Gattare, cani, taxi invisibili e stronzi artistici

Gattara

Storia vera.
Dunque, c’è questa macchina, una vecchia Polo degli anni ’90, color grigio-Bersani, completamente arrugginita in tutte le parti metalliche e anche in alcune plastiche. Ci sono millemila parcheggi – siamo fuori da un centro commerciale – ma vedo che accosta sullo spazio giallo, con la scritta “TAXI” in carattere Arial Narrow, corpo ottocentomila. Una di quelle pochissime opere dell’uomo visibili anche dalla Luna, come la Muraglia Cinese e non so cos’altro. Forse un’altra Muraglia Cinese (la Cina è molto grande).
Ma la donna che guida la Polo ignora la scritta e ci si piazza sopra.

La mia mente scarrella rapidamente a tutta una serie di supposizioni:
– Quella Polo, nonostante il colore, è un Taxi
– La donna non sa leggere
– La Polo non sa leggere
– La donna se ne fotte della scritta
– La donna è straniera e nella sua lingua “Taxi” significa “Qui puoi parcheggiare”
– Ma tu pensa che cazzo di coincidenza deve essere
– E che strano paese il suo

Propendo decisamente per l’ipotesi “se ne fotte”, soprattutto quando vedo che ci parcheggia sopra di 3/4, occupando anche parte della carreggiata e quasi investendo me, fermo da un minuto ma probabilmente ancora pieno di energia cinetica ai suoi occhi ed estremamente reattivo ai tentativi di investimenti, sempre per i suoi parametri.
Così è in effetti ed evito una botta per puro spirito di autoconservazione.

La donna spegne il motore, esce dalla macchina e mi accorgo che si tratta della “gattara” dei Simpson. È decisamente orribile, nell’aspetto e nell’odore.
Ma questo è nulla rispetto ad una vecchia che lei aiuta a scendere – probabilmente la mamma della gattara. Si tratta di una “cosa” di circa 200-220 anni, portati così così, completamente avvolta da una nuvola viola, che all’inizio mi ricorda la pubblicità contro l’AIDS, poi giungo alla conclusione si tratti di concrezione visiva della sua anima che sta cercando di abbandonarla ed è già fuori per una buona metà in modo podalico.
Ora so che le anime sono viola. Forse per abbinarsi con i colori da lutto.
Comunque. Nel posto di dietro c’è un cane, in piedi, sopra la sua gabbia da trasporto.
Non chiedetemi che razza sia perché è già tanto che io li sappia distinguere da alcune specie di commercialista.
Cosa fa questo cane, appena la macchina si spegne?
Dai, secondo voi?
Dai, vi aiuto: voi, cosa fareste, se foste sul sedile posteriore di una macchina scassata, con una donna orribile che guida e sua madre, in fase di pre-morte?
Esatto. E lo fa anche il cane: si mette a cacare. Sul sedile. Così, come nulla fosse.
Io, che ho assistito a tutta la scena – ripeto: assolutamente vera – sento salire un conato di vomito ed istintivamente mi viene da rimettere nella stessa auto, ma mi trattengo quando penso che, a sentire quell’odore là dentro, mi sarebbe venuto da rimettere.
Confuso da questa sequenza causa-effetto, assisto per intero alla cacata del cane. Che non si limita a cacare ma poi, con le zampette, spalma quella merda in modo molto artistico sul sedile, rendendo quell’ambiente un misto tra un Kandinsky e un cesso dell’Autogrill. Più cesso dell’autogrill.
L’auto coi pezzi di cervello in Pulp Fiction, a confronto, sarebbe stata una camera sterile.

Cosa mi ha insegnato questa storia?
Assolutamente nulla: mi ha disgustato e siccome è ora di pranzo volevo condividere il mio malessere pure con voi.