Vergassola? Un professionista.

 

Gasparri che non capisce, la Carfagna che lo ciuccia, Renzo Bossi-trota, Berlusconi e le troie, Brunetta-nano, il crocifisso tra le tette della Minetti, il lettone di Putin, Marrazzo che lo prende nel culo, il bungabunga.

No, non è il solito pippone sui tormentoni della satira (o forse sì).
E’ tutto lecito, alcune cose strappano ancora un sorriso e ci sta che battute costruite su questi canovacci incontrino facilmente il consenso del pubblico.

La domanda è un’altra: esiste una responsabilità sociale di chi fa satira circa un presunto dovere anche “educativo” verso il pubblico, che lo porti un pochino più “su”, che lo spinga a capire che si possono percorrere anche altre strade rispetto a quelle solite, comprendere che si possa ridere anche di cose fino a quel momento ritenute tabù?

Vergassola si rende conto che quello che fa passare in tv non solo informa ma anche “forma” la gente che lo ascolta?

“Tarantini viaggiava sui voli di stato con visto diplomatico. Era l’ambasciatore di Gnoccaland”.
(Vergassola, settembre 2011)

Ma davvero qualcuno può trovare divertente una cosa simile?

Questa forma di gioco al ribasso non è anche altamente diseducativa?

“Rivolta a Lampedusa. Il sindaco asserragliato nel suo ufficio con una mazza da baseball. In attesa che arrivi Berlusconi con le solite palle”.
Sempre Vergassola.

Le “palle” di Berlusconi… le “palle” da baseball…
Ma non è roba da tressette al bar? Non è qualcosa che chi fa satira di mestiere dovrebbe considerare ben al di sotto della decenza mediatica?

No Dario, non ce l’ho con te. Non particolarmente almeno.

Sia chiaro: non si sta dicendo che ogni costruzione satirica debba volare alta come scorresse costruita da un redivivo Rabelais. E’ che il pubblico viene così sempre considerato bue ed incolto, semplice. Come se le sale a Natale si riempissero coi film di De Sica.

Pessimo esempio.

Tra le altre cose: anche io scrivo di Berlusconi, Brunetta e affini (in particolare su L’Unità, per ovvi motivi), anche magari utilizzando stereotipi consunti. Ma sempre con uno sforzo costruttivo (concedetemelo) e comunque cercando di dare un minimo di credito al mio lettore, non considerandolo un grasso beone con la seconda elementare che picchia la moglie mentre in tv scorrono le immagini di Colorado Cafè.

[Colorado Cafè:Saturday Night Live = Vergassola:Jon Stewart]

Mi sento – nel mio piccolissimo – anche investito da quella responsabilità sociale di cui sopra, che mi ficca nell’orecchio quella pulce che mi dice: “dai, puoi fare di meglio: davvero non hai una idea migliore? Davvero stai per scrivere anche tu “patonza”? Davvero non vuoi provare a sfruttare quella sinapsi che il tuo lettore non ha mai attivato?“.

E comunque io non sono Vergassola, mi conosce ed apprezza una dozzina di persone – molte delle quali portano il mio stesso cognome o è legata a me dagli articoli 143, 144 e 147 C.C.. Dunque il peso di questa “responsabilità” su di me è (dovrebbe essere) relativo.

Come può un pubblico “crescere” se lo mettiamo a questa forma di pane ed acqua intellettuale?

Nuovamente interrogato, Tarantini ha dichiarato: “Nessun ricatto a Berlusconi”. “Ho solo aiutato un uomo in difficoltà e bisognoso di figa”.
Indovinate di chi è.

Berlusconi e figa ci sta, fa ridere, funziona certo… ma a parte la assoluta povertà di questa costruzione (davvero non riesco a capire come un professionista consideri questa roba pubblicabile), ma perché avvitarsi ancora su questo concetto? E’ questo che vuole il pubblico o è questo che gli diamo perché pensiamo lo voglia?

O sono io a sopravvalutarvi, capre?

Una volta esaurito un filone, tu comico (anzi: tu che ti riempi la bocca con la satira) hai il dovere di andare avanti, cercare nuovi filoni. Sorprendermi anche. Coltivare il tuo pubblico e percorrere insieme strade nuove.

Crescere.

Buco dell’ozono: il pericolo non è passato. Pare che Berlusconi voglia farsi pure quello.
(Vergassola, settembre 2011)

Confalonieri: “Berlusconi è un ottimo padre”. Oddio, ma pure la mamma di Confalonieri s’è fatto?!
(UMC, ottobre 2009)

(RISATE)

Mi ricordo ci provaste anche con il curling

Ma non ha un po’ triturato la minchia anche a voi ‘sta modaiola passione per il rugby?

