Imagine (la vera storia della fine dei Beatles)

– Allora Paul, ci vuoi dire com’è andata davvero, come vi siete sciolti?
– Sì, ora sono pronto.
– Divergenze artistiche o cosa?
– In parte di obiettivi. Ma più che altro personali, lo ammetto.
– E con chi?
– Guarda, le problematiche con John non sono mai state un mistero. Certo è che da quando sono intervenuti fattori critici esterni…
– Ti riferisci a Yoko?
– L’hai detto tu.
– Puoi smentire se vuoi.
– Non ce n’è bisogno. Perché mi pare evidente che il suo ingresso nella band ha…
– Aspetta, aspetta, frena… “ingresso nella band”? Yoko? E da quando? E in che termini?
– Non è un mistero che la sua relazione con John abbia di fatto cambiato lui e di conseguenza il nostro lavoro. La sua presenza, all’inizio solo marginale, si è fatta via via più pressante. Ce la siamo infine ritrovata anche in sala di registrazione. Certo, con tono dimesso, senza mai imporre nulla. Ma di fatto ogni azione di John era completamente intrisa di questo rapporto. Era da un lato preoccupato che noi non la accettassimo solo per compiacere lui, da un altro ci teneva particolarmente a che il suo ingresso fosse pienamente condiviso, infine era terrorizzato dal compiere azioni improntate ad una “captatio benevolentiae” che temeva potessimo poi rinfacciargli qualora le cose fossero andate male. In sintesi John sperava che accogliessimo Yoko con entusiasmo, ma senza che lui apparisse mai come promotore di questo ingresso in alcun modo. Una manipolazione continua.
– Quando ricordo bene era lui spesso ad accusarti di manipolazione.
– Si chiama proiezione, lui stesso lo diceva sempre. Ma in effetti diceva sempre cose relative a problemi di testa…
– Quando la cosa ha cominciato a scricchiolare?
– Guarda, ti faccio solo un esempio: eravamo in sala di incisione e Ringo aveva fatto una proposta strumentale fantastica.
– Scusa un attimo: Ringo? Ma non era la “parte debole” dal punto di vista artistico?
– Ringo? Ringo era il vero creativo della band, quello capace di ispirare gli altri e tirare fuori da noi tutti il meglio. Ma “visivamente” non era il massimo. Per questo puntammo più sulla mia immagine, sicuramente più di impatto. Ma “Sgt.Pepper Lonely Hearts Club Band” è totalmente opera del genio di Ringo.
– Questa informazione, a distanza di tanti anni, può far riscrivere pagine intere di storia della musica…
– Già. Quell’arrangiamento originalissimo di Ringo era assolutamente devastante e doveva essere incluso in quel pezzo. Anche John era entusiasta. Ma Yoko disse di no, che in quel momento non era quella la cosa da fare. Magari più in là nell’esecuzione ma non in quel momento. Questo frustrò fortemente Ringo, che uscì dalla stanza per farvi ritorno solo tempo dopo. Qualcosa si era rotto.
– Ma John non aveva voce in capitolo? Non prendeva decisioni in autonomia?
– La sua “autonomia”, come dici, è sempre stata viziata da una visione delle cose distorta, forse per l’uso eccessivo di alcol e droghe. Il suo continuo voler entrare nella testa altrui lo portò a cercare di prevedere comportamenti, fino a vedere azioni contro la sua persona anche dove non ce n’erano. Tutto questo lo aveva terribilmente allontanato dalla realtà. E si era rifugiato appunto in questa figura che lo rassicurava. Ma è indubbio che Yoko avesse ben altri fini che quello di essere semplicemente la compagna di John.
– Quali altri fini?
– Guarda, è la prima volta che ne parlo da allora ma ormai non mi frega più nulla. La mia vita l’ho fatta e la gente si ricorderà di me per sempre. Dunque non ho paura di dire finalmente la verità.
– Mi stai mettendo una curiosità addosso…
– Brian Epstein…
– Il vostro manager… sì…
– Nel 1967 fu trovato morto, come sai. Dissero overdose ma la verità è un’altra.
– Quale?
– Epstein è stato mangiato da Yoko.
– L’ha ucciso lei!?
– Ho detto “mangiato”.
– Non capisco.
– Yoko si nutriva di carne umana.
– Paul, mi stai prendendo in giro?
– Non lo farei mai. Yoko seguiva una dieta che prevedeva carne umana come unico alimento consentito. E carne di manager discografici, in particolare. Non avrebbe neppure potuto far uso di carne di – che so – operaio Indesit. Solo manager discografici. Capirai dunque quanto fosse difficile vivere procacciandosi un cibo tanto raro. Quando conobbe Epstein intrecciò una torbida relazione con lui, che portò il povero Brian a diventare totalmente succube di Yoko, grazie soprattutto alle droghe che lei preparava e di cui lui era ormai totalmente dipendente.
