Perché attaccano Samantha Cristoforetti?

Foto tratta da Bufale.net

Quando viene attaccata Samantha Cristoforetti, per i capelli, per aver mangiato insetti, per aver “osato” fare l’astronauta invece che la mamma, ci troviamo di fronte specifici bias cognitivi, estremamente interessanti e che, nelle mie formazioni d’aula, cerco di presentare ai miei allievi.
Oggi mi piace provare a tracciare con voi quelli che sono i bias che personalmente ritrovo qui.

Innanzitutto mi sembra che il bias prevalente in questo specifico caso sia questo:

Social comparison bias
Siamo per natura esseri sociali ma competitivi per cui proviamo invidia nei confronti di chi ha raggiunto traguardi migliori dei nostri.
L’invidia sociale si riversa su Samantha Cristoforetti in modo evidente per ogni sua azione, esperimento, dichiarazione.

Ma, volendo approfondire meglio, riscontro anche:

Semmelweis reflex
Siamo portati a rifiutare le nuove informazioni, anche scientificamente acclarate, che contraddicono le credenze comuni o qualcosa che abbiamo sempre ritenuto come vero.

Gender bias
Siamo spinti dai pregiudizi basati esclusivamente sul genere, arrivando a trattare diversamente gli uomini dalle donne. Es. “Samantha deve stare a casa a curare i figli”.

Observer-expectancy effect
Lo subiamo quando i nostri stessi pregiudizi incidono sul modo di comportarci verso la persona che stiamo osservando.

Priming effect
Una volta recepita una posizione, aderito a un pensiero, subìto uno stimolo, ci comporteremo in uno specifico modo per ogni stimolo successivo. Es. in passato ho criticato la Cristoforetti per un motivo, continuerò a criticarla per ogni altro motivo.

Naive realism
Pensiamo che la realtà sia esattamente così come la percepiamo, lineare, per cui ogni distorsione o complicazione allontanano dalla realtà: così nasce, ad esempio, il terrapiattismo.

Selective perception
Ignoriamo le informazioni che contraddicono le nostre opinioni.

Reactance bias
Ci comportiamo diversamente rispetto a quanto ci viene detto di fare, per mostrare forza, indipendenza e libertà di scelta. Es. “Non credo che sia vero che la Cristoforetti vada nello spazio: i Poteri Forti vogliono che ci crediamo ma io non abbocco”.

Commitment bias
Se in passato abbiamo argomentato in un certo modo continueremo così anche se abbiamo verificato che era sbagliato. Collegato al Priming effect.

Backfire effect
Quando abbiamo conferma evidente di qualcosa che smentisce una determinata nostra opinione, tendiamo a rinforzare quella nostra opinione sbagliata ancora di più.

Third-person effect
Crediamo che i messaggi dei media su noi non abbiano influenza mentre sugli altri sì.

Continued influence effect
Le informazioni false restano impresse nella nostra memoria e ci influenzano perché andare a verificarle è più faticoso che aderire a esse.

Groupthink
Quando ci riconosciamo un gruppo tendiamo ad adattarci a tutte le posizioni di quel gruppo per continuare a farne parte.

Moral luck
Un soggetto viene giudicato moralmente anche per situazioni completamente esterne e indipendenti da esso.


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Il dilemma del carrello ferroviario

Probabilmente conoscete il dilemma del carrello ferroviario.
In sintesi un tram (o treno) non può frenare e sta procedendo su un binario sul quale sono legate cinque persone. Su un binario parallelo è legata un’altra persona, sola.
Io posso scegliere tra:
1) lasciare che il tram prosegua
la sua corsa uccidendo le cinque persone,
2) azionare lo scambio e uccidere quella che sta da sola.

È un dilemma famoso che mette in correlazione il peso di un nostro non fare nulla (che però lascia morire più persone) con un nostro “fare” attivo che causa sí una sola morte, ma sentita appunto come direttamente dipendente dalla nostra azione.

Ci sono molte varianti di questo dilemma ma a me piace strutturarlo in modo “personale”: quando sono certo di aver scelto una delle due opzioni introduco una variabile che sposta la scelta dall’altra parte. Esempio: la persona da sola è un neonato mentre i cinque di là sono ultracentenari. Così andrei a salvare il neonato. Ma a quel punto cambio: il neonato ha problemi di salute e probabilmente non sopravviverà che pochi giorni, mentre uno dei cinque ha vent’anni. A quel punto sposto la scelta dall’altra parte ma allora bilancio di nuovo: il neonato ha il 90% di possibilità di guarire. Nuovo spostamento e nuova variabile: il neonato diventerà il nuovo Hitler con una probabilità del 1%.
Insomma, se giocate così con la vostra mente, a un certo punto creerete la situazione di stallo perfetta, un bilanciamento di posizioni che vi metterà in totale difficoltà: scegliere chi salvare sarà per voi impossibile.