Italia battuta dai grandissimi australiani per 32 a 6. Ma il primo tempo si era chiuso sul pari” .
Ma“?
Cos’è quell’avversativa?
Trentadue a sei. Dico: TRENTADUE A SEI.
Facciamo cacare o no?

L’orgoglio italiano, la grinta dei nostri ragazzi che nonostante tutto...”.
Nonostante tutto ‘sta ceppa.
TRENTADUE A SEI.

Ma cosa, eravate una dozzina in meno in campo? Avete fatto la pausa caffè? Ci siete andati o no a giocare?

Dico io, ci sta pure la sconfitta, ma non menate il cazzo con la storia dell’orgoglio e dell’aver tenuto testa a dei mostri.
Se sono di un’altra categoria non partecipate. Lottate al vostro livello. Scegliete San Marino, Cipro, Malta. Lo dico per voi, figuriamoci a me cosa interessa sapere che un gruppo di sconosciuti energumeni con denti rotti e cicatrici si menano a migliaia di km da casa mia. Se fossi interessato a queste robe metterei una webcam in qualche ospizio.

Ma poi: ma chi se ne fotte del rugby? Su. Siamo seri. Al massimo i rugbisty. Gente sottratta ad un più onesto spaccio. Gente che non vorresti mai incontrare in un vicolo buio. Gente che non è sicuramente il tuo capufficio. A meno che il tuo ufficio non sia uno spogliatoio.

E questi ora fanno pubblicità. Mi vendono Sky, abbonamenti internet, scarpe.
Quali scarpe puoi mai indossare, di mio gusto e fattura, tu che sembri un identikit?

Non capisci. Il rugby è uno sport nobile“.
Ma certo. Ce lo vedo, Sir Richardson, sorseggiare un Twinings alle 17 mentre si rivolge a Lord Chesterfield:
– Mio cavo amico, vitieni che in caso di mischia dovvemmo appvofittave della nostva supeviovità dialettica e demovalizzave gli avvevsavi?
– Oh buon Dio, Chavles, non mi pave una soluzione elegante.
– Hai vagione. Pasticcini?

Mi avete scassato il cazzo per anni con Luna Rossa, Mascalzone Latino e altri nomignoli degni di una canzone di Dean Martin. Cercando di farmi innamorare di termini incompresibili come bolina, spinnaker e Cino Ricci.
Non ce l’avete fatta.
Non riuscirete manco stavolta.

Trentadue a sei, Cristo!

 

 

Crisi a tutti i livelli

In circa un secondo, un raggio di luce che partisse da Crotone, farà su e giù fino a Cirò Marina circa 5000 volte. Solo a quel punto si comincerà a guardare attorno ed andrà ad aprirsi una pizzeria ad Amburgo.

Magari in roaming

La miglior prova dell’impossibilità di mettere in comunicazione il mondo dei vivi e quello dei morti?
Mettetevi d’accordo con un vostro anziano nonno, uno di quelli che vi ama davvero, mentre è ancora in vita e possibilmente prima del suo (o del vostro) Alzheimer. E chiedetegli di apparirvi in sogno, dopo il suo trapasso, per darvi i numeri del Superenalotto.
Se esiste qualcosa “dopo” e se c’è la possibilità di comunicare è ovvio che lui per voi lo farà.
Bene.
Sappiate che io l’ho fatto davvero: fu una cosa che chiesi a mia nonna.
A tutt’oggi, a distanza di tanti anni dalla sua morte, manco un numero, un’apparizione, un cazzo.
Dunque le ipotesi sono tre:
– Non è possibile comunicare con l’aldilà, dunque piantatela con quelle stupide preghiere. E non venitemi a dire che magari la comunicazione può avvenire in una sola direzione, non siamo nel direttivo del PDL. In ogni caso ci sono più possibilità che sia Ringo Starr a comunicarti qualcosa che George Harrison o John Lennon. Su Mc Cartney non mi pronuncio;
– Non esiste alcun aldilà;
– In realtà a mia nonna stavo sulle palle.

A ciascuno il suo

 

Ci sono frasi “di genere”, di quelle che in bocca ad una persona di sesso differente rispetto a quanto ti aspetti suonano malissimo. O disvelano nuovi panorami.

