Sicurezza totale

Sistema di assistenza intelligente della frenata, avviso anticollisione, EBD, sistema di prevenzione di invasione corsia, dodici airbag, sistema di controllo dell’angolo cieco, fari allo xeno autoadattativi, gomme anti aquaplaning, controllo della stabilità, radar di bordo, controllo della trazione. E poi attaccare un rosario in plastica allo specchietto. Ti rendi conto? Pensi funzioni davvero? Anche in questi casi usa la testa: preferisci sempre la qualità. Non tutti sanno che quelli che si vendono, spesso, sono cinesi.

La consigliera alle grandi manovre

La moglie di Cesare deve non solo essere onesta, ma anche sembrare onesta“.
Il detto deriva da un racconto di Plutarco, celebre cane muto di antichi fumetti greci, che ci racconta di una festa dedicata alla dea Bona, alla quale erano ammesse solo donne. Pompea, moglie di Cesare, accolse nella sua abitazione Publio Clodio, suo corteggiatore, il quale si era travestito da suonatrice. Clodio fu però scoperto, forse per una pessima ceretta, e portato in tribunale.
Cesare fu chiamato a testimoniare sul fatto che conoscesse o meno Clodio ed affermò di non averlo mai visto, aggiungendo che la moglie di Cesare doveva essere considerata al di sopra di ogni sospetto.

“Al di sopra di ogni sospetto”.

Il punto è proprio questo: può la Minetti sfilare in costume da bagno per Parah? Può un consigliere regionale mostrarsi pubblicamente in (non) abiti di quel tipo?
Si rientra sempre nella libertà personale, certo. Nessuno impone ad un politico castità e morigeratezza, un obbligo censorio nel proprio stile di vita, un modus vivendi monastico o diventare suora laica come Claudia Koll, il cui culo è rimasto nel mio eretto immaginario adolescenziale mentre ora gira struccata, in una pesante tunica, a dire cose tipo “Alla pugna contro lo diavolo!“.
Ecco: nessuno lo impone. Ma tu, consigliera, non senti che magari non è il tuo ruolo?.
Era là per sostenere l’industria della moda italiana? Così mi pare abbia detto.
E se la Falqui le proponesse di cacare pubblicamente per magnificare gli aspetti del suo meraviglioso confetto lassativo? Si tirerebbe indietro o aiuterebbe l’industria farmaceutica italiana?
Sappia che io sarei comunque là in prima fila, eh. Ma non per empatia politica, bensì per puro edonismo estetico, come avrebbe detto D’Annunzio.

Non ci vedo nulla di male, – dice la Minetti – un politico non si può mettere in costume da bagno?“. Uhm, dipende.
Ecco, questa è la risposta, signora Minetti: dipende. E la sua generazione politica ha del tutto dimenticato l’accezione di questa parola. Dipende.

Chi l’ha messa là (chi? Non lo nomino) ha completamente stravolto il concetto di liceità e libertà personale, ripetendo ossessivamente il mantra: “la gente la pensa come me e farebbe quel che faccio io”.
Dipende, coso. Dipende, consigliera.
Certo, la gente farebbe la bella vita se potesse permetterselo. E io stesso pasteggerei a caviale e champagne in mezzo alle cosce di gnocche come lei, gentile signora. La trovo molto desiderabile sessualmente, sa? Parliamone, so che mi legge con attenzione: uomomordecane@gmail.com

Il punto è che io sono io, un cazzo di nessuno. E posso sfilare in costume. Io. Oppure andare a puttane. Io. Posso svaccare se perde la mia squadra, saltando sulla poltroncina allo stadio e mandando affanculo l’arbitro. Io. Girare con una palla di fuori, indossare una canottiera unta. Io. Faccio una brutta figura ma la cosa resta limitata a me.
Lei, mentre sfila in costume, mi sta rappresentando. Pure senza palla di fuori. Lei non è più una persona, signora Minetti. Lei ora è una istituzione, come lo è la fascia tricolore appesa al sindaco (non quella di Miss Italia, non confonda), come lo è l’intera persona di Napolitano o ciò che ne resta, come lo è la corona che si depone sulle bare dei morti in Afghanistan che perdono eroicamente la vita nell’atto di ritirare mensilità da favola.

Istituzioni.

