Il bucero dal lungo becco giallo è una bestia bellissima

Buceros-bicornis

A volte c’è tanta di quella bellezza nel mondo che il cuore pare dovermi scoppiare“.
Questa frase mi risuonava in testa, ossessivamente, e non ricordavo dove l’avessi sentita. Un film, una canzone, un’incisione rupestre, certo, ma quale? Dove?
Allora cercai su Google e trovai la risposta.
E niente, finisce qua. Non c’è molto altro da dire.
Davvero.
Fu solo allora che vidi qualcosa che mi sembrava familiare.
Era Jeremy Ratchford, ovviamente. Portava con sé del marzapane che attirava inevitabilmente e incessantemente bestie e avverbi ridondanti.
Un bucero dal lungo becco giallo mi guardava come solo i buceri dal lungo becco giallo possono.
Mi ero perso. Ma soprattutto ero in grado di riconoscere un bucero dal lungo becco giallo.
Pensai che fosse più sconcertante l’essermi perso, ma estremamente più curiosa la cosa del bucero dal lungo becco giallo.
Là per là tentennai un po’: preoccuparmi per l’essermi perso o stare ancora là a menarla con la storia del bucero dal lungo becco giallo?
Alla fine pensai che del bucero dal lungo becco giallo non mi interessava poi troppo: non era mica un upupa.
Mi ritrovai a contare le monete che avevo in tasca: otto. Questa attività mi portò via circa 4 secondi, ma non mi risolse il problema della mia posizione.
Mi rannicchiai a terra, in posizione fetale, come mi spiegarono durante il volo in aereo. Neppure quella cosa mi aiutò.
Accanto a me non c’era nulla che potesse aiutarmi a capire dove fossi, ma qualcosa dovevo pur fare. Così chiesi a un vigile*.
*Ricordarsi di utilizzare questa opzione solo come extrema ratio.
Avete presente quelle giornate nelle quali tutto attorno pare essere uscito dalla testa di David Linch? Nani, nani dappertutto.
Improvvisamente:
– Sono il miglior attore del mondo!
– Dimostracelo!
– Sono Jeremy Ratchford.
– Allora ok, scusaci.
Tenete presente che i canadesi sono fatti così, li devi prendere per quello che sono, non è che puoi farli sentire pure tu i cugini scemi degli americani.
– Io merito di più! – urlò Ratchford.
– Gluuu! Gluuu! – rispose il bucero dal lungo becco giallo.
Nessuno fiatò: era la prima volta che qualcuno:
a) Sentiva parlare di Jeremy Ratchford.
b) Ascoltava il verso del bucero dal lungo becco giallo.
c) Sapeva esattamente il numero di monete nelle mie tasche.
d) Varie ed eventuali.
– E sono anche un gran cantante! – aggiunse
– Facci sentire!
– Ma lascia stare, ma chi te lo fa fare…
– Sei intonato, ma lascia stare, appunto.
– Certo, certo.
I canadesi sanno anche farsi da parte, quando capiscono che non è aria e l’interlocutore esprime sottile umorismo.
– Vorrei fondare una scienza – infierì Ratchford.
– La parte sui tensori e gli spazi vettoriali la conosci?
– No.
– Dunque…
– Sì.
I canadesi a volte esagerano.
Una cadrigan affiori peer i signiore.
(Ho preferito mettere tutti i refusi in un’unica frase, per aiutare il correttore di bozze).
Per chi mi cercasse, passerò le vacanze a Sorlada, ascoltando e bevendo Bellini.

Allora le calze e i calzini?

