Processi storici demenziali – Socrate

[Processi storici demenziali – Atto1 – Socrate]

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Socrate

la_morte_di_Socrate

Atene, 399 a .C .

Un nutrito gruppo di cittadini si riunisce come al solito sulle colline di Atene per giudicare un cittadino, ma stavolta non uno qualunque. E’ una delle più grandi menti dell’umanità: Socrate.

Colui che fa uso del dialogo, il padre fondatore dell’etica, della filosofia morale e della filosofia in generale.

Socrate, una delle più grandi menti di tutti i tempi, nonché mediocre calciatore brasiliano passato alla Fiorentina alla Longobarda di Lino Banfi.

Ma forse qui comincio a far confusione.

E adesso? Di fronte all’Areopago, il giudizio che deciderà delle sue sorti.

Le accuse? empietà, corruzione dei giovani, introduzione di nuove divinità e non riconoscimento di quelle tradizionali.

Giudice: Signor Meleto, pubblica accusa, leggo che abbiamo il famoso Socrate a giudizio, come mai?

Meleto: eh?

Giudice: Signor Meleto, potrebbe togliere quelle cuffiette? Il giudizio è iniziato.

Meleto: Mi scusi Signor giudice, ho le cuffiette, non la sento.

Giudice: Che cazzo di gag mediocre è questa? Sembriamo Lillo e Greg.

Meleto: Tolte signor giudice, ora la sento bene.

Giudice: A suo comodo, signor Meleto. Allora, cosa ci fa qui Socrate?

Meleto: è accusato di crimini gravi, signor giudice.

G: un anziano signore, così ben voluto? E cos’avrebbe fatto, scoreggiato a letto? Ahahahahah!

M: No signor giudice. Cose ben più gravi. Innanzitutto empietà.

M: E che reato sarebbe?

M: Beh, è lei il giudice, dovrebbe saperlo…

G: Ah già… ma… vediamo se è preparato…

M: Uff, al solito. Allora: empietà è il non seguire il culto di una religione, darsi a studi naturalistici fuori dalla norma.

G: Ma che cazzo di reato è… comunque sì, ehm… bravo, ricordava bene.

M: Sì sì…

G: Introduciamo l’imputato.

Socrate: Eccomi.

G: Allora, signor Socrate, come risponde all’accusa di entità?

M: Empietà.

G: Empietà, sì, quello.

Socrate: E’ un’accusa che non mi tange. Chiamo voi a testimoniare.

G: Voi chi?

S: Voi giudici.

G: Cioè?

S: Voi, mi avete mai visto compiere simili atti?

G: Personalmente?

S: Personalmente.

G: No, in effetti no…

S: Visto?

G: Eh ma grazie al cazzo. Così è facile. Allora non si potrebbe mai condannare nessuno se non viene beccato sul fatto dal suo giudice. Furbetto lei…

S: So’ filosofo…

G: Comunque la cosa non regge.

S: Mi sovviene un sofisma al riguardo…

G: Siamo in un giudizio pubblico, le è fatto divieto scoreggiare.

S: Ma…

G: SILENZIO! L’accusa che dice? Signor Meleto, tocca a lei.

Meleto: Guardi, sull’empietà mi pare siamo tutti d’accordo

S: Veramente no…

G: SILENZIO! E cos’è questa puzza?

S: Non saprei…

G: Madonna del Carmine! Non si resiste!

S: Signor giudice, le rammento – e rammento al pubblico così da dare un filo logico ulteriore alla narrazione – che siamo in Grecia, che per noi è moderna ma per loro è antica. Non è che l’ambiente fosse poi così profumato. Scarichi e fogne a cielo aperto, vacche e buoi, congiungimenti carnali…

G: Lei non me la racconta giusta. Secondo me sta facendo ancora sofismi. L’ho vista sa, inclinarsi sulla seggiola.

S: Ma i sofismi non sono…

G: SILENZIO! Signor Meleto, allora, quest’entità…

Meleto: Entità, sì, vabbè. Ci sono prove inconfutabili. Ma non è neppure la cosa peggiore commessa da quest’uomo. Mi concentrerei sull’accusa di aver corrotto i giovani. Socrate li rovina con le sue assurde fantasticazioni.

Socrate: Per esempio?

Meleto: per esempio… beh… uhm…

S: Avanti, me ne dica una: cosa farei di male ai giovani?

