Perché io valgone!

Le parole sono importanti, diceva un professorone, e aveva ragione.

Con le parole si possono cambiare le cose. E non serve poi fare fatti concreti, basta anche qui usare le parole giuste, come “NOI FACCIAMO I FATTI, NON PAROLE”, in modo da usare le parole ancora una volta evitando di fare i fatti.

Ripetere ossessivamente delle frasi funziona. Il buddismo ci campa da millenni. Com’è che dicono? OOOOOHMMMM…. evocando resistenze elettriche.

Però loro usano parole strane, noi usiamo parole semplici.

State urlando “PRIMA GLI ITALIANI” dal balcone o state appendendo striscioni rosiconi? Che tanto poi ve li tolgono.
“IO SONO DALLA PARTE DELLA GENTE!” Anche perché mi è difficile essere dalla parte delle rocce. O degli infissi. Cioè, dalla parte della gente mi ci trovo proprio in modo naturale. Prima però non lo dicevo. E le cose mi andavano male. Da quando ho iniziato a dirlo mi è cambiato tutto.
“E’ FINITA LA PACCHIA!”, ma prima non lo sentivo dire e non lo ripetevo anche io, e le cose mi andavano male. Da quando lo sento dire e lo ripeto anche io so che tra poco troverò un lavoro che mi consentirà di guadagnare 27.000 euro al mese lavorando 3 ore al giorno. Adesso ho un lavoro di merda, ho sempre avuto lavori di merda, ma non è colpa mia, è colpa degli altri. Userò il potere delle parole!

Semplificherò il linguaggio, tornando alla terza elementare, quando c’erano quelle robe – come si chiamavano – superlativi, suffissi accrescitivi, e tutto diventava ONE, IL PROFESSORONE, IL SAPIENTONE. E ridevamo tantissimo.
Così presto lascerò la mia casa casa popolare per andare ad abitare in una villa sul lago.

La mia vita da pezzente cambierà totalmente. Basta credere al potere delle parole.

Non so perché prima credessi nella concretezza, quando ho capito che basta parlare di concretezza per ottenere risultati.

Certo, occorre parlarne tanto, di continuo, ossessivamente, per rendere le parole più solide.

Se poi hai i mezzi tecnologici a disposizione il lavoro ti è facilitato: le parole rimbalzano, rimbalzano e si moltiplicano.

Le parole sono importanti. IMPORTANTONE, anzi.

ABBASSO I ROSICONI! UN BACIONE AI PROFESSORONI! PRIMA GLI ITALIANONI! E’ FINITA LA PACCHIONA!

Sento che già va meglio.

Ora controllo il CONTONE CORRENTONE, vuoi che non abbia funzionato?

Perché io non voglio restare coglio.

Voglio essere di più.