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– Perché non mangi la tua verdura?
– Perché non è verdura. I fagioli sono legumi. E poi non sono verdi.
– Sono fagiolini, non fagioli. E sono verdi.
– Non del verde della verdura, si vede. E poi i fagiolini derivano dai fagioli. Come i cetriolini derivano dai cetrioli.
– Fagioli e fagiolini sono due cose diverse.
– Anche cetrioli e cetriolini allora. Sennò si sarebbero chiamati allo stesso modo, tipo “carpulli”.
– Secondo te uno ha dato nome ai cetrioli e nome ai cetriolini, dovrebbe chiamare questa terza “entità” in questo modo ridicolo?
– No, non sarebbe una terza entità. Sarebbe una sola entità, che comprenderebbe cetrioli e cetriolini insieme. I famosi “carpulli”, appunto.
– Addirittura “famosi” adesso.
– Lo sarebbero. Se non ci fossero persone chiuse come te.
– E perché non chiamarli direttamente solo “cetrioli”?
– Perché non si distinguerebbero dai cetriolini.
– Si distinguerebbero già solo dalle dimensioni.
– Non “già solo” ma “solo”. Esattamente come fagioli e fagiolini. Che sono la stessa cosa.
– Non è così! Fagioli e fagiolini si distinguono per tutto! Sono proprio due cose diverse!
– Secondo te uno che ha dato il nome ai fagiolini non aveva mai sentito parlare dei fagioli? Dai, su: il tuo solito sottovalutare la gente. Credi siano tutti stupidi? Arriva uno da Marte, vede la pianta dei fagioli, tira giù un baccello, non chiede nulla a nessuno e, completamente a cazzo, urla: “DF£!F4GJ6/##!!!”, che in marziano significa: “FAGIOLINO!”, e guarda caso, sta prendendo proprio la pianta dei fagioli! Un caso su quanti miliardi? Eddai, sii obiettivo.
– Ma che c’entra! Uno ha dato quel nome ai fagiolini perché è la pianta del fagiolo!
– Visto che ci sei arrivato? I fagiolini sono fagioli, alla fine.
– No! Non sono fagioli! I fagiolini sono di quella pianta, ma non sono fagioli! Sono lo stato precedente allo sviluppo del fagiolo!
– Dunque sono piccoli fagioli. Dunque fagiolini! Tanto che si chiamano… fagiolini. Altro che marziano!
– Ma sei tu che hai tirato dentro il marziano! Il fagiolino è una roba completamente diversa dal fagiolo, pure se è la pianta del fagiolo!
– Stai a vedere adesso che è una pesca.
– No, non è una pesca! Ma il fagiolino non è neppure un fagiolo!
– È un carpullo?
– Non è un carpullo! Smettila coi carpulli! Non esistono i carpulli!
– Cos’hai contro i carpulli?
– Nulla! Nulla! I carpulli non esistono.
– Grazie a gente come te. E allora se non è un carpullo è un fagiolo.
– Se fossero fagioli non li avrebbero chiamati fagiolini! Lo capisci? Evidentemente sono un’altra cosa!
– Un’altra cosa ma con lo stesso nome al diminutivo e che viene dalla stessa pianta. Ma tu guarda.
– Senti, se non li vuoi mangiare non li mangiare. Ma non ti attaccare alla storia che siano fagioli.
– Io non mi attacco a nulla. Sono i fatti che parlano.
– Ti rendi conto che stiamo parlando da dieci minuti di una assurdità?
– Hai iniziato tu a spacciarmi dei fagioli per verdura.
– Io non ho spacciato nulla! Hai davanti un piatto di fagiolini!
– Minimizzare non ti servirà.

I delfini sono intelligentissimi ed estremamente mammiferi

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Nell’immagine, un delfino pronto all’accoppiamento

Uno studio guidato dal prof. Sebastiano Renti (il nome è solo di fantasia: in realtà si chiama Matteo Balestra), circa la questione sulla mammiferità (neologismo o semplice puttanata?) dei delfini, che non sono pesci anche se hanno la forma di pesci e vivono in acqua e praticamente sono spiccicati ai pesci ma sono mammiferi per farti il trabocchetto quando stai alle elementari e impari questa cosa e poi te la rigiochi praticamente per tutta la vita convinto che gli altri ancora ci caschino e in effetti qualcuno ancora ci casca e tu ti senti acculturato ma solo perché frequenti ignoranti e questo periodo senza virgole è diventato lunghissimo e allora lo spezzo qua.

