Non è vero ma non ci credo

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Wojtyla e Roncalli saranno dichiarati santi il 27 aprile. Dunque fino ad allora aspettate a chieder loro miracoli: potrebbero non realizzarsi.
Restano valide le preghiere ai santi già in possesso di regolare attestazione.
Quando mi chiedono: “Scusa, ma per una guarigione da un’epatite, che santo mi consigli?” io tendo a non dare indicazioni troppo precise, limitandomi ad indicare i grossi, quelli che tendenzialmente non danno fregature. È ovvio che un San Francesco garantisce un servizio migliore di un San Venanzio, quanto meno per il ranking. Tuttavia, visto anche l’affollamento di preghiere per questi “big”, non è raro trovarsi molto bene con i santi di seconda e terza fascia, spesso più agili. Conosco un amico che si è rivolto a San Bartolomeo ed è rimasto molto soddisfatto, mentre un altro, che aveva chiesto una semplice vincita al Gratta e Vinci a Gesù, è rimasto delusissimo.
Personalmente però sconsiglio di rivolgersi ai “santoni”: con Padre Pio si rischia davvero molto. Non è raro trovare macchine fortemente incidentate, equipaggiate con delle icone del Santo in questione, risultate totalmente prive di capacità protettiva.
Nel dubbio io consiglio sempre, in associazione con rosari e immagini votive, anche di allacciare la cintura. Certo, non è che occorra affidarsi in toto a queste cose, ma la tecnologia, se non giunge ad eccessi, può almeno dar conforto.

Lettera aperta a Papa Bergoglio

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PREGIATISSIMO Papa Bergoglio,

innanzitutto mi scuso se le ho interrotto qualche telefonata in corso.

È con viva cordialità che, sia pure solo a grandi linee, vorrei cercare con questa mia di rispondere alla lettera che ha inviato a Eugenio Scalfari e, con esso, a tutti i non credenti.

Il sottoscritto non si definisce, come Scalfari, “un non credente da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth“, vuoi perché lo Scalfari che conosciamo è andato da un pezzo, vuoi perché solo raggiunta un’età molto avanzata ci si comincia a porre più spesso problemi sul fine-vita e a cercare di dare un senso a ciò che sta per accadere. E occorre anche avere un sacco di tempo libero – vedi ancora Scalfari – che si può validamente impiegare nella verifica dei cantieri cittadini, nelle file alle Poste oppure, come il buon Eugenio, nel portare avanti con Lei un carteggio che al pubblico interessa quanto a Belen può interessare una corsa Tris. Certo, ci sarebbero i cavalli a creare magari un beleniano (beliniano) interesse, ma sorvolerei e andrei avanti.

Le parlo da privato cittadino, non credente, ovviamente per nulla praticante, ché ho una vita sola da vivere. Come Lei ben sa.

La ringrazio, innanzi tutto, per l’attenzione che sta ancora rivolgendo a noialtri senza Dio, i quali da sempre attendiamo di conoscere il suo pensiero riguardo a chi non ha Fede. O forse no ma facciamo finta, esattamente come i cattolici fanno finta di ascoltarla.
Perché – lei lo sa – nessun cattolico in realtà segue i suoi insegnamenti davvero fino in fondo.
Quando si chiede ad un cattolico di definire il suo rapporto con la Fede, egli si troverà spesso a parlare di profondo convincimento religioso ma di altrettanta poca pratica. Perché seguire Cristo ha un costo che pochissimi sono disposti a pagare.
Ma la Chiesa conosce i limiti umani, ed è per questo che ha introdotto “esimenti delle responsabilità” come l’aver agito in buona fede, oppure veri e propri istituti volti a ricreare una sorta di amnistia o indulto, quali la confessione e il pentimento in punto di morte.

Lei, Pregiatissimo Bergoglio, saprà che la maggior parte di quelli che sono in piazza per l’Angelus stanno facendo la gita fuori porta. E che, durante quell’oretta di voce tonante e sguardo al cielo, pensano per lo più all’amatriciana da “Giggi ‘o sfonnato” ai Castelli Romani. E che si strafogheranno con animo leggero, sentendosi a posto con la coscienza. Perché saranno stati “dal Papa”.

Perché, Pregiatissimo Bergoglio, l’uomo funziona così: si paga il proprio tornaconto morale, religioso, di coscienza appunto, con gesti più apotropaici che realmente sentiti.
Ha mai visto quelli che, quando passano davanti le chiese, si fanno il segno della croce? Certo che sì: lei passeggerà spesso per le strade di Roma, quando non è al telefono. Come ritiene quei gesti? Devoti?
Per non parlare dei calciatori, coi loro riti barocchi: tocco erba, tre segni croce, tocco labbra, tirata capelli, sguardo al cielo, altro segno di croce, tocco di tacco, tibia, nuca, ponte ponente ponte pi.
E quelli che hanno il Padre Pio appeso in macchina? O il rosario? Perché lo fanno? Per devozione? O più per protezione? Un qualcosa in grado di preservare l’incolumità e proteggere la nostra vita. Tipo una cintura di sicurezza, ma del tutto inesistente.
E chi va a messa la domenica, e mette la moneta da 2 euro nel cesto delle offerte? E a volte esagera e poggia la carta da 5 euro, perché lunedì c’è il colloquio col capo per quella promozione? O da 10, perché martedì c’è il referto delle analisi del sangue? Cosa sono quelle, offerte da devozione? A me sembrano marchette.

No, Pregiatissimo Bergoglio. Lei è intelligente e sa. Chiunque, con un minimo di raziocinio, riconosce in quei gesti una sorta di “bustarella” a Dio, un pagare ed acquistare favori, terreni o anche ultraterreni, un comprare la benevolenza dell’occhio nel triangolo.

Una cosa insomma molto misera, molto umana, molto pietosa.

Come pregare per guarire da malattie. Che il triangolo ci ha donato, nel suo incomprensibile disegno divino. Ma se è incomprensibile e se viene da Dio, perché chiediamo di guarire? Siamo credenti, accettiamolo e amen, no?
No, è scomodo. E qua si crede per comodità o per rendiconto. Anche il paradiso gentilmente offerto dall’occhio nel triangolo è un premio che mi devo conquistare. È il feticcio che voialtri agitate davanti agli occhi di persone semplici e intimorite.
E digiunare per la pace? Costa un piccolissimo sacrificio ma non solo ci si sente comunque più buoni: si partecipa ad un rito collettivo e Lei sa quanto le persone adorino essere parte di un gruppo, uno qualunque, pur di identificarsi e non sentirsi piccoli mucchietti di nulla nell’universo. Altrimenti, perché esisterebbero gli Ultras della Cavese?