Se lo ricordi, gentile signora: lei non è più quel corpo che abita e mostra. Lei ora è un’entità astratta. Arrapantissima, certo.
Lei ora ha potere, un potere diverso da quello che possiede una “semplice” bella donna. Un potere che si può affrancare da quella visibilità patinata che continua a ricercare e di cui non ha più necessità.

Sa cosa può fare adesso, glamourosissima consigliera? Può dimenticare l’involucro e pensare alla sostanza, come una Rosy Bindi qualsiasi. Non ha più bisogno di ancheggiare per dire qualcosa.

E – mi creda – può fare molto addirittura senza muovere bocca.

Ci pensa?

 

Stop war

Un ragazzo stamattina indossava una t-shirt con su scritto: “Stop war”. Più tardi vedo al tg se ha funzionato.

Cambi di programma

Ti eri costruito immagini ben precise, che non riuscivi a cacciare via. E con esse aspettative. Aspettative che la tua mente aveva iniziato persino ad idealizzare, rendendole ancor più desiderabili di quello che alla fine sapevi – eri certo – sarebbe stata la realtà. Ma tu niente: eri fisso su quel pensiero, il tuo intero “io” era proiettato a quel momento, che desideravi con tutto te stesso. Un’esperienza fatta di pochi minuti – certo. Ma eccitantissimi, bramati come null’altro da giorni. Istanti tuoi, solo tuoi, a te dedicati con passione e deferenza. Tu, per qualche minuto, immobile, senza doveri, al centro dell’universo.

E quando arriva il momento, che la vedi arrivare da lontano, ti chiedi perché porti un Super Tele bianco, in bocca.

E quando si avvicina di più invece lo speri, che porti un Super Tele bianco, in bocca.

No. Proprio uno dei suoi monumentali herpes.

 

Loop

 

C’è uno alla radio, un artista di qualcosa, famosissimo e pieno di soldi.

Sono queste le persone che sembrano aver trovato la vera strada per la felicità. Dice che la sua vita va bene com’è. Certo, gli manca qualcosa. La casa, già, costretto com’è a spostarsi continuamente. In pratica non ha un luogo fisso e la cosa, alla lunga, gli è diventata sfibrante e gli va a togliere qualcosa di suo, di intimo: quel legame con un luogo che senti appartenerti e al quale appartieni, le quattro mura. Un uomo che paradossalmente ha anche perso il concetto di denaro: quello che gli entra gli esce, senza pensare troppo al domani, ché nella vita ci sono altre priorità. L’oggi, per esempio. Uno scollamento totale con la realtà sociale, che lo porta ad essere visto come corpo estraneo alla stessa.

Ho spento la radio e ho immediatamente pensato a quello che ha la villetta a schiera, che magari sogna una vita così, imborghesito invece com’è da una routine fatta di orari, lavoro, spesa da portare fuori e cane da far pisciare, che pagherebbe oro per poter vivere in alberghi, vedere ogni giorno gente nuova, non sapere in che letto dormirà domani.
Ma subito dopo mi sono raffigurato quello che possiede una mansarda di 40 mq, con tetto spiovente fino alle caviglie, cinquanta gradi d’estate e finestrella buona solo perché troppo stretta perché ci passino le zanzare. Che darebbe un braccio per una villetta come quella, un giardinetto nel quale coltivare il basilico (o altra erba comunque buona), una macchina in garage.
Ma appresso, ho pensato a quello che è in affitto da tutta la vita, precario e nessuno che gli accordi un cazzo di mutuo perché “le garanzie, signor, Rossi… le garanzie…”, che manco si chiama Rossi poi ma chi se ne fotte, che questo mese no, non arriva a pagare l’affitto e teme, a quarant’anni, di dover tornare da mammà, al paese. E farsi mantenere da una pensionata che credeva di potersi fare gli ultimi anni pensando ad un figlio sistemato.

Che poi, c’è il passaggio ulteriore: il poveraccio che non ha manco famiglia. Quello che – cazzo gli sarà capitato nella vita – vedi nel parco, con il carrello della spesa rubato al supermercato, che trascina tutta la sua vita dentro due grossi sacchi. Che quella possibilità di tornare a casa non l’ha, non avendo nessuno. Cosa mai darebbe – se avesse qualcosa – quell’uomo, pur di poter avere una stanza, pure piccola, sua? Eppure, se gli parli, ti sorprende.