Vi invito a compiere questo esercizio mentale per imparare a conoscervi meglio ma anche per abituarvi all’idea che alla fine, è tutta una questione di equilibri delicatissimi, destinati a crollare al più piccolo cambiamento e che è bene che sia così, perché la vita ci ha insegnato a essere adattivi: le scelte ideologiche, i pre-schieramenti e il volersi mostrare duri e puri (“Ah, io sicuro salverei sempre i cinque”, “ah, io sicuro salverei sempre chi è più giovane”, “ah, sicuro io…”) non portano sempre i migliori risultati perché viene a mancare ponderazione, valutazione, mediazione.

Ma soprattutto le scelte “di campo”, le certezze incrollabili, le supercoerenze, deresponsabilizzano perché demandano ogni conseguenza negativa a una scelta già fatta a monte, ideologica e dunque sentita come “superiore” a noi.

Pensateci.

Per la cronaca il mio personale equilibrio, che mi blocca e non mi fa scegliere, ce l’ho se su un binario ci sono cinque meravigliose ragazze a forma di Margot Robbie ma in cinque varianti etniche diverse, intelligenti, di cultura, amanti dell’umorismo, bisex ed economicamente benestanti, pronte a ringraziarmi a vita in ogni modo possibile e sull’altro binario un Piero Angela destinato a vivere altri cent’anni che mi tenga con sé per sempre <3

Un gioco di prestigio

  • Scegli una carta.
  • Fatto.
  • Ok. Che carta hai scelto?
  • Il tre di fiori.
  • Ma sono carte napoletane!
  • Ah. Allora è il sette di bastoni.
  • Ma scusa, la carta l’hai vista?
  • Uff, ok: è il quattro di spade.
  • Io non capisco, ti stavo facendo un gioco di prestigio, perché nemmeno hai visto la carta?
  • Pensavo dovessi indovinarla tu.
  • Ma certo che dovevo indovinarla io! Ma dovevi comunque vederla!
  • Boh, allora perché me l’hai chiesta prima di indovinarla?
  • Perché poi avrei tirato fuori proprio quella che avevi scelto!
  • Da dove?
  • NON È IMPORTANTE DA DOVE!
  • Guarda che non fa niente se hai sbagliato.
  • NON HO SBAGLIATO! MI HAI FATTO SALTARE TU IL GIOCO!
  • Ah, adesso è colpa mia.
  • MA CERTO CHE È COLPA TUA! NEPPURE HAI VISTO LA CARTA!
  • Insomma dovevo fare tutto io.
  • CRISTO, MA SEI COMPLETAMENTE SCEMO!
  • Almeno io non sbaglio semplici giochi di prestigio.
  • AAAARGH! Ok, devo stare calmo, è evidente che hai qualcosa che non va.
  • Ah, io? Io se non so fare i giochi con le carte mica mi metto a proporli.
  • Ok. Facciamo così, ti faccio un altro gioco.
  • Il quattro di spade.
  • QUELLO ERA IL GIOCO DI PRIMA!
  • Volevo aiutarti.
  • Senti, prendi una carta e non dirmi nulla, ok?
  • Ok.
  • Vai.
  • Presa.
  • Ok… Allora…
  • Non è il quattro di spade stavolta.
  • NON MI DEVI DIRE NIENTE!
  • Sì ma poi non ti lamentare se sbagli.
  • CRISTO! BASTA, CI RINUNCIO!
  • Lo capisco, due flop di fila..
  • NON HO FATTO NESSUN FLOP!
  • Va bene ma al posto tuo cambierei mestiere.
  • NON È IL MIO MESTIERE! ERA UN CAZZO DI GIOCO!
  • Senti, per calmarti ti faccio io un gioco, ok?
  • Dai, è divertente.
  • Ok, dai.
  • Prendi una carta.
  • Presa.
  • Che carta hai scelto?
  • Te lo devo dire?
  • Sì.
  • Ok, ho preso il sei di denari.
  • Hai sbagliato carta.