Dicevo, uno studio guidato da Matteo Balestra (ormai le carte sono scoperte, dai), noto ricercatore del MIT di Segrate (il MIT ha tantissime sezioni distaccate, una persino a Cambridge), rivela che i delfini in origine erano pesci a tutti gli effetti, ma che a un certo punto svilupparono una intelligenza tale per cui smisero di pagare il canone RAI, smisero anche di deporre le uova e iniziarono a fare figli come le donne e come le vacche (nessun paragone), per una questione di comodità circa le baby sitter: vuoi mettere affidare un bambino a una adolescente che lo mette di fronte la Play e affidarle invece un uovo che poi magari se lo perde dentro la borsetta Carpisa?*
*Le borsette Carpisa sono piccolissime esternamente ma dentro contengono un piccolo buco nero in grado di far scrivere un nuovo libro a Hawking. Senza mani.

Sui delfini sappiano ancora poco: è comunque difficile prendere appuntamento. In ogni caso ciò che appare evidente è la loro estrema intelligenza: giocano, saltano, passano l’intera vita senza lavorare. I pochi ritardati finiscono catturati e sono schiavizzati nei delfinari, costretti a posare insieme a mocciosi scaccolanti per del pesce rancido coltivato in secchi bianchi.

Se c’è un inferno è quello patito da queste povere creature, abusate, costrette a prostituirsi al suono di un fischietto, senza riposo, senza poter pregare un Dio.

Che poi, con quelle pinnette, farsi il segno della croce è un casino.

Ritagli perduti

Eleonora Vallone
Eleonora Vallone prima che ascoltasse “Cosa resterà di questi anni ’80”

Mi è apparsa in sogno Wanna Marchi: mi ha dato dei numeri ma erano scritti su delle alghe secche e non si leggevano bene. “Dodrici”… “Seppanpaseppe”. E pensare che erano scritti coi numeri. Romani.

Comunque: voleva 1500 euro. Al che le faccio: “Sei stata già condannata per truffa e bambolaggio voodoo: perché credi che io possa cascarci?” E lei: “Perché sei un coglione“. Là per là non ho saputo far altro che confermare e le ho comprato un terno su Napoli. Non è uscito ma in compenso ora ho perso tre kg sul girovita. Tenevo i soldi là.

Dice: “Ma Wanna Marchi è ormai roba antica: ancora a scriverci su!“. No, avevo dimenticato questa cosa nel cassetto e volevo tirarla fuori. Era rimasta in mezzo a due pagine appiccicaticce (nulla di artificiale ma molto tenace) di Blitz, con Eleonora Vallone che parlava della funzione per il calcolo dei numeri primi (ma era arrivata solo a “1”, e comunque tentennava pure là). In realtà pensavo che le “gnocche” anni ’80, paragonate a quelle di adesso, ora mi sembrano veramente delle mezze cozze. Se pensate che pure la Mussolini finì su Playboy avete esattamente la misura di come siano cambiati i tempi. Perché la rivista fece questa scelta? Marketing? Opportunismo? Squallore? Votate. Ma ospitare la Mussolini portò soprattutto quel numero ad arrivare in perfetto orario.

Dai, ma vogliamo paragonare una sciampista qualsiasi di oggi alle “veline” di allora? Non c’è storia. Ricordo che Lory Del Santo era considerata un sex symbol. Con quei capelli di lanetta oggi potrebbe al massimo fare la standista per la Fiera dell’Elettronica di Silvi Marina, padiglione “Baracchini & Salamella”.

Tra l’altro quest’anno c’era una là: oh, uguale! Ma si chiamava Loris Del Santo.

Alle volte i dettagli spostano i baffi in alto di un metro.

Sono un ragazzo inadeguato (riferito al “ragazzo”)

Max Pezzali
Max Pezzali prima di salire sul palco

Ieri sera sono andato a puttane. Certo, cominciare un pezzo così può far storcere il naso a qualcuno, ma pensate se questo qualcuno avesse subito lesioni facciali da cocaina: sembrerebbe Peppa Pig dopo un ictus, doppiata da Fabrizio Bentivoglio alle prese con due giovani ninfomani con l’herpes iscritte a Scienze della comunicazione e [inserire descrizioni dettagliate di effetti di farmaci e “Pescara” come evocativa città di provincia. Appuntarsi: “coprolalia”].
(Qualcosa Del Genere mi ha scritto una introduzione terribile. Ricomincio).

