Fantastico! Meraviglioso! Irripetibile! Niente di eccezionale!

Rossella Urru liberata in Mali. Napolitano: “Sollievo e gioia”.
“Sollievo”.
“Gioia”.

Fermatevi un istante su queste parole.
“Sollievo”.
“Gioia”.

Provate ora a ripercorrere tappe della vostra vita nelle quali avete provato reale “Sollievo” e “Gioia”.

– Signor Bianchi, buone notizie: quella macchia non era un cancro ma solo sugo sulla lastra.
– YEEEEEEH!
“Sollievo”. “Gioia”.

– Caro, falso allarme: mi sono tornate.
– YEEEEEEH!
“Sollievo”. “Gioia”.

Quanti si sono sentiti davvero sollevati, e quanti hanno provato reale “gioia” alla notizia della liberazione della Urru?
In termini più esatti: quanti possono permettersi di utilizzare per questo lieto fine i due termini “Sollievo” e “Gioia”?
La verità? La sua famiglia. Solo la sua famiglia.
Sono loro a potersi permettere di dire di sentirsi sollevati, non altri.
Loro hanno provato reale gioia, non altri.
A meno che non si voglia procedere in quella balorda direzione che sta prendendo la lingua mediatica, ormai asservita ad una barocca logica di evidenziazione parossistica di emozioni, più che descrittiva della realtà.
Ogni aggettivazione è sempre più scarica rispetto al giorno prima e serve fare un passo avanti, esplorare nuovi confini linguistici, parlare tutti come si fosse titolisti di “Libero”.

Io non mi vedo Napolitano provare “sollievo”. Men che meno “gioia”.
“Gioia”. Un uomo a quell’età credo non provi altro che stupore per essersi svegliato un’altra volta. E forse in quel caso si va abbastanza vicini al concetto di “sollievo”.
Certo, sarebbe stato buffo sentire Napolitano esprimersi in questo modo: “Alla notizia della Urru libera ha provato relativo piacere, ma ho subito cercato di comunicare una forma più enfatica di questo mio sentire, al fine di evitare polemiche sul mio non essermi riuscito ad emozionare più di tanto, come del resto tutti voi, ipocriti del cazzo“.

La gente fa battaglie emozionali, perché ha bisogno di sentirsi dalla parte del giusto, dei “buoni”. E quando un po’ ci credi pure, quando davvero tutti gli elementi che riesci a valutare con i tuoi (sovente scarsi) strumenti culturali, depone a favore del fatto che sì, sei “tra i buoni” ed è cosa buona e giusta partecipare a quella fiaccolata, ecco che si creano i fenomeni isterici di massa. E non riesci nemmeno a capire che anche chi non parla la tua rozza lingua magari è dalla tua parte, semplicemente in modo diverso.

La verità è che la notizia della liberazione della Urru fa piacere. E basta.
“Piacere”.
Questa la reale portata emozionale che quella notizia dovrebbe avere come impatto su una persona estranea alla vicenda, come praticamente tutti noi.
Una persona equilibrata, priva di picchi isterici e poco avvezza a farsi trasportare da onde emozionali mediatiche, una persona che sappia ascoltarsi ed accetti i propri immanenti limiti tipicamente umani, che non mandi i 2 euro via sms per ripulirsi la coscienza o che non creda che condividere la foto del bambino nigeriano possa in qualche modo aiutare più quel poveraccio che se stesso, un uomo così, alla notizia della liberazione della Urru ha provato “piacere”. Punto.

No, non sono un essere spregevole se dico che non ho provato gioia. La gioia la conosco, è un’emozione intensa, rara e violenta, per qualcosa che segna la tua propria esistenza (o, se sei un bambino, per un pacchetto di figurine con dentro lo scudetto della tua squadra).

E’ su questa assurda falsariga che un giornalista può poi permettersi di definire Lucio un “top player”.