Uomini e pecore. Soprattutto pecore.

Nell’immagine, pochi intimi condividono il piacere della riservatezza

Finalmente estate, tempo di sagre.

Migliaia di persone si riverseranno per le strade alla ricerca di “antichi sapori”, quelli che solo in quei giorni, in quei vicoli, da quelle mani, potrai gustare. In Abruzzo avremo la sagra della porchetta, nella quale potrai mangiare… porchetta, già, altrimenti irrintracciabile altrove. E poi la sagra del pecorino, introvabile dal 1892. E quella della pizza fritta (estinta nell’età della scoperta del colesterolo), del tartufo (reperibile solo al mercato nero di Sarajevo), della birra, persino. La sagra della birra è fantastica: fai una lunga coda per pagare carissimo un tagliandino che ti darà diritto a metterti in fila in un’altra lunghisima e disordinatissima coda, al termine della quale, tra spintoni e ascelle sudate, otterrai un bicchiere di plastica con della schiuma calda.

Pensate che c’è gente che da Enna parte e va a Perugia per mangiare il cioccolato: a Enna non se ne trova: aspettano le navi provenienti dalle Americhe, cariche di semi di cacao; ma queste arrivano solo ogni lustro, messere.

“Il solito cinico, disfattista e nichilista: uno alle sagre ci va per altro”.
Certo, per stare in mezzo alla gente. La stessa gente che viene poi presa per il culo sui social, quella definita “pecorona, gregge”, cose così.

Molti dei miei amici adorano le sagre. Quelle volte che vado con loro è per lo spettacolo che essi stessi mi rappresentano (io resto senza parole): li vedo seriamente interessati a tre ciuchi che arrancano faticosamente cercando di non stramazzare sotto il peso dei loro “fantini” (mai falso diminutivo fu meno appropriato), per aggiudicarsi il “palio degli asini”. Che poi sono davvero tre vecchi ciuchi che devono percorrere duecento metri tra ali di folla festante.
Festante.
Ai miei amici piace, ogni anno, vedere questi ciuchi. E piace passeggiare tra quei vicoli, sempre uguali, come venissero da Albuquerque: li vedo sorprendersi e commentare un’Ape cross con due fiori appiccicati col Vinavil.
Sono certissimo che i ciuchi siano gli stessi dal ’29.
Credo le persone resettino la memoria: trovo impossibile interessarsi a qualcosa uguale a se stessa da sempre, condivisa con le stesse persone, negli stessi luoghi.
Poi vedo che sono sposati e capisco.

Leggo ora che a Poggio Cono (sì, Poggio Cono) partirà la sagra “Lu magnà de na vodde” (il mangiare di una volta), dove sarà possibile degustare tagliolini e fagioli, mozzarelle, arrosticini, prosciutto, pane e olio, peperoni e sardine.
Mi fermo un attimo a pensare e… Ehi, ma una volta si mangiava come oggi! Mi aspettavo uova di emu e carne di stegosauro! Oppure: ma che cazzo mangiate, voialtri? Sofficini e Simmenthal tutti i giorni? E allora sì che le sagre tornano ad avere un senso. E torna ad avere un senso il cartello “HACCP”, a indicare norme igieniche (credo sovietiche), disattese già a giudicare dal pus di Sandrino o’ squartatore, quello che con una mano ti serve la porchetta e con la stessa si gratta i coglioni, prende i tuoi soldi, quelli di quello prima di te e dei tremila idioti dopo di te (l’altra mano la tiene di appoggio sul bancone, perché Sandrino è grosso e ha il fiatone fisso), tutti che vogliono “degustare la porchetta originale di Ariccia”, che è incredibilmente, mostruosamente, incommensurabilmente diversa da tutte le altre porchette del mondo, pure da quella che si fa a Marino (10 km), perché il porco di Ariccia vive un microclima tutto suo, fatto di ossigeno ionizzato e ghiande bombate dalla Monsanto. Un privilegio, quel panino da 6 euro, che ti permette tranquillamente di sorvolare sull’olio motore sulle mani di Sandrino*.

Adesso a Pescara c’è Streetfood: evento che consentirà di degustare cibo da strada (?), per strada, accompagnato da musica.

Scommettiamo che più che Whole Lotta Love pomperanno fortissimo, ancora, Asereje?

*Scusate, mi dicono fosse solo sudore.