Ieri sera sono andato a puttane. Non avendo soldi ma forte dei settemila fan su Facebook ho pensato di intavolare una trattativa in termini di visibilità. Il suo pappone mi ha minacciato con un coltello e ho dovuto pagare. Credo sia uno di quelli con l’account G+.
Dice: “Scrivi anche bene, ma non capisco quelle parolacce“. Al che rispondo sempre: “Chiami un bambino di otto anni e te le fai spiegare“.
Niente, devo sempre fare tutto io.
No, dai, è questione di comunicazione: perché limitare il mio range di parole utilizzabili, escludendone alcune solo perché a te evocano la tua fase orale, nella quale, per conoscere il mondo, ti facevi chiamare “Folletto” per la potenza di aspirazione? Lo so che il tuo disagio di fronte la parolaccia è tutto di matrice sessuale, ma avresti potuto dare altre risposte a quel test militare, invece sempre “fiori”, “fiori” e “fiorai”.
Devi capire che la “parolaccia” è una “parola”, una semplice parola, e come tale in grado di suscitare sensazioni. Magari sgradevoli, ma sensazioni. Perché farne a meno? Perché sono sgradevoli, appunto? Allora dovremmo eliminare tutto ciò che ci è sgradevole, ma poi chi mi pulisce casa?

È che non tutto è applicabile in contesti diversi: prendete la pubblicità dell’uccellino e di Del Piero. Se ci fosse Platinette al suo posto non sarebbe altrettanto efficace. Già solo perché come cazzo fa Platinette a posarsi sulla spalla di Del Piero? Ma battute sulle dimensioni di Platinette mi sembrano ormai utili quanto quel pene* attaccato a Paolo Brosio.
*Ahahahah, scusate l’iperbole.
La sapete invece quella di Giuliano Ferrara e del barile di lardo? Se avessi un centesimo per tutte le volte che l’ho raccontata scriverei ancora su Spinoza.

“I bambini malati di leucemia stanno morendo”.

Niente, volevo farvi capire che non bisogna mai abbassare la guardia. Non è che qua uno entra per farsi due risate. Cioè, vedete saponette nella doccia? Dietro a quei corpi estranei galleggianti nel vostro occhio, dico.
Più che altro mi piace cambiare repentinamente registro. Passare dal surreale alla canzone italiana a questo secchio di bigattini al demenziale nell’arco di un cassetto.
Personalmente adoro il demenziale. Mi sono accorto che questa mia passione non è però molto condivisa e diffusa da queste parti. Quando scrivo qualcosa di demenziale, questa viene abbastanza ignorata. Certo, dipenderà dalla qualità del mio pezzo e gnegnegne. Ma io penso che da noi manchi proprio la cultura Zucker-Abrahams-Zucker, quella che prendeva le mosse dai Monty Python e creava “Top Secret!” etc*.
*”Etc.” è sempre utile per dire cose che non ti va di elencare. Ci avete pensato? Quando Paola Ferrari legge la classifica di serie A potrebbe validamente dire: “Juventus millemila punti, etc.”. Invece perde sempre l’occasione e ci tocca sapere del Livorno.

“Quando il saggio indica la Luna, lo stolto guarda il dito”.

Va detto che era un bel dito.

Che poi, scrivere in modo “scemo” non è neppure facile. Il rischio è scadere nell’umorismo sempliciotto, che è esattamente l’opposto di ciò che un buon pezzo demenziale dovrebbe ricercare.
Dopo anni passati a studiare i maestri mi sono reso conto che una buona struttura dovrebbe partire da un meccanismo di “salto” tra fase seria e sorpresa. E quanto più il salto è ampio, tanto maggiore sarà la riuscita comica. Faccio un esempio: se descrivo un pezzo demenziale, nella sua struttura, dal punto di vista storico e dei meccanismi ad esso sottesi, e improvvisamente inizio a parlare poi della nocciolaia, creo un salto logico notevole, spiazzo il lettore, che molto probabilmente neppure conosce le tipiche forme compatte della nocciolaia (Nucifraga caryocatactes), il becco nero a forma di pugnale, la tozza coda corta e quel corpo bruno scuro screziato di bianco che richiama il sottocoda anch’esso bianco, il suo occupare un’area che va dalla Scandinavia fino al Nord Europa, e giù alle foreste di conifere della taiga in Siberia e all’Asia orientale, compreso il Giappone, il cibo di cui si nutre, prevalentemente semi di pigna degli alberi dei climi freddi (estremo nord e altitudini elevate), caratterizzati da grandi dimensioni, il suo becco più spesso per schiacciare gusci duri, con un pettine speciale all’interno del bordo del becco vicino alla base.