Pregiatissimo Bergoglio, si stupirebbe di sapere quanta gente pensa a lei e ai suoi superiori mentre gratta un “Turista per sempre” preso in tabaccheria. E se non vince si sente un po’ deluso da Lei e dal triangolo, sa?

I suoi cattolici sono fondamentalmente questo: persone spaventate dalla vita – vieppiù dalla morte – e maledettamente deboli, bisognose di una guida.
No, non sono “i buoni”, loro, voi. Non lo siete. Così come i non credenti non sono il diavolo. Ma un non credente ha qualcosa che voi non avete: paradossalmente c’è qualcosa che solo il senza Dio possiede, sa? Ed è la libertà, oppure – voi la chiamate così – il libero arbitrio.
Già, Pregiatissimo Bergoglio, sono solo le persone che non si rivolgono ad entità superiori ad essere realmente libere. A possedere quella possibilità di scegliere di donare due euro al mendicante non per comprarsi un pezzetto di un paradiso che per il non credente non esiste, ma per puro spirito di solidarietà umana. Libertà di passare davanti una chiesa e non sentirsi costretto ad armeggiare con le mani attorno al viso (ma avete visto quanta gente si “scrocia” mentre guida?), in un tripudio di atteggiamenti oggettivamente ossessivo-compulsivi che non vengono ritenuti tali solo perché ci si agganciano credenze religiose. Libertà di guardare un culo – mi scusi Pregiatissimo Bergoglio ma so che anche la Chiesa ha da tempo ammesso l’esistenza dei culi – senza sentirsi di aver violato chissà quale dogma o comandamento promanante da un occhio in un triangolo.

I cattolici, spesso, sono ingabbiati nei loro loop mentali: naturale impulso comportamentale – classificazione dell’impulso tra “buoni” e “cattivi” – valutazione costi-benefici del seguire l’impulso “cattivo” – scelta di abbandonarsi all’impulso “cattivo” in quanto irresistibile – senso di colpa successivo – lavaggio coscienza o autogiustificazione – nuovo impulso comportamentale…

Il non credente ha magari altri circuiti, anch’essi basati sulla valutazione dei comportamenti. Ma manca certamente tutta quella parte nella quale si fa riferimento a liste comportamentali eteroprodotte e dunque spesso non intimamente condivise.
Certo un laico non vivrà conflitti interiori se dovesse imbattersi nel culo di cui sopra e dovesse dunque desiderarlo. Le sue valutazioni circa l’opportunità di relazionarsi con quel culo saranno esclusivamente sociali e personali.

In sintesi, Pregiatissimo Bergoglio, la lista dei valori che Lei e il suo triangolo di riferimento cerca di trasferire al suo mondo seguace, noialtri la troviamo semplicemente inconcepibile: io personalmente non mi pongo problema se desidero il culo della donna d’altri, ritenendo quella donna, portatrice di quel culo, come capace di intendere e di volere, e dunque di scegliere in autonomia tra me e suo marito. Da queste parti le donne le consideriamo alla pari degli uomini, sa? E pure i froci. Diciamo che chi non crede non classifica gli esseri umani sulla base della presenza o meno di un pezzo di carne in mezzo alle gambe, né guarda troppo alla tendenza ad apprezzare o meno la presenza del suddetto pezzo di carne. Mi sembra che voi valorizziate eccessivamente la figura del pene. Perché? Sono soli pochi grammi di ciccia: perché vi ossessionano tanto? Io non mi metto in paranoia se vedo un prete con un grosso doppiomento: è solo ciccia. Brutta a vedersi, certo.
Così come non mi pongo problemi se la domenica sistemo una mensola invece di venire in una sua dependance, o se non rispetto un genitore che non mi ha mai rispettato.

Quanto ai froci, Pregiatissimo Bergoglio, io credo che ciascuno debba semplicemente scegliere liberamente come vivere la propria esistenza e non sarò certo io a dirgli di non sposarsi, se ha scelto da solo questa forma di suicidio. Anzi: facciamoli fare, accelereremo il loro processo di estinzione per annichilimento matrimoniale.

Pregiatissimo Bergoglio, non voglio generalizzare perché sarebbe anche questo un errore, ma va riconosciuto che spesso lei ha a che fare con un gregge spaventato (anche per questo vi piace definirvi “pastori”, non a caso), che ricerca conforto dalle sue illuminate e ora anche telefoniche parole. Persone che la ascoltano, la apprezzano, la seguono anche, ma fino ad un certo punto. Ed il punto è tutto in quel cattolicissimo (e incredibilmente affine alla forma mentis dell’italiano-tipo) seguirla fino a che il sacrificio non diventi troppo gravoso. Dopodiché il credente comincia a costrursi autoscusanti per i propri comportamenti, per risolvere le sue insuperabili dissonanze cognitive, che lo vedono volersi sbattere la collega (sposata) e contemporaneamente credere alla potenza del rosario appeso allo specchietto dell’auto. Tra i due (rosario-collega) vince la collega, perché lei ha le pere e il rosario no. E cosa fa il nostro peccatore una volta scelta la collega? Rinuncia a seguirla? Stacca il rosario? Giammai! Anzi! Domenica in chiesa poggerà la 10 euro, per recuperare un po’ di favore da Lei e dal triangolo. Si andrà magari a confessare. Comunque cercherà nelle sue parole un minimo di comprensione per la fallibilità umana. E le troverà, perché lei è sempre alla mano e così anticonvenzionale. E allora, l’uomo col rosario appeso che si sbatte la collega sposata, magari domenica se lo ritrova in chiesa. Ma mentre è là pensa sempre alla collega (con pere), che l’indomani vedrà di nuovo. Ma si sentirà sbagliato nel pensarla in quell’ambiente, e cercherà di allontanare dalla mente quei cattivi pensieri. Perché ci avete insegnato che non si deve desiderare la donna d’altri. Dico: desiderare. E gente qua davvero pensa che una cosa incontrollabile come il desiderio possa in qualche modo danneggiare un triangolo (sto semplificando, ma pure voi, usare figure geometriche semplici!).
In ogni caso il Nostro, lunedì, riprenderà il solito tran tran di sotterfugi, bugie, intrallazzi e fornicazione. Sempre col rosario appeso. Sempre con un po’ di sensi di colpa. Che durante l’atto però fanno trasgressione, aumentando il piacere.

