsare? In sintesi: tu, dov’eri? Non ti ricordi? Io sì.

Comunicazione, regola 4: evitare di mostrarsi spaventati dal nemico, quando vuoi trasmettere un messaggio di forza.

“Fini, Casini, Monti”… “E anche Grillo”. Perché Grillo a parte? È Grillo diverso dagli altri tuoi avversari? È Grillo quello che ti spaventa di più? Sì, lo è. Lo è perché è quello che sta usando il tuo registro comunicativo, semplice, che parla alla pancia, come tu stai facendo con questa lettera. È anche il tuo (ex)elettore, quello che oggi vota Grillo ma non per discorsi destra-sinistra. Grillo raccoglie il voto di protesta. Protesta che tu stesso hai contribuito fortemente a creare. Grillo oggi ti fa il culo. Tu lo sai, lo senti. E me lo dici. E io che ti faccio le pulci lo noto. E voterei Grillo già solo per il distinguo che mi hai fatto nella lettera. Mi trasmetti, non volendo, ammirazione per la sua figura.

Per inciso, me ne frega una mazza se l’80% dei grillini ha già fatto politica? Mi stai dicendo che fare politica è attività di cui vergognarsi? Bene. Dai che ci sei arrivato da solo.

Comunicazione, regola 5: non farti sgamare, Cristo!

Ci serve davvero il suo aiuto“. Il mio aiuto? E quello di parenti, amici, conoscenti? Serve a te? Ma il mio aiuto (leggasi: voto), non dovrebbe servire a me? Non dovrebbe essere una cosa per far sì che sia io a stare meglio? Me e il mio Paese, dico? Perché serve a te? Perché ti metti in mezzo? Avresti dovuto dirmi: “Al Paese serve davvero il suo aiuto“: avresti trasmesso una immagine disinteressata.

Che comunque sarebbe prepotentemente ritornata col sublime “Noi siamo l’unica difesa contro l’oppressione giudiziaria“. Ehi, oppresso giudiziariamente ci sei tu! Non pensare che noialtri qua stiamo tutti con l’incubo delle toghe rosse. Pure quando mi proponi un accordo di scambio mi parli dei cazzi tuoi? Se vai a comprare un kg di bigattini per andare a pescare, ti metti a parlare dei tuoi processi col negoziante? E che due coglioni!

Comunicazione, regola 6: ahahahahah!

Ma io trovo sublime il punto esclamativo:

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C’è tutto. C’è orgoglio, un velo di nostalgia per i fasti che furono al potere, c’è il vecchio che ricorda al nipote quando era generale e comandava le truppe, ed ora gioca a Risiko facendo bumbum con la bocca.

Il punto esclamativo.

Senza quello ti avrei votato*, peccato.

_____________________________

*No, mi sa di no.

Finché non mi cacciano (32)

Ci prometti fiumi d’oro? Ti diamo fiducia perché siamo coglioni e crediamo nel Campo dei Miracoli.
Poi ci ritroviamo con le pezze al culo? A Piazzale Loreto stanno già lucidando in terra.

[Continuo su L’Unità, qui]

Finché non mi cacciano (26)

Il PDL riconosce la sconfitta, pur sottolineando l’importanza di aver conservato baluardi come Cosenza, Rovigo, Varese, Iglesias (ma solo Enrique), una dozzina di puttane, Giorgio Mastrota, mio nonno e buona parte della Mafia.

Continuo su L’Unità, qui.

In fondo, che male c’è?


Festeggiare il Capodanno è tradizione antichissima e bellissima e sparare i botti ci sta, con tutto quel che sparano nel mondo che male faranno due botti? Sì, qualcuno ogni anno ci rimette le dita, ma ci sono tanti che comunque le perdono per altre cose, tipo il lavoro.

Se tanta gente va a vedere il cinepanettone di De Sica un motivo ci sarà: a me quei film non dispiacciono e comunque c’è tanto di peggio in giro. Certo, portano un esempio di italianità del tutto negativo, all’estero e soprattutto nelle menti più deboli, ma in fondo ci sono ben altri problemi.

A Ferragosto si deve andare a fare un giro da qualche parte: ci sono le code, certo, ma in fondo ci sono sempre. Oddio, ogni anno tanti incidenti e morti sulle strade. Ma non ci sono poi tutto l’anno?

Il Natale è una bella festa ed è importante che almeno un giorno all’anno ci si senta più predisposti verso il prossimo, anche se poi si torna alla vita di tutti i giorni, ma chi del resto non pensa anche al suo orticello?

Che il Papa si occupi anche di cose non spirituali rientra nel suo compito: sì, non dovrebbe, ma in fondo che male fa? Oddio, impedisce a chi non crede di scegliere eutanasia, testamento biologico, procreazione assistita, influenzando la classe politica. Ma tutto sommato, non è una cosa buona che sia in Italia?

L’energia nucleare è necessaria: certo, magari non è il massimo della sicurezza, soprattutto in un Paese che ha già dimostrato l’incapacità di sottrarre la gestione dei rifiuti tossici alla Camorra, ma perchè pensare sempre al peggio?

Tutto sommato Berlusconi non ha fatto così male: sì avrà i suoi difetti, ma chi non li ha? Certo, è il capo del nostro Stato e ci rappresenta all’estero. Usa la sua posizione per interessi personali e resta attaccato alla poltrona per evitare la galera. Ma chi di noi non farebbe altrettanto al suo posto?

L’italiano è il popolo del “ma in fondo”, del “tutto sommato”, del “e poi, diciamoci la verità”.
Tutto sommato ha anche ragione. In fondo che male c’è nel riconoscere ed accettare le proprie debolezze? Nell’essere consapevoli dei propri limiti? Nel capire che, in fondo in fondo, siamo delle merde?

Il punto è che abbiamo fatto il salto della quaglia: non più solo riconoscimento ma vanto.

– Ehi Giovanni, ciao: ti vedo davvero pezzo di merda oggi.
– Trovi? Ti ringrazio
– Niente, figurati.
– Anche tu però: da qualche tempo sei più vigliacco del solito.
– Dai, perchè mi dici così? Mi imbarazzi… Grazie…
– No, dico davvero… Ho saputo della raccomandazione che hai ottenuto per tuo figlio. Che bastardo! Grande!
– Sempre gentile. Sì, ho sfruttato le mie amicizie. Se non ci si aiuta tra noi…
– Sei un mito. Una faccia di merda.
– Dai, non esagerare, così mi metti in imbarazzo. Ho fatto quel che ho potuto.
– Sì, ma sei passato avanti a gente che meritava davvero. Un grande, ribadisco. Hai persino fatto suicidare un padre di famiglia che pensava di aver finalmente trovato lavoro…
– Ahahah, vero! Quella è stata la ciliegina sulla torta. Sei gentilissimo. Anche tu avresti fatto lo stesso.
– Ah, certamente. Se mi capita l’occasione…
– Figlio di troia come sei…
– Eheh, grazie dai…
– Ah, tanti saluti a quella puttana di tua moglie.
– Presenterò, grazie. E auguri.
– Auguri a te.