E questo è esattamente quel che intendevo. Insieme, abbiamo costruito un pezzo demenziale. Va detto che ho fatto quasi tutto io, eh. Ma il vostro contributo, in qualità di lettori, è stato fondamentale, per via dell’albero che cade nella foresta e non c’è nessuno ad ascoltare perché magari distratto da Max Pezzali che ci spiega di essere un ragazzo inadeguato.
Non so perché avesse bisogno di una canzone.
Ecco: il fatto che Pezzali sia ancora discograficamente attivo e apprezzato mi fa storcere la bocca. A voi? Sì, anche.
Preciso: la nocciolaia.

 

L’intelligenza dei delfini è decisamente sopravvalutata


 

Canada, avvistato il più grande branco di delfini di sempre. Riusciremo a soffocarli con la più grande serie di buste di plastica di sempre?
I delfini, si sa, sono animali intelligentissimi. Molti, per esempio, sanno distinguere una busta di plastica da una boa. Poi però si rincoglioniscono e confondono una busta di plastica e una medusa. Diciamo che l’intelligenza dei delfini è decisamente sopravvalutata.
A tal proposito, se avete intenzione di fare un giro in mare e, mentre sorseggiate un Mojito, vi viene quel desiderio – naturalissimo – di vedere come agonizza un delfino, io consiglio sempre le buste Coop: sono trasparenti, sottilissime, si rompono già mentre imbusti le cose alla cassa: capisci che sono state progettate per altro che metterci roba dentro e io ho scoperto per cosa. Fidatevi: non userete mai più altro per soffocare queste meravigliose creature, anche se molti preferiscono le buste Lidl, ma io le trovo meno gradevoli al tatto.
Alcuni delfini, prima di mangiare le buste, emettono dei suoni a km di distanza, per richiamare altri simili sull’abbondanza di cibo. Diciamo che l’intelligenza dei delfini è decisamente sopravvalutata.
Avete mai sentito i richiami che emettono? Ci sono scienziati che hanno dedicato tutta la loro vita a cercare di decifrare il significato di questi suoni e alla fine hanno capito che non significano un cazzo, ma non ce lo dicono perché sono laureati in oceanologia: o quello o i call center.
Quando saltano fuori dall’acqua, spruzzando tutt’attorno, sembrano davvero voler dire: “Allora, in orizzontale quanto mi pare, in verticale finisce qua. Me lo devo ricordare”.
Poi però non se lo ricordano. Diciamo che l’intelligenza dei delfini è decisamente sopravvalutata.
Da piccolo ricordo volevo nuotare insieme ai delfini: era il mio sogno.
Poi ho scoperto la fregna.

Sceneggiatura di un film italiano-tipo

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Margherita Buy, in una intensa scena di dolore, dopo aver scoperto il tradimento

Attori:

Margherita Buy (Sandra, la donna in carriera che non riesce a conciliare il ruolo di madre con il suo arrivismo ed entra in crisi);
Sergio Rubini (Alfio, il marito di Sandra, un uomo tutto casa e lavoro, fino a quando la sua azienda lo mette in cassa integrazione e a quel punto perde ogni certezza);
Laura Chiatti (Liviana, impiegata al call center, che prende una sbandata per Alfio);
Stefano Accorsi (Luigi, il manager che fa cadere Sandra in un vortice di passione e perdizione);
Riccardo Scamarcio (l’ambiguo).