Come fosse una cosa bella

Quando capitano avversità nella vita mi sembra di indossare gli occhiali del protagonista di “Essi vivono”, di Carpenter. Le persone, le cose mi appaiono mostruose, deformate, spaventose.
Già di mio vivo una sorta di distacco dalle cose – trovo che la vita sia una incredibile tragedia farsesca con risvolti di puro nonsense – e il mio nichilismo è l’unica reazione che la mia mente è riuscita a partorire per non impazzire.
Ecco, impazzire: perché le persone non impazziscono? Perché le vedo fare cose di pura normalità, come se tutto appunto fosse normale? Perché vi ritrovate a filosofeggiare sulla pochezza della nostra esistenza solo quando muore una persona a voi vicina, ma tempo due birre e vi ritrovo a passeggiare sul corso, come fosse piacevole? Ma dove cazzo dovete andare, ancora? Vedere le stesse facce che vi invecchiano intorno? Perché sapete le cose della vostra città? A me annoiano mortalmente. Io non conosco i nomi dei miei assessori, eppure la politica la conosco, mi interessa, ma mi pare così “poco”. Io non conosco i cazzi delle persone a me vicine, non capisco il gossip, non nutro davvero alcun interesse nel sapere le robe degli altri. Perché mi pare “poco”.
È tutto “poco”.
Gente che mentre porta a cacare il cane non pensa che quel cane a breve morirà, oppure ci pensa pure ma se lo gode comunque. Pure il latte scade, io intanto lo bevo, mica mi faccio problemi. Ecco, questo è lo spirito giusto. Ma non ci riesco.
Gente che alle otto di sera sta ancora a fare le vasche lungomare decidendo in che locale andare a fare i selfie, senza pensare al tumore che non viene loro ancora diagnosticato.
Gente che si ammazza di lavoro o che soffre per l’assenza di questo, che rappresentano entrambi problemi di vita serissimi, intendiamoci, ma essendo “di vita” già ai miei occhi (con gli occhiali di Carpenter) si ridimensionano totalmente e che io accantonerei pensando che magari tra due anni avrò un incidente stradale mortale.
Gente che mette in fila i calzini, divisi per colore, allineati maniacalmente, con una passione che capirei se fosse piena consapevolezza del nulla imminente e dunque un modo di allontanare il suo pensiero. Ma poi ci parli e vedi che lo fanno perché davvero per loro è importante l’ordine, e di nuovo ti senti nel protagonista del film, e ti verrebbe da dir loro che magari pure loro moriranno tra due anni. Nel medesimo incidente stradale. Corsia opposta alla tua.
Come cazzo fate? Insegnatemi!
Fermi, non ponetemi la solita obiezione: “Eh, che dovremmo fare, suicidarci?”, perché io non vi sto ponendo una alternativa. Io non ho soluzioni. Io vi sto chiedendo solo come facciate. Perché io voglio essere come voi. Voglio gettare gli occhiali, voglio diventare come voi, un mostro, un cazzo di mostro allegro e paciarotto, che se prende una mazzata dalla vita barcolla ma sorride subito, magari con un po’ di bavetta alla bocca e nessuna capacità di fermarsi a riflettere.
Che poi sarà quello, il segreto, non riflettere. Ma non ci riesco.
Essere come voialtri, che prendete l’aperitivo senza quella malinconia di fondo che dovrebbe accompagnarvi in ogni cazzo di momento della giornata.
Voi, che ogni Cristo di sabato vi incontrate negli stessi posti, con le stesse persone, a fare le stesse battute di fronte alla stessa cazzo di pizza, e quando avete una botta di vita ci mettete doppia bufala.
Voi, che pubblicate su Instagram quel Cristo di bicchiere sollevato a mo’ di trofeo (ma che cazzo avete vinto?), senza sentire dentro quella voce che dovrebbe dirvi “Che cazzo di senso ha tutto?”.
Guardate che io vi invidio, sia chiaro. Io davvero vorrei essere come voi, liberarmi di questa costante presenza tetra e gelida che poi mi fa sentire dannatamente solo.
Ogni tanto capita qualcuno a me affine, e guardare le cose con gli stessi occhiali solleva, rende le cose più sopportabili.
Ma tanto perderò anche quello.
Dicono che l’inquietudine sia parte delle menti attive, ma io davvero scambierei la mia maledizione – perché questo è – con il godere di un barbecue con gli amici.
Ma odio pure il barbecue. Non ho amici.
Forse per l’avversione al barbecue.
Vorrei tanto vedere le cose come fate voi, amare la vita.
Come fosse una cosa bella.

Le parole che non ti ho detto

Ero solo, per la prima volta a Los Angeles. Il motel era a Glendale, così da permettermi di visitare Hollywood, la strada con le stelle e quelle menate là con una certa facilità. Vicino l’osservatorio Griffith, dal quale si poteva godere di una veduta spettacolare sull’intero smog della città.