Ieri mi facevo i cazzi miei, con la tv sullo sfondo mediatico a riempire gli spazi sensoriali vuoti. Con la coda del cervello capto il discorso di un ragazzo, che parla non so di cosa, roba sentimentale.
Ad un certo punto ha detto:
– no, perché lei da un po’ di tempo si è emotivamente distaccata da me

Insomma, si capiva che avesse problemi con la ragazza o ex.
Ma è una frase che suona malissimo in bocca ad un uomo.
Lei si è emotivamente distaccata“. No, non va, non ci siamo. Suona male. Suona femminile.
Ho smesso di fare quello che stavo facendo e ho prestato maggiore attenzione. Il ragazzo ha poi aggiunto:
– in questo momento mi sento molto vulnerabile.

Mi sento molto vulnerabile“?
Bene, caro ragazzo, non è un problema – sia chiaro. Ma sappi che sei frocio.
Un etero non dirà mai una frase del genere. Non è nel suo patrimonio genetico.

L’eterosessuale non è che non abbia vulnerabilità. Semplicemente le nasconde.
L’etero, inserito all’interno di un contesto sociale competitivo come il nostro, piuttosto crepa. Ma non metterebbe mai in piazza un Tallone d’Achille, indicandolo anche con delle grosse frecce luminose.

Sia chiaro: le differenze di genere sono non da stigmatizzare ma da valorizzare: ciascun essere umano è patrimonio immenso ed irripetibile proprio per la sua diversità ed unicità, e per questo anche le differenze uomo-donna sono un valore da curare e sottolineare.

Dunque, di fronte ad un uomo che dica:
– in questo momento mi sento molto vulnerabile
occorre semplicemente prendere atto della sua diversa concezione del mondo rispetto ad un eterosessuale. E valorizzarne gli aspetti.

In questo modo sarà anche più semplice superare quegli odiosi luoghi comuni, tratteggiati troppo spesso caricaturalmente ancor oggi, che vedono l’omosessuale come macchietta col polso molle e foularino al collo.

Come quello indossato da quel ricchione.

 

 

Alle volte…

 

Scendo le scale, arrivo in piazza, in fondo.
– toh, sono dispari
e vai avanti.
Importanza della questione prossima allo zero.
Ma è una bella giornata, non hai altri pensieri e magari fantastichi un po’ su quella cosa. E rifletti: stai progettando una scalinata? Perché fare 13 gradini? Ne fai 12, un filino più alti. O 14, comodi comodi.
Poi pensi che magari non c’è dietro alcun progetto: si disponeva di certi blocchi di marmo, di determinate dimensioni, e si sono utilizzati quelli. Blocchi che serviranno anche altrove. Dove magari le scale alla fine saranno pari.
Amen.
Ma il pensiero non ti abbandona.
– 13 scalini… 13 scalini…
Non che sia un fanatico delle scale pari, intendiamoci. Ci sono ben altre priorità quanto a numeri pari. I coglioni, per esempio. Ma quando prendo il passo in un certo modo poi un po’ mi rompe doverlo rimodulare perché avanza un singolo scalino, se avevo iniziato a farli a due a due. Niente di importante ma – penso – mi impegna quella manciata di sinapsi che potrei mantenere libere per cose più utili, tipo guardare il colore dell’ultimo scalino e confrontarlo con il precedente. Oppure prestare più attenzione all’esatta forza impiegata dalla gamba destra per fare un immediato paragone con quella della sinistra. O ancora valutare un cicinino meglio il livello del fiatone all’ultimo scalino per riportarmi alla memoria la stanchezza provata il giorno prima.
Trovo dunque poi non così marginale il fatto che quegli scalini siano dispari.
Anzi, più ci penso e più mi sembra qualcosa da evidenziare. Magari da segnalare.
Ecco, segnalare il problema alle autorità, prima che questo diventi qualcosa di ancor più grave di quanto già non sia.
Perché mi sto rendendo conto che quegli scalini, così dispari, così incredibilmente diversi da scalini pari, mi stanno togliendo la vita.
Non riesco più a pensare ad altro!
Perché dispari? Perché?!
Ormai sono dentro una spirale senza uscita: gli scalini dispari! Li hanno messi per farmi impazzire!
C’è un preciso piano dietro, ordito da chissà quali potenti entità, per trascinarmi chissà dove!
Non c’è alcun motivo, nessuno, perché siano dispari! Siamo nel 2011, possibile che non ci sia la tecnologia adatta a creare una scalinata pari? E’ ovvio sia stata progettata in quel modo col solo fine di farmi uscire di senno!
Comincio a pensare che esista Dio, e che ce l’abbia con me. Che l’inferno è quel che sto vivendo qui, oggi!
Mi siedo, madido di sudore, occhi sbarrati. Mi volto. Là quella maledetta scalinata.
Ossessivamente non posso far altro che ricontare gli scalini:
– uno…
– due…
– …
– dieci…
– undici…
– dodici.
Dodici.