E vogliamo parlare del suo target prediletto, Pregiatissimo Bergoglio? Gli anziani. Premesso che il loro vivere in castità dipende da forza maggiore e non da scelta, pensa davvero che la loro sia devozione? Pensa davvero che, fuori dalle chiese, queste siano brave persone che portano avanti i suoi insegnamenti?
Le assicuro che non c’è nulla di più cattivo di un vecchio inacidito e con l’unico conforto in due pezzi di legno in croce. Io me lo ricordo, quello che mi bucava il pallone: andava sempre in chiesa la domenica.

Questo per dirle cosa? Che la sua lettera ai non credenti mi pare l’ennesimo tentativo marchettaro per risultare anticonvenzionale, moderno, aperto a tutto e a tutti. E pare che questa sua strategia sia premiante. Tra l’altro lei è anche estremamente simpatico, mica come quell’altro. Tantissimi dicono che lei è un grande Papa e che è persona degna di stima. E lo penso anche io. Solo che comincia a sembrarmi un po’ troppo… come dire: presente? Lo dico sempre per gli stessi motivi marketing: cerchi di non seguire l’esempio di un Saviano che oggi commenta pure le poesie e ci parla di quanto le mozzarelle di Bojano si accompagnino bene con le fave di Ripalimosani.

E mi scuso per l’accostamento con Saviano, già solo per le sopracciglia.

Pregiatissimo, ma mi sta ascoltando?

Maledette tariffe flat.

Vabbè.

 

Con fraterna vicinanza,

UMC

Fisch macht frei

lavoro

Il mercato del lavoro è come il pesce. Dopo tre giorni puzza. Il pesce, dico. Il mercato del lavoro no ma probabilmente ha altri punti di contatto col pesce. Questo se ti occupi di una pescheria, ad esempio. Oppure se vendi acquari o se leggi in tv l’oroscopo, in particolare quando arrivi a “pesci”. In quei casi il mercato del lavoro ha fortemente a che fare coi pesci*, con Lapalisse e con Emo Philips.
* So per certo che i delfini sono molto intelligenti, anche se non sono pesci ma ci assomigliano tantissimo**.
** La digressione sull’intelligenza dei delfini serviva a conferire alla narrazione un che di leggero, visti gli sviluppi a breve.

Però, dato che mi hanno detto che so costruire belle similitudini, proviamo a fare uno sforzo e ad abbandonare la cosa dei pesci, anche se un po’ cominciavano a starmi a cuore, forse per gli Omega 3.

Ecco, il mercato del lavoro è forse più simile ad una latrina, o un cesso pubblico, sì: ricordo di averlo scritto in passato ma ora mi è più chiaro il quadro. C’è tanta gente che fa i comodi suoi da sempre, da quando il cesso era nuovo e pulito.
Questi hanno lasciato merda dappertutto. Tu arrivi perché hai bisogno e cerchi di accomodarti alla meglio, consapevole che sarà una sofferenza ma comunque è necessario. Allora provi a fare le tue cose, ma qualcuno ha già finito le risorse, ha sprecato tutto quello che a te ora servirebbe come l’aria: manca la carta, lo sciacquone è rotto, non puoi appoggiarti da nessuna parte. Provi a cercare altro ma niente: non ci sono cessi liberi a tempo indeterminato. Sono tutti vincolati a condizioni, stagionalità, precarietà. Qualche cesso addirittura richiede un pagamento per potervi accedere, e la cosa la trovi profondamente truffaldina.
Allora ti accontenti di un cessetto a progetto, di quelli aperti giusto per fare le tue cose e poi via, non ci rientri più. E in quel momento ti pare comunque una gran cosa: non hai più orizzonti temporali elevati, vivi la tua cacata alla giornata e pure se non sai dove la farai domani, ora il bisogno è troppo urgente per pensare.

Intanto ti giunge voce che qualcuno meno bisognoso di te ha trovato un cesso meraviglioso grazie ad un suo amico che costruisce cessi per Montecitorio. Ti gira il cazzo. Si sa che alcuni privilegiati hanno cessi sontuosi, con tutti gli accessori.
Questo fa incazzare chi come te è dentro dei letamai, ma ancor più chi ne è del tutto fuori. Allora cominci a dar retta a quello che si è fatto avanti, che pare parlare bene e portare avanti gli interessi di quelli come te, che cercano solo un cesso decente. E gli dai fiducia. Salvo poi capire che il sistema è troppo più grande anche di chi ci crede davvero. E volti pagina e cerchi di non pensarci, né di continuare in questa deriva populista che potrebbe presto portarti a scrivere tutto in maiuscolo e con enorme profluvio di punti esclamativi.

E allora ormai ci sei, nel tuo cessetto provvisorio. Ma non fai neppure in tempo a renderti conto dello schifo che c’è che ti dicono che sei fortunato, che alla porta c’è qualcuno più motivato di te che se non fai le cose velocemente e senza fiatare ti prenderà il posto prima ancora che tu termini le tue cose.
E tu cominci a pensare a come campare senza bisogno di cacare a vita. La morte?
Poi fai un’analisi di coscienza e ti rendi conto che non sei solo: che c’è una famiglia a casa che ti aspetta, che devi pagare il mutuo. E allora non puoi rinunciare a quel nulla. E la fai.

E inizi ad abituarti. Ti dicono che puoi restare pure per una pisciata. Ma tu non reggi più a quelle condizioni e ti viene alla mente che i cessi pubblici tedeschi funzionano, così quelli in Australia. E che solo quelli italiani funzionano così, hanno sempre funzionato così: chi prima arriva si fa i cazzi suoi alla grande. Anche per questo ce ne sono pochi. E quelli che ci sono sono già occupati. E non vedi l’ora di uscire da quel letamaio dove hai faticato tanto a entrare. Ma qui è il bello: non ci riesci. Non ci riesci perché anche l’uscita è sottoposta a condizioni e tempi, magari si è incastrata la porta in una riforma delle latrine, oppure è stata posticipata l’uscita dai cessi a 74 anni. E anche se qui la similitudine non regge più, l’autore continua lo stesso, affidando la vis comica in questo breve periodo ad un nonsense mirato e ad una costruzione in terza persona assolutamente ridicola.

E allora continui a sudare là dentro, sperando di abituarti alla puzza. E il tempo passa. E allora cominci a pensare che non c’è speranza, per quello giovane che continua a bussare alla porta, che sta male davvero. Anche se ora tu gli lasciassi il posto, lui troverebbe una situazione insostenibile. E così non ti senti manco più in colpa per non andare via. Ormai sei abituato. È un sistema, ormai. E magari quello si è già arrangiato per cazzi suoi. E tu sei in pace con te stesso, anche per aver ricostruito una strada discorsiva credibile per la tua similitudine.