Storia:

Parcheggio Ipercoop, semibuio. Sandra è in auto, una Audi A3 pulitissima, inquadrata molto bene, che parla animatamente al telefono, un Nokia Lumia nuovissimo, inquadrato molto bene. Il trucco cola sul viso. Fuori piove.

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Margherita Buy, in una intensa scena di felicità, dopo aver programmato da sola Sky per X-Factor

Luigi l’ha seguita, accosta con la sua auto, una Audi A6 nuovissima, inquadrata molto bene: la vede urlare e decide di entrare, interrompendo la telefonata di Sandra. Lei lo guarda come non fosse sorpresa. Non dicono nulla. Lei gli fa un pompino. Sale la musica, dissolvenza sui vetri che si appannano. Fuori piove.

Alfio intanto ha saputo della cassa integrazione e cammina, sotto la pioggia. Gli vengono inquadrate delle Hogan sorprendentemente pulite e enigmaticamente idrorepellenti. Entra in un bar, si avvicina al bancone, con su bottiglie di acqua Lete, inquadrate molto bene. Qui incontra Liviana, che dopo il call center arrotonda alla cassa. Dietro di lei il cuore Algida, inquadrato molto bene. Il bar è gestito dal padre del suo ragazzo. Alfio e Liviana iniziano a parlare, poi, con la confusione, si appartano nel bagno, sporco come solo nei film italiani che cercano di rappresentare i bagni sporchi ma la tavoletta è nuovissima, ma soprattutto c’è. Lei gli fa un pompino. Fuori piove (non si vede ma si sente la pioggia forte).

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Margherita Buy, in una intensa scena di disagio, dopo aver visto un suo film

Sandra e Alfio tornano a casa. Tacciono ovviamente delle loro storie ma lei ha una crisi di nervi mentre parla animatamente al telefono, il Nokia Lumia di prima, con una cover diversa. Lui alza il volume della tv, un Samsung Led 60 pollici, inquadrato molto bene. Danno una puntata di Beautiful, l’unica nella quale fuori piove. Fuori piove.

Intanto Liviana torna a casa, sotto la pioggia, perché fuori piove. Passa il suo ragazzo, accosta con l’auto, un’Audi A1 rossa, nuovissima, inquadrata molto bene. Le dice di salire, ma lei sente il peso della colpa e piange e scappa via. Il ragazzo capisce che qualcosa non va e aumenta la velocità del tergicristallo. Piove ancora.

Giorno successivo: Sandra esce e incontra ancora Luigi, in macchina, l’Audi A6 del giorno prima ma senza Arbre Magique al cocco (scelta della produzione? Svista?) in altro parcheggio, Auchan stavolta. Piove ancora. Lei urla furiosamente mentre lui se lo tira fuori. Le urla non diminuiscono in intensità ma non si capiscono più le parole. Alla radio danno una cosa di Piovani. Assonanza.

Liviana si va a confessare e il prete (un cameo di Silvio Orlando nel ruolo di se stesso, ma prete) le consiglia di smettere di fare quelle cose ma, nel caso, di riprendere tutto e mettere su una chiavetta Kingston e portargliela, per tarare la penitenza. Stacco su un grande Cristo in croce con la scritta INRI, inquadrata molto bene. Poi esce e incontra ancora Luigi, in campagna. Lei parla e piange. Lui fa per slacciarsi la patta ma viene interrotto da un pastore che urla qualcosa circa la questione immigrati. I due si spaventano e provano a ripartire, ma la macchina è nel fango e le ruote slittano (macchina nel del fango: finissima metafora?).

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Margherita Buy, in una intensa scena di tifo calcistico, dopo aver rispolverato delle vuvuzelas

Non sono inquadrate bene le gomme, per capire la marca. Lei piange, lui guarda fisso davanti, il pastore mangia una Fiesta, aroma curacao.

Sandra urla in macchina: non si accorge che Luigi è andato via venti minuti prima, lasciandole un biglietto in cui le confessa di non amarla e che ha intenzione di aprire una concessionaria Daihatsu. Lei urla molto di più e il trucco ora la fa assomigliare a Joker o Simona Ventura. Sotto la pioggia.

