Dillo con parole tue

La deriva marchettara presente in ogni cosa rende necessario osare sempre un po’ di più, perché si è abbassata la soglia dello stupore. Dunque, per attirare, impressionare, colpire, tutto è esasperato.
Pensate alle collezioni “esclusive” che trovate a un euro in edicola. Escludono chi?
Ma il top per me resta sempre la descrizione dei vini: là si toccano vette inarrivabili. Dare a un vino una caratterizzazione precisa, renderlo unico, comporta la creazione di un nuovo linguaggio sinestetico, fatto di associazioni sempre più ardite.
E il vino “Rosso della casa” diventa:

Un pregiato blend ottenuto da sceltissimi vitigni autoctoni, di colore rosso rubino con sfumature viola e screziature porpora, dotato di grande complessità aromatica con effluvi che spaziano dalle eleganti note di frutti di bosco – lampone e more delle medie colline toscane fino a scendere nel cuore dell’Umbria – a leggere sfumature erbacee nelle quali si riscontrano con facilità canapa e cannella che portano a reminiscenze asiatiche di un tempo nel quale gli ottomani conquistavano le terre conosciute, con pastosità tipiche del Merlot di Camelot e cavalieri della tavola rotonda che brindano dopo razzie tipiche delle nostre terre.
Il corpo è generoso, ricco, gaudente, paperotto e fiero, di buona sapidità, bassa acidità, sole, vento e trallallà.
Al palato è morbido, al tatto splendido, all’occhio candido e al culo gelido, con retrogusto persistente ma non invadente, certo splendido splendente come sono affascinante faccio cerchi con la mente, con finale armonico, antropico, quasi traumatico.
Si abbina perfettamente a tutti i piatti di carne rossa, bianca, cobalto, basalto, più in alto, costicine di agnello, vitello, sgabello, radicchio di Treviso, Monviso, conciso, brasati di Pescara zona San Donato gira a destra dove c’è il carcere non puoi sbagliare, e formaggi di media stagionatura ma arroccati fieramente grazie a un bisturi tagliente.
Splendido splendente.

Scoregge comunicative

Che differenza passa tra un essere umano ed un bovino di taglia media? Apparentemente nessuna, se il parametro è la persona con la quale in genere dormite.
Ma se proviamo a generalizzare un po’ ci accorgiamo che la più grossa differenza è la diversa capacità di comunicare.
Prendiamo ad esempio un dialogo-tipo tra uomo e donna:

Uomo: Cazzo è ancora ‘sta roba?
Donna: È Masterchef.
Uomo: Cristo, ancora gente che cucina in tv?!
Donna: L’alternativa sarebbe? La partita?
Uomo: Certo! C’è Sassuolo-Livorno!
Donna: Imperdibile, certo.
Uomo: Sicuramente più di broccoletti e salsa tartara.
Donna: Sei un coglione.
Uomo: Troia.

Come vedete la comunicazione è varia, articolata e raccoglie elementi di cultura personale (piacere per la cucina, interesse per il calcio), stati d’animo (nervosismo, poca attenzione all’altro), caratteristiche comportamentali (coglione, troia).

Immaginate la stessa conversazione tra un essere umano ed il bovino di taglia media di cui sopra:

Uomo: Cazzo è ancora ‘sta roba?
Bovino: È Masterchef.
Uomo: Cristo, ancora gente che cucina in tv?!
Bovino: L’alternativa sarebbe? La partita?
Uomo: Certo! C’è Sassuolo-Livorno!
Bovino: Imperdibile, certo.
Uomo: Sicuramente più di broccoletti e salsa tartara.
Bovino: Sei un coglione.
Uomo: Troia.