E la speranza termina quando, finalmente uscendo a riveder le stelle, ti accorgi che la fila fuori dai pochi cessi rimasti è diventata interminabile.
Ma ormai sei troppo stanco per farti carico di questo problema: lo Stato ti ha fornito di pannoloni. Certo, sono umilianti, non bastano per arrivare a metà mese e non ti slanciano certo la figura. Ma cosa vuoi fare ormai? E poi io mi preoccuperei di più per quelle espadrillas.

Magari scrivere, ecco. Ammazzare il poco tempo rimasto. Ti è sempre piaciuto scrivere. Un bel pezzo. Una similitudine magari, tra i pesci e il lavoro.

Chissà dove andrà a parare.

Collezionare figurine. Ma più figure.

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“Nulla rende lo spirito angusto e geloso come l’abitudine di fare una collezione” [Stendhal]

Quanti di voi collezionano qualcosa?
Parlo di oggetti fisici, qualcosa che si possa materialmente toccare.
Le tette della cognata non rientrano in questa fattispecie. E poi sono solo due, che collezione ridicola!
A meno di avere molte cognate. O essere in una scena di Total Recall.

Francobolli, bottiglie di birra, monete, farfalle (queste ultime da mostrare a ragazze particolarmente vintage), navi in bottiglia, spillette, puffi, piatti, tazze, sottobicchieri, scontrini (ossessione di alcune grilline), stampe, penne, schede telefoniche, scatole di latta, soldatini di piombo, rane di cristallo, gufi del cazzo forza Juve!, carte da gioco, bustine di zucchero, biglie, pastiglie, stoviglie, maniglie. Versioni di Internet Explorer.
Tutto è collezionabile.

Ho parlato con uno psicologo (al di fuori dalla terapia) e gli ho posto i miei dubbi al riguardo. Cercavo conferme a questa teoria: chi colleziona qualcosa è un uomo spaventato.
So che attirerò su di me gli strali di molti di voi. Specie chi colleziona strali. Ma le cose vanno dette. E poi colleziono nemici.
Lo psicologo mi ha confermato la mia teoria, puntellandola con casi di studio specifici.

Tutti noi abbiamo collezionato figurine, no? Perché lo facevamo? Ho provato ad analizzare bene la cosa e sono giunto ad una risposta scientifica assolutamente inconfutabile: eravamo bambini, Cristo!
È ovvio che dei bambini siano attratti da oggetti, vieppiù se raffiguranti i loro idoli. Ammesso e non concesso che Darko Pancev potesse essere un idolo di qualcuno. Almeno fino a quando non ha deciso di cambiare il cognome in Donnie.
Ma quando si cresce, perché si colleziona?
La mia risposta è questa: si ha paura.
Paura del tempo che scorre, paura del futuro.
Collezionare significa accumulare, certo. Dunque pesca nell’atavica ricerca di ricchezza (e correlata tranquillità) insita in noi.
Ma significa anche mantenere le cose sotto controllo, avere il pieno dominio di un universo. Fermare il tempo, che è sempre uguale a se stesso, in quell’universo specifico.
“E come la fai lunga! Io colleziono le sorprese degli ovetti Kinder perché sono simpatiche, che cazzo di esagerazione, il tempo!”.
Bene. Credo che la tua collezione ti inquadri perfettamente. E con te manco ci parlo. Non so neppure come tu abbia avuto le chiavi di accesso al mio blog, per scrivere in autonomia.
“Ah, pensavo fosse una trasposizione, io che parlo per bocca dell’autore e…”
No, non ho autorizzato il tuo intervento.
“Chiedo scusa”.

Insomma, il controllo di un flusso è ciò che muove il collezionista di oggetti. Specie se gli stessi non hanno un riscontro economico. Altro è collezionare Picasso e Renoir. Ma non è cosa per tutti. Pagare un Mark Rothko 34 milioni, ad esempio. O i tagli di Fontana 13 milioni. Qui si parla spesso di amore per l’arte o semplice speculazione. Ma anche per elevarsi, apparire culturalmente migliori di quanto non si sia.

“Sottoposta a psicanalisi la figura del collezionista ne esce male, e dal punto di vista etico c’è certamente in lui qualcosa di profondamente egoistico e limitato, di gretto addirittura” [Mario Praz]

Insomma, il mio psicologo mi ha detto: “Non dovresti essere qua: non è martedì”. Poi gli ho spiegato che volevo parlare di collezionismo.
– Certo, hai ragione, le cose hanno questa proprietà simbolica di riempire.
– Potrei farci un mare di battute su questo, sai?
– Ma saresti banale.
– Già.
– Il collezionista tenta di superare delle mancanze che ha.
– Io pensavo anche al fatto che è un modo di fermare il tempo.
– Certo che lo è: la collezione fa proprio questo. Mantiene le cose sotto controllo, ti dà il pieno dominio di un universo. Ferma il tempo, che è sempre uguale a se stesso, in quell’universo specifico.
– Ma hai fatto il copia incolla di quello che ho scritto io sopra?
– Certo, l’avevi scritto bene.

Pensate al lavoro dietro una collezione: catalogare, cercare nuovi pezzi, sistemare, chiedere agli amici in vacanza di riportarti quel pezzo che qua non si trova. E se si tratta di una statua in pesante ebano, di un Watusso, scala 1:1, magari l’amico te la riporta pure, ma poi non lamentarti se ti scopa la donna.

Perché lo fate? Perché volete essere presi per il culo dagli amici che quando non ci siete dicono:
– Oh, hai visto Fausto? Ha speso 170 euro per un altra Barbie rarissima – dice. Collezionare bambole, a 43 anni.
– Veramente lo faccio anche io.
– Le tue si muovono.
– Non sempre, ti assicuro.

Insomma, a parte queste costruzioni dialettiche ardite, e le risalite, io sono molto spaventato quando incontro un collezionista, specie di oggetti inutili.

No, le donne non si collezionano. Né rientrano negli oggetti inutili.

Oddio, qualcuna pare un Picasso, ma è più un problema suo.

Siamo tutti uguali. Ma tu sei meno uguale di me.

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Potresti trovartelo a votare al seggio, con te

Ho un amico con la terza elementare. Non ha mai potuto partecipare a un concorso pubblico proprio per questo, pur se possiede una cultura “sul campo” smisurata, oltre a essere dotato di intelligenza superiore.
Ma nessuno, neppure lui, trova strano che una persona con la terza elementare appunto, non possa concorrere per un ufficio pubblico. C’è gente che ha studiato, e molto, ed è senz’altro più qualificata di lui.
Certo, quando poi si parla di concorsi per bidello, o inserviente, o magazziniere al Ministero le cose cambiano: credo che in quei casi tutto ciò che si deve dimostrare è capacità e competenza. Dubito sia utile conoscere gli affluenti del Danubio. Oppure il Testo unico sull’ Ambiente, D.Leg.vo 03.04.2006 n.152.
Ma in Italia siamo ormai talmente abituati a fare un concorso su tutto che neppure ci fa troppa specie se per pulire il culo ad una babbiona in ospizio, si debba rispondere a domande di geografia, storia, diritto costituzionale, quantistica.
Gli scandali sono altri, no? E poi meglio una persona preparata che una ignorante, no? Questo a prescindere.

