Disperazione moderata

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Un uomo visita una nuova costruzione per eventuale acquisto di una seconda casa in collina

 

L’espressione “Islam moderato” è un po’ come “Paracadutismo da salotto”, “Politica al servizio dei cittadini” o “Formula 1 appassionante”. È evidente che ci sia qualcosa che non quadra.
È che il problema non risiede in quella specifica religione ma in qualunque sistema di regole eteroimposto: un cristiano moderato, semplicemente, non è un cristiano, ma un qualcuno che si adatta delle regole (altrimenti ben più stringenti) per poter vivere una vita normale. Un cristiano praticante e osservante non scopa, poche chiacchiere: tre botte, tre figli. E tutti con la moglie ufficiale. E con questo abbiamo scremato la totalità di chi continua a dichiararsi cristiano solo perché va a messa a Pasqua e Natale. Un cristiano vero non mente mai, paga tutte le tasse, aiuta il prossimo, non dice parolacce, paga il canone, non guarda il Victoria’s Secret, non desidera neppure guardarlo perché ci sono donne di altri (anche se aliene), non ha pensieri impuri, non pensa alla confessione come a un sistema di formattazione o una ultima ratio: l’istituto della confessione non nasce per permettere di fare il porco comodo proprio.

In sintesi, io non conosco cristiani veri ma cristiani adattivi.

Quando un sistema di regole diventa troppo soffocante rispetto allo stile di vita che desideriamo (e che possiamo condurre), ecco che o il sistema si ammorbidisce (e arriva un Papa Francesco a sostituire un Ratzinger che legge in latino pure l’etichetta del gingerino) oppure quel sistema è destinato a soccombere.

Perché allora il problema si presenta di più per il mondo islamico? Domanda sbagliata nella premessa: il problema si presenta per TUTTI i sistemi di regole, non solo religiose. Anche un sistema dittatoriale ha delle regole, che sovente vengono fatte rispettare con le armi e il terrore. Ma a volte la disperazione supera la paura e quel sistema viene sovvertito, col sangue.
Per la religione è lo stesso: il timore della dannazione eterna (o della reincarnazione in un essere inferiore, dalla medusa al verme allo stagista) rappresenta uno spauracchio potentissimo, con un potere di influenza eccezionale su persone prive di strumenti culturali per decifrare la realtà delle cose. È ovvio che se poi questa realtà è rappresentata da una vita di affanni e stenti, se il tuo quotidiano lo vivi tra le macerie della striscia di Gaza, se il tuo futuro non si presenta come una villetta bifamiliare a Cologno Monzese ma come una caverna dalla quale lanciare messaggi di terrore al mondo (e questo se fai carriera e butti giù almeno un paio di grattacieli), è ovvio che tutto quel che ti resta è sperare in un’altra vita. E osservare alla lettera le regole della tua religione non rappresenta che l’unico mezzo per raggiungere quell’obiettivo.

Dunque, un islamico moderato è un islamico che vive a Londra, si è aperto un negozio con le arance a otto sterline al kg da vendere ai turisti italiani, ha prospettive, speranze, futuro. È un islamico che ha ammorbidito le stringenti regole del Corano, perché la sua vita glielo consente, perché la sua disperazione non è più tale, perché il suo panorama non è fatto di pietre da lanciare alle donne. Che poi queste manco gliele riportano.

Un credente moderato è uno che crede perché gli conviene pascalianamente credere. Ma se domani gli offri un Dio migliore magari cambia parrocchia, tipo Ibrahimovic.

Il problema non è cercare il dialogo coi “moderati”. Il problema è creare moderati.
Vale a dire dare speranza a questa gente.
Dunque, siamo fregati.