Ah, Scamarcio: niente, una comparsata alla fine nella quale fa un pompino al pastore, con sfondo di una Audi R8 inquadrata molto bene. Sotto la pioggia.

Fine.

Governi e salumi

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Nell’immagine, una causa di addebito della separazione

– Non avete fatto nulla durante il vostro governo!
– Questa è una salumeria.
– Scusi.
– …
– …
– …
– Non avete fatto nulla durante il vostro governo!
– Guardi che è ancora qua dentro.
– Pensavo che l’autore avesse reimpostato la discussione in altro ambito.
– Non ancora.
– Scusi. Mi avverte lei?
– Va bene. Ecco, credo che ora possa: provi.
– Non avete fatto nulla durante il vostro governo!
– No, niente, sempre qua.
– Scusi.
– …
– …
– …
– Provi.
– Ok: non avete fatto nulla durante il vostro governo!
– E voi invece?
– Noi? Ma noi siamo all’opposizione!
– E perché non provate a governare con noi?
– Noi non condivideremo mai la vostra politica!
– Portatevi la vostra.
– Ah, ma si può?
– Certo. Questa è la democrazia, no?
– Veramente non pensavamo…
– Su, entrate qua… accomodatevi…
– …
– Allora: come si sta?
– Beh, devo dire non male. Allora, facciamo due riforme?
– Ma c’è tempo per quelle. Intanto, perché non prendete qualcosa, che so: due etti di soppressata?
– Soppressata?
– Sì, nel mentre del discorso l’autore vi ha rimessi nella salumeria.
– Tutto questo non è serio!
– Beh, è comunque un pezzo altamente demenziale.
– Questo si era capito. Adesso però sarebbe da dare una svolta alla narrazione.
– In genere quando cala l’attenzione si mette qualcosa di sesso.
– Funziona sempre. Tenete presente però che il grosso del pubblico l’abbiamo perso all’inizio, quando pensava di leggere un pezzo politico.
– Possiamo fare qualcosa per riportarli qua?
– Credo solo passaparola. Praticamente questa cosa ora viene spammata anche su Facebook e l’autore conta su una più ampia condivisione.
– L’autore è lei?
– Sì.
– Ed è anche il titolare…
– …della salumeria, esatto.
– Bello. Messo su un bell’ambientino qua. Elegante.
– Grazie. Parla della salumeria?
– Governo, del governo.
– Certo.
– Sì.
– Ma…
– Dica?
– A che punto della narrazione interviene la topa?
– Ah, ha ragione, dimenticavo.

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Nell’immagine, un letto

– Meglio?
– A me Miley Cyrus non fa rizzare.
– Beh, ha il fascino sbarazzino della…
– “Sbarazzino”?
– Sbarazzino, sì.
– “Sbarazzino” è un termine ridicolo.
– Perché mai?
– Lei usa questo termine nella vita di tutti i giorni?
– Non quando picchio mia moglie.
– Vede?
– Ma lo sto usando adesso.
– No, lo sta usando in questa narrazione. È l’autore che glielo fa usare, anzi.
– Sono io l’autore.
– Veramente sarei io. Ma ora non mi va di stare a ricostruire il filo e vedere chi di noi sia l’autore.
– Anche perché in fondo siamo entrambi personaggi di fantasia.
– Già.
– Già.
– Crede questo dialogo possa trovare un senso almeno alla fine?
– Credo che l’autore si sia tenuto in canna il colpo finale: mi aspetto una cosa sorprendente, che spiazzi il lettore.
– Sì, in genere è alla fine che tira fuori il meglio.
– E anche stavolta non mancherà.
– Sì.

