La Bomba di Lavezzi

Aveva messo da parte, con una fatica che solo un precario come lui può capire, quasi seicento euro. Per quello che doveva essere un Capodanno da ricordare, non come quello dell’anno prima, con Mauro, il vicino-sempre-un-passo-avanti, che aveva quasi fatto saltare in aria il porticato condominale, coi suoi Cobra 6, quelli che ti scavano un fosso buono per un randagio. E poi Magnum, Zeus, Superciccioli o come cazzo si chiamavano.

Renato, suo figlio, rimase affascinato da quella magnificenza di casino e colori e chiese:

– Papà, scoppiamo pure noi!
– L’anno prossimo…

Si sentiva in dovere di mantenere quella promessa, convinto che Renato se la ricordasse, che a sei anni avesse la capacità di realizzare che si stava avvicinando la fine dell’anno.

Seicento euro di botti.
Roba cinese per lo più, con inquietanti caratteri che gli ricordavano le scritte dei mostri di Mazinga.
Il tizio della bancarella li chiamava Mefisto, Fura3000, Testa Rossa, Gold Bang, Tric Trac, Il Cipollone, Orione, Il Comandante, Vietcong.
Nomi che erano tutto un programma.

Dalle nove Antonio si mise là a sistemare tutto sul terrazzo di casa. Era riuscito a convincere l’ex-moglie a farsi affidare Renato per quella sera, dietro l’ennesima promessa di pagare con più regolarità l’assegno.

Il ragazzino era tutto un fremito:
– Dai dai! Quando li scoppiamo? E’ ora? Adesso?
– Pazienza… a mezzanotte inizia lo spettacolo.
– Ma qua stanno già tutti scoppiando!
– Vedrai, i nostri saranno tutta un’altra cosa…

Si avvicinava troppo lentamente quell’ora, sul terrazzo di Antonio Esposito da Napoli, uno stereotipo più che un nome, una condanna che ne marchiava le origini prima ancora di poter dire da dove venisse.

– E’ ora? Adesso?
– Tra poco…

Culi e tette in paillettes, orchestrati da una Barbara D’Urso in grado di spiegarti con la sola presenza scenica il concetto di “cattivo gusto”, si affannavano su Canale 5 a dimostrare che la crisi era tutta una balla. S’era da essere felici perché il duemilaundici era finito e il nuovo anno sarebbe stato certamente un’altra cosa.

Sulle “pinne, fucile ed occhiali” di un Edoardo Vianello che – ora so – sta scontando il suo inferno in questa vita da playback, circondato da troiette saltellanti che l’avrebbero data trent’anni dopo la nascita di quella canzone per sculettare davanti una telecamera, Antonio si alzò. Predispose gli ultimi fuochi a complemento della coreografia e si allontanò di un paio di metri, tenendo da parte il piccolo che non stava più nella pelle.
Uno dopo l’altro iniziarono a volare in cielo palle colorate che esplodevano in mille graffi al cielo, disegnando in cielo sfumature magnifiche, da illuminare il sorriso di Renato come mai il padre aveva visto.
I fuochi più grossi, i “botti” veri e propri erano stati sistemati a debita distaznza, nel giardino condominiale, proprio in fondo, accanto al piccolo appezzamento di terreno abbandonato, per evitare ogni possibile danno.

Dopo dieci minuti di arazzi in cielo e botti che manco l’ultima Libia, Antonio disse al piccolo di aspettare là dov’era, ché avrebbe controllato che fine avesse fatto “la Bomba di Lavezzi”, il botto dei botti di questa fine di un annus horribilis.
Si avvicinò con tutta la cautela del caso – mai avrebbe compiuto l’imprudenza di farsi saltare una mano per dei botti. La Bomba non era esplosa. Ci versò su dell’acqua e la lasciò là dov’era, per la notte, così da evitare ogni possibile disgrazia. L’indomani l’avrebbe gettata via.

Si voltò, vide Renato salutarlo con la mano dal terrazzo e quasi gli vennero le lacrime agli occhi per quel sorriso, che era la sola cosa che gli restava.
Mentre rispondeva al saluto, Mauro, il vicino-sempre-un-passo-avanti, quello che una volta tanto era stato battuto, tirò fuori la pistola d’ordinanza, quella che una guardia giurata non ha mai usato in vita sua, e iniziò a salutare il nuovo anno con dei colpi in aria, sotto lo sguardo ammirato dei figli e terrorizzato della moglie.

L’intero vicinato si voltò. Solo alcuni però seguirono con lo sguardo la traiettoria di quel proiettile che schizzava impazzito prima sul muro che costeggiava la proprietà e poi dritto come un fuso attraversare la gola del piccolo Renato, passando attraverso la ringhiera del terrazzo.

Lo stesso Mauro non si accorse di niente – c’era da terminare il caricatore.
Solo Antonio rimase di ghiaccio per alcuni interminabili secondi, nei quali vide suo figlio cadere a terra, pesante come un abete abbattuto, col visino annegato nel suo stesso sangue.

E il suicidio di Antonio, un mese dopo, davanti alla tv trovata accesa. Mentre Paolo Fox magnificava “lo splendido Urano che accompagna i nati sotto il segno della Bilancia, in questo primo fulgido mese dell’anno“. Bilancia, come Antonio. Fulgido come Paolo Fox.

E’ che la vita ti prende per il culo.

Ma la cosa peggiore è che pure quell’anno il vicino era riuscito a fare qualcosa più di lui.