Bene.

Domanda: perché, per il posto di lavoro più importante di tutti, non ci si sottopone ad alcun test? Non si deve dimostrare assolutamente nulla? Si può essere completamente ignoranti, purché capaci di intendere e di volere?
Con anche il rischio che questa totale ignoranza comporti seri problemi all’intero sistema-Paese.
Anzi, la certezza che ciò accada.
Vi pare una cosa plausibile?
Eppure è ciò che accade oggi.
Il lavoro più importante e insieme diffuso è anche quello che puoi svolgere pure se pensi che il Presidente della Repubblica sia scelto da Dio, che l’Italia confini con l’Etiopia, che sia in vigore la pena di morte in Molise (magari già solo per il solo fatto di viverci).

È accettabile tutto questo?

Quale lavoro?
Beh, quello di cittadino. Quello che porta a scegliere le persone che decideranno del destino di un intero Paese. Quello che fa sì che le strade non siano invase dai rifiuti. Quello che ti permette di circolare in auto con una relativa tranquillità perché si conta sul fatto che, in caso di incidente, l’altro cittadino sia assicurato. Quello che in sintesi, crea le regole comportamentali e di vita relazionale.

Ebbene, tu puoi essere cittadino ed esprimere diritto di voto sia che tu sia consapevole delle regole del vivere civile, sia che tu sia un mentecatto che come massima lettura ha l’inserto-Mondiali della Gazzetta.

Puoi mandare in Parlamento gente in grado di fare danni serissimi a intere generazioni, presenti e future: basta che tu sia nato. Un concetto di Ius naturale sviluppatosi quando la cultura era realmente privilegio di pochi.

In sintesi non devi dimostrare un emerito cazzo. Puoi anche non sapere come funzioni il sistema rappresentativo, puoi anche pensare che la magistratura sia un organismo (composto da donne malvestite) che come unico scopo istituzionale ha l’annientamento di Berlusconi, puoi non conoscere i compiti della Corte Costituzionale e pensare invece che la Corte dei Conti sia un apparato nobiliare.

Puoi letteralmente non sapere nulla. E io posso trovarti là, accanto a me, il giorno delle elezioni, ad esprimere un voto. Che avrà lo stesso peso del mio. Che conosco La Corte Costituzionale. Che mi sono documentato sui candidati. Che so chi appoggia l’acquisto degli F35 e chi no. Che ho speso tempo. Tempo. Per capire. Capire chi sia persona degna di rappresentarmi e chi no. Mentre tu giocavi al bar al videopoker. Peraltro perdendo. Tu. Che ti informi solo sul numero delle campane che devono apparire sul gratta e vinci.

Il mio voto vale uno. Come il tuo.

E no, non fatemi pipponi sulla democrazia, sul fatto che pur essendo un pessimo sistema è sempre il migliore e blablabla.
Ci si riempie la bocca solo di una forma di buonismo sociale che alla fine mortifica noi stessi. Perché ci ritroveremo cialtroni al potere. Cialtroni che sì poi saranno rappresentativi del Paese. Ma perché siamo stati noi a permettere che questo accadesse.

Nell’Italia in cui l’Educazione Civica (maiuscolo) è un optional a scuola, possibile che nessuno prenda seriamente in considerazione questa che pare una boutade, quando rappresenterebbe una reale presa di responsabilità, personale e collettiva, e permetterebbe di creare i presupposti per un vero crescere civile?

Parlo del diritto di voto pesato.

Si vota? Sei un cittadino italiano, hai diritto di voto. Anche se sei una capra. Anche se a 45 anni il massimo dell’espressione culturale che ti ho visto comprendere è stato un pallonetto di Neymar. Anche se coi tuoi amici fai la gara di caccole nasali. Anche se l’ultimo Tg che hai visto aveva come conduttore Emilio Fede. Anche se sei Emilio Fede. E queste cose le trovi normali. Essere Emilio Fede, in particolare.
Fai un test. Sei obbligato a fare un cazzo di test. Di cultura. Cultura civica.

Si vota per la regione? Devi sapere che cazzo è una regione! Devi sapere quali regioni ci siano in Italia. Devi sapere che regione non è provincia. Devi almeno subodorare il fatto che chi governa una regione non è la stessa persona che sta a capo della tua città. O del tuo condominio. Non sempre, almeno. Puoi tentennare solo sul Molise, questo è normale.

Si vota per il rinnovo del Parlamento? Tu devi sapere che esistono due Camere. Quanti anni starà là quello che stai scegliendo. Devi sapere che non è che se poi non ti piace gli mandi la disdetta. Devi sapere cosa sia una sfiducia! Devi conoscere le procedure che portano un Primo Ministro a diventare tale. Non nel dettaglio ma quantomeno come linee generali. Sapere che non esiste un diritto di successione familiare, almeno fino al prossimo Lodo Alfano. Devi sapere come è fatto Alfano, ecco! Avere presente i suoi caratteri somatici. Riuscire a distinguerlo da Ghedini.

Devi sapere chi è attualmente a capo del PD.

Sì, questa è difficile, lo ammetto.

Ma devi sapere, perdio!

Se non sai nulla di tutto questo, perché il tuo voto dovrebbe pesare come il mio? Perché solo in questo caso l’ignoranza paga?

Possibile che il voto di un astrofisico impegnato nella ricerca, che si informa quotidianamente sulle problematiche sociali, che sa dove sia il Darfur e ha adottato tre bambini colombiani a distanza, e il voto di Pasquale Sciosciammocca, eroinomane di Scampia, pluripregiudicato, con rari  momenti di lucidità e tre accoltellamenti, manco ricorda se fatti o subiti, pesino allo stesso modo?

Tu, prima di votare, ti metti là e fai un quizzettino. E rispondi a domande di Educazione Civica (maiuscolo).
Sulla base del risultato, il voto avrà un peso.
Al massimo varrà 1. Vorrà dire che hai piena consapevolezza e sei veramente un cittadino responsabile.
Se sbagli, se dimostri che “non hai studiato”, anche qua devi avere delle conseguenze, come in qualunque altro settore della vita.
E allora, magari, se pensi che una “riunione di gabinetto” sia una cacata collettiva al mattino, il tuo voto varrà 0.5.
E allora, magari, se di “Transatlantico” conosci solo il Titanic, il tuo voto varrà 0.8.
E allora, magari, se quando si parla di “membro del Parlamento” ti viene solo qualche battuta scontata tipo Giannelli, sei Giannelli. Dunque il tuo voto varrà 0.3.