Decisi di passare la serata in un locale nella vicina Pasadena, perché avevo letto su Tinder Tripadvisor che là era facile incontrare stelle del cinema oppure perfette sconosciute molto carine, e io alle perfette sconosciute molto carine non sapevo resistere.
Entrai e venni avvolto da una nuvola di vapore aroma liquirizia – c’erano degli spruzzatori all’ingresso tipo decontaminazione nucleare, solo che invece delle radiazioni ti toglievano ogni virilità.
Feci come nei film, mi avvicinai al banco e chiesi una birra. E come nei film mi si avvicinò una perfetta sconosciuta molto carina, come quelle descritte un paio di righe sopra. Però non mi parlò, non attaccò bottone come speravo, “Sarà l’aroma liquirizia”, pensai. Così mi feci coraggio e le chiesi se potevo offrirle qualcosa. Niente, fu molto più semplice del previsto perché sorrise e disse di sì (probabilmente era una liquirizia depotenziata o lei aveva il naso chiuso).
Come succede in questi casi una parola dopo l’altra e ci congratulammo con noi stessi per aver capito come si costruiscono le frasi.
E una frase dopo l’altra e ci ritrovammo da lei, che abitava là vicino.

  • Vivi sola?
  • Sì, ma c’è una cosa che non ti ho detto.
  • Sei fidanzata?
  • Sì.
  • E allora? Cosa facciamo?
  • Quello che vogliamo. Ma senza baci in bocca.

Mi pareva un buon compromesso. Del resto se al fidanzato bastava questo mi sembrava giusto accontentarlo.

Mi portò nella camera da letto e mi chiese di aspettarla: doveva andare in bagno.
In un momento così altamente erotico un uomo può pensare cose incredibilmente fuori luogo. A me venne in mente: “Io non farei mai la cacca in un momento simile”.
Da lì a farsi domande sui mille misteri delle donne è un attimo: “Perché le donne vanno in bagno sempre in due?”, “Come fa una donna a usare un cellulare se è allergica ai libretti di istruzioni?”, “E’ possibile che una donna sappia guidare ma non riesca mai a parcheggiare rispettando le linee per terra?”, “Qual è stato in questo post il più becero luogo comune sulle donne?”.
Dopo cinque minuti uscì, con addosso gli stessi abiti di prima, e ci rimasi male perché mi ero fatto tutto un trip su lei e un négligé di quelli dei tempi d’oro di Barbara Bouchet, prima che invecchiasse e diventasse Barbara Bush.

  • Come mai non ti sei spogliata?
  • Vedi, c’è un’altra cosa che non ti ho detto.
  • Dimmi pure.
  • Io non sono la donna che credi.
  • Ma cosa pensi che io creda?
  • Non lo so, ma non voglio darti una impressione sbagliata.
  • Ma stai tranquilla, se hai qualcosa da dire sono qua, ti ascolto.
  • Sì, ma…
  • Non preoccuparti, non dobbiamo fare nulla. Se vuoi parliamo tutta la notte.
  • Sei dolcissimo. E mi piaci davvero. No, niente, non devo dirti nulla, aspetta.

E tornò in bagno di nuovo. Stavolta le aspettative sul négligé alla Barbara Bouchet (originale) c’erano tutte e più che motivate.
Ero là a pensare al Kamasutra e a come avessero voglia gli indiani di stare a seguire le istruzioni riportate su un libro mentre facevano sesso, voglio dire, ti immagini?

  • Allora, tu mettiti così…
  • Così?
  • No, guarda qua a pagina 35, la gamba sinistra attorno al mio alluce…
  • Aspetta…
  • No, non così… il gomito non va là…
  • Così?
  • Mi accechi il terzo occhio…
  • Ma Budda Eva! Mi sono incastrata!

Ma anche stavolta uscì dal bagno vestita esattamente come era entrata. E ci rimasi un po’ male.
Si avvicinò a me come se dovesse dirmi qualcosa di importante, e io la incoraggiai a parlare, con un sorriso. Non ci fu bisogno di dirle nulla.
Si sedette accanto a me, le presi la mano. Fece un grosso respiro e:

  • Scusami, ma c’è un’altra cosa ancora che non ti ho detto.
  • Hai il cazzo.
  • Sì.