Ecco, in questo caso ho pescato un bovino particolarmente loquace. Ma in genere questa specie animale si sarebbe limitata a rispondere: “Muuuuh” ad ogni passaggio. Impoverendo anche la dialettica dall’altra parte:

Uomo: Cazzo è ancora ‘sta roba?
Bovino: Muuuuh.
Uomo: Eh?!
Bovino: Muuuuh.
Uomo: Non sai dire altro?
Bovino: Muuuuh.
Uomo: Non si può andare avanti così.
Bovino: Muuuuh.
Uomo: Troia.

Questo come premessa necessaria per capire quanto successo l’altra sera. Su Facebook avevo notato uno che mi metteva “mi piace” in modo seriale su tutta una serie di risposte particolarmente sarcastiche. Dato che la roba che scrivo sulla mia pagina FB riconosco non sia per tutti, ho particolarmente apprezzato la cosa e un po’ per gratitudine dato che mi segue, un po’ perché mi piace conoscere gente nuova, gli ho chiesto amicizia. Prontamente accettata. Al che è iniziato un dialogo brevissimo, che ha preso una piega del tutto inaspettata e con un finale che ritengo grottesco ma molto utile ai fini della comprensione dei meccanismi alla base degli scambi comunicativi tra persone diverse dai bovini.

Ecco, questa è la dimostrazione più evidente di come non sia mai possibile dare per scontato il possesso di identici registri comunicativi.
A nulla vale la contestualizzazione ambientale, anzi: è fuorviante. Il mio ritenere le persone che mi seguono come… persone che davvero mi seguono e capiscono sempre ciò che dico, ma soprattutto comprendono i toni a prescindere, ha generato in me l’idea che queste fossero già “tarate” su un certo tipo di linguaggio, che è quello che adotto quando scrivo qua sopra o su Facebook. In sintesi, ho ritenuto il tizio della conversazione alla stregua di quei miei amici coi quali ci si saluta augurandoci una morte dolorosa o almeno la perdita di un avambraccio. E con un linguaggio consono.
Perché è proprio questo l’errore che si commette quando si ritiene (erroneamente) di comunicare con una persona, della quale si conosce in realtà poco: diamo per presunte tutta una serie di caratteristiche che magari sono completamente assenti. In questo caso la sua capacità di astrazione ed immersione in un dialogo surreale, l’apprezzare una comunicazione “diversa” dalle solite: ecco, questa parte proiettivo-comunicativa, capire che il suo interlocutore in quel momento non era persona ma personaggio è stata idea in lui del tutto assente. Questo si relazionava con me esattamente come avrebbe fatto con una persona qualunque che gli stesse chiedendo amicizia su Facebook. A nulla è servito il mio presentarmi come “UMC”: quella che ritenevo una “patente” comunicativa in grado di farci bypassare convenevoli ed inutili riguardi, puntando invece direttamente su toni volutamente paradossali e (per me) palesemente ironici si è rivelata una (mia) comunicazione perdente.

L’epilogo è stato fortemente illuminante:


Notate? Parla di educazione e rispetto. Ma anche di presunzione. Non è riuscito a centrare minimamente non solo la mia volontà di traslare l’intera comunicazione su un piano diverso e fortemente ironico ma gli è mancata anche la capacità di cogliere quella parte di forte autoironia nella quale denigravo lui per denigrare il personaggio UMC (“Se avessi dignità non seguiresti UMC”). In sintesi mi davo del coglione da solo, ma per tutta risposta ho ottenuto l’equivalente del “Muuuuh” del bovino di taglia media. Certo, con più avverbi e qualche CAPS LOCK (i bovini hanno seri problemi con la tastiera: sarà per la conformazione delle zampe).

Sarebbe facile ora parlare di sopravvalutazione dell’interlocutore: la verità è che la carenza e l’incapacità di adottare il giusto registro comunicativo è stata solo mia. Ho dato per scontate troppe cose, approcciato in modo errato, non compreso segnali dell’interlocutore.
E questo mi ha fatto perdere un lettore, potenziale acquirente delle mie cose.

Certo, non le avrebbe capite.