Sono queste le persone che sembrano aver trovato la vera strada per la felicità. Dice che la sua vita va bene com’è. Certo, gli manca qualcosa. La casa, già, costretto com’è a spostarsi continuamente. In pratica non ha un luogo fisso e la cosa, alla lunga, gli è diventata sfibrante e gli va a togliere qualcosa di suo, di intimo: quel legame con un luogo che senti appartenerti e al quale appartieni, le quattro mura. Un uomo che paradossalmente ha anche perso il concetto di denaro: quello che gli entra gli esce, senza pensare troppo al domani, ché nella vita ci sono altre priorità. L’oggi, per esempio. Uno scollamento totale con la realtà sociale, che lo porta ad essere visto come corpo estraneo alla stessa.

E ho riacceso la radio.

Venghino sìori

Omicidio dei due anziani coniugi di Lignano, gli inquirenti ad una svolta: “Uccisi chi?!”.
Fermata una giovane sudamericana. Già solo per il culo.
Le indagini hanno seguito in precedenza altre piste. Dapprima è stato interrogato il fratello della donna uccisa, per la singolare coincidenza tra la morte violenta e la curiosa clausola testamentaria: “Se muoio uccisa va tutto a mio fratello che non mi sta costringendo a firmare nulla“.
Poi sono stati interrogati dai carabinieri tutti i cinquanta artisti del circo “Bellucci più Mario Orfei”, che erano a Lignano quella notte:
– Dov’era la notte del delitto?
– Sul trapezio.
– E lei?
– Nel cannone.
– Lei invece?
– Con le tigri.
– E lei, la notte del delitto, dove si trovava?
– …
– Non risponde? Guardi che non rispondere all’autorità potrebbe metterla in seri guai.
– …
– Appuntato, metta a verbale che la scimmia non risponde.
Il test del DNA ha poi scagionato tutti i circensi.
Anche se pare pentito di qualcosa quello pallido col cappellino nero, tradito dalla lacrima.

C’hanno Henry Miller, c’hanno

Immagino la persona (una, dev’essere sempre la stessa, ne sono certo) che scrive le descrizioni per le offerte di Groupon. Che deve inventarsi ogni giorno qualcosa, su oggetti che alla fine son sempre gli stessi. Ma non è nemmeno questo il problema. E’ il suo capo – Gigi Groupon, credo – che gli impone di aggiungere un che di artistico, che faccia sognare.
Ecco dunque il nostro, trovarsi a dover valorizzare il prosciutto iberico ed esaltarne l’aspetto culturale, l’aggancio con quelle terre, secoli di storia.
Ah, ricordo, per i distratti, che il prosciutto iberico sempre un culo di maiale è. Iberico, certo.

Dai nostri cugini spagnoli arrivano sempre cose buone e gustose: assaggia le patatas bravas o la paella camminando per le strade di Valencia o sorseggiare dell’ottima sangría nella movida barceloneta.
Se andare in Spagna ogni giorno è un po’ difficile, Groupon porta a casa tua il sapore autentico e delicato della cucina spagnola. Affina le papille gustative con il vero prosciutto spagnolo… autentico sapore iberico!

Poi ti arriva a casa una triste confezione sottovuoto in alluminio, priva di qualsiasi poesia nonchè patatas (ho controllato bene, soprattutto per le patatas), dentro la quale manco un pezzettino di movida barceloneta. Forse pagando un plus.

Oppure i telefonini: là davvero c’è poco da solfeggiare. Eppure questo schiavo moderno riesce a regalarci istanti di pura vita:

Viaggiando per mondi sconosciuti e galassie lontane si potrebbero scoprire cose straordinarie come macchine dalle potenzialità ultra performanti, androidi super evoluti e invenzioni semplicemente rivoluzionarie.
Direttamente dallo spazio ecco il Samsung Galaxy S III… benvenuto nel futuro!

Grande, lo voglio! Lo voglio non perché qua lo pagherò 150 euro in meno che in negozio. Lo voglio per quello che hai saputo trasmettermi, tra Philip K. Dick e H. G. Wells, tra Verne e il tossico del secondo piano.
Me lo hai fatto desiderare.