M: Con calma, un attimo, mi faccia ricordare… una cosa c’era…

S: Mi pare che il tutto si commenti da solo. Manca qualunque base per accusarmi…

M: Nono, una cosa c’era…

S: Facciamo notte e stasera c’è Atene-Sparta, ci vogliamo muovere?

M: Vabbè, mo’ non mi ricordo. Comunque… ah sì: se li inculava!

S: Eh?

M: Vuole negare che abusasse di loro?

S: Ma che abusare. Qua lo fanno tutti.

M: Che lo facciano tutti non significa che sia cosa buona.

S: Se lo fanno tutti cosa cattiva non è.

M: Non ci mettiamo a fare sofismi ora.

Giudice: DioCristo, basta sofismi, sì! E’ un veleno qua! Aprite le finestre!

S: Scusi.

M: E comunque molti erano minorenni.

S: Siamo nell’antica Grecia, l’età media è vent’anni, poi si muore, ci credo io.

M: E’ sbagliato e basta!

S: Dica la verità, a lei piacciono le donne.

M: Ma che dice!

S: Ahahahah! Un etero! Ahahahah!

M: Non si permetta! Sono accuse infamanti e gravissime!

S: A Meleto piace la fica – A Meleto piace la fica! [Cantilena]

M: Non mi piace la fica! Sono un uomo vero io!

S: Comunque io non ho nulla contro gli etero. Solo, evitate quelle assurde baracconate tipo l’Etero Pride. Dovreste cominciare ad integrarvi.

M: La smette? Torniamo alle accuse.

S: Però è carino quando fa il virile.

M: Sì? [occhi dolci]

S: Sì. [occhi dolci]

Santippe (moglie di Socrate): e figurati.

Socrate: Santippe, moglie mia, sai che sei il mio universo.

Santippe: ne sono cosciente, marito mio. Mi hai dato conoscenza e consapevolezza. E di questo ti sarò eternamente grata. E comunque ce l’avevi piccolo.

Socrate: Parli di me come se già più non fossi. Ma questo procedimento non ha ancora scritto la parola fine sulla mia testa.

Santippe: ho letto il finale.

Socrate. Dove?

Santippe: Qua, due pagine appresso.

Socrate: Moglie mia, tutto questo non ha alcun senso.

Santippe: Guarda, lo stavo per dire pure io. Ci mancava solo che alla fine ti ammazzasse il maggiordomo.

M: Ricomponiamoci! Usciamo fuori da ‘sti cazzo di clichè da Giallo Mondadori! E cacciate fuori quella donna!

Santippe: Ecco un altro ricchione.

M: Grazie, finalmente qualcuno se ne accorge. Insomma, Socrate, lei è un pessimo educatore. Anzi: l’unico cattivo educatore di tutta Atene.

S:  Dunque mi sta dicendo che tutti gli ateniesi sono buoni educatori, mentre solo io sarei l’unico guastatore. Le faccio un’analogia: secondo me, così come sono pochi coloro che sanno allevare ed allenare cavalli da corsa, mentre la maggior parte delle persone li rovina, così la cosa dovrebbe valere anche per gli altri animali, uomini compresi. No?

M: Eh?

S: E’ un’analogia semplice, ripresa testualmente dallo sceneggiatore che voleva giustificare così il tempo speso su quei barbosi testi classici.

M: ah. Ok. E.. Ehm… [pausa di qualche secondo]… Se li inculava! Signor giudice, se li inculava!

S: Uff…

M: Passiamo oltre: la terza accusa è di aver introdotto in Atene nuove divinità e di non riconoscere quelle tradizionali. Come si giudica, imputato?

S: Assolutamente innocente. Io non ho introdotto altro che il daimon.

M: Chi è mo’ ‘sto daimon, un manga giapponese?

S: No, è la mia voce morale. Il daimon è un vero essere vivente, che mi avverte tutte le volte che sto per sbagliare.Non sono un dio, ma sono figlio di dei, come tutti noi. Non ho dunque introdotto nuove divinità, ho accettato le divinità tradizionali, perciò sono innocente.

M: [pausa di qualche secondo]… Se li inculava!

S: Aridaje.

 

 

L’Areopago quindi vota, a maggioranza, la colpevolezza di Socrate. Il voto è sofferto e per pochissimo Socrate viene condannato, grazie anche ad un’azione decisa per accaparrarsi il voto favorevole del senatore De Gregoriaki, passato repentinamente dalla Grecia dei Valori alle liste del Popolo dell’agorà. La vicenda desta grosso scandalo ma si sa come andava la politica allora.