È utopia? È qualcosa di scandaloso? Giannelli sì, certo. Ma non certo questa idea di diffondere cultura civica.

Si lede l’intoccabile concetto di suffragio universale? No. Si rendono i cittadini consapevoli dell’importanza che ha l’Educazione Civica (maiuscolo). E del potere che ciascuno possiede.
Potere che molti esercitano in modo disastroso, superficiale, inconsapevole. Ignorante.

Il cialtrone al potere ci va solo se ce lo mette un altro cialtrone.

E ora chiedetemi se sono preparato per la docenza che devo tenere. Perché è giusto così, sono investito da una responsabilità precisa, che sento, vivo.
Per insegnare devo sapere, conoscere e saper trasmettere. Devo superare test, continuamente. Ed ogni docenza è un test a sua volta.
Ed è giusto che sia così.

A votare invece posso essere spogliato da qualunque responsabilità e fare danni inenarrabili.

Il voto della Hack valeva come il voto di quella che controlla l’oroscopo e basa la sua giornata su qualcosa firmata “Branco”, “Paolo Fox”.

Ed è questo, il più grande oltraggio alla democrazia.

“Bionda, bionda, beato a chi…” “NO!”.

“Non si risponde a una domanda con una domanda”.
Perché?

“I tatuaggi vanno dispari”.
Perché?

“Occorre sempre essere coerenti”.
Perché?

“Non stare troppo al pc”.
Perché?

“Chi non ama gli animali non ama nemmeno le persone”.
Perché?

“Eh, le rosse sono belle ma creano un sacco di casini”
Perché?

E tengo fuori tutti i “si fa/non si fa” di matrice religiosa, altrimenti non ne veniamo fuori.

Più passano gli anni e più mi accorgo che le persone parlano con frasi fatte che vanno oltre i luoghi comuni e la cosiddetta “saggezza popolare”. Si tratta di costruzioni artificiose, spesso anche slegate da qualsiasi aggancio logico, igienico-sanitario, culturale.

La cosa dei tatuaggi dispari – che sembra la più cervellotica – in fondo è l’unica, degli esempi citati, con una ratio storica: i marinai se ne facevano uno prima di imbarcarsi per lunghi viaggi e un secondo una volta arrivati a destinazione. Il terzo, tornati a casa. Dunque, avere tatuaggi pari significava semplicemente non essere ancora a casa. Il che non era necessariamente un male, ma diciamo che il detto poteva avere senso. Allora. Ma oggi siamo nel 2013 e io di marinaio ho solo le promesse; dunque?

Vogliamo o no affrancarci da questo immane peso anticulturale che ci ostiniamo a portarci appresso? Ma non vi va di sentirvi più leggeri? Pensate che davvero l’acqua elimini l’acqua? E cosa elimina l’acqua che elimina l’acqua? Vuoi vedere che alla fine aveva ragione mio nonno e serve il vino?

Tutto questo comporta un peso enorme sulle spalle soprattutto di chi non dispone di armi culturali sufficientemente evolute: sentire frasi fatte e non fermarsi a riflettere sul loro reale significato, sulla loro effettiva corrispondenza al vero, sulla loro utilità, significa affidarsi ad un tassista orbo: da qualche parte ti porta ma non è detto che sia dove vuoi tu, né che ci arrivi tutto d’un pezzo. E soprattutto nessuno ti assicura che il sottoscritto sia in grado di costruire sempre similitudini azzeccatissime.

Il punto è che i ragionamenti preconfezionati spesso impediscono di approcciare la realtà in modo libero, di trovare soluzioni nuove a problemi vecchi, di uscire da loop sui quali ci aggrovigliamo. Quando basterebbe un po’ di sforzo ed evitare di dire senza pensare quella frase che viene in automatico quando accade l’evento X.

“Occorre essere sempre coerenti”. Con cosa? Con se stessi? Ma se io cambio di continuo. Perché dovrei essere coerente con quello che ero prima? Non è l’uomo il sommo esempio di adattività ambientale? Di capacità di cambiamento? Non ci sono infiniti corsi appunto sul cambiamento e sulla sua gestione? Perché la coerenza dovrebbe essere un valore? “Coerente” è una bellissima parola che non significa un cazzo. Se fossi coerente non maledirei la vita su Facebook, ostinandomi a rimanere poi vivo per vedere la finale di Champions. Non parlerei male di tutti gli uomini, dandola poi via all’ennesimo puttaniere che “vabbè, è un po’ stronzo, però…”. Se fossi coerente non manderei a fanculo i politici che rubano, salvo poi accettare il lavoro in nero dal dentista. Se fossi davvero coerente con ciò che ero all’inizio, oggi, sarei uno spermatozoo che vaga alla ricerca di ovuli.

Beh, un po’ coerente sono rimasto.

 

 

Morto un Papa, muore pure l’altro

Ho sentito che Villaggio si è sentito male. Mi sono subito preoccupato ma poi ho pensato che non me ne frega niente di Villaggio. Questo è bastato a sentirmi meglio*.
Allora ho fatto un passo avanti e ho cercato altre persone malate di cui non mi fregava un cazzo, per provare finta preoccupazione e susseguente immediato sollievo. Funziona benissimo e lo consiglio a tutti.
Insomma, se mi dovessi preoccupare di tutti quelli che si ammalano e muoiono mi sparerei un colpo in testa immediatamente, perché qua c’è gente che si ostina ad ammalarsi e a morire.
Credo lo facciano apposta per crearmi quell’imbarazzo da finto dispiacere, quello sociale e ipocrita, perché “Ci lascia un grande”.
È da quando ero piccolo che quelli famosi muoiono. Ho capito da un pezzo che non hanno superpoteri, nonostante i soldi. Forse è per questo che dicono che i soldi non fanno la felicità. Io non so se facciano la felicità ma di certo non fanno l’immortalità.
Forse l’invisibilità, ma solo se sei grande evasore.
Pure Jobs, con tutto il suo genio, non ha saputo inventare una app contro il tumore. Ed è da allora che sono passato ad Android.
Alla fine muoiono tutti. E a me non cambia nulla.
La Montalcini? Morta.
Jannacci? Morto.
Califano? Morto.
Giulio Cesare? Morto.
Antonio Romanelli? Non lo conosco ma muore sicuro.
Ricordo che quando morì Paolo VI – ero piccolo – vidi mia mamma piangere. Io provai a piangere con lei ma non mi venne. Mi sentii in colpa. Da allora odio tutti quelli che muoiono, di cui non mi fotte nulla, perché secondo me lo fanno apposta.