Ma nella stessa giornata c’era anche il BlackBerry… cosa potrà mai inventarsi il nostro eroe per non ripetersi?
Ma ecco, ancora, il genio:

C’è chi va alla Scala, spendendo uno sproposito per i biglietti e sfoggiando cellulari ricoperti di cristalli. C’è chi preferisce bere birra tutta la notte, seduto sulle gradinate di una chiesa ad ascoltare suoni tribali con in tasca uno StarTac anni ’90.
C’è chi invece non vuole scegliere fra eleganza, relax e qualità. Sono quelli che dopo l’Opera vanno con gli amici a fare baldoria tutta la notte. Sicuramente hanno in tasca un BlackBerry Curve.

Cosa gli vuoi dire? Siamo con te, chiunque tu sia. Comprendiamo le tue difficoltà e ti siamo vicini. Lavorare in un call center sarebbe stato meglio ma tu hai pensato di dare una svolta creativa alla tua vita. Ed eccoti qua, a comporre note sublimi, sinfonie oltre il barocco su spartiti prima aridi, ora riempiti di onirico, sublime movimento.
(Questa descrizione copiancollala: ti può essere utile per descrivere le prossime mutande ultra-contenitive).

E i viaggi? Cristo, i viaggi:

Benvenuti a Praga, una città unica, leggendaria e dall’atmosfera sfumata, capace di regalare emozioni autentiche, di far innamorare chi la visita per la prima volta e di rimanere per l’eternità nel cuore di chi l’ha già visitata.
Camminando per i vicoli e i sottopassaggi, che in autunno vengono avvolti dal candore della nebbia, si capisce perché siano nate numerose leggende e superstizioni a lei legate. Il Golem, la leggenda più nota, racconta di questo gigante che secondo la cabala poteva essere generato dall’argilla. Un fantoccio creato dal rabbino Loew, che aveva il compito di proteggere gli Ebrei che vivevano nel ghetto durante le persecuzioni della Seconda guerra mondiale. Al civico 40 di Karlovo Namesti (Piazza di Carlo) si trova la “casa maledetta” in cui
visse e condusse i suoi esperimenti Faust, che fece un patto con il diavolo dando in pegno la sua anima in cambio di denaro e della giovinezza. Al momento di pagare il pegno si rifiutò e il diavolo lo portò all’inferno. Si narra che la stessa sorte toccò a un giovane studente squattrinato, che lì trovò rifugio per alcune notti.

Quest’uomo, googlando “Praga”, “cose da vedere”, “perdìo sono le due del mattino e io ancora qua sto”, compone una lirica capace di affascinare anche il più distratto utente di Groupon, ammaliato certamente da tanta meravigliosa descrizione, più che dal fatto di potersi fare nove notti a Praga, tutto compreso, a sedici euro.
Per otto persone.
Più il cane.

E oggi vedo che ci sono gli arrosticini al 70% in meno.
Sarà un pezzo di grande letteratura.

 

Imagine (la vera storia della fine dei Beatles)