Rasature allucinanti e altri racconti fantastici: proiezioni, possessioni, viaggi oltre l’umano

“Cosa sarebbe se”.
Il genere fantascientifico, così come quello distopico, hanno la capacità di aprirci un universo di possibilità altrimenti sigillate dentro gli angusti spazi del “reale”.

“Cosa sarebbe se” un “essere” prendesse possesso di noi, col nostro stesso consenso?
“Cosa sarebbe se” ci trovassimo a vivere una seconda linea della nostra esistenza?
“Cosa sarebbe se” avessimo concretamente la possibilità di vedere nel passato?

Questi racconti, che portano il lettore a cercare di anticipare le vicende e al contempo gli chiedono di completarle, rappresentano i personali “cosa sarebbe se” dell’autore, nei quali tutti potranno proiettare i propri personali “cosa sarebbe se”, in un viaggio verso l’immaginifico a preconizzare realtà impossibili solo per chi ha smesso di cercare l’uscita dalla gabbia della realtà.

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L’algoritmo del caos Social

Nell’universo chimico-social ci sono due coppie di cariche:
Arroganza-Umiltà (AU) e Ignoranza-Competenza (IC).

La carica Arroganza (A) e la carica Ignoranza (I) , singolarmente, hanno valore uguale a 1.
La carica Umiltà (U) e la carica Competenza (C), singolarmente, hanno valore uguale a 0.

Ciò significa che ogni coppia (AU) e (IC) ha carica complessiva uguale a 1.

L’Essere Umano (EU) possiede entrambe le coppie di cariche. Può dunque oscillare tra valore minimo = 0 e valore massimo = 2

L’Essere Umano Virtuoso (EUv) possiede valore 0 o 1.
L’Essere Umano Dannoso (EUd) possiede solo il valore 2.

Ciò significa che è impossibile che EUv possa contemporaneamente possedere le due cariche Arroganza (A) + Ignoranza (I).

Idealmente EUv dovrebbe possedere le cariche Umiltà (U) + Competenza (C), ma anche con carica = 1 EUv continua a legarsi bene con altri EUv.

Dunque EUv con coppia Arroganza + Competenza (AC) e EUv con coppia Umiltà + Ignoranza (UI) non solo legano bene tra loro, ma lo fanno anche con gli altri EUv ideali, quelli a carica = 0, composti dalla coppia (UC).

Certamente gli EUv a carica = 0, detti EUv Ideali (EUv^id) legano meglio di quelli a carica = 1. Questo per l’alto contenuto, da parte degli EUv a carica = 1, di dannose particelle di Burioni.

Gli unici elementi pericolosi per il sistema, incapaci di legarsi con altri EU e distruttivi per l’universo circostante, sono gli EUd, quelli a carica = 2 perché composti dalla coppia Arroganza (A) + Ignoranza (I).
Questo a causa della loro capacità di legarsi solo tra loro e moltiplicarsi a dismisura in modo caotico, spingendo l’intero sistema nell’entropia.

Riassumendo:
EUv^id = UC = 0
EUv = AC e UI = 1
EUd = AI = 2

Riflessioni a margine di “Storie allucinanti e altre rasature”

C’è un gatto che vive sulla strada che passa sotto casa mia.

Si è scelto una precisa zona, che probabilmente ha provveduto a marcare come fanno i felini, tant’è vero che poco prima e poco dopo vi sono altri gatti, ciascuno col proprio “regno”. Non li ho mai visti interagire tra loro, magari sconfinare sì ma alla sera li trovo ciascuno sotto un’automobile, dietro un riparo, nelle proprie zone.

Non so se qualcuno abbia già provveduto a trovare un nome a questo gatto, ma per me è “Hitlerino”: mi è venuto questo nomignolo appena l’ho visto. Il gatto ha colore chiaro ma ha una macchia nera, attorno al naso e il pelo sulla testa sembra un vero e proprio ciuffo. Per me questo basta e avanza a evocare una determinata immagine e dunque a battezzarlo “Hitlerino”, anche se mi rendo conto che probabilmente questo ingrato (per il povero gatto) accostamento è tutto nella mia testa.

Sono diversi anni che incrocio quasi quotidianamente Hitlerino, che è fortemente stanziale, e ogni volta che lo vedo mi costruisco in mente dei discorsi che vorrei fare con lui e che solo l’ultima saldezza mentale che desidero mantenere mi evita.
Non so se tutti funzionino così ma per me è un processo immaginativo quasi automatico: vedo qualcosa e ci costruisco sopra mondi, che prendono pieghe autonome e che poi dal soggetto originario si distaccano completamente.