Quella fu l’ultima volta che la vidi.
Los Angeles, dico.

Pepperoni conspiracy

Bastano pochi giorni negli USA per capire il motivo dell’epidemia di obesità che affligge gli americani. E non si tratta solo dei soliti Big Mc o delle bibite gassate.

Provate a fare la spesa. Provate a comprare una roba semplice qualunque, che so: mandorle. Ecco, farete una gran fatica a trovare mandorle e basta. Nessun problema invece nel reperire:

  • mandorle al cioccolato;
  • mandorle glassate al caramello salato;
  • mandorle al burro di cocco e granella di zucchero con mini marshmallow incastonati;
  • mandorle al manzo affumicato, parmesan cheese e vino;
  • mandorle allo strutto di uranio, ascella di pescatore e olio motore.

Provate a comprare delle patatine in busta: dappertutto campeggia la dicitura: “naturally and artificially flavored”. Cioè, non basta che invece dell’olio di semi di girasole ci sia l’olio di canola (qualunque cosa sia la canola), non basta che ci siano aromatizzanti naturali: servono pure gli artificiali.

Il latte. Provate a trovare un litro di latte normale. A parte l’unità di misura diversa, ci sono fusti da un gallone che già solo a vederli li battezzi come detersivo, non solo per le dimensioni ma per le etichette colorate, che ci regalano mix micidiali di latte e fragola, latte e noci di macadamia, latte e pizza, latte e fondi obbligazionari JP Morgan.

Persino nei market biologici, dove campeggia dappertutto la scritta “organic” e sulle confezioni ci si affanna a sottolineare la naturale composizione del cibo, la lista degli ingredienti e additivi è inquietante.

Credo che a un certo punto uno entri nell’idea che il cibo debba essere raffinato, lavorato, aromatizzato il più possibile.

C’è dietro una industria alimentare impressionante, una catena produttiva che vive e prospera avvelenando un popolo indolente e privo di cultura alimentare, che vede ovunque prodotti finalizzati a esaltare i sapori e a fottersene delle conseguenze. Ho comprato una ciambella, una di quelle di Homer: mi è sembrato di assaggiare una flebo di Diamox.

I sapori sono finti, e non parlo da italiano esaltato, di quelli pronti a “ma come si mangia in Italia, signora mia”: ogni cibo è pungente, amplificato, parla direttamente con la tua emicrania.

Questo poi si traduce nel successivo problema: i culi.
Culi enormi che crescono sotto i colpi di “sugar added” e “may contain some shit”, culi ingestibili e ridondanti, culi che attraggono lo sguardo già solo per la legge di gravitazione universale, attaccati a gente che per muoversi è ridotta alle macchinine elettriche, così da muoversi agilmente tra scaffali saturi di grassi saturi.

Tutto per esaltare palabilità, sapore, possenza del gusto.

Ma allora non mi spiego il motivo per cui poi tutti girino con in mano un walky cup con dentro una nera brodaglia acquosa.

Sarà straordinario il sapore del cartone.

Scacco matto, terrapiattisti

Che io debba perdere tempo a scrivere, nel 2018, un post sul terrapiattismo è indice dei nostri tempi.
Credo sia arrivato il momento di un ulteriore downgrade e toglierci dai coglioni l’aggettivo “funzionale”, quando ci riferiamo al tipo di analfabetismo corrente.

Comunque, volevo tagliare la testa al toro circa la questione Terra piatta / sferica (semmai ce ne fosse una, ma ok) e suggerire una roba che risolverà ogni questione.