– Allora Paul, ci vuoi dire com’è andata davvero, come vi siete sciolti?
– Sì, ora sono pronto.
– Divergenze artistiche o cosa?
– In parte di obiettivi. Ma più che altro personali, lo ammetto.
– E con chi?
– Guarda, le problematiche con John non sono mai state un mistero. Certo è che da quando sono intervenuti fattori critici esterni…
– Ti riferisci a Yoko?
– L’hai detto tu.
– Puoi smentire se vuoi.
– Non ce n’è bisogno. Perché mi pare evidente che il suo ingresso nella band ha…
– Aspetta, aspetta, frena… “ingresso nella band”? Yoko? E da quando? E in che termini?
– Non è un mistero che la sua relazione con John abbia di fatto cambiato lui e di conseguenza il nostro lavoro. La sua presenza, all’inizio solo marginale, si è fatta via via più pressante. Ce la siamo infine ritrovata anche in sala di registrazione. Certo, con tono dimesso, senza mai imporre nulla. Ma di fatto ogni azione di John era completamente intrisa di questo rapporto. Era da un lato preoccupato che noi non la accettassimo solo per compiacere lui, da un altro ci teneva particolarmente a che il suo ingresso fosse pienamente condiviso, infine era terrorizzato dal compiere azioni improntate ad una “captatio benevolentiae” che temeva potessimo poi rinfacciargli qualora le cose fossero andate male. In sintesi John sperava che accogliessimo Yoko con entusiasmo, ma senza che lui apparisse mai come promotore di questo ingresso in alcun modo. Una manipolazione continua.
– Quando ricordo bene era lui spesso ad accusarti di manipolazione.
– Si chiama proiezione, lui stesso lo diceva sempre. Ma in effetti diceva sempre cose relative a problemi di testa…
– Quando la cosa ha cominciato a scricchiolare?
– Guarda, ti faccio solo un esempio: eravamo in sala di incisione e Ringo aveva fatto una proposta strumentale fantastica.
– Scusa un attimo: Ringo? Ma non era la “parte debole” dal punto di vista artistico?
– Ringo? Ringo era il vero creativo della band, quello capace di ispirare gli altri e tirare fuori da noi tutti il meglio. Ma “visivamente” non era il massimo. Per questo puntammo più sulla mia immagine, sicuramente più di impatto. Ma “Sgt.Pepper Lonely Hearts Club Band” è totalmente opera del genio di Ringo.
– Questa informazione, a distanza di tanti anni, può far riscrivere pagine intere di storia della musica…
– Già. Quell’arrangiamento originalissimo di Ringo era assolutamente devastante e doveva essere incluso in quel pezzo. Anche John era entusiasta. Ma Yoko disse di no, che in quel momento non era quella la cosa da fare. Magari più in là nell’esecuzione ma non in quel momento. Questo frustrò fortemente Ringo, che uscì dalla stanza per farvi ritorno solo tempo dopo. Qualcosa si era rotto.
– Ma John non aveva voce in capitolo? Non prendeva decisioni in autonomia?
– La sua “autonomia”, come dici, è sempre stata viziata da una visione delle cose distorta, forse per l’uso eccessivo di alcol e droghe. Il suo continuo voler entrare nella testa altrui lo portò a cercare di prevedere comportamenti, fino a vedere azioni contro la sua persona anche dove non ce n’erano. Tutto questo lo aveva terribilmente allontanato dalla realtà. E si era rifugiato appunto in questa figura che lo rassicurava. Ma è indubbio che Yoko avesse ben altri fini che quello di essere semplicemente la compagna di John.
– Quali altri fini?
– Guarda, è la prima volta che ne parlo da allora ma ormai non mi frega più nulla. La mia vita l’ho fatta e la gente si ricorderà di me per sempre. Dunque non ho paura di dire finalmente la verità.
– Mi stai mettendo una curiosità addosso…
– Brian Epstein…
– Il vostro manager… sì…
– Nel 1967 fu trovato morto, come sai. Dissero overdose ma la verità è un’altra.
– Quale?
– Epstein è stato mangiato da Yoko.
– L’ha ucciso lei!?
– Ho detto “mangiato”.
– Non capisco.
– Yoko si nutriva di carne umana.
– Paul, mi stai prendendo in giro?
– Non lo farei mai. Yoko seguiva una dieta che prevedeva carne umana come unico alimento consentito. E carne di manager discografici, in particolare. Non avrebbe neppure potuto far uso di carne di – che so – operaio Indesit. Solo manager discografici. Capirai dunque quanto fosse difficile vivere procacciandosi un cibo tanto raro. Quando conobbe Epstein intrecciò una torbida relazione con lui, che portò il povero Brian a diventare totalmente succube di Yoko, grazie soprattutto alle droghe che lei preparava e di cui lui era ormai totalmente dipendente.