Ecco, quando vedo Hitlerino, mi viene da chiedergli se innanzitutto io gli sia ormai familiare. E a questa domanda potrei azzardare da solo una risposta: penso proprio di sì dato che sono anni che vede la mia figura, la mia auto. Neppure scappa via quando mi adocchia. E questo già da qualche tempo. Dunque posso presumere che mi riconosca.

A questo punto andrei oltre e gli chiederei delle altre persone, che livello di familiarità abbia con il riconoscimento facciale. Ovviamente gli dovrei formulare la domanda in un modo per lui comprensibile, magari ponendolo di fronte a persone familiari e non, per coglierne le reazioni.

Insomma, quel che manca, tra noi e il gatto e più in generale tra noi e altre specie viventi è solo un sistema comune di comunicazione. Se si trovasse quello avremmo fatto un enorme passo avanti nella comprensione delle reciproche esigenze.
Ma ammettiamo di averlo trovato, un alfabeto comprensibile per entrambi. E di averci costruito su un linguaggio comune, interspecie, che sia utilizzabile sia da noi che da Hitlerino.
Sarebbe necessario e sufficiente a comunicare, certo. Ma non anche a comprendere le rispettive realtà.

Mi spiego.

Come faccio capire a Hitlerino l’origine del suo nome?
Gli mostro una foto di Hitler?
Non sarebbe sufficiente: Hitlerino quale grado di consapevolezza ha del proprio aspetto? E anche se si specchiasse e riconoscesse, riuscirebbe a proiettare quella sua immagine in un essere umano del passato, trovando con esso punti di contatto? Ne dubito fortemente: neppure le persone che conosco associano Hitlerino a Hitler: ho sempre dovuto spiegar loro perché lo chiamassi così.

Vado oltre.

Come spiego a Hitlerino cos’abbia combinato Hitler? Cosa sia stata la Seconda Guerra Mondiale, l’Olocausto?
Come gli spiego proprio il concetto complesso di “guerra” se non addirittura di “Lebensraum”? Eppure Hitlerino sa perfettamente cosa sia uno “spazio vitale”: lui stesso ne marca uno. Ma dubito della sua capacità di proiezione di questo concetto a una sovrastruttura, come una nazione, di cui non può avere coscienza né esperienza.

Insomma, Hitlerino è un grande ignorante, circa le cose dell’uomo. E non gliene faccio una colpa.

Avete già capito: la cosa non mi ferma dal compiere ulteriori step nella comunicazione ipotetica con Hitlerino.

Cosa capisce, questo magnifico gatto, dei progetti nucleari di Hitler poi mai portati a termine?
Presumo zero. Gli manca completamente qualsiasi aggancio con la sua dimensione: cos’è un razzo-vettore per un gatto? Solo un coso che fa un rumore fastidioso. E deve vederlo, sentirlo, mica sentirne solo parlare.

Bene.

Caro Hitlerino, a questo punto lascio perdere ogni riferimento al dittatore che ti somiglia e cambio argomento; ti chiedo: mi spieghi come sono progettati i moduli della Stazione Spaziale Internazionale?

Hitlerino mi guarda e si lecca una zampa.

Quando i concetti sono sideralmente distanti dalla cultura, dalle conoscenze ma anche solo dalla capacità di un soggetto, questo non solo non potrà comprenderli ma non avrà mai neppure un vago sentore, neppure abbozzato, neppure per grossi capi, di ciò di cui si sta parlando.
Siamo praticamente allo zero nella comprensione di un qualcosa. Hitlerino non avrà mai, mai, mai alcuna possibilità di rispondere alla mia domanda sulla ISS, neppure se dovessimo finalmente trovare un modo per comunicare: non è la comunicazione qui, il punto nodale ma le capacità di comprensione della realtà

Passo ulteriore in avanti.

Hitlerino non è che viva nell’igiene: è comunque un gatto libero e la natura si sa come sia.
Nel pelo di Hitlerino presumo ci siano dei parassiti, magari zecche, pulci, acari e non so cos’altro.
Ecco, io mi vedo avvicinare questo gatto, smettere di dialogare con lui e iniziare ad affrontare gli stessi argomenti con un suo parassita, mettiamo “Giacomo”, una delle sue pulci.
Giacomo ha, rispetto a un gatto, una capacità di comprensione delle realtà complesse ancora molto, molto inferiore. Non ho la minima idea se riesca a percepire la mia presenza. In ogni caso dubito che mi “riconosca” in qualche modo.
Comunicare con Giacomo sarebbe una impresa titanica, ma immaginiamo che io abbia una macchina ipertecnologica che ci consenta una sorta di dialogo: come spiego a Giacomo della Stazione Spaziale internazionale? Se già Hitlerino, pur con tutta la sua felina intelligenza, era così limitato su questi concetti, immagino Giacomo.

