Il Puttanariato

 

– Rimpasto? Commissariamento? Governo d’emergenza? Un cazzo, signori. Un emerito cazzo.

Così si presentò sul palco, sotto una pioggia battente che manco il Borneo, il nuovo segretario del primo partito di sinistra, Adolfo Bonomelli, eletto a sorpresa nel momento più delicato della storia del Paese, dopo delle primarie vinte grazie ad un tamtam su Internet senza eguali.

– Non basta dire “ne abbiamo abbastanza”. A casa ce lo mandiamo davvero, e a calci in culo! Oggi chiudiamo l’era del puttanariato!

“Puttanariato”. Fu questa la parola che riecheggiò per i mesi a seguire su tutti i media. La coniò il Bonomelli, in un pomeriggio come tanti altri, diverso da tutti gli altri.

Era un omone, il Bonomelli, e tutt’altro che rasserenante, a dispetto del suo cognome. Non si sapeva niente di lui: che lavoro facesse, di che origini fosse. Niente. Un mistero che si autoalimentava.
Si stava uscendo dal periodo più nero della Repubblica: il “puttanariato”, nato sotto l’ultimo Governo di destra, aveva talmente nauseato la parte sana del Paese che anche quella malata non poteva più ignorare la questione.
Vedere la propria figlia sovrappeso scavalcata nel concorso al Ministero degli Esteri, dalla troietta figa di turno, per soli meriti “orali”, fece ribollire il sangue ad Antonio Coviello, operaio e padre, che accoltellò il Ministro nel solito bar dove si fermava per il cappuccio – SUV sulle strisce.
Quando fu arrestato, la gente prese le sue parti, ne fece un vessillo, l’incarnazione dell’italico Braveheart, anche se di Sora.
E via appelli, sottoscrizioni, come mille altre volte. Ma stavolta si andò oltre. Qualcuno licenziò mignotte assunte grazie al loro dare il culo a chi di dovere. Anche con ragioni pretestuose come “manifesta incompetenza” o “inadeguatezza al ruolo”. Ed alcune puttane tornarono alle loro strade, case. E la loro immagine tornò ad essere quella che era prima dell’era delle veline: donne con problemi, oppure disperate disposte a tutto. Di certo non più un esempio da seguire se volevi avere successo nella vita.

Su quest’onda emotiva ci fu l’elezione a Segretario di questo sconosciuto, che parlava duro come un leghista primo stampo, ma portava avanti i sogni della sinistra: equità, riduzione dei privilegi, assistenza per chi ne avesse davvero bisogno e meritocrazia in ogni settore, pubblico e privato.

– Mi chiedono in molti chi sia io, come sia venuto fuori dal nulla. Vi rispondo qui, ora. Sono una persona qualunque, con un futuro scippato da un incantatore di imbecilli. Ho iniziato a darmi da fare quando chiesi a mia figlia, di sei anni, cosa volesse fare da grande. Mi rispose “la velina”.
Certo, direte voi, a sei anni si sogna questo, no? Ci sta. Ai miei tempi rispondevano “la ballerina”. Non è stato questo a farmi male, ma la risposta datale da mia moglie, dopo aver visto la mia faccia comunque perplessa: “brava, fai bene: è così che puoi diventare qualcuno in questo Paese”. Sapete cosa ho fatto? Cacciato a calci in culo quella donna. E insegnato a mia figlia cosa significasse lavoro, sacrificio, costruzione, abnegazione. Soddisfazione per se stessi.

Fu così che la gente imparò qualcosa in più di Adolfo Bonomelli.

– A puttane potete andarci voialtri. Voi che non siete ricattabili. Non chi ricopre un ruolo istituzionale. Non chi poi può essere preso per le palle e dover favorire questa o quella troia affinché non sputino la merda che hanno ingoiato. Chi guida un Paese non può! Non può! Non si sceglie di fare il Presidente del Consiglio. Si ha una vocazione o non la si ha. E’ come per il prete. Si nasce prete. E poi lo si comincia a fare. Se nasci guida di un Paese prima o poi ti ritroverai davvero a condurlo per mano. E saprai da te che non si può. Non si possono tante cose. E non se ne sente neppure il bisogno. Dì addio alla tua vita, sacrifica quel che sei per un bene che riconosci più grande di te e più importante della tua quotidianità. Se non senti questo, se entri in politica per fare un “mestiere” non sei degno di guidare nessuno. Si torni alla politica come arte di amministrare per il bene di tutti. Non si entra in politica per riempirsi il portafogli! Non si entra in politica per pararsi il culo dalla Giustizia! Non si entra in politica per farsi succhiare il cazzo!

Nessun leader di sinistra aveva mai parlato in quel modo. Talmente condivisibile da ripulire ogni volgarità con la forza della passione.

Il faccione divenne sempre più rigido. Pareva tagliato nel legno. Le mani accompagnavano quelle parole come un direttore d’orchestra i suoi musicisti.
Era uno spettacolo.
Raccolse le ovazioni di una folla che si raccoglieva sempre più numerosa sotto quel diluvio. Tanti misero da parte gli ombrelli per spellarsi le mani di fronte ad un uomo atteso da troppo tempo.
Uno spettacolo, sì.

– Ora vi dico io cosa fare, mi prendo la responsabilità. Fermate tutto. Qualunque sia la vostra attività fermatevi. Non andate al lavoro. Non aprite negozi. Non fate un cazzo. Per ogni svolta epocale c’è un prezzo da pagare. E siamo in una guerra civile, signori. Prendiamone atto. Scendiamo in piazza, con la bava alla bocca, con le nostre pezze al culo. Assediamoli, staniamoli. Un golpe, un golpe civile. Non passeggeranno più per via della Scrofa coi loro grassi sigari e le loro puttane al seguito. Calci in culo, destra, sinistra. A chiunque vi abbia scippato il futuro, vostro, dei vostri figli laureati con contratti di tre mesi nei call center. Non hanno solo distrutto un Paese. Lo hanno fatto sfoggiando sorrisi prefabbricati e puttane preoleate.
In strada, ora!
Oggi si chiude il puttanariato!

Un boato accolse quest’ultimo grido, prima che Adolfo Bonomelli venisse portato via in trionfo.

Quello stesso giorno – le coincidenze – il premier fu ritrovato senza vita sul suo letto. Infarto. Anche se ancora oggi si dice fosse davanti la tv, a guardare quell’invasato.

Nudo, rannicchiato sul letto in una estrema smorfia a congelare il dolore.

E – l’avreste mai detto? – neppure una puttana a piangerlo.