– E’ una storia difficile da credere…
– E non conosci il resto. Yoko dichiarò che Epstein non era stato poi così indispensabile per la crescita artistica del gruppo, cercando di minimizzare il suo apporto artistico ma non quello nutrizionale (RDA 560%). Cercai di scuotere John ma anche lui era totalmente soggetto a quei cocktail micidiali di droghe di quella strega. Proposi dunque di partire per un film-tour, il “Magical Mystery”, con una idea semplicissima: salire su un autobus colorato e partire senza una meta ben precisa, divertendoci e filmando tutto, per farne un film alla fine e magari staccarci dal mondo della musica. Tutto, pur di allontanarci da Yoko. Fu una idea che definirono geniale ma io non volevo far altro che cercare di tenere John lontano da lei.
– Continua.
– Il film fu una porcata. Fu trasmesso la sera di Santo Stefano del 1967 ed ebbe critiche feroci. Eravamo stati demoliti, per la prima volta. Partimmo dunque per l’India – era il 1968.
– Sì, ricordo. Alla ricerca di ispirazione e per seguire l’induismo praticato da Harrison.
– Stocazzo.
– I beg your pardon?
– Scusa, influenze latine. Dicevo, partimmo con lo scopo di trovare manager discografici in India. Avevo letto su Arpanet che nella foresta del Sundarban cresceva una varietà di discografici apparentemente simili ai nostri ma in realtà velenosissimi. Il mio scopo era portarne uno a Yoko e farla finita in quel modo.
– Tutto questo mi pare assurdo.
– E lo era, in quei termini. Ma l’avrei mescolato ad una croccante polpetta. Le cose comunque andarono male, ci ripulimmo persono dalla droga ed il mondo ci pareva una palla immane.
– Io sapevo che proprio durante quel viaggio in India John conobbe Yoko.
– Nono: Yoko frequentava John già da quando lui suonava nel suo vecchio gruppo, gli Spinsyztem.
– Mai sentiti.
– Eppure sono conosciutissimi: hanno scritto tutti gli inni delle paralimpiadi.
– Vabbè, continua ma ti avverto che mi pare tutta una cazzata.
– Credimi invece, è tutto vero. E’ dopo “Porco Jude” che però la loro relazione diviene più intensa e malata.
– “Hey Jude”, intendi.
– Sisi, quella. Yoko ormai era presente in ogni nostro momento, artistico e quotidiano. Pensa che una volta me la ritrovai persino dal callista, mentre ero là per un durone.
– Stai dipingendo un quadro non solo inedito ma anche surreale.
– Hai detto cazzi. Insomma, era il 1968, decidemmo di registrare un disco doppio, ancora una volta su idea di Ringo: si era già deciso dunque di creare questo “Ringo double”, da un lato nero, dall’altro bianco, in mezzo una morbida crema. Ma ciascuno cominciò a fare di testa sua quanto ad arrangiamenti. Harrison scelse Eric Clapton per il solo di chitarra, io e Paul iniziammo a litigare su chi ce l’avesse più artistico. Il disco comunque fu eccezionale proprio perché tanto frammentato. Un meteorismo creativo meraviglioso. Ma il giocattolo era rotto.
– Ma ci fu quel finale magnifico sul tetto…
– Certo. Era il 30 gennaio 1969, lo studio di registrazione era pieno di sangue (Yoko aveva mangiato un manager di un gruppo secondario: i “DiecimilaMe”). Non si sapeva cosa fare. Chiamammo allora Wolf, che sapevamo essere eccezionale nel risolvere i problemi. Ci fece pulire tutta quella merda, lavare con la pompa in giardino – un cazzo di freddo – e poi ci disse di salire sul tetto, per distogliere l’attenzione e creare un alibi. Mai scelta fu più felice.
– Cosa accadde?
– Yoko aveva iniziato a variare la dieta. Non più solo discografici ma anche semplici artisti. Dapprima sparirono tutti i mimi a Trafalgar Square. Poi fu la volta di un paio di giocolieri. Una volta trovammo nel suo appartamento i resti di una donna cannone: un’orribile – Dio non posso ripensarci – copertina di De Gregori.
– Tutto questo è semplicemente assurdo.
– Perché non sai di Abbey Road.
– Dai, sentiamo.
– Il nostro vero congedo artistico, altro che “Let it be”, quando la band era ormai sciolta, fu qualcosa di indimenticabile.
– Certo, lo ricordiamo tutti. Un disco meraviglioso.
– Nono, indimenticabile perché nessuno può scordare come nacque. Chi lo scrisse davvero.
– Chi?
– Mark Chapman.