* Che poi. Villaggio per me è morto dopo “Il secondo tragico Fantozzi”*.
** Ma pure se avesse fatto altro di interessante non mi sarebbe fregato lo stesso***.
***In ogni caso ha preso ed è tornato a casa: manco è morto, dunque tutta ‘sta manfrina per nulla.

Utopia, prima svolta a sinistra

Sogno un mondo in cui poter liberamente disprezzare un cristiano, un musulmano o un ebreo per il fatto di “credere” in sè, non per il credere in queste o quelle specifiche religioni. Così come poter disprezzare un “ateo praticante”, quelli che per dimostrare la propria anti-religiosità si sottopongono a complessi e strutturati riti collettivi come lo sbattezzo, mortificando con pubbliche cerimonie il loro rifiutare pubbliche cerimonie.

Sono costretto invece a seguire la Legge di Poe, e mettere specifici “segnali” di avviso circa il contenuto parodistico del mio porre alla berlina ogni tipo di Credo:

“Without a winking smiley or other blatant display of humor, it is utterly impossible to parody a Creationist in such a way that someone won’t mistake for the genuine article”.

Questa mortificazione costante del pensiero, questa edulcorazione del messaggio, questa pagina 777 per i non capenti diventa ogni giorno più necessaria sull’internet sociale. Forse perché aumenta il numero degli “ascoltatori” vigili ma ignoranti, quelli armati di perbenismo ma privi di una storia informatica in grado di mostrar loro come basterebbe applicare i principi di Netiquette per poter convivere pacificamente e risolvere problemi di ogni tipo, anche con le cattive se necessario.

Ma io continuo a sognare. Sogno un mondo che possa permettersi di prendere per il culo liberamente anche le mezze religioni, come veganismo, animalismo, abortismo, antiabortismo, culto della personalità. Fingendomi volta per volta vegano ma carnivoro solo con gli animali carrnivori (per punirli), animalista ma azionista Annabella Pavia, abortista e antiabortista a seconda di chi veniva (sic!) da destra, anti culto della personalità fino a che non mi eleggono.

E ancora: sogno di poter prendere per il culo qualunque tipo di collezionista di oggetti, di igienista ossessivo, di chiuditore compulsivo di manopole del gas, di maniaco controllore delle porte dell’auto, di amuchinizzatore di mani proprie e altrui, di tifoso calcistico e tuttologo di mercato.

Sogno di poter parlar male della savianizzazione del pensiero, del berlusconismo, dell’antiberlusconismo, di chi è per il “no alle armi” ma “sì ai cazzotti”, ma non sulle donne, allora picchiamo solo gli uomini, se non ora quando, facciamo dopo pranzo, Renzi era meglio, pure mi’ nonno lo era, abbasso la Kasta, I GRILLINI, gli anti grillini, gli anti anti grillini, torniamo alla lira o finiamo come Cipro, ma non era la Grecia?, sì pure, E la Minetti?, E la Boccassini?, sì ma qual è la domanda?, se non ora quando?, ancora!? Quando ti pare basta che ti togli dai coglioni, il femminicidio, la neologizzazione minchiona, ma “omicidio” non andava bene?, no, quello vale per gli uomini, ti sbagli, allora sarebbe stata “maschicidio”, hai ragione, allora cos’è l’omicidio?, boh, forse quando ammazzi i froci.

Sogno un mondo in cui posso non sognare un cazzo perché in fondo mi sta tutto bene così.

Perché la democrazia è come la carta da culo

Quello che “L’Italia è un cesso di posto”.
Quello che “Non andrei mai in Germania”.
Quello che vota Grillo.
Quello che non vota Grillo.
Quello che non mangia carne.
Manco di Grillo.
Quello che è contro chi non mangia la carne.
Quello che poi fa: “ma in fondo ciascuno deve fare quello che crede”.
Quello che risponde: “No, ci sono dei limiti a questa libertà”.
Quello che dice: “Di che cazzo state parlando?”.

Hanno ragione tutti.

Mi sono reso conto che in realtà le prese di posizione non partono da intime convinzioni ma da una serie di fattori che alla fine ci rendono quello che siamo e ci portano a scegliere una parte piuttosto che un’altra semplicemente per caso, abitudine, opportunità, voglia di caratterizzarsi, empatia con chi ha già quella posizione, protesta, desiderio di mostrarsi diversi dagli altri, bastiancontrarismo, turbe.
Quindi, se scrivo una battuta nera, avrò ragione io, che rivendico la forza catartica dello scherzo sulla morte e sulla sofferenza. Avrà ragione chi scrive invece cose più leggere e mi accuserà di giocare con roba in grado di ferire certi animi. Avrà ragione chi mi difende, perché libero di poter scegliere cosa leggere. Avrà ragione chi attacca chi mi difende, perché si è magari sentito chiamato in causa personalmente. Avrò ragione io di nuovo, che sarò pure libero di scrivere quel che voglio. Avrà ragione che mi dirà che in fondo scrivere è una cosa, pubblicare è altra e ci sono sensibilità particolari che.

Così se mangio un hamburger avrò ragione io a scegliere di uccidermi col colesterolo. Avrà ragione l’animalista, che si limita a togliere la vita a lattughe (esseri viventi minori). Avrà ragione il medico, che punta tutto sul discorso-salute. Avrà ragione l’altro medico, che dirà che anche la carne deve rientrare in un piano alimentare equilibrato. Avrà ragione la vegana, che dirà che non è necessario usare carne perché la soia fa miracoli. Avrà ragione quello di prima incazzato ancora sulla mia battuta nera, che è rimasto ad insultarmi anche mentre passavo a quest’altro esempio.

E avrà ragione l’interista, quando si sente defraudato di quel calcio di rigore. E di aver perduto Roberto Carlos (gli interisti non hanno mai superato ‘sta cosa). E avrà ragione l’arbitro, che non l’ha proprio visto. E ha ragione il calciatore, che non si sente di aver commesso fallo. E avrà ragione l’altro calciatore, che il fallo l’ha sentito. Anche se era in tribuna.

E avrà ragione il berlusconiano, che “qual è l’alternativa?”. E avrà ragione il ciellino, che invoca Dio pure dentro le aule istituzionali. E avrà ragione il comunista, e Baffone.

Hanno ragione tutti.