Perfetto, sin qui ci siamo.

Ultimo step: nel sangue di Giacomo la pulce vive un parassita: l’Hymenolepsis. Sono platelminti o vermi piatti che provocano parassitosi intestinali. Esseri viventi anch’essi.
Avete già capito: cerco di spiegare a un Hymenolepsis la Stazione Spaziale Internazionale.

Che probabilità di successo avrò?

Se potessi misurare la distanza che separa Hitlerino dalla comprensione del funzionamento della ISS, potrei dire che è infinita: nessuna possibilità che la capisca (e si badi: si tratta comunque di un oggetto non di un concetto astratto, ancora più difficile da comprendere).
Ma anche da Giacomo la pulce alla ISS c’è una distanza infinita quanto a capacità di comprensione.
Così come per il mio simpatico organismo parassita Hymenolepsis, al quale non ho neppure voluto dare un nome.
Tutti e tre questi esseri viventi, di tre diversi gradi di evoluzione e capacità cognitiva, non potranno mai, mai, mai comprendere un qualcosa di tanto distante dalle loro possibilità ma se avessimo un centesimo da scommettere su quale di questi tre esseri viventi potrebbe avere una minima chance di capirci qualcosina, circa la ISS, lo punteremmo su Hitlerino e non certo su Giacomo la pulce. Figuriamoci sull’ Hymenolepsis.

Chiarito questo veniamo al punto: l’essere umano, in quanto animale, iperevoluto per carità ma pur sempre essere vivente con precisi meccanismi biologici, si potrebbe trovare alla stessa distanza cognitiva che separa la comprensione della ISS dall’Hymenolepsis, per qualche altra realtà, fenomeno, oggetto, concetto. E forse anche molto più lontano.
Niente e nessuno, neppure una civiltà o una entità a noi immensamente superiore potrebbe “spiegarci” il “################”, che qui riporto così proprio a simboleggiare il concetto di qualcosa per noi totalmente incomprensibile, tanto da non poter neppure essere associato a un nome, qualcosa alla stessa distanza di gestione mentale che avrebbe l’ Hymenolepsis con la Stazione Spaziale Internazionale. O più.

Potremmo essere noi stessi degli Hitlerini, dei Giacomo la pulce o degli Hymenolepsis e avere oltre il nostro universo altri universi impossibili da osservare, adesso o mai, perché su altri piani, altre dimensioni, altri concetti che ci sfuggono totalmente.

Potremmo essere Giacomo la pulce per forme di energia di cui non abbiamo alcuna cognizione né potremo mai averla perché su altre scale per noi inconcepibili.

Potremmo essere Hymenolepsis per “xxxxxxxxxxxx”, un qualcosa che non potrei neppure qui scrivere, definire, mancando qualsiasi riferimento persino semantico, alla stessa stregua del concetto di “filosofia” per il povero Hymenolepsis.

E dunque quaggiù ci affanniamo a parlare di Dio, di universo, di vita e di morte, e magari siamo Hitlerino al quale qualcuno vorrebbe spiegare la ISS.

In questi termini potremmo dire che la fantascienza non esiste. Esistono solo stati cognitivi, livelli evolutivi, linguaggi differenti, esperienze non appartenenti alla nostra limitata realtà e dunque non sperimentabili per noi. Ma per qualcun altro o qualcos’altro sì.
La ISS è oltre la fantascienza per Hitlerino, era fantascienza per noi già solo pochi decenni fa, è semplicemente scienza adesso. Ed è questo che qui interessa.
Il fenomeno “##############” continua a essere oltre la fantascienza per Hitlerino, Giacomo o l’Hymenolepsis, ma anche per noi. Invece per un altro “essere” o forma vivente o ancora “cosa” indefinibile coi nostri parametri, potrebbe essere perfetta normalità.
Una realtà infinita, per noi già concetto ostico, significherebbe infinite forme “viventi” con infinite combinazioni e possibilità e capacità di comprensione.

Nessuna fantascienza potrebbe essere tale in un universo infinito perché qualcosa o qualcuno, nello stesso universo infinito, certamente la comprenderà.