Fate una colletta, tutti voi terrapiattisti, pochi euro a testa. Scegliete una delegazione di voialtri, fidatissimi. Venti di voi, i più oltranzisti, credibili. Credibili per voi stessi. E noleggiate un pulmino. Ci salite e andate dritto, il più possibile via terra. Quando inizia l’oceano imbarcate il pulmino e proseguite via mare. E questo facendo guidare/timonare un terrapiattista fidato, così da non avere dubbi. Sempre dritto. Se avete ragione voi troverete le famose montagne alte 400 km. E magari pure i giganti, i lillipuziani, Paolo Brosio, tutto quello che pensate ci sia. Ci fotografate tutto, riprendete, quello che vi pare, e tornate indietro.
Se abbiamo ragione noi normali vi ritroverete al punto di partenza.
Sennò, sai che smacco ci dareste?
Mi pare facile, e anche abbastanza economico. Niente aerei, che possono ingannare (e pilotare un aereo è complicato). Tutto molto fattibile, no? Niente complotti, niente Sistema che ci frega: sarete voi stessi a vedere come stanno le cose. In un paio di mesi al massimo risolta la questione.
Ecco, perché non lo fate?
Ve lo dico?
Dai, lo sapete già.

Eravate macchiette da perculare senza volto, leggende metropolitane; ora siete persone tra noi, con figli, persone che si lasciano intervistare, che non temono il ridicolo perché rappresentano il ridicolo, gente che consuma il mio ossigeno.

Vai terrapiattista, organizza il pulmino, parti, fammi sapere.

Da grande

Credo di aver capito finalmente da dove arrivi il mio disagio.

Non è questione di generica, umana insoddisfazione, né di non ritrovarmi in schieramenti o determinati ideali.

È che sono scomparsi gli adulti.

E mi sento circondato da ragazzini inconsapevoli di esserlo.

Le figure che dovrebbero rassicurarci, alle quali dovremmo poter affidarci, esattamente come facevamo da piccoli coi nostri genitori, sono sparite.
Ora sono tutti bimbiminkia, caciaroni, selfisti.

Da bambino ricordo la figura autorevole del medico, dell’avvocato, del politico. Mi sembravano uomini fatti e finiti, seri, acculturati. Vedevo Fanfani in tv ed era per me il prototipo dell’anziano saggio, senza grilli per la testa, dedito solo al suo lavoro.

Ero un bambino ingenuo, certo, ma per me era evidente che c’era il mio mondo, e poi c’erano “i grandi”.

Ecco, “i grandi” sono scomparsi.
E questo ovunque, non solo nella politica.

Penso a Dolce e Gabbana e al loro video di scuse ai cinesi: io mi sono sentito in profonda fremdschämen per loro, per tutto, per quella sceneggiata in drappo rosso, necessaria per non perdere un mercato enorme e nata – ovviamente – da uno scambio sui social con tanto di faccine e prese per il culo che un adulto non dovrebbe neppure ipotizzare.

Un adulto come lo intendo io.

Che si sia spostato in là il tempo della maturità è evidente: non vedo nulla di strano se un cinquantenne gioca alla Play, anzi, ma poi al lavoro non parla della Play, non cazzeggia col cellulare, fa il lavoro suo, con responsabilità.
Che siano cambiati i tempi non c’entra nulla con il fatto che non si possa anche oggi mostrare serietà, compostezza, autorevolezza senza autoritarismo.

Insomma, io mi sento a disagio nel mondo di oggi perché non sento più il manto di protezione di adulti responsabili, capaci e misurati attorno a me.
Sono io l’adulto, e questo mi sta anche bene, ma quando vedo che chi decide della mia vita è infantile mi gelo.

Quando vedo usare in politica il linguaggio cazzone che uso io sulla mia pagina satirica inorridisco.
Quando gli adulti attorno a me si comportano esattamente come farebbe un sedicenne penso che tutto sia andato a puttane.

Ecco, a puttane. Vorrei un bello scandalo con un qualcuno di rilievo beccato mentre si concede un peccato vecchio stile, colto sul fatto con due brasiliane in un cesso dell’autogrill, e non trovarmi sulla mia bacheca un selfie con i gattini.

Ma ciò che più vorrei è un mondo adulto a gestire le cose importanti.

Aridatece i grandi.

AntiQuark

Porca troia smettetela! Smettetela con questa cosa dei 370°!