La nostra storia tormentata

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Litigavamo sempre, sempre, su ogni cosa, anche inesistente.
Passavamo le nostre giornate a cercare pretesti.
Litigavamo perché eri vegetariana e io mangiavo solo carne e quando provai a venirti incontro e a buttare pure io giù quelle merdose insalatine mi mettesti le corna perché “adesso mi sembri frocio”.
Litigavamo quando si doveva scegliere la meta delle vacanze e tu immancabilmente mare e io pure adoravo il mare ma a te non stava bene che si fosse d’accordo e non ti proponessi la montagna come alternativa da scartare.
Litigavamo per i miei vestiti sempre troppo sportivi e allora buttasti via tutte le mie scarpe da tennis e a nulla valse il mio ricordarti di chiamarmi Fognini.
Litigavamo quando sceglievamo il gelato e tu prendevi immancabilmente il Calippo perché io pensassi a battute scontate da fare che invece poi non facevo e ci restavi male perché il tuo scopo era farmi fare la figura del coglione e allora ti incazzavi dicendomi che a saperlo avresti invece preso un gelato da mangiare.
Litigavamo quando c’era da prendere la macchina perché tu preferivi la bicicletta e non sopportavi le mie rimostranze nel percorrere in bici il tratto Genova – Santa Maria di Leuca.
Litigavamo giorno e notte e se io ero all’estero mi telefonavi per litigare sulla base del fuso orario in modo da recare più danno possibile alla mia melatonina.
Litigavamo sulla presenza eccessiva di tua madre che pure sarà stata una gran donna ma tenerla in casa nostra e nella nostra camera mi pareva una esagerazione essendo peraltro morta due anni prima.
Litigavamo poco prima di andare a dormire perché le tue pecore incasinavano le mie nel conteggio.
Litigavamo perché nei miei sogni erotici ero magari a letto con Scarlett Johansson e mi sentivo libero e la cosa non so come richiamava te nel mio sogno e venivi a rompere il cazzo e alla fine mi ritrovavo a guardare Sassuolo-Livorno mentre tu e Scarlett parlavate delle dimensioni del giardiniere senegalese che entrambe conoscevate alla perfezione e che stranamente avevate come amico comune su Facebook.
Litigavamo sul motivo da scegliere per litigare.
E ora che non ci sei più, ora che Dio ha deciso di prenderti e portarti via penso che mi hai sempre detto di essere atea e in qualche modo pure adesso hai saputo farmi girare i coglioni.

Ed ora qualcosa di completamente nonsense (1)

L’altro giorno ho frugato nella borsa di mia moglie e c’erano le solite cose da donne, i soliti trucchi: coniglio, cilindro, colombe, due mazzi di carte.
Non c’era la donna tagliata in due, credo per motivi di spazio (le donne tagliate in due ingombrano certo meno di quelle intere, ma certo non puoi pensare di tenerle in una borsetta. Dico io: farle almeno in quattro? Che poi c’è anche il detto: “Mi faccio in quattro per te”. Allora sono solo chiacchiere, e questa parentesi è realmente troppo lunga).
(questa è corta).
() è lo stato dell’arte delle parentesi corte.
Mia moglie fa la prestigiatrice, l’avrete capito. È l’unica prestigiatrice donna, ed è questo il suo trucco più famoso.
A proposito: perché i prestigiatori sono tutti uomini? Ci avete mai pensato? A cosa pensate durante la giornata, oltre ad un grosso mazzo di asparagi?
Comunque: io conosco la risposta e ha a che fare col trucco appunto della donna tagliata in due: se fosse un’altra donna a fare quel giochino probabilmente si limiterebbe a graffiare l’altra e a insultarla per quegli abiti succinti. Per certe cose serve un uomo. Anche per imbiancare la casa serve un uomo ma questo non giustifica la presenza di quell’operaio senegalese a casa nostra da dieci mesi.
Comunque mia moglie, ai suoi spettacoli, taglia in due proprio un uomo. Poi scarta sempre la parte di sopra.
È bravissima ed è anche molto famosa: l’altra volta è stata fermata per strada da uno che le ha chiesto libretto e patente.
Quando vado con lei mi piace nascondermi tra il pubblico ma è un po’ difficile visto che spesso sono io il pubblico. Questo magari fa capire un altro motivo per cui i prestigiatori siano tutti uomini. Molto dipende anche dal fatto che mia moglie è negata coi trucchi con le carte: non indovina mai la carta pescata, perché dice che non crede a queste cose.
Con il coniglio invece è bravissima, specie con le patate. Certo, il cilindro esce unto.
Il suo trucco migliore? “Ti amo ogni giorno di più, caro”.
()