Niente, errore mio.

 

 

Fatela ora ma fate la guerra

Ho letto oggi su Facebook che “Per costruire 12 ospedali servono 250 milioni di dollari, quel che ci costano 8 ore di guerra in Iraq”.
E ho seguito l’evolversi della civile discussione, fatta di “ma perche’ si e’ cosi’ ottusi!!!!!” (con un effetto accelerazione dell’ansia proporzionale ai punti esclamativi) o “Maledetti, moltiplicano i morti invece di preservare la vita!” (il punto esclamativo multiplo è un segno d’interpunzione che ricorre spesso nelle discussioni su Facebook e credo rappresenti bene la frustrazione di dover esprimere alti concetti schiacciando pezzi di plastica con le dita).

Nulla di riprovevole, sia chiaro. A parte i punti esclamativi.

Il punto (non esclamativo) sta nell’incapacità di vedere oltre il proprio naso e non capire che l’economia ha bisogno della guerra. Oltre all’aspetto meramente ludico della stessa (vuoi paragonare lo sparare in testa ad un cinese piuttosto che andare di calce e cazzuola per tirar su un edificio destinato a curarlo?), che non va sottaciuto.

La guerra è un elemento fondante la nostra stessa struttura aggregativa: quanto più degli uomini fonderanno società tanto più sarà necessario trovare forme di destabilizzazione delle stesse, in grado di mettere in moto meccanismi di travaso delle risorse.

Questo passaggio è storia, è nell’indole umana, da che il mondo è mondo. E tramite sistemi più o meno cruenti: colonialismo, dittature, schiavitù, deportazione, lavoro minorile, imperialismo, imposizioni commerciali, depauperamento risorse territoriali, sfruttamento manodopera a basso costo.

E guerre.

La guerra è volano di una economia stagnante. Mette in moto l’industria pesante e le collegate, pompa immani risorse economiche in circuiti rugginosi, apre spazi commerciali nuovi.
Fa crescere.
L’ospedale no.

8 ore di guerra in Iraq hanno creato posti di lavoro, permesso al signor Smith di cambiarsi l’auto e a Najm Udeen Joussef di raggiungere le sue 72 vergini.

8 ore di guerra in Iraq hanno reintegrato operai dell’industria pesante del Michigan e triturato una parte del Keli Haji Ibrahim, fornendo alla popolazione le pietre necessarie per le consuete, goliardiche lapidazioni.

8 ore di guerra in Iraq hanno pompato petrolio a basso costo nelle riserve americane, trascinando verso l’alto indici economici in costante calo da un decennio e destinati a sfociare in una possibile seconda Grande Depressione che avrebbe portato te, che scrivi di ospedali non costruiti, a non poter stare davanti un computer a scrivere di ospedali non costruiti ma a cercarti un lavoro senza più pensare agli ospedali non costruiti, in coda tra nugoli di pezzenti come te che manco in “Ladri di biciclette”, film che peraltro soffriva gravi lacune nella sceneggiatura per la carenza di parti descrittive di ospedali non costruiti.
Non ricordo se in quel film il protagonista quantomeno soffrisse per gli ospedali non costruiti.
Forse nel sequel.

Risorse, hai presente?

La Cina ha attualmente il monopolio di metalli rari usati soprattutto per l’elettronica: nel 2009 ha fornito il 95% della produzione mondiale con 120.000 tonnellate. Metalli come l’indio hanno oggi un costo di 1000 dollari al kg. Nel 2003 era di 60 dollari. E in poco più di un decennio si esaurirà, ‘sto cazzo di indio e la sua fottuta deriva musicale.

Ma a rischio ci sono anche il nichel (90 anni), lo stagno (40 anni, ancor meno le oche), lo zinco (46 anni) e l’antimonio (30 anni ma me ne farò una ragione). Le riserve geologiche di oro si potrebbero esaurire in 45 anni, quelle di argento addirittura in 30 mentre il sostegno al mio sciorinare dati, che mi fornisce Wikipedia, spero continui a durare a lungo.

Si tratta di metalli fondamentali per l’industria, soprattutto elettronica.

Vuoi continuare a scrivere che “Per costruire 12 ospedali servono 250 milioni di dollari, quel che ci costano 8 ore di guerra in Iraq” tramite il tuo ultimo IPhone? Prega che guerra sia. Armati anche tu, combatti un cinese e poi riparliamo di ospedali e fiori nei cannoni.

“Fate la guerra, sarà più bello poi fare l’amore in una lussuosissima suite”.