In quella intervista ci sono prospettate situazioni gravissime! E voi a ridere e perculare i 370°! Ma che cazzo deve succedere ancora per farvi capire come si stia procedendo a razzo verso l’era dei trogloditi?

Voi siete quelli che perculano Trump per i capelli. Quelli che prendono Renzi e gli affiancano Mr. Bean. Quelli che di Berlusconi commentano solo le puttane. E i casini veri, i problemi veri, passano sempre sottotraccia, così facendo il gioco di questa gente che ci sta trascinando in un’era di antiscientismo catastrofica per voi e i vostri cazzo di figli (e la mia sola soddisfazione sarà vedervi preoccupati per quella cazzo di tossetta che non se ne va da tre settimane, “eppure le goccine omeopatiche gliele do”, bestia incolta).

E perché questa confusione? Perché la gente ha troppe informazioni, e non sa scremarle. C’è ridondanza, eccesso, sovraccarico di nozioni e antinozioni: la gente semplice non ha la capacità di filtrare questa overdose informativa, non riconosce l’autorevolezza delle fonti e dunque si affida a persone che ritiene competenti. Ma non hanno la capacità di capire chi competente lo sia davvero. E dunque a un certo punto vale tutto: chiunque si può aprire un sito su Blogger e chiamarlo “GuardateCosaCiNascononoMaNoiViDiciamoTutto.blogspot.com”. E via il fiorire di cialtroni che poi vanno in tv a promettere vita eterna se compri i loro integratori a soli 99,99 euro, beduini che impacchettano e vendono le erbette di campo appena colte da dietro il giardino pisciato dal cane, gentaglia che convaliderebbe ogni teoria di Lombroso se sapeste chi fosse Lombroso (se sapeste qualunque cazzo di cosa: mi sembra di vivere in un globale Milanese Imbruttito), che promettono cure capaci di cambiarti da Fassino a Ronaldo, da Bombolo a Michael Fassbender, sfaccendati che non avrebbero mai potuto trovare un lavoro vero e si sono inventati malocchi, tarocchi, Pistocchi.

La cosa dei 370° è irrilevante, e non è neppure indice di ignoranza, come la volete far passare: è niente! È l’unica cosa alla quale non occorre prestare attenzione in quel cazzo di minuto di puro oscurantismo.

Voi domani troverete in farmacia, accanto al medicinale salvavita, “l’oscillococcinum potenziato al pelo di culo di Yak e zenzero, come presentato in tv alla trasmissione QuelloCheNonCiDiconoAQuark”.

State ammazzando Piero Angela prima del suo tempo, che credevo infinito, e io vi odio, vi odio profondamente.

Jurassic Park, in fondo a sinistra

“I videogiochi sono droga, atrofizzano il cervello. Al momento niente smartphone. Prima che con la tecnologia devono avere a che fare con la cultura” [C. Calenda].

Ho aspettato un paio di giorni per dire la mia sull’uscita di Calenda (E ALLORA IL PIDDIII??? Eccolo) circa i danni dei videogames. Io credo che Calenda soffra la sindrome che colpisce oggi chiunque stia troppo sui social: parlare di cose che non conosce. E in questo caso io mi sento competente, dunque ho da dire la mia, perché i videogiochi li conosco da bambino, da quando erano un privilegio di pochi e non erano visti come il demonio, né erano così invasivi o fagocitanti, conosco le dipendenze, conosco la tecnologia.
Ho maggiori titoli e preparazione di Calenda per parlare di questo argomento.

Ecco, le dipendenze: forse è ciò che pensa Calenda circa ogni videogiocatore, che sia sempre un rincoglionito dipendente incapace di intendere e di volere. E già questo conferma la tesi per la quale parlare di ciò che non si conosce porta e esposri a pubblica gogna, in questo caso ritengo meritata.

“Sarà forte ma io considero i giochi elettronici una delle cause dell’incapacità di leggere, giocare e sviluppare il ragionamento. In casa mia non entrano” [C. Calenda].