Allora.

A questo punto vengono formulate le proposte di pena. L’accusa propone la condanna a morte. Socrate sarcasticamente chiede un vitalizio dallo stato. Gli viene accordata solo un’auto blu.

Di nuovo votazione e di nuovo c’è la pronuncia per la pena maggiore, la morte appunto.

“È giunto ormai il tempo di andare, o giudici, io per morire, voi per continuare a vivere. Chi di noi vada verso una sorte migliore, è oscuro a tutti, tranne che al Dio”. Queste le parole dell’ultimo di Battiato.

Socrate è dunque incarcerato in attesa dell’esecuzione.

Tutti i suoi discepoli, Alcibiade in testa (suo prediletto ed amante), sono distrutti e meditano un sistema per farlo evadere: non possono accettare l’idea di perdere il loro maestro.

Discepoli: Maestro, abbiamo un piano per farla fuggire.

Socrate: Piano?

D: Sì, stiamo scavando un tunnel fino alla foresta.

S: un tunnel?

D: Sì, è già tutto pronto. Deve solo mettere un poster di un’attrice famosa sulla parete per coprire il buco. Percorso il tunnel su un supporto di legno e dei tiranti di corda, all’uscita troverà una moto con la quale potrà fuggire superando le linee tedesche.

S: Cos’è un poster?

D: Pensavamo fosse una parola greca. O una canzone pallosa di Baglioni.

S: E una moto?

D: è un mezzo a due ruote, per spostarsi velocemente nel traffico.

S: Cos’è il traffico?

D: Oh, maestro, stai qua a rompere il cazzo o vuoi scappare?

S: Mi son dure le parole che pronunciate. Parlate di poster alla parete per coprire un buco… e poi di tunnel e moto… Ma state facendo confusione tra Le ali della libertà e La grande fuga.

D: Questo è possibile, non essendo praticissimi di cinematografia. L’importante è che fugga via.

S: Non funzionerà, preferisco stare qua a giocare con la mia pallina contro il muro.

D: Tim Robbins?

S: Steve McQueen.

D: Cazzo. Comunque deve scappare! Non sa che stanno per darle la cicuta?

S: Eh lo so, nelle carceri e negli ospedali si mangia di merda, ma che ci posso fare…

D: E’ un veleno, Maestro! Veleno!

S: ‘na porcheria, sì.

D: Uff… Senta, deve fuggire, non c’è più tempo.

S: Ma dove dovrei andare? Io penso che sia più giusto osservare la legge, anche se non ci piace.

D: Ma i suoi insegnamenti? Che faremo noi?

S: Il massimo del mio insegnamento sarà proprio questo, essere coerente con me stesso.

D: E’ una prova di grandissima integrità morale, Maestro. Altresì una cazzata.

S: Ma resteranno imperiture le mie gesta.

D: In realtà basterebbe vincere un reality.

S: Non sono più di moda. Meglio un talent show. Ma non so cantare.

D: Guardi, basta essere un personaggio che buca lo schermo.

S: Non ho idea di cosa stiamo dicendo ma ormai non c’è più tempo. Ora, qualcuno di voi vuol suggere il nettare della conoscenza per un’ultima volta?

D: Verrà Alcibiade, Maestro.

S: Il mio prediletto?

D: il ricchione, Maestro.

S: Certo, lui.

Santippe:  E figurati.

Socrate si congeda da tutti gli amici e parenti, invita il carceriere ad entrare, spegne la Playstation e si abbandona al suo destino.

Arriva il momento della somministrazione della cicuta. Beve la pozione, tira fuori un ultimo, pestilenziale sofisma e sussurra le sue ultime parole, ormai nella leggenda: «O Critone, noi siamo debitori di un gallo ad Asclepio: dateglielo e non dimenticatevene!»

Discepolo 1: Eh?

Discepolo 2: boh, non ho capito

Discepolo 1: Ma che cazzo di ultime parole sono?

Discepolo 2: mah, perdere un’occasione storica per lasciare un qualcosa di imperituro…

Discepolo 1: Dai, dobbiamo inventarci qualcosa. Non possiamo lasciare come eredità di Socrate quella frase idiota.

Discepolo 2: E che ci inventiamo?

Discepolo 1: Non lo so…

Discepolo 2: Ha bevuto la cicuta…

Discepolo 1: Dunque…

Discepolo 2: Che ne pensi di: “più la mandi giù, più ti tira su”?

Discepolo 1: Perfetto

 

[sipario]