L’ISS è fantascienza solo per tre dei quattro esseri presentati qui: godiamoci questo effimero privilegio.

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Catcalling

È “di tendenza” l’argomento “molestie sessuali in strada”, quelle che vanno dal fischio da pecoraro fino a oscenità varie, in genere dagli uomini verso le donne (quantomeno per frequenza).

Bene.

Una delle cose che sfugge ai più è l’assoluta irrilevanza del “successo” di queste tecniche troglodite. L’uomo che fischia per strada alla ragazza che passa non ha alcuna speranza reale di attirarne l’attenzione positivamente. Il suo è un modo primitivo di affermare la propria virilità. Sta esibendosi nel corteggiamento in voga nel neolitico, quando non si andava troppo per il sottile e si prendeva con la forza ciò che voleva.

Essendo però oggi inserito in una società civile, tutto ciò che gli resta è mostrare agli altri elementi del branco la sua virilità nell’unico modo spiccio che conosce.

Il fine dunque è rinforzare la sua proiezione virile verso gli altri uomini della tribù.

In sintesi, sta affermando profondo bisogno di consenso, insicurezza verso l’altro sesso, posizione sociale zoppicante.

Dunque, quando chiedete: “ma hai mai rimorchiato in questo modo?” state sbagliando domanda.

Quella vera è: “Quale serie di sofferenze ti ha ridotto in questo stato cognitivo-comportamentale che continui a spacciare per goliardia?”.

Prego.

La Lega del futuro(?)

Lo zoccolo duro leghista, quello del profondo Nord, deluso dall’apertura al Mezzogiorno (apertura proprio verso chi veniva appellato come “fannullone” se non molto peggio) non ha mai nutrito grossa simpatia per Salvini. Lo spirito secessionista bossiano cova da sempre. Per questo si parla di avvicendamenti, nuove “correnti” e persino scissioni. Come un PD qualunque. Sarà interessante assistere a come la macchina della comunicazione morisiana risponderà.

Io ci vedo tre fasi.

1) Alle voci di scissione Salvini risponderà con risatine e slogan alla: “Tutte chiacchiere, la Lega è unita per il bene di tutti gli italiani”.

2) Successivamente, quando i primi leader inizieranno a catalizzare attenzione e sottrarre riflettori a Salvini (che di questo soffre terribilmente: vedasi le ciliegie con Zaia), ecco che Morisi consiglierà di switchare verso toni decisi, per mostrare all’elettorato chi sia ancora a comandare, chi il maschio alfa. E dunque gli slogan saranno del tipo: “Noi tiriamo dritto: chi non vuole il bene degli italiani dovrà rendere conto al popolo. Noi vogliamo il bene degli italiani e lo abbiamo dimostrato: questi signori, se vogliono fare i propri interessi possono accomodarsi fuori”.

3) In ultimo, una volta che una nuova stella leghista sarà comparsa all’orizzonte – e in questo momento vedo bene Zaia, ma non è escluso qualche colpo di scena – Salvini, da grande animale politico con enorme esperienza qual è, inizierà con la solita collaudata solfa del: “Il simbolo è mio e non si tocca”, con il suo nome sempre più evidente, a compattare i suoi fedelissimi e slogan come: “Il nostro progetto prevede, ora più che mai, mettere al centro gli italiani. Chi non vuole il bene dell’Italia ormai è individuato”.

La cosa più buffa che prevedo – Dio solo sa quanto mi farebbe ridere se avessi ragione – sta nel fatto che in caso di scissioni, Salvini potrebbe contare più sul Mezzogiorno che sul Nord, dato che quest’ultimo avrà di nuovo ripreso la strada del distacco, della separazione, del federalismo, del seguire chi si fa carico delle istanze storiche padane, vale a dire abbandonare il carrozzone meridionale e far volare l’economia padana mitteleuropea, che di mitteleuropeo però non avrà più nulla dopo questa immane crisi economica.

Metto questa mia modestissima previsione anche sul mio blog, a futura memoria.

Segnatevi queste mie mattane aruspicine.

Perché esistono i negazionisti del virus

Dai, la buttiamo giù definitiva, a uso e consumo di tutti per rapidi copia-incolla di fronte a osservazioni come:

“Ahahahah, e allora Zangrillo, Tarro, Bassetti, De Donno sarebbero deficienti o ignoranti, vero? Se ti piace continua tu a fare la pecora, a seguire il pensiero unico, a seguire i tuoi scienziati che cambiano idea ogni cinque minuti, le mascherine sì, le mascherine no, l’OMS che si rimangia le cose. Io penso con la mia testa. Vedrai che tra poco ci rinchiuderanno ancora e poi non ci sarà più la tua amata democrazia ad aiutarti”.

