Pepperoni conspiracy

Bastano pochi giorni negli USA per capire il motivo dell’epidemia di obesità che affligge gli americani. E non si tratta solo dei soliti Big Mc o delle bibite gassate.

Provate a fare la spesa. Provate a comprare una roba semplice qualunque, che so: mandorle. Ecco, farete una gran fatica a trovare mandorle e basta. Nessun problema invece nel reperire:

  • mandorle al cioccolato;
  • mandorle glassate al caramello salato;
  • mandorle al burro di cocco e granella di zucchero con mini marshmallow incastonati;
  • mandorle al manzo affumicato, parmesan cheese e vino;
  • mandorle allo strutto di uranio, ascella di pescatore e olio motore.

Provate a comprare delle patatine in busta: dappertutto campeggia la dicitura: “naturally and artificially flavored”. Cioè, non basta che invece dell’olio di semi di girasole ci sia l’olio di canola (qualunque cosa sia la canola), non basta che ci siano aromatizzanti naturali: servono pure gli artificiali.

Il latte. Provate a trovare un litro di latte normale. A parte l’unità di misura diversa, ci sono fusti da un gallone che già solo a vederli li battezzi come detersivo, non solo per le dimensioni ma per le etichette colorate, che ci regalano mix micidiali di latte e fragola, latte e noci di macadamia, latte e pizza, latte e fondi obbligazionari JP Morgan.

Persino nei market biologici, dove campeggia dappertutto la scritta “organic” e sulle confezioni ci si affanna a sottolineare la naturale composizione del cibo, la lista degli ingredienti e additivi è inquietante.

Credo che a un certo punto uno entri nell’idea che il cibo debba essere raffinato, lavorato, aromatizzato il più possibile.

C’è dietro una industria alimentare impressionante, una catena produttiva che vive e prospera avvelenando un popolo indolente e privo di cultura alimentare, che vede ovunque prodotti finalizzati a esaltare i sapori e a fottersene delle conseguenze. Ho comprato una ciambella, una di quelle di Homer: mi è sembrato di assaggiare una flebo di Diamox.

I sapori sono finti, e non parlo da italiano esaltato, di quelli pronti a “ma come si mangia in Italia, signora mia”: ogni cibo è pungente, amplificato, parla direttamente con la tua emicrania.

Questo poi si traduce nel successivo problema: i culi.
Culi enormi che crescono sotto i colpi di “sugar added” e “may contain some shit”, culi ingestibili e ridondanti, culi che attraggono lo sguardo già solo per la legge di gravitazione universale, attaccati a gente che per muoversi è ridotta alle macchinine elettriche, così da muoversi agilmente tra scaffali saturi di grassi saturi.

Tutto per esaltare palabilità, sapore, possenza del gusto.

Ma allora non mi spiego il motivo per cui poi tutti girino con in mano un walky cup con dentro una nera brodaglia acquosa.

Sarà straordinario il sapore del cartone.

Mi vado bene così. E quell’uva non è poi granché

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Una ragazza acqua e sapone che si accetta per quello che è

Tra una foto di un bambino affogato su una spiaggia e una pubblicità che mi invitava a prenotare subito le mie vacanze al mare (non scherzo: potere dell’impaginazione miope), leggevo l’ennesimo articolo sullo stress e sul sapersi accettare per quello che si è, con una filosofia – più generale – che alla fine si risolve in un chinare il capo al fato e se sei grassa accettati, se sei cesso canta “il bello di essere brutti“, se hai la gobba toccati e avrai fortuna (ma probabilmente avrai commesso peccato), e che insomma è tutto bello così. Il che – mi pare – strida fortemente con ben altra programmazione genetica, che ci spinge costantemente a progredire, ad andare avanti, porci degli obiettivi, sognare per realizzare qualcosa, migliorare noi stessi.

Insomma, il “Mi vado bene così” io l’ho sempre trovato fortemente ipocrita, già solo perché nessuno di noi si accetta così. Altrimenti andremmo in giro nudi, per esempio, ma per convenzione sociale, opportunità, temperatura, pudore, ci mettiamo due stracci addosso. Facciamo esempi più concreti e meno estremi? Il “Mi vado bene così” implicherebbe accettare i capelli bianchi senza ricorrere a tinte, e niente capsule, sbiancamenti o trattamenti estetici dentali; trucco manco a parlarne, e gli occhiali non scherziamo: se non ci vedi accettalo, è un difetto naturale, sei fatto così. Ah, il deodorante.
Invece l’uomo corregge le proprie imperfezioni, perché vuole vivere meglio, ma anche solo apparire migliore, più giovane, in salute.

