Sono furbo, io.

Sento piangere dall’altra parte del sottile muro che divide il mio appartamento da quello dei vicini. Abbasso un po’ la tv ma niente. L’abbasso del tutto: lo stesso. Poi capisco che l’altezza da terra non è parametro decisivo e agisco sul volume. Sono furbo, io. Ma ancora una volta, niente: tolgo tutta la cornice esterna e parte della piantana che lo sostiene per ridurre il volume generale dell’apparecchio ma pure questo si rivela altrettanto inefficace (eppure elimino parecchi centimetri cubici). Innervosito, mi dirigo verso la presa elettrica per risolvere alla radice il problema ma quando arrivo mi trovo davanti tre cavi che si dipanano dalla stessa presa: uno rosso, uno blu, uno bianco. Per cultura personale (sono un noto cinefilo) so che se dovessi sbagliare a staccare il cavo giusto farei saltare tutto in aria. Sono furbo, io. Allora desisto e lascio tutto attaccato. Questo comporta anche un incremento delle speranze del nonno di sopravvivere, visto che uno dei cavi alimenta il suo polmone artificiale. Ma, per quanto l’idea di staccare fosse a questo punto davvero allettante, decido di non rischiare e percorrere altre strade.
Sto per perdere le speranze quando mi siedo sul telecomando e inavvertamente schiaccio il tasto “mute”. Avrete già capito: niente. Del resto era il telecomando dell’altro televisore. Ma capisco il meccanismo. Sono davvero furbo, io. Vado di là, prendo il telecomando giusto e risolvo il problema, scagliandolo con violenza contro il televisore, che finalmente tace. Finalmente riesco a sentire cosa accada nell’appartamento attiguo: effettivamente sento piangere. Ma è solo la tv, che trasmette – guarda il caso – lo stesso programma che stavo guardando io. Poco male, lo ascolterò così, al di qua del muro, visto che il mio televisore ha misteriosamente smesso di accendersi. Sono furbo, io.