Amore è stocazzo

Ero da un amico, l’altro giorno. Stava cazzeggiando su Facebook – mi ha mostrato una robetta divertente sulla sua bacheca, non ricordo manco cosa.
Mi ha fatto specie invece l’insieme, quel che gli compariva, la sua bacheca appunto, ma nel complesso.
Voglio dire: noi (chi di noi è su FB) abbiamo una certa cerchia di amici e la nostra pagina è la risultante delle cazzate che questa massa pubblica. Si tratta di un insieme vario e disomogeneo, ovviamente, ma si ha una tendenza ad immaginare che quel che appare a me per grosse linee appaia anche ai miei amici facebookiani, non foss’altro per le amicizie comuni.
Mi sono accorto che così non è. Che i punti di contatto tra il mio mondo e quello altrui sono davvero pochi e che manca del tutto l’effetto “smorzamento ambientale”: ogni mio eccesso ha una eco vastissima su una bacheca altrui. Se pubblico una cazzata si vede. Molto. Si perde ogni visione d’insieme, nonché la giustificazione creativa della stessa.
Faccio un esempio: condivido con un gruppo di satira una idea creativa: cambiarci tutti l’immagine del profilo, mettendo un culo con su uno slippino risicatissimo, col logo “Umore Maligno”. Lo facciamo un po’ tutti (una quindicina di cazzoni) e la nostra bacheca sarà un fiorire di questi culi. E la cosa ha un suo “senso creativo” (scusate l’iperbole).
Ma il mio amico, esterno al gruppo de quo, vedrà solo la mia fotina, decontestualizzata. E penserà: “che cazzone!”, (con piena ragione a prescindere). Ma gli viene a mancare del tutto il contesto nel quale è nata quella boutade, quando per me quella immaginetta non era che una delle tante in mezzo a tante: quindici persone, mediaticamente logorroiche, che rendono la mia personale bacheca un florilegio di culi griffati, creando un ambiente surreale, in cui il mio culo si perde tra i tanti.
Altrove no: c’è solo quel culo, col mio nome sotto. Un po’ come sulla mia carta d’identità, ma ancora più evidente.
Per questo ricevevo messaggi privati del tipo “ma che cazzone che sei!” o “non ci credo: hai messo un culo come foto del profilo!”. Era gente sorpresa, e a ragione, perché del tutto priva di qualsiasi conoscenza della genesi della cosa.
Questo però – e qui provo a trasmettere un preciso messaggio – vale anche all’opposto: quello che tu, cara la mia romantica depressa, quotidianamente condividi, in modo automatico e distratto, quello che sulla tua bacheca si perde tra le centinaia di messaggi simili ai tuoi, delle tue amiche – e si parla di frasi precotte, foto di tramonti o di corpi che languidamente si abbandonano alla passione di superiori sensi – quello che insomma, nel tuo contesto e stante la tua cerchia di amici, è per te “ordinarietà”, sulla mia personale bacheca è un pugno in faccia. Io vedo solo quello, perché spicca come e più di mille culi al vento, perché la mia, di cerchia, è usa pubblicare tutt’altro: cose anche eccessive, ma proprie, cercando di non cadere mai nella banalità o in toni da posta del cuore di “Cioè”.
Insomma, dopo una onlus socialmente impegnata in Uganda, dopo una segnalazione circa la ricostruzione di una scuola in una zona difficile, arriva quel cazzo di love is in the air.
Ed è solo per pura coincidenza fortunata che i toni si risollevano con un aforisma  di “Troll dell’amore” davvero al posto giusto, al momento giusto.