– E’ una storia difficile da credere…
– E non conosci il resto. Yoko dichiarò che Epstein non era stato poi così indispensabile per la crescita artistica del gruppo, cercando di minimizzare il suo apporto artistico ma non quello nutrizionale (RDA 560%). Cercai di scuotere John ma anche lui era totalmente soggetto a quei cocktail micidiali di droghe di quella strega. Proposi dunque di partire per un film-tour, il “Magical Mystery”, con una idea semplicissima: salire su un autobus colorato e partire senza una meta ben precisa, divertendoci e filmando tutto, per farne un film alla fine e magari staccarci dal mondo della musica. Tutto, pur di allontanarci da Yoko. Fu una idea che definirono geniale ma io non volevo far altro che cercare di tenere John lontano da lei.
– Continua.
– Il film fu una porcata. Fu trasmesso la sera di Santo Stefano del 1967 ed ebbe critiche feroci. Eravamo stati demoliti, per la prima volta. Partimmo dunque per l’India – era il 1968.
– Sì, ricordo. Alla ricerca di ispirazione e per seguire l’induismo praticato da Harrison.
– Stocazzo.
– I beg your pardon?
– Scusa, influenze latine. Dicevo, partimmo con lo scopo di trovare manager discografici in India. Avevo letto su Arpanet che nella foresta del Sundarban cresceva una varietà di discografici apparentemente simili ai nostri ma in realtà velenosissimi. Il mio scopo era portarne uno a Yoko e farla finita in quel modo.
– Tutto questo mi pare assurdo.
– E lo era, in quei termini. Ma l’avrei mescolato ad una croccante polpetta. Le cose comunque andarono male, ci ripulimmo persono dalla droga ed il mondo ci pareva una palla immane.
– Io sapevo che proprio durante quel viaggio in India John conobbe Yoko.
– Nono: Yoko frequentava John già da quando lui suonava nel suo vecchio gruppo, gli Spinsyztem.
– Mai sentiti.
– Eppure sono conosciutissimi: hanno scritto tutti gli inni delle paralimpiadi.
– Vabbè, continua ma ti avverto che mi pare tutta una cazzata.
– Credimi invece, è tutto vero. E’ dopo “Porco Jude” che però la loro relazione diviene più intensa e malata.
– “Hey Jude”, intendi.
– Sisi, quella. Yoko ormai era presente in ogni nostro momento, artistico e quotidiano. Pensa che una volta me la ritrovai persino dal callista, mentre ero là per un durone.
– Stai dipingendo un quadro non solo inedito ma anche surreale.
– Hai detto cazzi. Insomma, era il 1968, decidemmo di registrare un disco doppio, ancora una volta su idea di Ringo: si era già deciso dunque di creare questo “Ringo double”, da un lato nero, dall’altro bianco, in mezzo una morbida crema. Ma ciascuno cominciò a fare di testa sua quanto ad arrangiamenti. Harrison scelse Eric Clapton per il solo di chitarra, io e Paul iniziammo a litigare su chi ce l’avesse più artistico. Il disco comunque fu eccezionale proprio perché tanto frammentato. Un meteorismo creativo meraviglioso. Ma il giocattolo era rotto.
– Ma ci fu quel finale magnifico sul tetto…
– Certo. Era il 30 gennaio 1969, lo studio di registrazione era pieno di sangue (Yoko aveva mangiato un manager di un gruppo secondario: i “DiecimilaMe”). Non si sapeva cosa fare. Chiamammo allora Wolf, che sapevamo essere eccezionale nel risolvere i problemi. Ci fece pulire tutta quella merda, lavare con la pompa in giardino – un cazzo di freddo – e poi ci disse di salire sul tetto, per distogliere l’attenzione e creare un alibi. Mai scelta fu più felice.
– Cosa accadde?
– Yoko aveva iniziato a variare la dieta. Non più solo discografici ma anche semplici artisti. Dapprima sparirono tutti i mimi a Trafalgar Square. Poi fu la volta di un paio di giocolieri. Una volta trovammo nel suo appartamento i resti di una donna cannone: un’orribile – Dio non posso ripensarci – copertina di De Gregori.
– Tutto questo è semplicemente assurdo.
– Perché non sai di Abbey Road.
– Dai, sentiamo.
– Il nostro vero congedo artistico, altro che “Let it be”, quando la band era ormai sciolta, fu qualcosa di indimenticabile.
– Certo, lo ricordiamo tutti. Un disco meraviglioso.
– Nono, indimenticabile perché nessuno può scordare come nacque. Chi lo scrisse davvero.
– Chi?
– Mark Chapman.

