Yes, another pippon about the satire’s limits

Pescara, bimba uccisa in un centro commerciale da pesante statua. Fu eretta in memoria dei bimbi travolti dalle statue.

Pesante, eh?
C’è una bambina che immediatamente richiama senso di protezione. Una morte tragica, accidentale, che ci è geograficamente vicina (Italia… vabbè, Pescara ma più o meno ci siamo) e con una dinamica sì inusuale ma all’interno di uno spazio di comune quotidianità (il centro commerciale). Insomma, c’è una identificazione ed una immedesimazione nella tragedia che blocca naturalmente – in molti – qualunque parvenza, accenno di sorriso.

Ana Laura Ribas è malata e teme di perdere l’utero. Ma si sa che alla fine sarà accanto alle chiavi, nella solita borsetta.

Difficile da digerire anche questa ma siamo una tacca sotto, quanto ad intollerabilità, rispetto alla battuta precedente. E non perché là ci sia una morte e qui no (non ancora). Quanto per il diverso soggetto colpito dal dramma. La soubrette, a livello empatico, vale meno della bambina pur sconosciuta. L’identificazione torna prepotente però se il lettore conosce quel male, direttamente o meno (un parente, un amico malato). Di nuovo la battuta torna ad essere intollerabile.

Sabaudia, 66enne bruciato in casa. E’ che freddo improvviso e maltempo quest’anno hanno colto tutti impreparati e ci si arrangia con quello che si ha a disposizione.

Ulteriore distacco: la persona è del tutto ignota. Si tratta sempre di una morte ma 66 anni non sono 8 e pur se la cosa è accaduta in Italia in parecchi possono trovare divertente questa battuta.

Salonicco, imprenditore si dà fuoco davanti una banca. L’UE apprezza il gesto ma la Grecia deve fare di più.

Stacco emotivo ulteriore: siamo in un’altra realtà, chi muore è un imprenditore (trasmette senso di potere, non certo di indifesa passività come la bimba). Ci sono tutti gli ingredienti per un sorriso liberatorio che esorcizzi paure diverse (della morte, della crisi…).

Sidney, avvocato muore travolto da un’auto. Sul posto erano presenti suoi colleghi, che si sono subito contesi la carcassa.

Totale lontananza, emotività ridotta all’osso (a meno che non si sia avvocato): Australia, soggetto-avvocato, immagine stereotipata di squalo tra gli squali.

Questo per dire cosa? In realtà nulla di nuovo per chi bazzica da queste parti. Si tratta di una autoriflessione, indotta dalle sfanculate prese per le battute pubblicate su Simoncelli all’indomani della sua morte.
A nulla è servito spiegare che si trattasse di battute SULLA MORTE e non su Simoncelli o sui CAPS LOCK usati a sproposito per enfatizzare parti di frase.
All’ennesimo: “Vergogna, non si scherza sui morti” mi è venuto da cercare battute pubblicate su altre meno illustri morti, di quelle senza vaporosi riccioli sotto un casco. Di quelle di anonime genti, magari geograficamente lontane. Di quelle insomma di cui non ce ne fotte un cazzo.
Le morti un po’ meno morti.

Ma mi sto rendendo conto che questo percorso di crescita, circa la consapevolezza che la morte fa parte della vita, che “non si scherza sui morti” non significa un emerito cazzo perché siamo già tutti morti – vivi con scadenza, almeno – e non lo vogliamo accettare, questa tendenza a schierarsi dalla parte dei buoni indignandosi per una battuta su Simoncelli ma fottendosene per il bambino angolano morto contemporaneamente a lui (mica si può passare la vita a struggersi per ogni defunto), tutto questo non cambia. E non cambierà.
Ci sarà sempre la maggioranza di persone che non riuscirà mai a buttar giù l’amaro calice, e si nasconderà dietro uno scudo di purissima ipocrisia con frasi tipo: “e se capitasse a tuo figlio?”.
Beh, capiterà.
Morirà anche lui, magari tragicamente. Ma mentre è su questa terra vorrei insegnargli il piacere dello sbeffeggiamento del Male, la forza esorcizzante del perculamento della sofferenza in sè. Trasmettergli gli strumenti necessari a saper distinguere tra ciò che è davvero importante (nulla) ed il resto delle cose (nulla).

E a rispettarsi.
Rispettare se stesso, la propria intelligenza.
Non cedere alle ipocrisie, non lavarsi la coscienza mettendo su Facebook uno status lacrimevole su Simoncelli, non cercare di sentirsi vicini ai morti alluvionati di Genova tramite la pubblica condanna di battute che quei morti ricordano decisamente meglio di te, che mi stai mandando affanculo sulla base della tua pura, semplice incapacità di affrontare le tue paure.

Sei una merda. Non cercare di apparire diverso da questa.

Sii orgoglioso di esserlo, come lo sono io.