Nei vari studi prodotti in questi anni* ci sono evidenze circa la capacità dei videogiochi di tenere desto il cervello, aiutare il collegamento rapido delle sinapsi, tenere la mente giovane e fresca.
Credo che Calenda avrebbe dovuto giocare di più, ai suoi tempi: avrebbe evitato queste uscite.

Io coi videogiochi ho imparato l’inglese, ho capito cosa volesse dire pianificare strategicamente risorse (Civilization, Populous, Caesar, Soccer Manager), ho affinato tecniche di primordiale lavoro di team per raggiungere risultati (Lemmings, Settlers), ho semplicemente cazzeggiato salvando principesse e risolvendo enigmi (Donkey Kong, Monkey Island e tutte le avventure Lucas. Per inciso SIERRAMMERDA).
E i videogiochi rappresentavano comunque l’eccezione settimanale e piovosa alla regola che vedeva la mia generazione perennemente col pallone tra i piedi e la maglietta sudata.

Calenda usa i social, anche troppo. Non riesce a non rispondere a chi lo chiama in causa. Trascorre molte ore su Twitter. Spesso risponde in modo nervoso.
Io ci vedo una forma di dipendenza.
Allora condanniamo chi usa i social? Evidenziamo un problema di democrazia?

Ma non è l’esaltazione dei videogame che qui mi interessa, perché Calenda può anche avere ragione se punta il dito contro gli eccessi e le dipendenze, come detto (ma dai suoi tweet non c’è questa estremizzazione: a me pare essere contro i videogiochi sempre e comunque).
No. A me interessa sottolineare ancora una volta lo scollamento con la realtà di questa sinistra, la sua distanza dalle persone comuni.
La crociata di Calenda contro i videogiochi è l’emblema della sconfitta della sinistra, della sua siderale distanza da ciò che è la quotidianità di chi fa la spesa.

“Fondamentale prendersi cura di ogni ragazzo: avvio alla lettura, lingue, sport, gioco. Salvarli dai giochi elettronici e dalla solitudine culturale e esistenziale. Così si rifondano le democrazie” [C. Calenda].

C’è un senso di ammuffito e stantìo nelle parole di Calenda, una naftalinizzazione della politica che mi catapulta alle giacche di fustagno degli anni di piombo. Richiamare i valori della democrazia demonizzando i videogiochi, in un momento storico politico in cui ci sono ben altri cazzi. Ma qui non c’è da fare il giochino dell'”E ALLORA LA POVERA PAMELA?”, perché i videogiochi sono un non-problema, non un problema minore. Il problema semmai sono le dipendenze, alla pari con quelle da gratta e vinci e gioco d’azzardo.

Calenda è la speranza per la nuova sinistra. E si rivela essere un dinosauro. Ancora dinosauri nel panorama dell’elite di sinistra. Ancora. Non si esce da questa dalemizzazione perenne: è questa la vera maledizione (maledizione-dalemizione COINCIDENZE? NON CREDO PROPRIO).

Niente, non se ne esce.

Aspettiamo ancora Godot.

* Sulla rivista Journal of Play (2014) è stato pubblicato un articolo in cui i ricercatori Adam Eichenbaum, Daphne Bavelier e C. Shawn Grenn  dimostrano effetti positivi e duraturi dei vidoegames sui processi mentali di base quali percezione, attenzione, memoria e processo decisionale.

Tanto c’è Google

Italiani, popolo di santi, poeti, navigatori, economisti pur se di mestiere youtuber, commissari tecnici pur se giocatori di bocce, analisti politici pur se fuori corso a Roma Tre dal 2004, solutori di problemi complessi pur se sopraffatti persino dal T9.

Mia nonna mi diceva: “Questo non lo so, spiegami tu che hai studiato”.
E io già mi sentivo eccessivamente responsabilizzato, maledetta sindrome dell’impostore.
E allora cercavo di metterla semplice, più semplice possibile. E pure con la seconda elementare lei capiva, capiva sempre, persino le “convergenze parallele”, ricordo.