 

I nuovi Cristincroce

La possibilità di essere letti da chiunque – il web 2.0 ha fatto esplodere la condivisione di parole, opere, pensieri ed omissioni – ha fatto emergere anche una serie di aspetti sociocomportamentali che ritenevo meno diffusi. Invece.
Ci sono talentuosissimi blogger, twittomani, facebookatori, capaci di far ridere, pensare, informare più e meglio di professionisti.

Quel che a me balza più all’occhio è lo spropositato numero di persone che si autoproclamano fobiche, disadattate, sociopatiche, con problemi relazionali, familiari, esistenziali o di meteorismo.
Sembra che il must oggi sia vendersi come “difettato/problematico”, quando fino a qualche tempo fa era di moda – che so – il “figo/ribelle”.

Questo però vale solo sul web, precisiamo.

Se scrivi che sei andato a pagare una bolletta, è facile trovare riferimenti alla difficoltà di uscire di casa, incontrare gente, relazionarsi con lo sportellista… ma anche provare paura per un cane che passa, lavarsi le mani se tocchi delle monete, guardare fisso in terra per paura di incrociare sguardi, sentirsi inadeguati in ascensore.
Il tutto raccontato con leggerezza, compiacimento, autoreferenzialità (qualunque cosa voglia dire).

La fobia sociale come valore aggiunto.

Credo che ciò stia accadendo per due fattori:
1) il fabiovolismo imperante in rete, che porta chi scrive a cercare di far breccia nell’umanità, nei difetti, nel quotidiano di chi legge, tramite una subdola, facile, sguaiata opera di ricerca di immedesimazione, che porterà il lettore a parteggiare per lui tramite una ridondante serie di “ehi, ma è vero! Succede anche a me!”.
2) chi scrive è tendenzialmente davvero uno sfigato del cazzo ma non abbastanza per emergere neppure come tale. Allora ci marcia, creandosi una macchietta dal basso profilo, ammiccante ed ipocrita.

Sul primo punto si è detto anche troppo, dunque eviterei di tornare se non per ribadire che l’identificazione è davvero la virtù del 21° secolo: in un periodo di “ipercontatti digitali” e di “iposcambio reale” trovare in altre persone gesti propri e abitudini personali provoca un senso di “normalità” che rassicura e fa sentire lo sfigato meno sfigato.

Ma tale resta – e vengo al punto 2.

Raccontare delle proprie difficoltà con l’altro sesso, delle mani sudate quando si incontra qualcuno, dell’ansia da socialità, dipinge un quadro caricaturale di se stessi (che magari enfatizza ulteriormente problemi a volte solo accennati, se non del tutto inesistenti), quadro nel quale i tratteggi più decisi si soffermano non sui punti di forza ma sulle imperfezioni. E se non ci sono si evidenziano.

E’ un impressionismo astigmatico, che deforma il pittore e non la realtà, anzi: un fauvismo che rappresenta i propri mostri, oppure mostri che non esistono ma che si vogliono descrivere, e con vanto, messi in piazza come farebbe una Barbara D’Urso qualunque.

Stiamo assistendo allo sviluppo di una vera, nuova cultura del basso profilo, nella quale la rappresentazione di se stessi deve essere un po’ goffa e un po’ intellettuale. Perché è proprio il goffo a fare l’intellettuale.

Dunque altro che ribelle: ti dico che porto gli occhiali spessi, antichi; ti racconto che oggi una ragazza (pure cessa) mi ha dato un due di picche; mi metto in ridicolo descrivendo la macchia di marmellata sulla mia camicia. Camicia peraltro consunta ed economicissima, come da post del mese scorso; ti racconto poi che ieri mi sono ubriacato, da solo, a casa.
“Sapevatelo”.

Le mie deficienze, intolleranze, inadeguatezze; le mie maniglie dell’amore e la tartaruga rovesciata, i miei riti col caffè, le mie pillole di antidepressivo; il mio non sentirmi all’altezza del collega playboy, la mia macchina scassata, il mio guidarla piano, pianissimo.
“Sapevatelo”.

Tutto questo trasmette una immagine di me di cosino mediocre.
Mediocrità esplicitata, capace di crearmi una serie di contatti – anche loro tutti mediocri – che creano empatico afflato, tribù nerdose e merdose, gruppi di youpornisti che si scambiano consigli su quali pagine fetish visitare, piuttosto che come sciogliere dell’MDMA nel bicchiere della gnocca senza farsi vedere.

Che sarebbe da sfigati pure quello, ma vuoi mettere?

Morire, sparire, fai tu.

Non sempre un pur vivace foularino riesce a compensare la gravità.

Mi è capitato di vedere recentemente in tv la Loren, presenziare ad una manifestazione di non so cosa. E ho provato un fastidio che non sono subito riuscito ad identificare. Premesso che a me la Loren è sempre piaciuta, cosa c’era stavolta di “sbagliato”?

