Mistress

Qualche anno fa cominciò a circolare con più insistenza la parola “stress”. Andava a sostituire/integrare nel comune italico vocabolario il più tendente al patologico “esaurimento/esaurimento nervoso”.

Stress connotava una situazione di pressione, esterna o interna, tale da portare un certo grado di disagio psichico alla persona.

Pian piano – come spesso accade – l’uso divenne abuso e “stress” iniziò a definire anche situazioni di generico disagio emotivo, non importa quale fosse il grado.

Questa apparentemente innocua parola è poi entrata di fatto all’interno dell’uso comune e dell’intercalare stradarolo, ma anche in ambito burocratico, per quell’insopprimibile esigenza tricolore di inquadrare ogni fenomenologia in commi o circolari. “Se c’è timbro c’è speranza“, dovrebbero mettere in ogni ufficio pubblico.

Ciascuno di noi conosce situazioni di stress: sono parte della nostra vita e le solite menate. Per questo valenti professionisti che fino a ieri ti infilavano il piede nella porta per mollarti il Folletto si sono oggi riciclati docenti di corsi di gestione dello stress. In questi dovrebbero trasmettere agli stressati allievi le tecniche di controllo di questa emotività negativa e trasformarla altresì in flusso di propositiva e benefica energia. Insomma, prendi una cosa brutta e la fai diventare utile, un po’ come si fa col letame che diventa biogas in grado di muovere auto decisamente di merda.

Il punto è che la gestione dello stress è caratteristica richiesta non a tutti, nè allo stesso livello. Ci sono persone che, per ruolo sociale, per professione, per opportunità devono gestire totalmente lo stress. Ad altre non è richiesto un tale livello di attenzione. Altre ancora possono tranquillamente fottersene della gestione dello stress.
Pensate ad un chiururgo in una zona di guerra. Dovrà necessariamente saper gestire situazioni di enorme pressione, squassi emotivi, tempi ristretti. Ma senza arrivare ai casi-limite, pensate ad un dirigente d’azienda che gestisca risorse umane. Avrà il delicato compito di valorizzarle e metterle nelle condizioni per far sì che possano rendere al meglio, al netto di proprie contingenti tensioni personali, notizie negative, divergenze relazionali: alzarsi coi coglioni girati non è una patente per crocifiggere i sottoposti in sala mensa. Magari se ti chiami “Ugo”, ma sono eccezioni.

O un giudice, al quale è richiesto il “silenzio dell’anima” nel momento in cui valuta un caso. Se entra in aula incazzato come un cervo a primavera perché il giorno prima la sua domestica filippina gli ha bruciato la toga sarà per lui vitale gestire il suo personale stress e non tramutarlo in mesi di detenzione per l’imputato di turno. Magari anch’egli filippino (ma devi essere sfigato, Cristo!).

Un dipendente non ha la stessa pressante esigenza di gestire lo stress che ha invece il suo datore di lavoro: gli sarà utile, certo, per il suo benessere mentale, per la facilitazione dei rapporti e per non rendere la propria giornata lavorativa un inferno 9.00-13.00, 15.00-19.00, ma pare evidente come siano differenti le “responsabilità sociali da ruolo” e le conseguenze, nell’un caso e nell’altro, di una cattiva gestione delle tensioni interne.

Ora però pensate a mio nonno. Ha 91 anni, è lucidissimo, legge Libero, si incontra con suoi coetanei che parlano solo di pensione e patologie prostatiche, tutti i giorni segue Forum e il Tg4 e non dispone più di patente di guida nè la mancanza di mutande su Belen gli ricorda alcunché. L’esposizione costante a questi impulsi negativi lo rende aggressivo come un pitbull di fronte ad uno specchio a forma di pitbull. Ma – è qui il “ma” – a lui non è richiesta alcuna gestione dello stress. Tutt’altro. Il suo ruolo sociale lo prevede come portatore di mugugni e sbraghi continui. La sua cifra stilistica si colora di invettive contro santi ai più sconosciuti. La sua stessa esistenza in vita è dimostrabile prevalentemente attraverso le gratuite offese alla nuora e i ceffoni ai nipotini.

La gestione dello stress non è dunque un must, un punto di arrivo per chiunque.

Dunque piantala di inviarmi inviti al tuo incontro “Gestire lo stress oggi, un imperativo categorico per tutti“: mi metti pressione, mi crea ansia.
Mi stressa. Ed io non ho bisogno di gestire troppo lo stress.

E so dove abiti.