Non è questione di cultura: è umiltà e voglia di capire. E di una certa intelligenza, sicuramente.
Tutto ciò che è andato perso, stupide capre piene di certezze da siti fuffa, slogan ripetuti, propaganda a botte di selfie e promesse scintillanti.

Se ci si rivolge alla “pancia del paese”, la pancia del paese risponde, come può rispondere una pancia. So che questa la capite.

Torniamo a cose serie: stasera ho riunione di condominio: ci sono io che mi occupo di comunicazione e formazione, c’è uno che fa l’operaio su piattaforme estrazione gas, uno che ripara gli scooter, un docente di Storia, due casalinghe, una vedova attempata mezza sorda, un pensionato che non ha mai lavorato in vita sua, l’amministratore.

Spero che finalmente risolveremo la questione della Congettura di Hodge.

Padrone a casa mia

Credo che molti dei problemi che abbiamo vengano dalla convivenza forzata di persone troppo diverse per condividere lo stesso territorio, dunque basta menate, hanno ragione i sovranisti secondo me. Ma si limitano troppo: io andrei anche oltre.

Perché non dividiamo il territorio in zone? Cioè, questa mescolanza politica, culturale, intellettuale, non sta portando nulla di buono. Pensateci.

I vaccinisti soffrono terribilmente la presenza di antivaccinisti: perché non dividerli? Facciamo – che so – il Piemonte e la Sardegna destinati agli antivaccinisti. Se lo spazio non basta ci aggiungiamo l’Abruzzo. Cioè, si guarda quanti sono gli appartenenti a un gruppo ben definito e gli diamo dei territori, tipo Risiko.

Ci sono i razzisti? Oh, ma ne prendiamo atto o no? Ci sono. Vediamo quanti sono e gli diamo i territori di competenza.

Quando coincidono due categorie, esempio antivaccinista+razzista definiremo un territorio che comprenda persone che la pensano allo stesso modo.

Più un gruppo possiede determinate caratteristiche, più gli associamo persone simili.
Basterà un censimento iniziale nel quale liberamente ci autodescriveremo e ci verrà assegnato un luogo perfetto per noi, che finalmente avremo vicini di casa coi quali potremo parlare di tutto scoprendo che la pensano proprio come noi.

Ci pensate che meraviglia?

Esci di casa e incroci solo persone a te affini.
Si tornerebbe al tempo dei Comuni, alle città-Stato, a comunità chiuse e omogenee.
E noi italiani ce l’abbiamo nel DNA.

Sei un automobilista modello, buonista, sinistroide, aperto all’integrazione? Allora magari ti è stata assegnata Parma, la città destinata solo a chi rientra in tutte queste categorie. Sai già che non troverai mai qualcuno in doppia fila, nessuno farà cose razziste, il senegalese non sarà insultato sull’autobus, auto elettriche ovunque. 

Sei uno che pubblica cose sgrammaticate, fake news, non ti fotte dei cambiamenti climatici, dici che la Juve ruba ma poi sei tu che evadi il fisco? Ancona è perfetta, le Marche anzi, perché ce ne sono tanti come te, tanto che forse ci dobbiamo aggiungere Umbria, Lazio, Toscana… Vabbè, il grosso dei territori italiani.

Pensate a vantaggi correlati:

  • gli amanti delle armi automatiche tutti – che so – in Liguria, con la certezza che entro pochi anni si spopolerà naturalmente;
  • le mamme che organizzano i morbillo-party tutte in Sardegna, una bella terra ma isolata, così da contenere il contagio e tornare a colonizzarla dopo il naturale autosterminio.

Che? Dite che è impossibile? Ma certo che lo è. Io scrivo cazzate, sogno mondi, lancio provocazioni, che pochi raccolgono per ciò che sono, ma qualcuno c’è. 

Staremmo in Molise, invisibili e felici.