Poi ho capito: era da un pezzo che non mi capitava di vederla così com’è diventata oggi; di quell’impatto, ciò che davvero non sopportavo era quella cieca ostinazione di chi proprio non riesce a farsi da parte con dignità.

Non parlo del fatto che il tempo passi per tutti e blablabla ma proprio che – credo – ad una certa età determinati personaggi pubblici hanno il dovere morale di sparire, tout court.

Diocristo, eri bellissima! Perché ora devo macerarmi pensando allo sfregio fatto allo strato di ozono per quei cazzo di capelli?

La cosa non vale tanto per noi comuni mortali quanto per le icone del nostro immaginario, quelle con le quali siamo cresciuti e che ci piace ricordare al massimo del loro splendore, perché ci accompagnino vita natural durante nella loro forma “divina”, che col tempo abbiamo imparato ad idealizzare.

L’impegno sociale devasta più dell’eroina: combattilo.

A rafforzare in me questa idea, il fatto che i personaggi che a tutt’oggi celebriamo di più ci sono rimasti secchi prima di trasformarsi in vecchi parrucconi: da Steve McQueen a Bruce Lee, da Heath Ledger a Rodolfo Valentino.

E Jean Harlow, Belushi, James Dean… Fino al mito di Marilyn.

Il tempo passa ma l’intensità interpretativa resta la stessa.

Ora, che per alcuni sia difficile sparire, dopo aver calcato i palcoscenici ed abbracciato folle intere posso anche capirlo. Ma vivere per sempre nel tuo momento di massimo fulgore non è poi qualcosa dal valore ben più inestimabile?

Qualcuno ci è riuscito, a fermare il tempo ed essere poi identificato con una idea mitizzata di se stesso.

Alcune trasformazioni invero sono un po’ riduttive.

Altri non hanno avuto tale fortuna. Pochi, solo pochi possono dire che il tempo non ha lasciato segni di pura violenza sui loro volti. Purtroppo le donne – si sa – sono ben più soggette degli uomini allo scorrere dei grani nella clessidra della vita.

Com’è, come non è, un uomo regge tremendamente meglio l’impatto del tempo…

In ogni caso non tutti sono dei sex symbol anche a sessanta, settant’anni. Personalmente, se fossi una star, pagherei oro pur di essere ricordato com’ero, e non come sarò.

…in certi casi anzi, partire con una immagine deficitaria può dare l’impressione che la persona non invecchi mai.

Questo a maggior ragione se l’immagine che ti sei costruito partiva proprio da un impatto visivo di un certo livello, che gli anni ed il colesterolo cattivo potevano solo peggiorare.

Grease is the word.

E poi? E poi ci sono i miracolati, quelli che niente: il tempo per loro pare non passare mai.

La bellezza sempre uguale a se stessa: una rarità. E non rompete il cazzo: Irina è e resterà sempre così!

O che addirittura sembrano migliorare, cambiando radicalmente, pur mantenendo quei tratti somatici che da sempre sono stati loro propri caratteri di distinzione.

Passa il tempo, cambiano gli obiettivi ma l’impronta resta quella.

I portatori di idee, principi e valori universali. Questi, e solo questi, potranno davvero cambiare aspetto e a noi poco importerà. Perché quel che conta è il loro messaggio, non importa come veicolato.

Potrà cambiare l’aspetto esteriore, ma certi principi di umana socialità non muteranno mai.

E’ dai divi, dai “bellocci” che pretendo qualcosa di diverso. Sapersi centellinare e sparire al momento giusto. Pretendere che sappiano restare fedeli all’idea che loro stessi hanno saputo costruire nelle nostre teste e non si vendano come moderne puttane dell’immagine al primo che gli offra due spiccioli.

E’ rimasta scoperta la “Salumeria F.lli Porreca e figli”.

Obiezione: tutto cambia, perché non dovrebbe cambiare anche l’immagine di chi ci ha accompagnato per un tratto della nostra vita?

No, non sono d’accordo. Che tutto cambi è giusto, fisiologico, ok. Ma qui si parla di icone, di figure carismatiche ed importanti, magari nate nella nostra infanzia, che hanno forse contribuito a forgiare certi nostri comportamenti. A loro no, non è concesso invecchiare.

Sì, sono cambiate anche le mie abitudini. Ah, le pagine dell’intimo…

Perché non ci si può, davvero, ridurre così.

Prisencolinensinainciusol… Facepalm!