Analizziamo.

1) La posizione ufficiale del mondo scientifico è concorde, possono non esserlo i singoli appartenenti al mondo scientifico. Ma c’è sempre “una” posizione ufficiale, oltre le varie teorie, che però devono trovare conferma tramite dati. Certo che la posizione ufficiale cambia e continua a cambiare col tempo, con le esperienze – vivaddio – ma “scegliersi” solo i propri esponenti del mondo scientifico, proprio quelli che sotto molti aspetti contrastano la posizione ufficiale, escludendo tutti gli altri, rappresenta un perfetto esempio di cherry picking. Se un giorno uno di questi rappresentanti del proprio pensiero dovesse cambiare idea, il “supporter” per non cadere in dissonanza cognitiva e mostrare di aver commesso un errore di valutazione, accuserà lo scienziato “traditore” di essere passato al nemico dietro compenso. Tutto senza alcuna prova.

2) L’idea che ci sia una necessaria deriva verso una situazione precisa (“fine della democrazia”) è il tipico “piano inclinato”: si mostrano conseguenze inevitabili ma tutte nella testa di chi parla. Anche questo puntella l’idea della bontà delle proprie tesi. E ci dona sicurezza.

3) La risata, le faccine, le frasi di scherno denotano una difficoltà argomentativa: trattasi di “ricorso al ridicolo” che tende a screditare personalmente (ad hominem) l’interlocutore nel tentativo di screditare così anche le sue tesi.

La replica di un negazionista a questo punto è spesso: “Anche tu stai portando avanti le tue tesi, no? Che differenza c’è con quel che faccio io?”.
La premessa è sbagliata: qui non portiamo avanti “nostre” tesi ma, consapevoli della nostra ignoranza in tema virus, ci si affida al metodo scientifico e alla posizione ufficiale della scienza in un determinato momento. Non si eleggono propri rappresentanti, si elegge la Scienza. Non si tifa per una tribù, si ascoltano pareri formati tramite metodo scientifico, chiunque li fornisca. L’autorevolezza di qualcuno aiuta, ma non fino all’elezione del “principio di autorevolezza” appunto, che dice che se uno ha un nobel, automaticamente ha più ragione di chi non ce l’ha. Dati e prove. Dati e prove. Sempre.

Perché allora “i negazionisti”, quelli che protestano perché si sentono “reclusi” in casa, quelli che rifiutano mascherine, vaccini, posizione ufficiale, hanno scelto proprio questo “lato”, questo schieramento, e non l’altro, quello ufficiale?
Probabilmente scegliere proprio questa posizione di contrasto e non quella di appoggio alle azioni raccomandate dal mondo scientifico per contrastare il virus può dipendere dal fatto che solo la prima ci mostra più risoluti. Sono posizioni più “caratterizzanti” perché appunto denotano forza, contrasto all’ordine precostituito. Si mostra di avere una opinione forte, certamente più di chi supinamente “accetta” le indicazioni da medici e politica. Insomma, ci si mostra per ciò che piace passi di noi: persone determinate, capaci di andare contro “il Sistema”.
E questo ci piace e ci regala visibilità a livello social. Visibilità a costo zero.
La visibilità è la moneta del nostro tempo: consente di ottenere soddisfazione, endorfine che regalano al nostro cervello sensazioni di piacere. Zuckerberg ha ben capito questa logica ed è questa la benzina che fa andare avanti i social. Quando una canzone ci piace e la condividiamo qui sopra, stiamo dicendo al mondo: “Ehi, guardate cosa mi piace! Guardate che gusti che ho, guardate cosa vi sto facendo scoprire, del mondo e di me. Visto che figata? Pensate di me qualcosa di buono, adesso. Premiatemi”.

Andare contro “il Sistema” permette rapida visibilità, immediata catalizzazione di consenso da parte della medesima tribù, rafforzamento della propria autostima, innesco di circolo virtuoso che porta a regalare alla stessa tribù altro materiale che sarà ampiamente gradito e restituirà altra soddisfazione e autostima. Tanto più quanto più in contrasto si va con le posizioni ufficiali (gli altri: le pecore).