Perché questo dovrebbe valere per ogni cosa tranne i kg di troppo? Che peraltro manco ti cadono giù dal cielo
ma li costruisci da solo, con anni di impegno, quei rotoli. Perché metti un abito elegante, fard e rimmel, borsetta alla moda e zircone ai denti, anelli e orecchini, usi il deodorante (su questo ci voglio tornare, il deodorante è una evidente dichiarazione di abdicazione all’accettarsi per quel che si è: è quello il tuo odore naturale, accettalo), ti muovi in auto e non usando le tue gambe, mangi con le posate invece delle mani, e l’ascensore, e gli utensili invece delle nude mani… insomma, cambi tutto il cambiabile, ma poi per la ciccia te ne esci con “Mi vado bene così”?
Probabilmente perché tutto quel che ti ho elencato non comporta alcun sacrificio, se non economico.
Perdere peso sì. Evitare gli eccessi della buona o cattiva tavola sì. Alzare il culo sì.

Sacrificio.

Vestire di nero non ti aiuterà, ma anche questo: perché lo fai? Il nero sfina? E cosa ti importa, se la filosofia è quella di accettarsi per quel che si è?

Il pericolo del “Mi vado bene così” è poi ulteriormente evidente quando si inizia a celebrare la cultura del lassismo, a vedere come filosofia positiva di vita il lasciarsi andare, a confondere una vita senza stress con il non porsi obiettivi positivi. Ed ecco l’esaltazione del curvy, solo ipocritamente contrapposta alla lotta all’anoressia, quando il modello preso a paragone è già evidentemente errato. Non è l’anoressia, l’antagonista della ciccia: è lo stile di vita sano, ma accettarlo pesa (sic!).

Ci sono poi quelli del “è il metabolismo”. Sono gli stessi che trovano pretesti, capri espiatori, scusanti, come se vivessero permanentemente in una corrente del PD. Perché sarà anche il metabolismo (in parte), ma allora a maggior ragione alza il culo, non dargli una mano con le patatine. Pensate davvero che l’obesità che vedete in giro e che pare assumere le forme di una vera e propria epidemia dipenda da fattori genetici? La genetica incide per una percentuale minima, rispetto ad abitudini scorrette.

Resto poi basito di fronte al vessillo innalzato dai sostenitori del “Mi vado bene così”, circa il non voler rinunciare ai piaceri della vita. Come se fare le scale in agilità non rientrasse tra questi. Come se vedersi i piedi quando si va a pisciare non lo fosse. Come se non avere le ginocchia e la schiena doloranti quando si fanno due passi (dopo anni di abusi alimentari e nessuna attività fisica degna di nota) non fossero piaceri della vita.
Cosa considerate “piacere dalla vita”, solo abboffarsi di lasagne? Entrare in quello stesso ristorante e avere gli occhi addosso delle persone, non carichi di pietà (o peggio scherno) ma di ammirazione, non è un piacere della vita? Ma davvero trovate superficiale la cura dell’aspetto fisico e non invece la svogliatezza, l’abulia, il non avere attenzione per la propria persona? Non è questo lassismo, davvero superficiale?

E davvero poi considerate tutto questo in contrapposizione con “la bellezza interiore”? Ma perché mai? Capisco che parlare con un medio frequentatore di palestra possa spesso confermare tutti i pregiudizi negativi che ci portiamo appresso, circa cultura, capacità comunicativa, interessi, igiene personale, ma non scegliete solo i fanatici dopati. C’è un mondo che va oltre steroidi e fissazioni, credetemi.

Il modello curvy è rassicurante, certo, ma non per chi si “accetta così”, ma per chi non ha la forza interiore di migliorarsi, per chi ha perso motivazione, per chi si è seduto e ha smesso di considerare la vita un porsi obiettivi.

Magari è anche questo, umano.

Ma a trent’anni?