Questo per dire cosa? Che trovo ridicolo accanirsi, azzuffarsi, combattere per far emergere la propria idea o posizione: non è certamente l’unica corretta.
Ogni punto di vista deve essere considerato alla pari degli altri. E non in ossequio ad una generica e buonista visione democratica della vita, affatto. Semplicemente perché quella non è “LA” verità ma una visione delle cose, come altre mille altrettanto valide.

Le opinioni sono degne di rispetto a prescindere.

Questa cosa è banale, scontata, strasentita? Certo. Ma attenzione: qui non si parla di diritto di parola. Affatto. Qui si fa un discorso tutt’opposto: la democrazia non serve. Il diritto di parola è non solo sopravvalutato ma dannoso.

E va eliminato.

Se tutte le opinioni sono ugualmente importanti e se nessuna di queste è in realtà “LA” verità assoluta, è inutile discutere. Che si dia ragione a chi riesce a prendersela.
Questo in genere avverrà con la forza, ma da sempre sono ammesse anche arti subdole come la manipolazione del pensiero altrui, l’inganno, la trappola, il plagio, l’asservimento, la coercizione, la lusinga, la frode, la corruzione, la pressione psicologica, il ricatto, l’imposizione, la repressione, la sopraffazione, la violenza, il trucco, l’espediente, la smutandata pubblica, la scoreggia in auto.

Si tratta di riduzione del rumore mediatico, di ricondurre a unicum una moltitudine di opinioni talmente frammentate da risultare del tutto deleterie per il progresso umano.
A cosa serve dare parola a tutti se tutti hanno poi ragione?

Pensate ad un enorme rotolo di carta igienica. Ogni opinione è uno strappo. Sono tutte ugualmente importanti – gli strappi sono tutti uguali. Non c’è uno strappo più lungo di un altro. Non c’è uno strappo più importante dell’altro.
Magari l’ultimo, ma solo se avete calcolato malissimo.

Ci siamo? Mi seguite?
Bene. Arriva ad un certo punto uno che prende e di queste opinioni – strappi – si pulisce il culo. Non importa quanto l’opinione fosse ben articolata e argomentata. Viene comunque ricoperta di merda. Dall’unico che detiene il potere.

Dunque?

Dunque la mia proposta è: smettiamola con la dialettica, i dibattiti, le discussioni, i comizi, le tribune, le arringe, le Amache, i giornali, i tiggì, le chiacchiere in ascensore, le soap.
So che sulle soap siamo tutti d’accordo.
Che ciascuno faccia quello che deve, per portare avanti le sue idee, i suoi principi. Si prenda il metro di terra dal confine in discussione col vicino. Se ci riesce. Dica che le auto non devono fare più di 130 all’ora e imponga questo suo volere alla Mercedes. Se ci riesce. Faccia cambiare la legge elettorale e se la costruisca a sua immagine. Se ci riesce.

Insomma: si crei il suo mondo. Anche con la forza. Sarà comunque limitato dalle idee e dai principi di uno più forte, più subdolo, più violento, più scoreggiatore, etc.. Applicando così, finalmente anche alle opinioni, il principio della selezione naturale. Principio che ha saputo portarci a questo stadio evolutivo e che mai nessuno ha osato mettere in discussione quanto a capacità di migliorare la nostra specie.
Perché con le opinioni non dovrebbe avere altrettanto successo?

Lo Stato dovrebbe semplicemente astenersi dal fare giustizia e lasciare che si imponga il migliore, in ogni ambito nel quale due o più opinioni venissero a confronto.
Aboliti i tribunali, i giudici, i conciliatori.
Via libera alla giustizia fai da te, ai forconi, agli armamenti pesanti.
Se uno se li può permettere.
Voglio vedere il mio vicino di casa, con la sua mazza da baseball, negarmi la veranda quando gli entro nel culo con un Apache.

Dunque: che da oggi ciascuno cerchi di inculare il prossimo e che vinca il migliore.

Eh? Bravissimi: vedo che molti di voi hanno già iniziato.

 

W il Papa umile! (Ehi, ma è tuo quell’attico?)

Ennesimo gesto di umiltà del nuovo Papa, che ha rinunciato anche alla residenza papale.

Sembra abbia addirittura già dichiarato che intenderà avviare le procedure necessarie per pagare l’IMU sugli immobili vaticani. Si parla di possesso di un miliardo di metri quadrati (unmiliardodimetriquadrati), fra immobili e terreni, per un totale di 1.200 miliardi di euro. Questo il patrimonio immobiliare della Chiesa e Bergoglio intenderà…
Eh? Non l’ha detto? Ma dai.
È invece pressoché certa la rinuncia al suo fondo papale presso lo I.O.R., i proventi da l’Obolo di San Pietro e il patrimonio depositato presso le sedi del Vicarius Christi Fund, di circa due milioni e mezzo di euro, ai quali si aggiunge…
Come? Non è certa? Ma dai.
Si vocifera anche del taglio degli stipendi dei Cardinali di Curia, ad oggi circa 150.000 euro netti all’anno (il cosiddetto Piatto Cardinalizio, derivante dalla carica e dal Rotolo Cardinalizio, una somma questa da rendite del Sacro Collegio cardinalizio) e di quello dei Vescovi, 39.000 euro netti annuali, che insieme a…
Che? Manco questi? Ma dai.
Probabilmente Bergoglio intende partire dal taglio degli stipendi dei preti, variabile a seconda di diversi fattori, in primis l’anzianità di servizio, il numero di parrocchiani, quote extra da benefici parrocchiali, retribuzioni da attività esterne, offerte dei fedeli, fondi da otto per mille Irpef e una serie di…
No? Non ditemi che manco queste… Ma dai.
E i 26 mila insegnanti di religione? Costano allo stato circa un miliardo di euro. Bergoglio ha annunciato che…
Niente? Ma dai.
L’umile Bergoglio sicuramente intende allora forse partire dallo scandalo dei proventi dell’otto per mille, di cui solo il sette per cento arriva come aiuto ai Paesi del terzo mondo mentre…
Non intende? Ma dai.
Assolutamente certo invece il taglio del personale di Città del Vaticano – poco meno di 2000 persone, l’introduzione della proprietà privata al suo interno, la rimozione dei benefici da extraterritorialità, i…
Non è certo manco per cazzo? Ma dai.

Già solo rimuovendo i privilegi in Vaticano lo Stato Italiano recupererebbe poco meno di 4 miliardi di euro. L’anno.

Allora? Che resta di questa umiltà? Beh, non esageriamo, resta moltissimo. Per esempio è bello che Bergoglio lavi i piedi ai detenuti.
Certo, poi si asciuga con un fazzoletto di seta.