Sempre restando al metodo scientifico ci tengo ad inserire un disclaimer:
la mia è un’analisi personalissima dei fatti, basata non su “opinioni” campate in aria ma su precisi meccanismi noti nella comunicazione. Le conclusioni sono mie personali, certamente, frutto della mia osservazione ed esperienza. Sta al lettore farsi un’idea di quanto qua presentato e di chi lo sta presentando.
Per quanto mi riguarda mi occupo di comunicazione da ventitré anni: ho tenuto migliaia di ore di docenza sui processi comunicativi e le logiche di diffusione della comunicazione sul web e sugli altri media e nell’analisi delle fallacie logiche e bias cognitivi. In aula spiego come costruire sul web messaggi capaci di polarizzare attenzione, orientare il pensiero e creare interesse. Oltre che, ovviamente, come riconoscere trappole mentali e come difendersi da esse. Spiego come si scrive sul web, cosa fanno i politici (tutti) per acquisire consenso, cosa fanno le aziende per venderci prodotti. Ho formato migliaia di allievi e personale di aziende. Utilizzo questa pagina come divertissement ma anche come laboratorio per l’analisi dei processi comunicativi. Che io scriva battute, provocazioni, menate demenziali, peraltro con uno pseudonimo tutt’altro che autorevole, è perché questo è il mio personale spazio che gestisco in autonomia e piena libertà, ma non significa che dietro questa pagina ci sia un giratore di sugo a tempo pieno.
Accetto osservazioni, puntualizzazioni, correzioni, ma prima presentatevi, spiegatemi di cosa vi occupate, quali i vostri titoli e su quali basi state affermando una tesi che contrasta quanto qui esposto.

Altrimenti sugo, cucchiara e modestia.

Modestia come la mia, quando mi affido a chi ne sa più di me in medicina, virologia, architettura, nuoto, astronomia, fisica delle particelle, hockey su ghiaccio, idraulica, gastronomia, smerigliatura, unghie finte, citofonologia, scienza dei gargarismi, gnoseologia della morale, pittura fresca, mangime per criceti, ogni singolo ambito in cui io non mi riconosco competenza.

Grazie.

Elegia del rancore

Provo rancore come pochi. E lo coltivo, anche se già sono naturalmente portato per vederlo fiorire in me.

Il rancore è estremamente sottovalutato. Permette di sublimare odio e violenza in qualcosa di discreto ed elegante. Ma consente a chi lo prova di tenere alta la guardia, mantenere le persone che te lo hanno causato a distanza e soprattutto permette che queste lo “avvertano”.

Perché il rancore si percepisce, passa attraverso pareti e attraversa il tempo.

Tutti coloro che gli hanno in me soffiato vita, sanno del mio rancore, e questo crea in loro un ventaglio emozionale che passa dall’imbarazzo al disagio, fino a diventare esso stesso rancore nei miei confronti. Ma quest’ultimo è depotenziato: il rancore di ritorno non ha la stessa portata del rancore che lo ha generato.
È solo utile come arma di autodifesa, per non sentirsi troppo sbagliati.

No.

Il mio rancore è devastante, permanente, ineliminabile.
Non faccio nulla per sfoggiarlo, arriva comunque.
Veste le forme del sorriso di circostanza o della parola in meno.
Del mancato ringraziamento o della minore partecipazione emotiva.
Della prossemica ad excludendum o del silenzio ad libitum.

Della differenza col “prima”.

E no, non è “meglio l’indifferenza”.
Il mio rancore è indistinguibile da essa, non concede nulla più dell’indifferenza, non ostenta più. Resta al mio interno quanto a espressività, ma arriva meglio.
Chi ne è investito non ne ha immediata coscienza. Arriva dopo, anche molto dopo, perché è mescolato ad azioni sempre uguali. All’inizio.
Ma allarga progressivamente la sua azione, si espande. Fino all’acme, al momento in cui ti appare evidente.

Finalmente.

È quello il momento.

Ti esclude dalla mia considerazione, che considero l’unico, vero privilegio di cui posso fare dono. E a quel punto avverti quel senso di spaesamento, quel sentirti privato di qualcosa, spostato di ruolo, rivisto in rango, riposizionato tuo malgrado.
Ed è là che inizia il tuo percorso di analisi e resa dei conti coi motivi, che già conoscevi ma di cui ancora non avevi chiara portata.
Ed è là che il mio rancore ha fatto breccia.

Ha vinto.

Amo il mio rancore.

È la bestia ferita che nasce dalla delusione, mantiene dignità e orgoglio.

E non si volta mai più.